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venerdì 5 maggio 2023

Gli innamorati di Sylvia - Elizabeth Gaskell

                                                 

Il penultimo romanzo di Elizabeth Gaskell, pubblicato nel 1863, da lei definito la storia più triste che abbia mai scritto (e aveva ragione) non riscosse un grande successo. In Italia è rimasto completamente sconosciuto fin quando l'editore Jo March, di cui si sono perse le tracce, si decise a pubblicarlo una decina di anni fa. Io l'ho trovato molto bello.
Cominciamo dallo sfondo: è un romanzo storico, e l'autrice lavorò con molta pazienza per documentarsi. Siamo ai tempi delle guerre napoleoniche, quando ogni due per tre l'Inghilterra si univa alle più varie alleanze nella speranza di fermare il Gran Nemico: Napoleone, appunto. L'esercito inglese si trovava spesso a corto di uomini e ricorreva all'arruolamento forzato: ogni tanto, o meglio ogni poco, sui paesi della costa e non solo arrivava qualche nave della Regia Marina a fare la spesa, prendendo tutti i giovani uomini su cui era materialmente  possibile mettere le mani e arruolandoli, volenti o nolenti (spesso molto, molto nolenti, par di capire).
Naturalmente c'erano delle regole molto precise: gli uomini non dovevano essere sposati, i balenieri erano esentati eccetera. Ma le regole, anche nel paese che ha inventato la monarchia costituzionale, han sempre la strana caratteristica che nei momenti di emergenza vanno a farsi friggere e allora puoi reclamare quanto vuoi, e magari hai tutte le ragioni del mondo per protestare e reclamare, ma non serve a niente perché nessuno ti fila nemmen di striscio. 
Così non di rado capitava che uomini sposati e anche balenieri (compresi i balenieri sposati) venissero presi, caricati di peso su una nave e trasformati in marinai al servizio di Sua Maestà; questo, in particolare, nei paesi sul mare - non perché lì le regole venissero seguite meno che ltrove, quanto perché se ti servono dei marinai li cerchi, appunto, nei paesi dove la gente impara a stare sulle navi sin da piccoli. All'interno invece arruolavano le truppe di terra.
Non sono sicura di aver capito bene perché i balenieri avessero diritto all'esenzione, ma i diritti dei cacciatori di balene non sono mai stati un tema molto trattato in Italia, nemmeno ai tempi in cui le balene non erano considerate una specie da proteggere ma solo comodi astucci ricolmi di grasso e carne e pelle e stecche di balena. In Italia, all'epoca come adesso, si pescavano acciughe, sgombri, grossi tonni e grossi pescespada, ma nel Nord dell'Inghilterra si pescavano balene - anche se non in prossimità della costa inglese, si doveva andare in Groenlandia per trovarle.
La Groenlandia entra dunque a far parte della vita i certi villaggi inglesi: per sei mesi all'anno gli uomini più giovani e più avventurosi andavano verso la Groenlandia a caccia di balene, e la loro vita ruotava intorno alla caccia alle balene sin da piccoli. Dopo aver pescato balene per svariati anni avevano messo su abbastanza soldi da comprarsi della terra, o una nave (per andare a caccia di balene, si capisce) e comandarla. Il tutto, certo, se riuscivi ad evitare l'arruolamento forzato, perché in quel caso sparivi dai radar del villaggio e anche della tua famiglia per anni e anni o addirittura per sempre. Certo, magari alla famiglia potevi scrivere ogni tanto (soprattutto se eri ancora vivo), ma non è che in quel tipo di villaggi fossero in tanti a saper leggere e scrivere.
Per descrivere la vita in questo tipo di villaggi Gaskell quindi si documentò a lungo, studiando anche la vita sulle baleniere e le tecniche della caccia alle balene - tutte cose che le era utile sapere per interpretare l'ambiente; nel romanzo comunque non si vede l'ombra di una balena e quel che accade sulle baleniere si intravede appena - ma per Sylvia, figlia di un ex baleniere e molto disponibile a innamorarsi di un baleniere, va benissimo così.

Il romanzo si apre con una descrizione del paese non troppo immaginario di Monkshaven, con il grazioso quadretto quasi di maniera di due ragazzine che vanno al mercato a vendere burro e uova; Sylvia, la più bella e benestante delle due, col ricavato della vendita comprerà la sua prima mantellina. Lei la vorrebbe rossa, sua madre la preferirebbe grigia (così non si macchia con la pioggia) e le due ragazze chiacchierano allegramente di innamorati (che ancora non hanno) e di mantelline per poi assistere all'arrivo delle baleniere che ritornano dal loro viaggio. E all'inizio, nonostante l'arrivo delle navi sia funestato dalla solita compagnia di militari a caccia di uomini, il tutto si presenta piacevolmente frivolo, almeno per qualche pagina. Vediamo Sylvia tampinata da  un corteggiatore bravo, fedele e squisitamente pedante - so che a lui vanno le simpatie di molti lettori, ma io l'ho trovato antipatico fin dalla sua prima comparsa in scena, e non a caso piace molto alla madre di Sylvia, che è quella che preferisce le mantelline grigie a quelle rosse.
Il secondo corteggiatore, molto bello, molto coraggioso ed estremamente baleniere, all'inizio si intravede appena, quasi un'ombra che va via via prendendo consistenza. Sylvia comunque lo vede benissimo fin dall'inizio e fa la sua scelta senza quasi farla, semplicemente comincia a girare nell'orbita del bel giovane come un satellite intorno al suo pianeta, e per un po' le cose vanno come sembra che debbano andare: i due si corteggiano, poi si scambiano la promessa e infine lui parte - a caccia di balene, si capisce.
Il corteggiatore pedante naturalmente disapprova moltissimo. Per disgrazia di tutti i protagonisti, e in modo del tutto improvviso e inaspettato, viene posto davanti a una scelta - una di quelle scelte che possono cambiare la vita delle persone. Una scelta vera, che in apparenza giocherebbe tutta a suo favore. Segue la voce del cuore (e dei suoi interessi) e di colpo il romanzo diventa la storia più triste che mai Gaskell abbia scritto.
Quando il destino, perfido, cinico e baro, presenterà il conto non ci saranno vincitori, anche se in effetti il baleniere non avrà nulla da rimproverarsi - e, a conti fatti, nemmeno Sylvia, ingannata non soltanto dal suo non voluto corteggiatore ma anche da una serie di circostanze contro cui non era possibile lottare.
Il vero centro del romanzo non sembra essere la vicenda di un amore infelice e di due innamorati che non riescono a giungere a felice conclusione a dispetto di tutto, ma proprio la constatazione che a volte le cose vanno male perché una miriade di circostanze, all'apparenza anche lontanissime dai protagonisti, opera nel più perverso dei modi perché tutto vada male - e non è una conclusione delle più consuete, in un romanzo vittoriano. Il senso dell'ingiustizia pervade tutta la storia, ma non è l'ingiustizia del fato e di una volontà superiore, ma proprio l'ingiustizia delle leggi umane, che sin dall'inizio danno pessima prova di sé intrufolandosi nei più vari modi nella vita di persone che pure, tra una caccia alla balena e l'altra, sembrerebbero avere già circostanze avverse in quantità più che sufficiente a complicare la vita di chiunque.
Guarda caso però l'unico personaggio che fin dai primi capitoli del libro lotterà sempre con molta risolutezza contro le ingiustizie, senza nascondersi, senza provare ad aggirare le circostanze ma con molta fermezza - ovvero il baleniere - alla fine della storia, per quanto abbia passato i suoi guai e ricevuto dalla vita una buona serie di colpi, non tutti metaforici, è quello che troverà comunque il modo di costruirsi un'esistenza soddisfacente.

In teoria non è il mio genere di libro, perché disapprovo le storie che non vanno a finire bene; invece l'ho letto molto volentieri e con grande partecipazione, e dopo averlo finito ho continuato a sentirlo volteggiare nell'aria intorno a me per diversi giorni. In effetti, tra i libri che ho letto di quest'autrice è senz'altro quello che ho preferito.

venerdì 5 gennaio 2018

Ruth - Elizabeth Gaskell


Pubblicato nel 1853, Ruth affronta lo spinoso problema della fallen woman - ovvero la donna caduta nel gorgo del peccato.
L'argomento all'epoca era serio: pòle una donna redimersi dal Peccato?
L'Inghilterra vittoriana non ne era affatto convinta, e infatti il libro causò grande scandalo - perché, nel corso del romanzo, Ruth si redime effettivamente dalla sua vita peccaminosa. 
Ma forse sarebbe più esatto dire che viene chiaramente indicato che non aveva una vita peccaminosa da cui redimersi, ed era stata semplicemente una ragazza piuttosto sfortunata capitata nelle mani sbagliate e lasciata troppo sola. L'innocenza, che era stata la vera causa della sua caduta, è anche quella che l'aiuta a mantenere una vita rispettabile. Perché Ruth conduce una vita rispettabile per tutto il tempo del romanzo, tranne nella breve parentesi in cui, con molta innocenza, sceglie una strada che dava buone garanzie di risolversi in un disastro completo.
A questo proposito mi è piaciuta molto la copertina scelta dagli Editori Internazionali riuniti: una innocentissima e un po' stranita Maria accoglie l'annuncio dell'Angelo (che non si vede) in un quadro del 1898 di Henry Ossawa Tanner. C'è stupore, nel suo sguardo, e rassegnazione, ma anche molta, molta innocenza.

Elizabeth Gaskell aveva già trattato l'argomento, con un certo brutale realismo, in Mary Burton, dove uno dei personaggi è appunto una ragazza madre. La sua storia è molto triste: dopo aver perso il bambino (perché non aveva i soldi necessari per curarlo quando si ammala) diventa una prostituta, e beve per "riuscire a sopportare quel che è diventata". Morirà di tisi, e anche di disperazione. Era quella, di solito, la strada delle sedotte e abbandonate. L'amante lasciava qualche soldo e spariva nel nulla. La giovane madre restava da sola con un bambino piccolo e l'universale disapprovazione come unica compagnia.
A Ruth le cose vanno meglio, ma solo perché l'autrice ci mette una buona parola.
E' una ragazza orfana, molto carina - forse sarebbe più esatto definirla senz'altro bella. Del resto, nessuno cercava di mettere nei pasticci una ragazza così-così. Di solito.
Rimasta orfana, Ruth viene affidata a un tutore che la mette a fare l'apprendista in una sartoria e rifiuta di interessarsene oltre. Completamente sola, non ha nessuno che la consiglia. E non ha ancora sedici anni.
Il primo giovane di buona famiglia che la vede non deve darsi molto da fare per impallinarla, complice anche una certa trascuratezza da parte della sua datrice di lavoro. Ruth segue il suo nuovo amico, che glielo chiede in modo così gentile, così rispettoso, così carino... è molto fiduciosa, e all'amore ci crede davvero.
Forse, chissà, ci crede anche il giovin signore, o almeno forse crede di crederci. Difficile a dirsi, perché è un individuo dotato di una superficialità davvero singolare, e di un senso etico ancora più superficiale; ma, del resto, solo un uomo molto superficiale può cacciare una povera ragazza in un pasticcio simile. E insomma tutto finisce come deve finire secondo le regole: qualche soldo (che Ruth rispedirà al mittente) e un bambino in arrivo.
Per fortuna è già entrato in scena un colpo di fortuna di cui poche ragazze nella condizione di Ruth hanno potuto usufruire: un bravo e buon pastore (inteso come sacerdote), che si prende a cuore il suo caso. Lui e la sorella si porteranno a casa la ragazza pur sapendo che è incinta. Raccontano a tutti che è una parente povera, rimasta vedova giovanissima.
L'idea iniziale era di tenerla "per un po'", fin quando Ruth non fosse in grado di mantenersi da sola, ma i tre finiranno per affezionarsi terribilmente, e il bambino darà il colpo di grazia alla situazione.
Perché, in barba a tutti i canoni, il figlio della colpa sopravvive, senza altre difficoltà che qualche malanno tipico dei bambini. Alla fine del romanzo è ancora lì, che gode ottima salute e si accinge ad entrare nel mondo, anzi in tanti fanno a gara per pagargli gli studi.

Diverse regole canoniche vengono violate, ma con molta grazia & discrezione: per esempio per molti mesi Ruth soffrirà crudelmente per l'abbandono e per l'amore tradito, ma lo farà in silenzio, piangendo di nascosto. Imparerà a pentirsi di quel che ha fatto e a considerare tale il suo peccato (pur ricordando che era molto giovane e quasi non sapeva cosa stava facendo). Finirà per curare l'educazione di alcune giovinette assai benestanti con gran soddisfazione della loro famiglia... finché quella impeccabile famiglia, molti anni dopo, non scopre quale orribile serpaccia abbia accolto nel suo seno. A quel punto il discredito si abbatterà crudelmente anche sui suoi benefattori, rei di non avere abbandonato la peccatrice alle conseguenze della sua colpa nonostante sapessero benissimo di quali orribili infamie si fosse macchiata - e che continueranno a non abbandonarla, lei e il figlio della colpa, anche quando l'atroce infamia viene scoperta.
Il lettore comincia così a farsi un sacco di domande sconvenienti non tanto sul fatto che Ruth sia redimibile o meno, ma se in tutto il meccanismo che nella società inglese dell'epoca separa il Vizio dalla Virtù non ci sia qualcosa di orribilmente sbagliato, che finisce col porre in grave pericolo non tanto le anime dei peccatori, quanto quelle dei farisei che si crogiolano beatamente nel loro scandalizzato perbenismo - e che infatti si ritrovano a scoprire con vero orrore che il Nero Vizio può colpire anche loro, senza nemmeno le possibili scusanti dell'ingenuità e dell'amore.
Nonostante l'ostracismo che le cade addosso la peccatrice nuovamente si redime, stavolta in pubblico, davanti a tutta la città, che finisce per coprirla di benedizioni e non più di contumelie. E proprio allora...
Sì, sono d'accordo con Charlotte Bronte, che protestò: il romanzo meritava un lieto fine. Ma Charlotte Bronte aveva una morale tutta sua, che le permetteva di giudicare la società in cui viveva con una lucidità particolare. Elizabeth Gaskell sapeva però di aver tirato la corda più che a sufficienza e il romanzo finisce con una specie di santificazione postuma di Ruth... ma non col finale che la vita avrebbe dovuto assegnare a quella bella e cara signora.
Per il Seduttore, invece, che ricompare un paio di volte nella storia, la punizione invece è crudelissima: non si renderà mai conto davvero di quel che ha fatto e di dove ha sbagliato, anzi fino alla fine è convinto di aver fatto ben più di quel che gli spettava - ma quanto sia in buona fede nel credere questo, naturalmente, non è possibile dire.
Il finale, dunque, sta lì, appiccicato con lo sputo. Credo che Gaskell ne fosse perfettamente consapevole, e lo abbia lasciato così proprio perché al lettore rimanesse un senso di indefinibile disagio, che lo rendesse irritabile e scontento senza capirne le vere ragioni.

Il romanzo è stato di recente ripubblicato da Elliot, non so se con una traduzione nuova. Comunque è caldamente consigliato a chi ama la letteratura vittoriana ma non è troppo interessato... come dire, ai romanzi d'azione. Anche se non mancano i colpi di scena, si tratta di una lettura intimistica e molto accentrata sull'analisi dei sentimenti.

Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma e auguro buone letture e tranquilla serenità per questo ultimo scorcio dei giorni delle Feste.

venerdì 29 novembre 2013

Nord e Sud - Elizabeth Gaskell


In Inghilterra, ci dicono, Elizabeth Gaskell (1810-1865) è molto conosciuta. Non credo che si possa dire altrettanto in Italia, dove è stata tradotta una goccia per volta, ogni volta con un editore diverso, e quasi sempre di editori di nicchia.
Quando, con comodo e senza fretta, qualcuno si è finalmente degnato di considerare la possibilità di tradurre Nord e Sud, uno dei suoi romanzi più famosi, a farlo è stata una casa editrice veramente di nicchia, praticamente un fantasma: l'Agenzia Letteraria Jo March (rintracciabile anche su Facebook, volendo).
Proprio da Facebook sono arrivata a loro, ma per vie assai tortuose, prima tra tutte un casuale "mi piace" messo da un'amica (nemmeno molto appassionata di letteratura vittoriana, e probabilmente solo incuriosita dal nome) che mi ha portato sulla loro bacheca un annetto fa. Ho così scoperto che costoro, ormai da un anno, avevano pubblicato in italiano North and South, romanzo di cui avevo sempre sentito dire grandi meraviglie ma di cui conoscevo solo, e molto vagamente, la trama.
Non fu facile per il mio libraio procurarmelo, ma nel frattempo ho scoperto che comprare in rete dall'Agenzia è relativamente facile e rapido, e così la seconda copia, destinata ad un'amica*, è arrivata nelle mie mani nel tempo record di nemmeno due settimane. Adesso poi il libro è perfino sul catalogo delle librerie Feltrinelli (sugli scaffali no, certo, ma nessuno sperava di arrivare a tanto, con un libro fantasma).

In realtà proprio fantasma il libro non è, anzi nella sua massiccia concretezza consta di ben 455 pagine più indice e copertina leggera (con una bella illustrazione assai pertinente al contenuto, cosa molto  rara al giorno d'oggi) per il prezzo tutto sommato modico di 15 euro, che ho sborsato senza rimpianti .

Si tratta di un classico romanzo vittoriano, scritto da una classica romanziera vittoriana e che racconta la formazione di una classica ragazza vittoriana che si conclude con il di lei matrimonio - dove naturalmente "classico" non sta per "banale": le romanziere vittoriane erano tutte tipi piuttosto originali e scrivevano romanzi decisamente insoliti e con protagoniste (e protagonisti, talvolta) tutt'altro che scontati. 

Nel caso in questione la giovane e bella protagonista, Margaret, trascorre per esempio non poche pagine interessandosi di economia e di condizione operaia, oltre che della madre ammalata e del padre addolorato. Economia e questione operaia (che Elizabeth Gaskell conosceva piuttosto bene) sono parte integrante della trama molto ben intrecciata e il romanzo si lascia leggere con gran piacere e partecipazione emotiva; ed è proprio la parte economica che risulta attuale in modo sorprendente.
Siamo a metà Ottocento (il libro uscì nel 1855), nel pieno della rivoluzione industriale. Per vari motivi la protagonista si trova sbalzata da un idilliaco e pacioso (ma non troppo benestante) angoletto dell'Inghilterra del Sud all'industializzatissima città di Milton, dove le ciminiere fumano senza posa, i telai sfornano tonnellate su tonnellate di tessuti e indumenti di cotone e dove torme di operai sfruttati e spesso sottopagati cercano di conquistarsi condizioni decenti di lavoro attraverso le lotte sindacali, mentre folti manipoli di imprenditori dell'industria tessile si ingegnano di tenerli al loro posto, con alterni risultati.

Gli operai, scopre la spaesata Margaret, non sono come i contadini: sono più agguerriti, più combattivi e più complicati. E gli imprenditori non sono come la gentry della buona società che è abituata a frequentare, sono... la prima impressione che viene trasmessa al lettore attraverso gli occhi della protagonista è che si tratta di una notevole manica di stronzi - anche se, naturalmente, una brava eroina dell'età vittoriana non si esprime in termini sì crudi. E proprio con uno di questi imprenditori, lo spinoso e spigoloso Mr. Thornton, dopo un'iniziale e assai spiccata diffidenza, Margaret finirà per scoprire notevoli affinità, così come con uno dei più agguerriti operai, Higgins. No, non c'è alcun tipo di triangolo e il finale sarà esattamente quello... non diciamo prevedibile, ma auspicato dal lettore.

Quel che più sorprende l'inesperta ma sensata Margaret è che operai e imprenditori non cerchino di dialogare tra loro pur avendo in comune così tanti interessi, primo tra tutti la sopravvivenza in quel tempestoso mare che è il Mercato.
E proprio sulle leggi del Mercato, totem tuttora assai venerato da molti economisti che sembrano capirne di economia anche meno di una fanciulla vittoriana cresciuta a studi umanistici, dal libro arrivano frasi di sorprendente attualità per i lettori del terzo millennio.
"Gli Americani stanno conquistando il mercato generale dei filati" spiega Mr. Thornton "e l'unica possibilità che abbiamo è quella di produrre i nostri a un prezzo più basso. Se non ci riusciamo, tanto vale che chiudiamo bottega,  e che padroni e operai vadano tutti a mendicare. Ora questi idioti ritornano ai prezzi di tre anni fa... (...) E' un peccato scoprire che degli stolti - uomini ignoranti e capricciosi come questi - soltanto unendo le loro stupide, deboli testoline, stiano a dettar legge sulle fortune di coloro che possiedono tutta la saggezza che la conoscenza e l'esperienza possono dare, non senza pensieri e amare preoccupazioni. Il prossimo passo - davvero, siamo tutti proprio arrivati a questo, adesso - sarà che dovremo andare a chiedere - a chiedere umilmente, col cappello in mano - al segretario del Sindacato dei Filatori di essere così gentile da fornirci la manodopera al loro prezzo. Questo è quello che vogliono loro, che non hanno il buonsenso di vedere che, se qui in Inghilterra non otteniamo una giusta parte dei profitti che ci compensa per il nostro logoramento, potremmo cominciare a trasferirci in un altro paese."
Gli idioti, stolti, ignoranti e capricciosi sono gli operai sindacalisti, che hanno la curiosa e stravagante pretesa di continuare a mangiare tutti i giorni, americani o non americani, e che su questa pretesa si impuntano scioperando.
"Noi industriali di Milton abbiamo comunicato oggi la nostra decisione. Non sborseremo un penny di più. Diremo loro che potremmo ridurre i salari, ma non possiamo permetterci di aumentarli. Eccloci qui, dunque, ad aspettare la loro prossima mossa."
"E quale sarà?" chiese il signor Hale.
"Presumo uno sciopero immediato. Immagino che vedrete Milton senza fumo tra qualche giorno, signorina Hale."
"Ma per quale ragione non potete spiegare che avete buoni motivi di prevedere che il commercio andrà male?"
"Date spiegazioni ai vostri domestici sulle vostre spese, o su come gestite il vostro denaro? Noi, che possediamo il capitale, abbiamo diritto di scegliere cosa farne."

Lo sciopero - una sorta di catastrofe dai contorni ben diversi dei rituali scioperi contemporanei - viene sul momento arginato da Mr. Thornton ricorrendo a manodopera straniera, ovvero stracciatissimi immigrati irlandesi; che si rivelano però lavoratori più sottomessi ma assai più inesperti dei lavoratori di Milton, con conseguenze disastrose sulla produzione delle fabbriche, per tacere di una vera sommossa che l'arrivo dei poveretti scatena.
Sia sciopero che sommossa si rivelano sul momento un gioco da cui entrambe le parti in causa usciranno perdenti, e che non finiranno in un disastro completo solo perché Thornton accetta la supplica di Margaret di parlare con gli scioperanti. Margaret è infatti convinta, conoscendo entrambe le parti in causa (a livello personale, si noti bene) che imprenditori e lavoratori debbano prima di tutto parlare tra loro. Proposta decisamente strampalata, e che sono un uomo altrettanto strampalato come Mr. Thornton (e, dall'altra parte della barricata, come Higgins) può prendere in considerazione. I fatti finiranno per darle ragione, dopo un cammino abbastanza tortuoso.

Da questo romanzo è stata tratta qualche anno fa una miniserie televisiva dove il ruolo dello spinoso Mr. Thornton è affidato (con ottimi risultati, pare) a Richard Armitage. Sì, proprio Thorin Scudodiquercia.



Con questo post partecipo ai Venerdì del Libro di Homemademamma e auguro un felice fine settimana pieno di sentimento non disgiunto da un'adeguata presa di coscienza politica dei problemi sociali contemporanei.

*si sa che regalare libri è sempre un po' azzardato, ma stavolta mi presenterò col pacchetto assai fiduciosa di NON regalare un doppione