Secondo volume della trilogia avviata da Chiamate la levatrice che ho presentato più di un anno fa ripromettendomi di continuarla di lì a poco - cosa che non avvenne perché poco dopo le biblioteche pubbliche chiusero per diversi mesi e quando riaprirono avevo ormai avviato altre letture e insomma solo durante le vacanze di Natale mi sono presa gli altri due volumi.
Parto con una precisazione: anche se i tre libri sono conosciuti come "la trilogia delle levatrici" si tratta di tre romanzi (trattati storico-sociali? Memorie? Un po' di entrambe le cose e molto altro?) autoconclusivi, non sono nati come trilogia e non credo che avremmo visto il secondo e il terzo se il primo non avesse avuto tanto successo.
In particolare, questo secondo si distacca abbastanza dagli altri due ed è forse quello più simile a un romanzo nella struttura - insomma non è una raccolta di brevi quadretti ma si concentra su tre storie, e la prima e la terza affondano le radici alla fine dell'Ottocento, in piena epoca vittoriana. Come il primo e come il terzo, comunque, è una lettura piacevole, scorrevole, avvincente ma non leggera e la cruda realtà non viene risparmiata al lettore.
In Tra le vite di Londra i parti passano in secondo piano e ci si occupa più di vite, appunto, che di nascite.
Nella prima parte viene ripreso e approfondito il terrificante tema degli ospizi inglesi, nati per raccogliere e assistere (assistere? Mah. Dipende da cosa si intende per "assistenza") i poveri e gli orfani inglesi. Una nobile causa, senza dubbio; peccato però che l'accoglienza che i poveri e gli orfani ricevevano nell'ospizio fosse una via di mezzo tra la prigione e il campo di lavoro. Non scenderò nei dettagli perché lo fa l'autrice, ma di sicuro l'Inghilterra è stata meno generosa con i suoi poveri di molti altri paesi, e il terrore che evocava la parola "ospizio" era tale che ancora negli anni Cinquanta gli anziani di basso ceto rifiutavano con tutte le loro forze di farsi curare in ospedale perché molti di questi ospedali erano appunto nati sulle metaforiche ceneri degli ospizi.
La prima storia è quella di Jane, che collaborava con l'Istituto di Nonnatus House dove lavorava l'autrice: una donna di mezza età, sfiorita, terribilmente insicura, tanto da diventare in certi casi più di intralcio che di utilità per l'Istituto. Si sa che da bambina aveva subito un terribile trauma, e più avanti il trauma viene raccontato in tutti i suoi agghiaccianti dettagli - ed è un trauma subito appunto nell'orfanatrofio che l'aveva raccolta.
Da lì si passa al racconto di due suoi amici, una coppia di fratelli anche loro accolti nell'ospizio e separati con implacabile decisione perché di sesso diverso. Quando il fratello maggiore, diversi anni dopo, si ricorda di avere avuto una sorella (perché con gli anni, non vedendola mai, aveva finito per dimenticarsene completamente) e prova a prenderla con sé i responsabili fanno un sacco di storie per affidargliela (e rifiutano ostinatamente di fargliela incontrare prima che lui mostri i requisiti che gli permetteranno di riprenderla) ma ancor più sbalorditivo è che, una volta che gli hanno affidato la ragazzina, non si interessino più minimamente della cosa e non facciano nessun tipo di controllo per vedere se la ragazzina si trova bene con quello che, infine, per lei è un perfetto estraneo.
In realtà i due si troveranno perfettamente bene insieme e si ameranno tutta la vita - fino alla morte, in effetti, come viene raccontato in un capitolo davvero struggente.
E la povera Jane? Grazie a un lampo di genio della bravissima superiora del convento e ad uno stimabile missionario, anche Jane troverà alla fine una solida felicità che la ripagherà almeno in parte della sua infanzia infelice e traumatizzata, in un capitolo che evoca ad ogni riga lo stile di Agatha Christie (davvero memorabile in particolare la sequenza in cui due abili commesse riescono con grande stile a fornirla di un guardaroba tutt'altro che appariscente ma assai elegante parlando in codice tra loro).
La terza parte racconta invece la storia di qualcuno che all'ospizio riuscì a non mettere piede, grazie a una madre eroica che sopportò sacrifici e privazioni di ogni tipo appunto per evitarlo ai suoi figli. Il ragazzo, in mancanza di alternative, finì per arruolarsi nell'esercito di Sua Maestà - una scelta che fece all'inizio disperare assai la povera donna, ma che sistemò comunque il bilancio della famiglia. Al soldato in realtà le cose non andarono troppo male, anche se si vide morire intorno buona parte dei suoi compagni; ma sul finire della vita il glorioso impero britannico gli riserverà un trattamento non particolarmente generoso - anche se di fatto era lo stesso che riservava a tutti gli strati inferiori della popolazione.
In mezzo, come di dovere, c'è un intermezzo brillante: lo scabrosissimo processo per furto della suora più anziana del convento, processo che sia le suore che la polizia cercano con tutte le loro forze di evitare ma senza osare di fare apertamente nulla per evitarlo davvero - perché si sa, la legge è la legge e va rispettata, e sia la polizia che il convento hanno una reputazione da difendere. Sorella Monica Jean è un bellissimo personaggio già comparso nel primo romanzo, ed è talmente complessa, ricca di contraddizioni e di chiaroscuri che è difficile credere non sia stata presa di peso dalla vita reale. Il processo si risolve con una rivelazione finale che arriva sul più bello da una testimone di cui è impossibile mettere in dubbio la deposizione e che mi ha ricordato moltissimo il colpo di scena de La parola alla difesa (Agatha Christie, di nuovo).
Lettura consigliatissima, come del resto tutta la pseudo-trilogia, a chiunque ami la letteratura vittoriana (con cui non ha niente in comune), la storia inglese, le contraddizioni inglesi eccetera.
Con questo post tardivo partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma prima di avviare il Micidiale Fine Settimana antescrutinio di fine quadrimestre - una esperienza altamente formativa che non manca mai di allietare due volte l'anno la vita di noi insegnanti.
Felici letture a tutti, visto che il tempo e la pandemia non offrono molte alternative a chi non ha in sorte di doversi preparare agli scrutini.