Tanti anni fa, subito dopo la tesi, qualcuno mi chiese una storia. Siccome la tesi riguardava (tra le altre cose) il pellegrinaggio a Santiago de Compostela e il culto di san Giacomo saltò fuori dal nulla questo racconto. Mi è tornato in mente due sere fa, forse perché in questi giorni con la Prima Effervescente stiamo studiando il pellegrinaggio e un ragazzo ha portato le conchiglie e il bordone dei nonni che sono appunto andati fino a Compostela.
Non risulta che san Giacomo si sia mai molto interessato ai gatti, ma per i monaci benedettini il gatto era un simbolo di fedeltà - e sulla via per Santiago i benedettini cluniacensi costruirono molte abbazie dove i pellegrini venivano accolti e rifocillati.
Quell'anno aveva partorito più tardi del solito, mentre l'estate già declinava, e i suoi gattini avevano passato l'inverno nello scriptorium. Adesso che la primavera stava spargendo i suoi fiori nell'orto e nel giardino i tre giovani gatti giravano liberamente per il monastero, e come la madre erano già diventati intrepidi cacciatori di topi e di uccellini.
Erano tre, uno nero, uno bianco e uno rosso, che venne chiamato Rufus Zampe d'Argento perché le sue zampette e la punta della coda avevano un riflesso argentato.
Rufus non era molto interessato ai manoscritti, e amava soprattutto girare per l'orto e le cucine. Gli piacevano molto i pellegrini, che dormivano nella foresteria del monastero per riposarsi tra una tappe e l'altra. Rallegrava le loro speranze, consolava la loro tristezza e faceva le fusa mentre loro pregavano.
La mattina quando ripartivano era sempre lì a salutarli, sul portone del monastero. Poi tornava alle cucine dove c'era sempre qualche topo da cacciare.
Quel pellegrino però l'aveva colpito in un modo diverso. Era avvolto da una nube nera di disperazione e alle mani e alle caviglie aveva pesanti catene di ferro. Lo vide parlare a lungo con l'abate, che cercava di convincerlo a segare i ceppi e a liberarsi almeno le mani. "Non c'è colpa che il Signore non perdoni, se il pentimento è sincero" gli aveva detto "E l'eccesso nella punizione può essere esso stesso un peccato".
"Se il Signore mi avesse perdonato mi avrebbe mandato un segno e le mie catene si sarebbero infrante da sole" aveva risposto il pellegrino cupamente. Poi era partito, ma Rufus era riuscito a infilarsi nella sua sacca ed era partito con lui, senza che il pellegrino ne sapesse nulla.
Se ne accorse quando si fermò per pregare in mezzo alla radura e il sole brillava alto. "Cosa ci fai, qui, stupido gatto? Torna indietro".
Rufus l'aveva guardato, spalancando al massimo i suoi occhi color dello zaffiro.
"Meow" aveva detto, poi gli aveva messo la zampetta sulla mano per carezzarla.
"Non ti voglio. Non ho niente per te. Torna al monastero, dove ti trattano bene".
Come tutta risposta, Rufus si era messo a fare le fusa.
Allora il pellegrino si ricordò del formaggio che il monaco aveva insistito per dargli, insieme al pane secco.
"Posso darti un po' di formaggio. Io non devo mangiare il formaggio, il pane è anche troppo per me".
Rufus mangiò volentieri il formaggio e fece le fusa ancora più forte. Si accorse che il pellegrino voleva allontanarlo a calci, ma gli bastò guardarlo con i suoi innocenti occhi color zaffiro per fermarlo.
"Fai come ti pare" disse il pellegrino alzandosi in un gran rumore di ferraglia "Ma io non ti porterò con me".
Si avviò e Rufus lo seguì, rincorrendo le farfalle sull'erba e le lucertole che guizzavano al sole. Quando fu stanco si arrampicò sulla veste del pellegrino e si accoccolò sulla sua spalla.
"E va bene" si disse il pellegrino "Un peso in più lo posso portare, aumenterà la mia penitenza".
Quando venne la sera il pellegrino si sdraiò per dormire sotto gli alberi e gli offrì un altro pezzo di formaggio, ma Rufus non lo prese e corse via tra gli alberi. Tornò poco dopo con un topolino ancora guizzante in bocca e lo sgranocchiò vicino al pellegrino. Poi si infilò sotto la coperta vicino a lui, facendo le fusa.
Quando il formaggio fu finito arrivarono ad un altro monastero. Il pellegrino andò a confessarsi, poi si addormentò piangendo, dopo aver fatto un lunghissimo atto di contrizione.
Un monaco gli portò del pane secco.
"Potete tenere con voi questo gatto?" gli chiese il pellegrino "Non so perché mi abbia seguito dall'ultimo monastero, ma io non lo voglio".
"Fai male a rifiutare la compagnia di un amico" gli disse il monaco "Questo gatto ti è molto affezionato. Ti darò un pezzo di formaggio per lui, se non ne vuoi mangiare tu".
Il pellegrino sospirò, prese il formaggio e ripartì con il gatto. Finì per abituarsi a quella presenza morbida e amichevole e lo portava nella sacca o sulle spalle tutte le volte che Rufus era stanco, così Rufus decise di stancarsi molto più spesso.
Le notti a volte erano molto fredde e la coperta era leggera. Quando il pellegrino non riusciva a dormire piangeva e pregava, e dopo aver pregato piangeva ancora più forte e si batteva il petto, e Rufus vedeva la nuvola della disperazione che lo avvolgeva, ma quando cercava di avvicinarsi il pellegrino lo cacciava in malo modo. Le piaghe che aveva ai polsi e alle caviglie, sotto gli anelli di ferro, spesso sanguinavano e allora il pellegrino poteva camminare solo molto piano. Quando si fermava in un monastero per dormire i monaci gliele ungevano d'olio ma lui non permetteva mai che gliele fasciassero.
Ogni volta chiedeva ai monaci di prendere il gatto, e ogni volta i monaci rifiutavano e gli davano un pezzo di formaggio fresco in aggiunta al pane secco.
Rufus era sempre più bello e più forte nonostante passasse metà del giorno a fare le fusa e l'altra metà camminando: la dieta di topolini freschi e formaggio lo corroborava e gli uccellini dei boschi erano uno squisito dessert. Però era un po' preoccupato perché, anche se la nube di disperazione che avvolgeva il suo amico sembrava attenuarsi un po' ogni giorno, le ferite ai polsi e alle caviglie erano sempre più profonde.
Una mattina il pellegrino non riuscì ad alzarsi, per quanto ci provasse. Alla fine si prostrò a terra e, fra le lacrime, si pentì per l'ennesima volta di aver osato sperare di poter essere perdonato. Rufus andò a leccargli le lacrime come aveva già fatto altre volte ma stavolta il pellegrino non solo lo allontanò ma, quando Rufus si avvicinò ancora, lo scaraventò con tutte le sue forze contro un albero.
Rufus lanciò un urlo straziante e crollò a terra, dove rimase perfettamente immobile, scomposto come una bambola di stracci.
Il pellegrino lo guardò inorridito, poi lo chiamò, sempre più spaventato. Tanta era la forza della preoccupazione che strisciò sui gomiti fino al corpo del suo piccolo amico, su cui pianse a calde lacrime.
"Signore, come posso sperare nella Tua grazia se sono così incapace di meritarla? Ecco, questa creatura era venuta da me in amicizia, per un capriccio ma in buona fede e con sincerità. Mi è stato vicino e ha cercato di confortarmi per tutte queste settimane e in cambio io ho spezzato la sua giovane vita!".
A queste parole Rufus aprì prima un occhio, poi due, sorrise al pellegrino e si alzò con mossa agile ed elastica, mostrandosi in perfetta salute.
Il pellegrino tese le braccia e se lo strinse al cuore.
"O meraviglia! Non eri morto, stavi solo scherzando! O splendido amico, che mi hai finalmente fatto capire l'enormità del mio errore! Come posso sperare nel perdono, se non so vedere la Bontà di colui che ha creato me e te, e ti ha mandato da me?".
Rufus fece le fusa e si strusciò al pellegrino, poi leccò le piaghe dei suoi polsi che si risanarono sotto la sua lingua. Alzando gli occhi il pellegrino vide un uomo di meravigliosa bellezza, circondato da un aura dorata. "Tu sei..."
"Io sono l'apostolo Giacomo, morto in Galilea e sepolto a Compostella" rispose il santo con voce dolcissima "Ti ho mandato questo piccolo amico perché tu imparassi attraverso di lui che non eri solo. Troppo tempo hai vissuto nelle tenebre, vedendo soltanto te e il tuo peccato".
Il santo fece un gesto e i ceppi si spezzarono, lasciando l'uomo libero e risanato.
"Ti ringrazio di aver avuto compassione della mia immensa miseria" disse il pellegrino "Ero nelle tenebre e mi hai riportato alla luce. Mai più disprezzerò i doni della compassione e dell'amicizia, da chiunque provengano".
L'aria intorno al santo tremò e si ricompose, e quando il pellegrino alzò nuovamente gli occhi vicino a lui c'era soltanto Rufus dalle Zampe d'Argento.
Il pellegrino rise di gioia "Vieni, mio piccolo amico, salimi sulla spalla. Abbiamo ancora della strada da fare, ma al prossimo monastero ci fermeremo e chiederò di prendere i voti".
Rufus si avvolse intorno al collo del pellegrino facendo le fusa.
"Resterai con me per tutto il tempo che vorrai" promise il pellegrino "Un gatto, in un monastero, è sempre ben accetto".
Rufus sapeva che era vero, ma adesso sapeva anche che non esistevano solo i monasteri. Si sarebbe fermato un po' con l'uomo, ma poi sarebbe ripartito.
Perché lui era Rufus dai Baffi d'Argento, e andava dove voleva.
5 commenti:
Ma che bella la tua storia! Grazie x avercela donata.
Che bella storia... E averla letta con Freccia sulle gambe è stato come sentire il calore di Rufus...
p.s. c'è un altro Rufus, anche lui gatto molto speciale, anche lui color del fuoco, che non si può non amare... quello di cui parla Doris Lessing: un vero combattente, stanco e meraviglioso.
Lo ammetto: un po' troppo didascalica per i miei gusti...
...però, nel genere didascalico, molto bella. Mi ha ricordato quello splendido film che è "La leggenda del re pescatore", e la stupenda storia che Robin Williams racconta a Jeff Bridges verso la metà della pellicola.
Oltre che lo stesso Bridges che, con stizza, dice: "Per fotuna che in questa cazzo di città nessuno guarda mai in alto" ;-).
@Dolcezze e LaNoisette:
Grazie ^__^
@Linda:
E' una storia PERFETTA per essere letta con un gatto sulle ginocchia!
(I gatti di Doris Lessing sono tutti indimenticabili. Tutti).
@Gaberricci:
Dipende da cosa intendi per "didascalica". Forse la chiami così perché è altamente diabetica? Oppure perché sembra un santino (e lo sembra perché lo è)?
In entrambi i casi non posso proprio darti torto ^__^
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