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domenica 8 marzo 2020

8 Marzo - Festa della Donna (in reclusione)

Quest'anno la Festa della Donna è un po' diversa dal solito, almeno qui in Italia: poche mimose perché fa freddo, niente cene tra amiche, niente commemorazioni, annullate a tutti i livelli: dal grazioso spettacolo della scuola organizzato con tanta cura da Sary e che ormai vantava una tradizione pluriennale al solenne evento che tutti gli anni la Presidenza della Repubblica non manca di allestire, tutto è andato rigorosamente in vacca. E perfino su Facebook scarseggiano sia gli auguri che i soliti immancabili post sarcasticheggianti che tanti esponenti del genere maschile si sentono sempre in dovere di ammanirci e che talvolta suscitano una certa irritazione in molte di noi:

(a me comunque hanno mandato via mail una esortazione a prendere farmaci che migliorino le mie erezioni, e anche la pubblicità di un rimedio contro l'infiammazione della prostata. Me ne hanno sempre mandate a pacchi, non so perché).
Finora non ho nemmeno visto post nei gruppi tolkieniani in cui ci veniva regolarmente spiegato che Tolkien era in realtà un esagitato femminista che in gioventù era stato più volte arrestato per aver partecipato ai cortei che chiedevano il voto per le donne.
Comunque abbiamo personaggi di Tolkien che svelano talvolta un inaspettato lato femminista. No, non sto parlando solo di Eowyn:
Ma a quanto pare di droghi femministi ne abbiamo più di uno, e del resto, si sa:

Ma insomma, a parte i draghi, questo è un 8 Marzo in tono decisamente minore, nonostante l'impegno del buon Google.
E allora non rimane che sedersi accanto al focolare e riflettere.
È un giorno in cui usa lamentarsi perché c'è ancora molto, troppo da fare per assicurare alle donne di tutto il mondo pari opportunità per accedere al mondo del lavoro e decidere liberamente di quando e come accoppiarsi e con chi.
È vero, c'è ancora molto da fare. Ma anche se oggi è un giorno consacrato alle (legittime) lamentele, vorrei per una volta ricordare che, oggettivamente, molto è stato fatto, e non solo nel mondo occidentale.
In Italia per esempio siamo seriamente sulla strada per raggiungere il punto della parità perfetta in politica, ovvero quello in cui una donna incapace avrà le stesse possibilità di un uomo di accedere alle cariche più alte. Per ora abbiamo solo ottenuto di avere un buon numero di donne incapaci in ministeri minori e un buon numero di deputate e senatrici all'altezza del più stupido dei loro colleghi maschi, ma credo che sotto questo aspetto il soffitto di cristallo sia assai prossimo a crollare in un gran fragore di schegge iridescenti.
Un po' meno bene va nella finanza, dove le imprenditrici sono assai abbondanti, ma raramente guidano gruppi di una certa consistenza. Tra l'altro non abbiamo ancora avuto nessuna donna, né capace né incapace né mediamente funzionale, nei ministeri dedicati all'economia. Ci sono però state alcun e sindacaliste arrivate ai livelli massimi, e anche presidenti donne della Confindustria - ma lì, anche se posso avere opinioni personali in merito, non sono comunque in grado di stabilire se erano arrivate fin lassù perché incapaci o nonostante fossero capacissime.
Anche alla Corte Costituzionale abbiamo ormai una rappresentanza, ma non credo faccia testo perché per arrivare fin lì devi comunque avere notevoli capacità, uomo o donna che tu sia.
Anche nella ricerca abbiamo ormai conseguito una parità quasi perfetta, almeno per quanto riguarda le giovani generazioni, perché le nostre giovani e brillanti ricercatrici sono maltrattate e vessate (fino a scappare all'estero a gambe levate, dove se la passano molto meglio) né più né meno dei loro colleghi maschi; ma devo dire che non mi sembra una cosa di cui rallegrarmi, né come donna né come cittadina.
Inoltre mi sembra che le nuove leve maschili abbiano assai cambiato l'atteggiamento verso i cosiddetti "lavori di casa", perché prendono in mano la ramazza senza protestare quando l'insegnante lamenta che la classe somigli troppo a uno stalletto da maiali e puliscono proprio bene. Tuttavia, dal mio piccolo osservatorio, mi sembra che siano i maschi quelli che sporcano di più - ma magari è solo una impressione o una serie casuale di circostanze, non so.
Rimane tuttora una drammatica carenza di idraulici ed elettricisti donne (e di idraulici in generale): la gran parte dei genitori di ragazze non eccezionalmente amanti dello studio a tavolino trova normalissimo parcheggiare la loro prole femminile a qualche vago istituto con "scienze umane" nel nome invece di mandarle a qualche professionale che ne faccia una elettricista o una idraulica o una addetta alla riparazione di elettrodomestici.
"Ma chi mai si fiderebbe di un elettricista donna?" è il lamento che segue sempre questa mia banale constatazione.
No so davvero chi se ne fiderebbe. Ma mettetemene qualcuna a disposizione e poi ci possiamo ragionare su.

martedì 1 gennaio 2019

È arrivato!


Accogliamo con ardore draghesco il nuovo anno del Maiale (o, secondo l'oroscopo giapponese, del Cinghiale) portatore di soldi, prosperità e soddisfazioni economiche. Siccome la salute, il Buonismo e la stabilità politica sono senz'altro valori importanti dovrebbe essercene per tutti.
Auguri!


domenica 31 dicembre 2017

Aspettando il 2018

E' la notte del passaggio.
Si raccoglie il vischio per i sacri riti, godendosi l'ultimo nevischio dell'anno che se ne va e la prima luna dell'anno che arriva, in compagnia di un giovane draghetto che ha voglia di giocare.

sabato 31 dicembre 2016

Aspettando il 2017



Felice notte del passaggio
mentre il drago di buon augurio 
 raccoglie la polvere e le lacrime
e illumina le tenebre 
aprendo la strada 
a quel che verrà.

venerdì 1 gennaio 2016

Auguri per un prezioso e scintillante 2016

Questo bel drago lo trovate qui

Il prezioso e imprevedibile 2016 è finalmente arrivato, e sarà un anno ricco e luminoso.
Auguri a tutti e possano le vostre barbe... cioè, volevo dire, i vostri capelli... sia le barbe che i capelli non smettere mai di crescere...
insomma, auguri!

domenica 10 maggio 2015

Inaspettata valenza didattica di san Giorgio (post con draghi)

Paolo Uccello - San Giorgio e il drago (1456)

La scorsa estate ho passato diverso tempo in un forum tolkieniano discutendo di un infinità di questioni con tante simpatiche persone che, come me, cercavano di ingannare l'attesa del terzo film dello Hobbit. Chiacchiera di qua e chiacchiera di là, parlando di draghi venne fuori anche san Giorgio e ne approfittai per chiedere se qualcuno sapeva la leggenda, dal momento che avevo sempre desiderato conoscerla ma non l'avevo mai trovata da nessuna parte.
Scoprii che la sapevano in diversi e un anima buona mi indirizzò a un link che mi permise di scoprire che la fonte non era, come avevo sempre creduto, un romanzo cavalleresco inglese del tardo medioevo bensì la Legenda Aurea di Iacopo da Varazze, poderoso testo sulle vite dei santi di cui avevo sentito parecchio parlare nei tempi lontani dei miei studi di medievistica.
Link chiama link e così trovai il testo in latino della leggenda, nonché la notizia che Einaudi aveva pubblicato una traduzione della Legenda (non so in quale versione, visto che ce ne sono parecchie) e che addirittura una copia di questa traduzione riposava tranquilla in una biblioteca piuttosto vicina a casa mia. Fu così che passai buona parte dell'estate immersa nella sua lettura, sforando ignobilmente i tempi del prestito e financo della proroga (si tratta di un malloppo che passa le mille pagine, di lettura non sempre scorrevolissima). Ma sto divagando.
Sul forum intanto si continuava a chiacchierare della storia di san Giorgio e qualcuno ebbe l'incauta idea di esprimere compassione per il povero drago, portato in città al laccio come un cagnolino dalla principessa di Trebisonda, per poi venire ucciso dopo che la popolazione si era convertita al cristianesimo. Dal canto mio spiegai al gentile pubblico che la leggenda aveva origini pagane e che era stata appiccicata solo in seguito alla vita del santo. Lo scrissi serenamente, anche senza aver studiato la questione, primo perché una storia con un drago, così a occhio, non ha mai grosse radici storiche, secondo perché l'eroe che uccide il mostro e salva la fanciulla è una storia vecchia come il mondo.
Fummo così assai rimproverati da un pedantissimo tolkieniano che ci spiegò che non dovevamo avere compassione dei draghi, perché essi erano cattivi, e anche che la storia era molto più recente di quella di san Giorgio, "quando ormai la cristianità aveva conosciuto i "veri draghi" identificando l'intuizione di San Giovanni nell'Apocalisse con diversi mostri delle mitologie baltiche. Inutile tentare di farci entrare a forza anche le tradizioni classiche sulle lotte con le serpi o addirittura quelle estremo-orientali. Non c’è nessun nesso, soltanto un immaginario politicamente corretto le potrebbe accomunare. L’invenzione del drago è un elemento di teologia integrativa tra Cristianità alto-medievale e Northerness in ambiente letterario."
Ora, premesso che sono buona e cara e dolce come pasticcino di marzapane, se proprio qualcuno vuol venire a far lezione sui draghi e i santi nel medioevo a me, che mi considero ancora, a torto o a ragione, un addetta ai lavori, come minimo deve farmi la cortesia di scrivere in un italiano comprensibile, specie se posta in un forum per comuni mortali e non sulla mailing list di un gruppo di dottorandi in filologia medievale - per tacere della storia de "l'immaginario politicamente corretto" che mi sembrava un vero delirio - senza contare che ognuno ha diritto di provare compassione per chi gli pare, e da qualche decennio la cultura occidentale ha prodotto gran copia di draghi buoni, amabili e saggi, da quelli del pianeta Pern al celebre Drago Alberto. 
Mossa perciò da somma irritazione e dal più puro spirito di contraddizione mi sottoposi alla non lieve fatica di leggere questo e altri paragrafi assai pedissequamente pedanti del pedantissimo intervento di costui, cercando di capire di che cazzo stesse mai parlando. 

Dopo attenta disamina conclusi che costui si era convinto che, nel mezzo della folle confusione e sovrapposizione di storie e mitologie che caratterizza il medioevo tutto,  esistesse uno specifico tipo di drago che poteva fregiarsi del titolo di vero e autentico drago (con relativo attestato che il drago avrebbe potuto appendere nella sua grotta, completo di sigillo del Consorzio per la Tutela del Vero Drago Medievale) apparentato con il drago dell'Apocalisse ma non con il drago di Cadmo. Perché? Semplice, perché lo diceva lui, che evidentemente si considerava un autorità in materia (e non lo era, come si vedeva lontano un miglio). Peccato che la parola che usiamo per indicare il drago sia appunto di origine greca e fosse la stessa sia per il drago di Cadmo che per il drago dell'Apocalisse.
Il testo di Iacopo da Varazze parla proprio di un draco - nella fattispecie un drago d'acqua: in una specie di lago salato vicino a una città viveva un drago, che voleva delle vergini da mangiare. Quando non le riceveva, usciva dal suo lago e appestava col suo fiato pestilenziale la città uccidendone così gli abitanti. Secondo qualche interpretazione il drago in questo caso sarebbe stato l'allegoria di una malattia infettiva - e sembrerebbe un idea sensata, salvo il fatto che non si è mai vista, per quel che ne so, una malattia infettiva che chiede un tributo in vergini (mentre si sono viste molte malattie infettive fare strage di vergini e anche di donne e uomini maritati, ma questa è un altra storia). 
A un certo punto gli abitanti della città, stufi di mandare le loro figlie a morte certa, gridarono al sovrano che si desse una mossa e mandasse in pasto al mostro la sua, di figlie, come già aveva mandato le loro, e il re fu costretto ad accettare a furor di popolo.
Ed ecco la povera principessa andare verso il lago, piangendo la sua triste sorte. Passa di lì per caso Giorgio di Cappadocia, futuro santo, e le chiede "Perché piangi, fanciulla?". La ragazza, infelice ma buona, gli risponde "Allontanati di qui, buon giovane, perché questo è un luogo pericoloso". Giorgio insiste per sapere cosa succede eccetera eccetera.
Una principessa votata a morte certa. Un mostro marino. Genitori in lacrime. Un eroe che passa di lì per caso...
Non importa cercare molto lontano: a pochi chilometri dalla tomba di Giorgio di Cappadocia c'è la cittadina di Jaffa, oggi nel distretto di Tel Aviv, dove Perseo salvò la povera Andromeda incatenata sulla rupe in attesa di essere divorata dal solito mostro marino inviato dal solito Poseidone (che, dietro richiesta di qualsiasi divinità, un mostro marino non l'ha mai negato a nessuno). I cristiani si erano limitati a ritoccare la storia mettendo un santo a salvare la fanciulla - un santo che non la sposerà, anche perché ha un destino di martire che l'aspetta e fargli sposare una principessa sembrava troppo frivolo. La leggenda rimbalzò in Europa ai tempi delle crociate; in seguito Giorgio diventò patrono d'Inghilterra e il suo drago si occidentalizzò, diventando un drago da terra, di quelli che abitano le caverne, mentre san Giorgio acquisì una perfetta armatura occidentale di stile quattro-cinquecentesco.
In conclusione scrissi un piccolo, garbato post in cui, nell'italiano più piano e semplice che riuscii a trovare, sotto sembiante di dolcezza davo di cialtrone e incompetente al tolkieniano integralista (che ebbe cura di non rispondermi) ma mi rallegrai anche moltissimo meco per avere imparato tante cose interessanti sulla leggenda di san Giorgio e il drago: niente di meglio di uno spirito polemico per allargare le proprie conoscenze.

Due giorni fa ho portato la Prima Effervescente ad un museo fiorentino dove faceva bella mostra di sé anche la copia di un celebre quadro su san Giorgio.
"Ma non è piccolo, il drago?" ha chiesto Rinaldo.
"A quei tempi li facevano così. Vi spiegherò tutto in classe" ho promesso leccandomi i baffi.
Il giorno dopo, dalla mia magica chiavetta USB sono scivolati fuori dieci draghi dieci più un paio di mostri marini con Perseo e Andromeda, quasi tutti dipinti da celebrissimi pittori, e con la mia migliore faccia di bronzo mi sono cimentata nella mia prima (e unica, immagino, data la mia totale incompetenza in materia) lezione di storia dell'arte.
Ogni scusa è buona, per tirare fuori un drago.
(E le vie dell'aggiornamento,per noi docenti, sono davvero infinite).

lunedì 5 gennaio 2015

I miei secondi dieci libri-cardine


Passati i miei primi dieci libri-cardine ero ormai al primo anno del liceo - e siccome il liceo in questione era un liceo classico, quella che veniva spacciata per "prima liceo" era in realtà il terzo anno delle superiori - dove, nel giro di tre mesi incontrai altri tre cardini delle mie numerose porte.

11) Corso di storia: il medioevo di Giorgio Cracco. Per l'appunto il mio manuale di storia, scelto chissà per quale strano caso dal prof. Ruf. Era un signor manuale, aggiornatissimo per l'epoca, pieno di fatti, di fonti e con un sacco di sfondo, oltre a un infinità disperante di re, di papi, di imperatori e pure di regine. Niente sintesi abborracciate, per Giorgio Cracco, niente salti a canguro, niente buchi nella trama. Quando arrivai all'università, del medioevo sapevo quanto bastava ad orizzontarmi senza difficoltà - ed era tutto merito di quel meraviglioso manuale.

12) I romanzi di Chretien de TroyesDevo il suggerimento al prof. BlasioAll'epoca questi romanzi erano merce rara - c'era solo una poderosa traduzione di Sansoni in un unico volume, e guarda caso una copia di quel volume era nella biblioteca del mio liceo.  Dopo averli divorati l'amor cortese non ebbe più segreti per me. All'epoca il mio preferito fu Yvain, o il cavaliere del leone, ma mi piacquero alla follia tutti e cinque.

13) La grotta di cristallo di Mary Stewart, racconto dell'infanzia di Merlino che si ferma alla notte del concepimento di Artù - una bella via di mezzo tra romanzo storico e leggendario, dove Artù è posto nel VI secolo. Diciamo che per me fu il primo romanzo "simile a Tolkien" su cui fossi riuscita a mettere le mani, anche se già all'epoca mi rendevo conto che non c'entrava niente con Tolkien né voleva minimamente entrarci.

14) Fonti francescane - un ampio tomo che comprende i pochi scritti di Francesco d'Assisi, Testamento e Regole incluse, e le prime e più famose biografie. Furono il testo su cui preparai il mio primo esame (Storia della Chiesa, su Francesco d'Assisi) - o meglio uno dei testi, perché ce ne fornirono anche altri. Per me rappresentano la scoperta di un personaggio affascinante come Francesco, ma furono anche un introduzione al mondo dell'agiografia e della revisione storica. Spulciandole amorosamente preparai la mia prima relazione (all'epoca non usava parlare di "tesine", almeno a Firenze) sulla  simplicitas francescana.

15) Pietro Abelardo Storia delle mie disgrazie - e naturalmente anche le lettere tra Abelardo e Eloisa. Leggendo non ebbi alcuna difficoltà a capire come mai Eloisa si fosse innamorata pazzamente di costui: il fascino di quell'uomo trapassava le pagine a distanza di nove secoli. Tuttavia, ritengo imperdonabile da parte sua e di Eloisa aver chiamato il loro figlio Astrolabio - povera creatura.
Ai due sventurati amanti devo un trenta e lode all'esame di filosofia medievale - e mai e poi mai avrei sognato di riuscire a prendere il massimo dei voti in una qualsivoglia interrogazione che recasse attaccata la parola filosofia.

16) Pierre de Brantome Le dame galanti il mio primo trattato sull'amore galante del Cinquecento. Purtroppo è rimasto anche l'unico, ma ha lasciato un bel segno. A questo libro devo tra l'altro una delle mie massime preferite "Ve ne sono alcuni che, pur di non stare senza sparlare di qualcuno, sparlerebbero di sé stessi" - senza alcun dubbio una grande verità.

17) Michael Baigent, Richard Leigh, Henry Lincoln Il santo graal libro di storia assai liberamente interpretata, ma che mi schiarì molto le idee non solo sulla questione, invero misteriosa, dell'improvvisa comparsa del Graal nella letteratura medievale, ma anche e soprattutto sui problemi di interpretazione delle fonti storiche.

18) Ivan Morris Il mondo del principe splendente. Il saggio descrive l'epoca hejan giapponese (XI-XII secolo) compresa la grande fioritura di scrittrici specializzate in diari e monogatari. Il monogatari più famoso l'ha scritto tale Murasaki Shikibu e si intitola Storia di Genji, il principe splendente. Non è quel che si dice un racconto breve. 

19) Anne McCaffrey La cerca del weyr, ovvero il primo racconto del ciclo dei dragonieri di Pern. E' stata la mia prima storia di draghi dove i draghi erano buoni e saggi e sviluppavano un profondo legame emotivo con il loro dragoniere... o la loro dragoniera. Perché l'altra particolarità di questo racconto è che la protagonista è una ragazza. Da lì ho preso coscienza di uno dei miei più grandi desideri: cavalcare un drago in combattimento. Nel caso specifico, una draghessa, o meglio una Regina. Secondo l'autrice non è fantasy, bensì fantascienza - c'è di mezzo un pianeta, anzi più di un pianeta, e dei tentativi di invasione... comunque io alla divisione in generi non ci ho mai creduto granché.

20) Rumiko Takahashi Ranma 1/2 avvincente storia di un ragazzo che, a seguito di un incidente in allenamento, si trasforma in ragazza se bagnato dall'acqua fredda e torna ragazzo se bagnato con acqua calda, raccontata a fumetti su svariate migliaia di tavole per complessivi 33 volumetti, è stata per almeno quattro anni la mia lettura preferita.

venerdì 28 febbraio 2014

Lo Hobbit - La desolazione di Smaug - Recensione del film (di una lunghezza devastante, e solo moderatamente favorevole)


A un anno di distanza dalla prima parte, da me ampiamente commentata a suo tempo, è uscita la seconda tranche dello Hobbit, dove si è disvelato in tutta la sua poderosa maestà messer Drago, insieme all'altrettanto poderoso tesoro di Erebor. Ed è stato quasi universalmente riconosciuto che sia il il Drago che il tesoro recitano benissimo e fanno un gran colpo d'occhio, né in questo il mio parere si discosta in alcun modo da quello della maggioranza. Per contro la terribile questione che ha attanagliato gran parte dei siti tolkieniani (ovvero se Smaug avrebbe avuto due o quattro zampe) mi ha lasciato piuttosto indifferente, forse perché ormai sono abituata a considerare i draghi soprattutto con occhio da medievista: nei bei tempi andati, infatti, la distinzione tra draghi a quattro zampe, a due zampe o addirittura senza zampe non era così sentita: sempre draghi erano, o serpenti, o addirittura... vermi. Andate a guardarvi i bestiari se non ci credete.

Il film ha grande abbondanza di momenti spettacolari e un ritmo assai serrato, tanto serrato anzi che da qualcuno è stato paragonato a un lungo videogioco - e sebbene la mia esperienza di videogiochi d'azione sia davvero modesta, sono portata a ritenere che in questa osservazione ci sia del vero: per due ore e quaranta minuti è tutto un gran rutilare di effetti speciali e di momenti-culmine che non lascia allo spettatore il tempo per respirare e finisce per ridurlo in un vago stato di anestesia da sovraesposizione dopo che gli sono sfuggiti un'immane quantità di addentellati, collegamenti e sfumature (sì, perché ci sono anche quelle. Solo che annegano in un confuso vorticare). Si finisce così per lamentarsi del "brodo allungato" quando il vero problema secondo me è che il brodo è così denso che ci sta in piedi il cucchiaio, e si esce dal cinema con l'impressione che i tre quarti del tempo siano dedicati a elfi in vena di acrobazie che sterminano un immane numero di orchetti singolarmente imbranati - mentre se prendi un cronometro o guardi le singole scene, ti accorgi che alla fine le acrobazie elfiche hanno una durata più che  contenuta.

Estrarre un film (o due, o tre) da Lo Hobbit non è facile. Non solo perché Lo Hobbit è un libro scritto da un autore che non si sentiva alcuna vocazione da sceneggiatore e che dei blockbuster se ne fregava alla grande, non solo perché, come tutti i libri di Tolkien, è stato composto tenendo dietro alla storia come doveva essere secondo i suoi meccanismi interni e non come le convenzioni pretendevano che fosse (tanto per fare un esempio, il drago non sarà ucciso dall'eroe), non solo perché Lo Hobbit ha un punto focale (la conversazione con Smaug) se leggi il libro da solo, e un altro (la presa dell'Anello) se lo leggi in rapporto al suo seguito, e l'autore stesso non lo sapeva ancora mentre lo scriveva; ma anche e soprattutto perché Lo Hobbit ha dei buchi grandiosi nella trama, su cui si passa sopra senza problemi quando lo si legge, ma che, a conti fatti, è difficilissimo riempire nel momento in cui cerchi di farne una storia coerente per un pubblico anche vagamente adulto.
In margine, va poi ricordato, ci sono difficoltà logistiche immani: nani e orchetti vanno montati al mattino per rismontarli la sera, gli attori spesso e volentieri recitano da soli anche le scene di gruppo, ogni dettaglio dei costumi e delle scene va calcolato tenendo conto dei criticissimi e sensibilissimi fan dei libri e dei film della trilogia precedente e dell'universo del fantasy che proprio dal mondo creato da Tolkien ha in buona parte origine, nonché della logica e del buon senso; inoltre ogni scena si porta dietro valanghe di effetti speciali e, ultimo ma non certo meno importante, i personaggi vanno filmati su due scale diverse perché il mondo di Tolkien è multirazziale ma il mondo degli umani no. In queste perigliosissime circostanze buon senso vorrebbe che, invece di lamentarsi di quello che non va, si apprezzasse il molto che invece è stato fatto bene.
Tutte queste considerazioni non mi impediranno però di lamentarmi moltissimo.

Quindi, premesso che il drago è venuto una meraviglia, che Benedict Cumberbatch è un drago fatto e finito che si aggira tra noi sotto mendace apparenza umana e grazie al film ha preso coscienza di ciò, con effetti che potrebbero rivelarsi devastanti per il nostro mondo



e che il tesoro di Erebor fa una gran comparita, che gli attori sono stati bravissimi a dispetto di una sceneggiatura a tratti sballata e che alcune delle... chiamiamole stravaganze della sceneggiatura le potremo capire e interpretare bene solo alla luce del terzo film, do qui inizio a una lunga serie di recriminazioni, molte delle quali per niente condivise dall'immane platea che questo film così maltrattato dalla critica e dagli spettatori ha comunque raccattato.


E andiamo a incominciare con l'Archengemma

dove sono praticamente l'unica che ha trovato da ridire.
Nel romanzo Thorin e la sua compagnia volevano riconquistare il tesoro rubandolo al drago. Bilbo serviva (a detta di Gandalf) perché era silenzioso e Smaug non avrebbe riconosciuto il suo odore non avendo alcuna dimestichezza con gli hobbit. Quanto ai  nani, se lo portano dietro solo e soltanto perché Gandalf ha messo in chiaro che se non prendevano Bilbo, allora non sarebbe venuto nemmeno lui. 
Nessuno ha idea di come affrontare il drago. I nani, in effetti, sembrano portati dalla piena e non combinano niente per tutta la storia, salvo lamentarsi ogni tanto per i vari disagi cui il viaggio li sottopone.
Messa così, sembra la storia di dodici creature sconsigliate e destinate a finire arrosto in men che non si dica, a meno che non vengano sistemati molto prima da troll, goblin, ragni e quant'altro (il che succederebbe senz'altro, senza Gandalf, Bilbo e l'Anello). 
Più avanti Bilbo, resosi conto che rubare il tesoro a un cucchiaino per volta non era proprio cosa, dopo avere rimproverato i nani che, conoscendo l'entità del tesoro, avrebbero dovuto assumere un intero plotone di scassinatori, e non uno solo e pure piccolo di statura ed esiguo di forze, prova ad affrontare la questione in modo diverso: va dal drago, gli fa un po' il filo e riesce a individuare il suo punto debole - perché ogni drago ne ha uno.
L'Archengemma, detta anche il cuore della montagnaentra in scena soltanto dopo, ed è solo una gemma di eccezionale bellezza che vale "quanto un fiume d'oro" e che più avanti avrà una parte piuttosto importante nella vicenda, ma non perché dal suo possesso dipenda qualcosa in particolare.
Nelle Appendici del Signore degli Anelli Tolkien spiega poi che Gandalf e Thorin avevano in mente sin dall'inizio di eliminare il drago e ripristinare il regno di Erebor. 

In un primo tempo gli sceneggiatori volevano seguire la trama originale, ma in un qualche momento della lavorazione del secondo film hanno deciso di cambiare le cose; per migliorare la trama, si presume - perché uno sceneggiatore che decida di intervenire al nobile scopo di peggiorare la trama è abbastanza inconsueto. Comunque i segni della cucitura affrettata si vedono benissimo, e il risultato finale a me è sembrato un delirio.
In sintesi: Thorin vuole riconquistare il perduto regno di Erebor, ma per riconquistare Erebor gli servono i Sette Eserciti dei Nani - di cui apprendiamo l'esistenza per l'occasione, all'inizio del secondo film, e di cui non c'è traccia nei romanzi.
Con i Sette Eserciti Thorin potrà marciare su Erebor... e sconfiggere il drago. 
Già qui si potrebbe trovare qualcosa di strano: sconfiggere un drago non è questione di eserciti, di solito i draghi muoiono sconfitti da un singolo guerriero che sa come fare. Certo, sette grossi eserciti potrebbero forse finire col soffocarlo, a prezzo di moltissime vite di eroici nani. In effetti a me non sembra un'idea molto brillante. 
E non lo sembra nemmeno ai Sette Eserciti dei Nani, che si rifiutano di entrare in scena  a meno di non esserne costretti dall'Archengemma, quella su cui hanno giurato di aiutare il re di Erebor qualora se ne fosse presentata la necessità - o che conferisce al suo proprietario il diritto di comandare i Sette Eserciti, non ho capito bene.
Dunque il punto sarebbe trovare l'Archengemma, per potere poi attaccare il drago con i Sette Eserciti.
Peccato che il recupero dell'Archengemma sia notevolmente complicato dal fatto che un drago ci dorma sopra. A questa sensata obiezione di Thorin, Gandalf risponde suggerendo l'impiego di "uno scassinatore", ovvero Bilbo.
E infatti, alla fine del secondo film e non prima, scopriamo che Bilbo in effetti è stato ingaggiato non tanto per affrontare il drago o rubare il tesoro di Erebor, ma per trovare l'Archengemma. Con Smaug che ci dorme sopra, o comunque molto vicino.

Nel primo film, durante la lunga cena a casa Baggins, mentre i nani saccheggiavano la dispensa di Bilbo, si era parlato a lungo del tesoro e del drago (che lo avrebbe trasformato in bracioletta in tempi brevissimi) delle spese del funerale (eventuale) di Bilbo, che sarebbero state a carico dei nani, della ricompensa che sarebbe stata di un quattordicesimo dell'oro e dell'argento non lavorati del tesoro (ma come corrispondere quella ricompensa se non c'era nessuna intenzione di riconquistare il tesoro? Pagando Bilbo a fine guerra, magari anni dopo?) ma l'Archengemma non è citata nemmeno di striscio, e nemmeno compare sul contratto - e sappiamo che quel contratto Bilbo lo ha letto con attenzione:


Ma poi, santissimo cielo, possibile che a nessuno durante il viaggio venga in mente di dedicare cinque minuti a quell'accidenti di pietra? Almeno prima di mandare Bilbo dentro la montagna? Solo due parole con Balin, di fretta "Devi trovare l'Archengemma, adesso non sto a descrivertela, tanto quando la vedi la riconosci"?

Il vero problema ai miei occhi non è nemmeno la coerenza tra i tre film, è proprio nell'idea di base: non stiamo parlando dei draghi in generale, che spesso nella fantasy più moderna sono buoni, altruisti, amanti degli umani e dotati di nobili sentimenti: stiamo parlando di Smaug, il drago che Tolkien ha creato richiamandosi ai draghi della mitologia nordica, quelli che i buoni sentimenti non sanno nemmeno dove stiano di casa. Smaug è un drago della vecchia scuola, feroce e possessivo, consacrato alla sorveglianza del suo immane tesoro, di cui conosce al grammo l'entità di ogni singolo pezzo e che, si suppone, cova l'Archengemma come una draghessa coverebbe le sue uova.
Trovare l'Archengemma in quell'immane mucchio d'oro e gioielli richiederebbe un lunghissimo lavoro di setacciatura - settimane come minimo, più probabilmente mesi, e l'unico modo per rintracciare quell'accidenti di pietra è controllare il tesoro settore per settore, magari con Smaug che si rigira nel sonno e scombina tutto il lavoro già fatto. Anche se Bilbo ha un anello magico, anche se è silenzioso, anche se sapesse volare, nel setacciare il tesoro farebbe comunque un fracasso più che bastevole a risvegliare perfino un drago imbottito di Valium. L'impresa di rubare il tesoro cucchiano su cucchiaino al confronto sembra facile e rapida.
(Cazzata per cazzata, mi viene da dire, tanto valeva tenere quella di Tolkien: ti risparmiavi un po' di fatica e ti giustificavi con la filologia).

E sempre a proposito del drago...

Si sono fatte molte battute sullo Sherlock-drago, perché Cumberbatch già da anni è  Sherlock Holmes in una apprezzatissima serie televisiva dove Martin Freeman interpreta  Watson



ma all'interno del film, e soprattutto nella Compagnia, del drago si è parlato pochissimo, in questo restando del tutto fedeli al libro - dove infatti Bilbo ad un certo punto considera che non avere preparato un piano per affrontare il drago era un grosso punto debole nel progetto.
Nel romanzo ci viene spiegato che un drago è gelosissimo del suo tesoro e si accorge sempre se manca qualcosa, fosse pure una monetina, e figurarsi l'Archengemma. E Bilbo, che queste cose le sa (forse anche lui ha letto Beowulf), affronta il drago con apparente ingenuità ma con abili lusinghe riesce a blandirlo quanto basta per individuare il suo punto debole. 
Nel film invece si tratta di distrarre il drago per continuare a cercare l'Archengemma, e Smaug, che l'ha capito benissimo, gioca con Bilbo come un gatto col topo. Alla fine Bilbo non riesce a prendere l'Archengemma (sembrerebbe) ma pur essendosi fatto perculare dal drago per un buon quarto d'ora si è accorto che Smaug ha perduto una squama nella corazza.
E' la stessa cosa? Mah, non proprio. Il drago che, colpito nella sua vanità, si rotola sulla schiena come un gatto in vena di coccole e lascia vedere l'unico punto dove non è coperto dal suo panciotto di diamanti purissimi era una scena che pregustavo da due anni, e non l'ho avuta. Ciò mi ha molto irritato. Al suo posto mi hanno rifilato una sottotrama senza capo né coda , per giunta costruita con l'approvazione di Gandalf. BAH.

Poi c'è l'Anello

Il secondo punto debole della sceneggiatura riguarda l'Anello, o meglio l'effetto dell'Anello su Bilbo. Nella prima ventina di minuti del film sembra un problema serio: Bilbo ne è affascinato e spaventato insieme, quando lo tocca sente Sauron che sussurra in pura lingua di Mordor i due versi che l'Anello porta incisi all'interno:


Ash nazg durbatulûk, ash nazg gimbatul
Ash nazg thrakatulûk agh burzum-ishi krimpatul

ovvero il celebre


Un anello per trovarli, un anello per domarli 
un anello per ghermirli e nel buio incatenarli

A Bosco Atro, addirittura, nel momento in cui teme di aver perso l'Anello dà in escandescenze e si precipita con inusitata crudeltà su un ragno che sembra impedirgli di riprendersi l'Anello che gli è caduto di mano (quest'ultima scena non l'ho trovata rilevante però, perché il ragnaccio - che non so come mai qualcuno ha definito "piccolo" - se lo voleva mangiare, e comunque io, anche davanti a ragni di dimensioni ben più contenute, ho reazioni assai simili pur non possedendo nessunissimo Anello del Potere). E meno male che non è stato quasi toccato dall'Anello nei sessant'anni in cui lo possiede perché il suo primo atto, dopo averlo trovato, era stato un atto di misericordia. Figurarsi se invece di risparmiare Gollum per "non colpire senza necessità" lo avesse ammazzato!

Comunque dopo questo violento ragnicidio Bilbo sembra rinsavire e prendere coscienza che in quell'aggeggio c'è qualcosa che non va. E lì l'influenza dell'Anello cessa, perché in seguito Bilbo lo userà nel più razionale e sensato dei modi, non sentendo più alcuna voce sussurrare parole arcane nella Lingua Oscura né venendo più assalito dalla brama di uccidere, anche se non è ben chiaro perché se lo tolga mentre parla con Smaug (qualcuno ha suggerito "perché ha visto il riflesso di Sauron nell'occhio del drago e la cosa l'ha disturbato". Che ci può stare - ma insomma anche affrontare un drago restando perfettamente visibile può presentare degli elementi di disturbo, secondo me. Secondo altri invece non se l'è affatto tolto, è l'Anello che ha cercato di andarsene).
Per questa dipendenza a corrente alternata sono state azzardate spiegazioni piuttosto complesse: per esempio che, una volta allontanatosi da Dol Guldur, fortezza di Bosco Atro in cui Sauron si è insediato, l'Anello perda in parte il potere di influire sul suo Portatore e addirittura, dopo la sconfitta di Sauron, rientri in uno stato di latenza da cui si risveglierà molti anni dopo. Ma spiegano, e solo in parte, come mai Bilbo riesca a usare l'Anello senza impazzire, non come mai lo passi a Frodo pur sapendo che è pericoloso - che è una cosa del tutto fuori dalle corde del personaggio, sia il Bilbo del libro che quello del film, come lo stesso Gandalf dichiara a Frodo nel romanzo: "Bilbo non ti avrebbe certo dato niente che a suo avviso potesse costituire un pericolo"
E dunque le belle scene mirabilmente interpretate da Freeman sugli effetti dell'Anello mi sono sembrate pezzi di bravura puramente fini a sé stessi, senza un vero legame con la storia.

Secondo problema legato all'Anello: nel romanzo Bilbo racconta ai nani dell'Anello già a Bosco Atro - e sapere che il loro Scassinatore dispone di un oggetto tanto pratico e utile li predispone a guardarlo con assai maggior rispetto; invece nel film solo Bilbo e gli spettatori sono informati dell' Anello, i nani no. E allora come fa Thorin a immaginarsi che Bilbo possa aiutarli nel palazzo degli elfi silvani? D'accordo che a questo punto è stato stabilito che lo hobbit è capace anche di fare i miracoli, ma...
(corre voce che a questo riguardo ci saranno delle scene in più nell'edizione estesa. Sempre, quando qualcuno lamenta questo o quel buco nella storia, arriva qualcun'altro a rassicurarlo che nell'edizione estesa si chiarirà tutto. Che, quand'anche fosse, non mi sembra bello perché chi ha pagato il biglietto avrebbe comunque diritto a una storia che stia in piedi autonomamente, senza necessità di un'edizione estesa che non è obbligato a comprare e che comunque uscirà a metà Novembre).

E già che ci siamo parliamo anche di Thorin...

...e della sua malattia di famiglia, ovvero una sorta di dipendenza dal tesoro di Erebor che ha fatto perdere la ragione e il sentimento a suo padre e a suo nonno.
Nel romanzo questa dipendenza agisce dopo che Thorin ha visto e toccato il tesoro, ma nel film sembra scattare prima ancora che attraversi il lago, quando tra lui e la montagna di Erebor c'è ancora più di un giorno di cammino, e Thorin lo dimostrerebbe lasciando indietro Kili in modo piuttosto trascurato. Balin poi cita la malattia di famiglia quando sentono che il drago si è risvegliato e Thorin rifiuta di entrare nella montagna: secondo Balin la reazione di Thorin in base alla sua vera personalità sarebbe stata quella di entrare nella montagna per aiutare Bilbo, invece di restare ad aspettare. Thorin risponde fieramente che non intende mettere a repentaglio l'impresa solo per salvare la vita di uno scassinatore (replica invero piuttosto balorda: se Bilbo muore come pensa Thorin di condurre a termine la sua impresa? Ma del resto anche l'idea di Balin è balorda, perché aiutare Bilbo parrebbe del tutto impossibile), mentre quando Bilbo è stato catturato dai troll nel primo film Thorin non è stato a discutere sull'importanza della missione ed è corso in suo aiuto - poi le cose sono andate come sono andate, ma ad ogni modo Thorin si è fatto carico dello Scassinatore anche se sul momento lo considerava una pietra al collo e nulla più e anche se aveva detto a Gandalf che non si considerava responsabile della sorte dell'hobbit.

Alla fine comunque i nani entrano nella montagna e Thorin corre verso la sala del tesoro a cercare Bilbo. Lo trova, constata con sollievo che è vivo ("non per molto" precisa Bilbo che cerca di scappare)... e gli chiede se ha preso l'Archengemma. Bilbo non gli risponde: in effetti sembra molto più concentrato sul fatto che sta arrivando il drago che sull'Archengemma. Thorin ne conclude che ha preso l'Archengemma e non vuol dargliela, e lo minaccia con la spada.
La scena è bella, molto ben fatta e mirabilmente recitata, rende consapevoli sia lo spettatore che Bilbo del triste fatto che Thorin ha perso il lume della ragione - ma, devo ammettere, a me dispiace molto che sia avvenuta prima che Thorin abbia visto anche una sola monetina del tesoro.
Smaug entra in scena giusto in tempo per salvare Bilbo dal suo caro amico; Thorin rinsavisce di punto in bianco e da quel momento si preoccupa solo di procurare una morte onorevole al drago o a tutti loro, proteggendo Bilbo nei limiti del possibile; dell' Archengemma non si parlerà più, nemmeno nei pochi istanti in cui c'era modo di farlo con un minimo di agio, ovvero nella guardiola.
Sappiamo fin dall'inizio che Thorin ha un carattere un po' lunatico, ma qui mi sembra che si sia esagerato - francamente a me questa gente che è posseduta dai demoni interiori una scena sì ma in quella dopo nemmeno di striscio suona un po' improbabile. Capisco di essere pignola all'estremo, ma ammetto che avrei preferito una certa gradualità di sfumature, tanto più che gli attori in causa hanno già dimostrato di non mancare di capacità nel gestire sia la gradualità che le sfumature.
(Commento a parte: da questa scena la quasi totalità degli spettatori ha dedotto che Bilbo abbia effettivamente preso l'Archengemma e non lo voglia dire a Thorin. Dalla mia isolatissima posizione sostengo che Bilbo l'Archengemma non ce l'ha, al momento, e che il comportamento di Thorin non ha risvegliato i suoi sensi di colpa ma solo una gran paura, nonché il legittimo sospetto che il suo amico sia improvvisamente impazzito).

Torniamo a Bilbo (per quel po' che troviamo Bilbo in questo film)

Il romanzo si intitola Lo Hobbit e racconta la vicenda dal punto di vista di Bilbo: le sue preoccupazioni, i problemi che incontra, le soluzioni che trova (spesso non al primo colpo) le varie difficoltà che affronta eccetera. Il primo film è effettivamente incentrato su Bilbo - anzi rispetto al romanzo lo fanno anche svegliare un po' prima. Nel secondo, che copre la parte centrale, quella dove la storia va avanti solo ed esclusivamente perché la muove lo hobbit, ecco che Bilbo diventa un personaggio secondario, che agisce quasi esclusivamente nel ruolo di deus ex machina. I nani hanno un problema? E Bilbo lo risolve. Perché, appunto, egli è capace di fare anche i miracoli. Non si sa come ma li fa.
Ci sono dei ragnacci? Bilbo li sconfigge. I nani sono prigionieri nelle segrete della residenza di re Thranduil? E Bilbo li libera. La porta sulla montagna è chiusa? E Bilbo trova il modo di aprirla. C'è da trovare l'Archengemma? E Bilbo va. Per il resto se ne sta buono buono nel suo cantuccio, fa quel che gli dicono di fare (come riesca a farlo non è sempre molto chiaro, ma comunque lo fa) e solo occasionalmente sappiamo cosa gli passa per la testa - di solito attraverso la mimica, perché parla veramente poco. Più che il protagonista sembra uno di quegli utilissimi frullatori che tiri fuori quando servono e poi rimetti nel cassetto. Utile, per carità, utilissimo. Ma quanto a protagonista...
Martin Freeman può essere bravo quanto gli pare e interpretare il migliore dei Bilbo possibili, ma se non gli danno un po' di sceneggiatura più di tanto non può fare. 

Per giunta, continuano a farne un hobbit anoressico. Qualcuno ha visto Bilbo mangiare un boccone che sia uno nel corso dei due film? Nemmeno il pane con burro e miele a casa di Beorn. E, a proposito di Beorn...

C'è una storia? Sì, ecco, ci sarebbe... o meglio, ci sarebbe stata, ma...

Molto si è detto sulle sottotrame che hanno infarcito il secondo film. 
Ora, io non ho nulla contro le sottotrame, però in questo film le sottotrame si son mangiate buona parte della trama originaria. Non è questione di allungare il brodo, quanto di cambiargli gli ingredienti.
Non è che il materiale mancasse. Proprio no. Semplicemente, hanno preferito usarne solo lo stretto indispensabile. Così come, secondo alcuni mistici, la religione può essere un grande intralcio nella ricerca di Dio, la trama dell'Hobbit finisce per essere considerata un ostacolo per una buona trasposizione filmica dello Hobbit, e ci si ingegna di usarla il meno possibile.
La storia di Tolkien è stata tagliata senza pietà: pochi minuti a casa di Beorn, il mutapelle un po' orso -  casa realizzata con estrema cura nei dettagli, travi intagliate e tutto quanto, ma noi la vediamo per tre minuti scarsi mentre la compagnia inghiotte rapidamente una rustica colazione a base di latte di capra e miele ancora dentro ai favi. Tagliati completamente i fiori del giardino e gli animali, salvo le api. Uno sfolgorante 3D ci permette di vedere api grosse dieci centimetri che ci balzano incontro. Sul serio, valeva la pena di pagare due euro in più di biglietto e infilarsi i mitici occhialini solo per vedere grosse api che ci balzano incontro? 
Mi han tolto anche un'altra delle scene che aspettavo da due anni, ovvero Beorn che chiama Bilbo "coniglietto" e lo palpa per sentire se si è rimesso in carne grazie ad abbondanti dosi di pane, burro e miele. Del resto, nel film non ci sono né burro né pane in tavola - e a quel che sembra Beorn non ha in casa nemmeno un pettine: scarmigliata la Compagnia arriva e altrettanto se non più scarmigliata riparte alla volta di Bosco Atro.

Nel libro, la parte dedicata al viaggio dentro Bosco Atro era lunga e dettagliata: scoiattoli neri, fiumi neri, tenebra che s'addensa, cerve incantate, Bombur che cade nel fiume e rimane addormentato per giorni... Ecco, la traversata dura per settimane. Nel film la risolvono in pochi minuti, giusto il tempo di perdersi ad una velocità che nemmeno io quando giro sovrappensiero. Abbiamo passato più tempo a Bosco Atro con Radagast nel primo film che con i nani nel secondo. E son d'accordo che la scaletta degli avvenimenti, soprattutto per la cattura da parte degli elfi, andava un po' rimaneggiata, ma più che rimaneggiata a me sembra che sia stata ignorata.

Dunque, qualche minuto di Bosco Atro, un po' di ragni (tutto sommato in quantità adeguata), rapida cattura da parte degli elfi. Conversazione tra Thorin e Thranduil, venuta proprio bene. Dispiace aver perso l'affamatissimo dialogo "Cosa facevate nella foresta?" "Stavamo morendo di fame" "Perché avete disturbato la festa del mio popolo?" "Non volevamo disturbare, solo chiedere la carità perché stavamo morendo di fame" eccetera; però lo scontro con Thranduil funziona bene, ed è carino vedere Thorin che manda a Fanculo il re degli Elfi in nanese. Breve sipario tra Tauriel e Fili, ed ecco Bilbo arrivare con le chiavi per liberare i nani. Fuga nei barili, e via verso la Città del Lago.
In compenso per entrare nella città con Bard ci vorrà un tempo interminabile.

Nel frattempo Gandalf ha abbandonato il gruppo

Nel libro Gandalf va e viene, in modo strettamente funzionale alla trama: sparisce una prima volta per permettere a nani e hobbit di farsi catturare dai troll (e torna in tempo per salvarli) poi saluta tutti alle soglie di Bosco Atro per lasciare spazio a Bilbo e ricompare solo verso la fine. Alla fine della storia spiegherà che era occupato con il Negromante, ma senza dare molti dettagli. Lo stesso Tolkien, in una qualche lettera, ammetteva di non aver sistemato granché bene le cose e rimedia nelle Appendici, raccontando dell'assalto alla fortezza di Dol Guldur.
Nel film hanno provato a raccontare la vicenda più dettagliatamente e molti hanno apprezzato. Ai miei criticissimi occhi è parso in verità che si siano divertiti a complicare il pane: invece di raccontarci della decisione e dei preparativi per distruggere la fortezza di Dol Guldur, hanno mandato Gandalf a farsi (letteralmente) mettere in gabbia nella fortezza dopo aver affrontato (con esito negativo) Sauron in una scena assai spettacolare ma un po' fine a sé stessa: i non-tolkieniani non capiscono molto bene come mai Sauron non approfitta della situazione per farlo fuori, e in verità anche parecchi tolkieniani sono rimasti perplessi. Non io: l'intera vicenda mi è sembrata abbastanza insulsa e non riesco a interessarmene più di tanto. Mi curioserebbe però sapere 1) perché abbiamo la tomba di uno Spettro dell'Anello (se non sono morti, che se ne fanno delle tombe?); 2) cosa ci fanno in giro gli Spettri dell'Anello, che secondo il Signore degli Anelli non si vedono più dalla notte dei tempi (salvo, naturalmente, ricomparire subito nel capitolo seguente) e, soprattutto 3) perché  mai Gandalf sostiene che non si conosce il nome del destinatario della tomba, ovvero lo Spettro: senza dubbio non lo conosciamo noi, ma per i dotti della Terra di Mezzo (e Gandalf era senz'altro fra questi, ma immagino lo fosse anche Radagast, considerata la sua provenienza) non erano certo nomi sconosciuti, perché proprio attraverso i Nove Anelli questi signori acquistarono grande fama e gloria, oltre a una vita più che lunga (qui  un esame della questione); davvero non c'è motivo di considerarli alla stregua di oscuri venditori ambulanti di bottoni.

In compenso arriva Bolg

Com'è noto dalle Appendici, Bolg è il figlio di Azog e sappiamo che nel terzo film dovrebbe compiere almeno un'azione di un qualche rilievo. Intanto, nel secondo film, Azog, chiamato a più alti compiti dall'Oscuro Signore, gli passa l'incarico di dare la caccia ai nani. Perché i nani vanno cacciati continua a non essere detto, e sinceramente non potrebbe fregarmene di meno, con tutto il rispetto per gli attori che interpretano gli orchetti e per i truccatori che li hanno bardati, e che con loro si devono dare veramente un gran da fare: le conversazioni e l'intera sottotrama degli orchetti continuano a sembrarmi quanto di più insulso potessero produrre i tre sceneggiatori. Comunque ci sono e hanno anche un certo seguito, tra gli spettatori; e buon per loro.

Ma torniamo ai nani, perché nel frattempo è arrivato Bard

Bard è piaciuto moltissimo quasi a tutti. Non a me.
Anche lui, come Bilbo, è uomo dai molti espedienti, solo che i suoi espedienti si trasformano regolarmente in gran pasticci. Sarà pure "il protettore della città", ma la città non sembra destinata a un grande avvenire in quelle mani. E, personalmente, avrei preferito meno pesce e più scoiattoli neri.

Nel romanzo i nani si presentavano a Esgaroth per quel che erano, venivano festeggiati alla grande e coperti di attenzioni, il Governatore si adattava per non contraddire la popolazione e, quando i nani effettivamente arrivano per salutarlo "Grazie di tutto, siete stati molto gentili, adesso che ci siamo riposati e rimessi in forze andiamo a fare il nostro lavoro a Erebor" resta assai sorpreso: si era convinto che sarebbero rimasti vita natural durante a mangiare e bere a spese di Esgaroth e dei suoi creduli abitanti. Comunque li lascia partire ed è sicuro che la faccenda a quel punto si sia conclusa perché il drago avrebbe sistemato in fretta la questione. Lì il Governatore è un... come dire, un Vero Politico, bravo a blandire folle e mantenersene il favore.
Nel film invece sembra più un politico italiano, superficiale e cialtrone: la città è piuttosto povera, lui tira a campare dando ragione all'ultimo che ha parlato e fa le cose senza pensare alle conseguenze. E' un'interpretazione diversa, d'accordo, e quella di Tolkien era più realistica e profonda, secondo me.  Ma pazienza.
Il siparietto sulle elezioni l'ho trovato assai discutibile, perché proprio con "elezioni" (o, più probabilmente, per acclamazione) il governatore avrà ottenuto la carica, a suo tempo: le elezioni non dovrebbero risultare una novità importata da Bard, perché le piccole città isolate (o città-stato, se così preferiamo chiamarle) han sempre avuto la democrazia diretta, con le cariche principali scelte per alzata di mano o di spada dai cittadini maschi adulti - e immagino fosse così anche in Nuova Zelanda, quando c'erano solo i Maori.

Bard è contrarissimo alla missione di Thorin, unico tra tutti, perché teme che i nani risveglieranno il drago. E siamo d'accordo che, come recita il motto di Hogwarts "Draco dormiens nunquam titillandus est", che tradotto in italiano suona all'incirca come "Non tirare la coda al dra' che dorme"



ma francamente non si capisce come faccia Bard a sperare che se Thorin Scudodiquercia rinuncerà a reclamare quel che è suo allora il drago se ne starà tranquillo nel suo angoletto senza dar noia a nessuno per l'eternità. I nani saranno pure scemi ad andare dal drago senza un piano preciso per sconfiggerlo, ma gli abitanti di Esgaroth, che il drago ce l'hanno a due passi da casa, e non si sono nemmeno preoccupati di forgiare qualche freccia d'acciaio in più, caso mai si fosse risvegliato, anzi tengono l'unica rimasta come una rarità da mostrare ad eventuali turisti, mi ricordano tanto quelle popolazioni che vivono alle falde dei vulcani sperando che quei vulcani continuino a dormire per tutti i secoli a venire, nonostante gli scienziati li avvisino in continuazione che dei vulcani è sempre meglio diffidare. E quando infine il drago arriva per davvero, il Protettore della Città non trova di meglio da fare che farsi catturare dalle guardie. E di nuovo mi viene da pensare "Povera Esgaroth, in che mani". 
(Nel romanzo il drago si fa la vita sua, di solito dorme ma ogni tanto esce a caccia per i fatti suoi, senza disturbare Esgaroth. Nel film sta fermo a dormire da sessant'anni; nel frattempo però si è tenuto aggiornato, a quel che sembra, perché sa tutto sulla spedizione, chi la guida eccetera, ed è perfino informato sulla pazzia latente nella famiglia di Thorin. Ma immagino che questo ce lo spiegheranno nel terzo film).

Ma per fortuna c'è anche Legolas (per fortuna? Mah.)


Io sono tra quelli che hanno letto Lo Hobbit dopo il Signore degli Anelli e a suo tempo  rimasi malissimo quando, nel regno degli elfi di Bosco Atro, Legolas non comparve per  far ragionare l'assai irritabile re degli Elfi - che è poi suo padre. Come tanti, ho sperato sin dall'inizio che almeno nel film Legolas ci fosse, perché anch'io ho adorato quell'elfo così carino che tirava le frecce viaggiando sullo skateboard. Ma ahimé, anche se in questo film di frecce ne tira invero in quantità industriale, oltre ad esibirsi nelle più varie acrobazie, Legolas non si presenta affatto come ce lo aspettavamo: la mascella protesa e lo sguardo maniacale,impegnatissimo a stabilire il record olimpico di orchetti infilzati al minuto, il figlio di re Thranduil è personaggio di un'antipatia mortale che parla solo a frasi fatte. Nel giro di pochi minuti arresta i tredici nani solo perché esistono, dà  di ladro e mentitore a Thorin perché si è attentato a sostenere che la sua spada era sua, calpesta deliberatamente i più delicati affetti familiari di Gloin e spiega a Tauriel che Kili è brutto quanto gli altri nani per pura gelosia - mossa, quest'ultima, chiaramente inutile, perché non importa essere un elfo di lungo corso per sapere che, se una ragazza ha deciso che qualcuno è carino, non cambierà certo idea perché il primo maleducato di passaggio le dice il contrario. 
Per molti di noi spettatori (ma soprattutto spettatrici!) è stato un vero trauma incontrare Legolas in versione razzista, xenofoba, possessiva, aggressiva e rompiballe - anche se,  dopo aver conosciuto il suo fighissimo e regalissimo padre, non resta che ammettere che al suo confronto il figlio è fin troppo innovativo, aperto e disponibile verso il mondo esterno. Ma immagino che si tratti di un personaggio "con un suo percorso", che proprio grazie all'incontro con la Compagnia di Thorin Scudodiquercia prenderà atto che la politica isolazionista di suo padre non può portare a niente di buono e che, così come nessun uomo è un'isola, parimenti non lo è nemmeno nessun regno di Elfi Silvani. Quindi pazienza e sopportiamo, confidando che nel terzo film Legolas diventi infine l'adorabile elfo che in tanti abbiamo amato nella vecchia Trilogia.

E in effetti qualche vago sospetto che suo padre possa non essere il massimo della saviezza nel gestire le situazioni sembra insinuarsi nel suo cuoricino già quando il padre in questione uccide un orchetto dopo avergli promesso salva la vita, adducendo motivazioni improbabili; così Legolas seguirà Tauriel a Esgaroth, dove  si toglierà la soddisfazione di vedere che le cose tra la ragazza e il nano sono piuttosto ben avviate, e ucciderà uno spropositato numero di orchetti in una scena tra le più noiose e caricate. Nelle ultimissime sequenze lo vediamo lasciare la città al galoppo (su un cavallo che non è il suo, perché mi sembra che lui e Tauriel siano arrivati a piedi). Forse corre verso casa, ad avvisare Thranduil che la città dei suoi fornitori di vino preferiti sta per essere attaccata da un drago estremamente di malumore?

...e c'è anche Tauriel!

Come ormai sanno anche i sassi, nel romanzo Tauriel non c'è. Si tratta di un'elfa carina e simpatica, piuttosto elegante nel suo completo verde, dai lunghi capelli rossi acconciati in modo tutt'altro che pratico per il combattimento - ma lei sembra comunque  gestirseli piuttosto bene.
La versione che va per la maggiore la vuole inserita per ragioni di botteghino. A scelta: perché serviva un qualsivoglia personaggio femminile dal momento che nel romanzo non ve n'è alcuno, oppure perché serviva un personaggio femminile forte per dare l'esempio alle fanciulle delle nuove generazioni, oppure più genericamente perché serviva una storia d'amore. Secondo questa teoria, la Warner ha comandato e Jackson ha obbedito.
Per la verità Jackson, volendo, poteva arrangiarsi anche in altro modo: stante che Bard è vedovo niente impediva che gli si desse una fidanzata - magari anche di carattere "forte", qualsiasi cosa ciò voglia dire - o venisse lasciata in vita la sua consorte. Oppure si poteva dare il carattere "forte" e relativa storia d'amore (non col padre, possibilmente) a una delle figlie. O mettere in scena la sposa di Thranduil. O tirare in ballo una figlia del Governatore (magari fidanzandola a Bard). Oppure ipotizzare un nucleo di nani rimasti nella Città del Lago, tra cui qualche fanciulla da accoppiare a uno dei nani della compagnia. O altre possibilità che al momento non mi vengono in mente.
Jackson però ha deciso di scompaginare le carte, e ha creato un'Elfa silvana, cui ha attribuito un carattere oggettivamente non debole, avviandole anche una possibile storia d'amore... con un nano. Kili, per la precisione. Sì, quello carino. Se l'hanno fatto carino ci sarà pure il suo motivo, giusto? Per giunta il nano carino, in una scena della versione estesa del primo film, dimostra un certo apprezzamento per le elfe di Rivendell, con grande scandalo dei suoi compagni.

Le reazioni del pubblico sono state invero assai variegate: a un esiguo settore di spettatori (tra cui io) che hanno apprezzato, si affiancano una turba di tigri inferocite che si lamentano, protestano, criticano e gridano allo scandalo, definendo perfino Tauriel "un'elfa dai facili costumi" (giuro che non me la sono inventata) oltre a una folta schiera che sostiene che tra i due si è stabilita soltanto una certa simpatia amichevole, oppure che dei due l'unico coinvolto sul piano sentimentale sia Kili, mentre Tauriel prova per lui un misto di simpatia e compassione. Comunque la maggior parte delle critiche al film sono legate proprio alla liason tra l'elfa e il nano, e questo mi fa pensare che come operazione di botteghino si sarebbe probabilmente potuto trovare qualcosa di meno urticante. A meno che il botteghino c'entri il giusto.

Siamo seri: già inserire un personaggio non presente nel libro era un'operazione rischiosa. Darle una storia d'amore era rischioso il doppio. Darle una storia d'amore con un nano si presentava come un'operazione come minimo un po' azzardosa. Possibile che il buon Jackson non ci abbia pensato? Tanto più che le storie d'amore tra elfi e nani non risultano numerosissime, anzi Tolkien non ne ha mai parlato.
In effetti, il fatto che Tolkien non ne abbia mai parlato non vuol dire necessariamente che non ce ne fossero: forse non aveva voglia di parlarne, o l'argomento non lo interessava. Ma sappiamo che un tempo, in Eregion, elfi e nani erano buoni amici, e anche se da allora i rapporti si sono incupiti, qualche eccezione ci può sempre essere; senza contare che, se uno si innamora, si innamora punto e basta: l'amore è un sentimento anarchico per definizione. Perciò io non solo non mi sono scandalizzata, ma anzi l'idea mi è pure piaciuta. E oltre all'idea mi è piaciuta anche la costruzione di questo legame, nato in circostanze decisamente ostili. Sono consapevole però di far parte di una schiera molto, molto esigua. 



Dunque secondo me Kili e Tauriel si amano, a dispetto di tutti i pregiudizi, e la storia è stata inserita proprio in omaggio alla tesi (assai presente negli scritti di Tolkien) che i pregiudizi negli incontri tra razze siano solo una grande sciocchezza. Ma il loro amore non mi sembra destinato a buon fine perché sappiamo che Kili ha i giorni contati, e che Tauriel esiste solo nei film della prima trilogia. Qualcuno teme che gli sceneggiatori abbiano deciso di rimaneggiare il finale, ma a me sembra del tutto lampante che le bieche manovre con cui i suddetti sceneggiatori ci hanno emotivamente legato ai tre discendenti di Durin abbiano il preciso scopo di farci versare fiumi di lacrime nel terzo film (quanto a me, non mi tirerò certo indietro e anzi sto accantonando gran copia di fazzoletti onde non ritrovarmene sprovvista durante la proiezione).

...e rispunta fuori pure l'athelas.

L'intrepido Kili, che nel primo film è trattato come una controparte nanica di Bilbo, buono al più come mascotte decorativa per il gruppo (anche se tira d'arco molto bene) in questo film  viene ferito da una freccia degli orchetti nel corso di uno dei loro molti, insulsi e inconcludenti attacchi, mentre cerca di raggiungere la leva che sblocca il cancello onde far defluire via i barili, con relativi nani in essi contenuti, fuori dal reame degli elfi.
Thorin vede che la freccia arriva a segno, mostra tutti i segni di una profonda e partecipe preoccupazione... e poi se ne frega per tutto il resto del film.
Kili sopporta la situazione con stoicismo tipicamente nanico ma, a parte il quasi-gemello Fili, nessuno si preoccupa della ferita. D'accordo, i nani la fanno meno lunga degli hobbit e degli umani, ma... non so, una guardatina, disinfettarla, togliere la punta del dardo?
Sta di fatto che quando la compagnia cerca di rubare le armi d'acciaio che il governatoe della città tiene sotto chiave, i nani non trovano di meglio che farle portare a Kili, che non regge al peso e inciampa nel più rumoroso dei modi. I nani vengono così scoperti dalle guardie della città.
Dopo una lunga discussione col governatore, dove Thorin promette pubblicamente oro a palate (una promessa che avrà grosse ripercussioni nel prossimo film) viene fatta una festa in onore dei nani - ma, di nuovo, nessuno si preoccupa della ferita di Kili. Poi la mattina dopo i nani e Bilbo partono, dimenticandosi Bofur addormentato sotto un tavolo (possibile che nessuno della Compagnia sappia contare fino a tredici, se non c'è Gandalf a farlo?) con tanto di armatura datagli dalle guardie di Esgaroth... e al momento di salire sulla Barca Thorin dice a Kili che non può venire con loro, che devono camminare veloci, li raggiungerà "quando si sarà riposato".
Ora, a modo suo il concetto è anche giusto, sorvolando pietosamente sul sermoncino che Thorin fa a Fili "Un giorno, quando sarai re, capirai che a volte anche i parenti vanno lasciati indietro"; MA: punto primo, se Thorin aveva già capito che Kili non era in grado venire con loro (e ha ragione: non è in grado) poteva dirglielo prima e magari trovarglielo, un posto dove "riposare"; e, punto secondo, lì non si tratta di riposare quanto di curare.
Lo scopo di tutto ciò, immagino, è lasciare quattro nani ad Esgaroth - a fare che cosa lo sapremo solo nel prossimo film, ma è chiaro che dovran fare qualcosa di importante per i futuri svolgimenti - nonché creare le condizioni perché Kili venga curata da Tauriel.
Ho scritto "quattro nani" perché, oltre a Kili e a Bofur che è rimasto sotto il tavolo e fan due, Fili proclama che il suo posto è accanto a suo fratello e siamo a tre, e infine Oin sostiene che, essendo lui un medico, il suo posto è accanto ai feriti - il che andrebbe pure bene, se soltanto ci avessero in un qualche momento informato che Oin è un medico (lo sappiamo unicamente dalle schede informative che solo i più appassionati sono andati a leggersi nei vari siti specializzati) e, soprattutto, se il suddetto Oin avesse fatto qualcosa fino a questo momento per occuparsi del ferito in questione.
Subito dopo si scopre che nessuno in città vuol avere niente a che fare con i pur festeggiatissimi nani e Kili, diventato morente nel giro di pochi minuti, viene riportato da Bard, che prova a svicolare dicendo che è stufo e arcistufo di avere nani tra i piedi (e possiamo pure capirlo) ma che, quando gli spiegano che nessun altro accoglierebbe il povero nano ferito, accetta di riprenderselo in casa, il che torna molto a suo onore.

Ma torniamo indietro all'epica scena dei barili: l'attacco degli orchetti viene fermato dagli elfi di Bosco Atro, guidati da Legolas e da Tauriel, e per l'occasione viene anche catturato uno degli orchetti, poi condotto davanti a Thranduil per un doveroso interrogatorio.
Nel quale interrogatorio l'orchetto si precipita a spiegare, al primo pretesto almeno vagamente dabile, che il più giovane dei nani (ovvero Kili, anche se nel primo film sembrava che il più giovane fosse Ori. Ma, certo, gli orchetti non potevano passare mezz'ora a controllare i documenti dei nani prendendo appunti per elaborarne poi le dovute statistiche) è stato colpito con una freccia avvelenata e quindi è praticamente morto. Thranduil taglia corto dicendo - legittimamente - che lui delle condizioni sanitarie di Kili se ne frega e l'interrogatorio ripiega così su binari più convenzionali (e insulsi)  MA Tauriel ha ascoltato con attenzione e appena Thranduil la allontana scappa nel bosco, direzione Esgaroth, ignorando il divieto appena emanato dal sovrano di allontanarsi dai confini del regno elfico.
In serata, con Legolas (che non è stato invitato ma la segue lo stesso) raggiunge la casa di Bard, dove caccia via a colpi di spada il solito improponibile numero di orchetti (che non si sa perché perdono tempo lì quando l'intenzione era di fermare Scudodiquercia, che pure ha lasciato la città con gran fragore e senza fare alcun mistero di essere diretto verso Erebor).

Ed eccoci alla mitica athelas, detta foglia di re. Ne Lo Hobbit non viene nemmeno citata e la storia va avanti benissimo anche senza. Ha invece un ruolo piuttosto importante nel Signore degli Anelli, dove riesce a combattere gli effetti del Soffio Nero dei Nazgul e viene maneggiata esclusivamente da Aragorn, che è re di Gondor: non per nulla è la foglia di re, e le mani del re sono mani di guaritore. In uno dei film della trilogia Jackson la fa adoperare ad Arwen, quando cura Frodo dopo la ferita della lama del Re Stregone. L'intervento è filologicamente corretto, direi, perché Arwen e Aragorn sono imparentati e hanno diversi ascendenti in comune, ed il potere di usare la foglia di re potrebbe essere di origine elfica (origine che tutti i re di Gondor condividono). Si tratta comunque di Alti Elfi, quelli che sono andati per mare e poi tornati e un giorno partiranno di nuovo.
Tauriel però è un elfa silvana, fa parte degli elfi che non sono mai andati per mare, non è imparentata con la stirpe di Luthien e in teoria questo specifico potere di guarigione non dovrebbe averlo. Ma ciò che davvero mi perplime è che tutta la tradizione di guarigione elfica consista esclusivamente nell'uso dell'athelas (che tra l'altro dovrebbe essere una pianta dalle lunghe foglie, tipo tabacco, non una specie di prezzemolo come è mostrata nel film, ma questi son dettagli) da applicarsi a qualsivoglia ferita o danno fisico e/o psichico. Kili è stato colpito da una freccia avvelenata, la sua sofferenza non sembra avere proprio nulla di psichico e di Soffio Nero non si è vista traccia. Cosa c'entra l'athelas? 
Senza contare che l'athelas è invocata addirittura dal nano, che dà l'aria, da come ne parla, di sapere come si usa. Si scopre così che gli unici di tutta la Terra di Mezzo a non sapere cos'è l'athelas e quante virtù abbia sono gli uomini. E se almeno i vecchi di Gondor la usavano per il mal di testa, gli uomini di Esgaroth la usano solo per i maiali, come alimento (e chissà che maiali sani e vigorosi hanno!).

Alla fine Bofur strappa a un delusissimo maiale il suo spuntino serale e porta l'athelas a casa di Bard. La povera Tauriel, che non sapeva che fare, ci si butta sopra con entusiasmo e proclama che salverà Kili. 
Il quale Kili viene disteso all'uopo (gli sceneggiatori soltanto sanno perché) con la testa su delle noci e le due figlie di Bard cercano di tenerlo fermo in una scena che a chiunque abbia mai cercato di curare un gatto ricorda irresistibilmente quei classici quadretti dove due persone sane e in forze riescono a malapena a tener fermo un micio di quattro chili scarsi mentre il veterinario si industria a praticargli cure salvifiche; e Tauriel avvia infine il suo rituale di guarigione.

A questo punto la gran parte degli spettatori insorge sdegnata perché la scena è un calco preciso (cuscino di noci a parte, credo) della scena in cui Arwen, nella trilogia, allevia le sofferenze di Frodo, con tanto di risveglio dell'ammalato che vede l'elfa guaritrice avvolta in una luce abbagliante. Quindi non soltanto la Terra di Mezzo ha una sola medicina a sua disposizione, ma Jackson ha una sola scena per le guarigioni nella Terra di Mezzo - e proprio non si capisce a che pro negarsi e negarci un minimo di varietà, in film che fanno sì vasto sfoggio di creatività e immaginazione, talvolta perfino mal riposta.
Le circostanze delle due scene di guarigione sono molto diverse, non c'era motivo al mondo, sembrerebbe, di farle uguali - salvo la deplorevole tendenza di Jackson a citare a sproposito ogni due per tre la trilogia passata. Io la scena di Arwen che cura Frodo non la ricordo (non ricordo quasi nulla della vecchia trilogia), ma a quanto ho capito sono un caso isolato. TUTTI hanno riconosciuto la scena e tutti si sono lamentati (nemmeno a torto, mi sembra) che sia stata usata a sproposito. In effetti i due film de Lo Hobbit traboccano di queste citazioni improprie: scene che nella prima trilogia avevano un senso e un perché, e nei due film successivi sono state appiccicate a forza per "richiamare" i primi film. Di nuovo: a che pro? Per togliersi la soddisfazione di far dire agli appassionati che questa o quella scena nella Trilogia erano venute meglio ed erano più pertinenti?

Esaurite infine le mie innumerevoli perplessità, potrei magari passare ad elencare quel che mi è piaciuto. Perché, se mi sono presa la briga di vedere cinque volte in due settimane questo film, in italiano e in inglese, in 3D e in 2D, qualcosa dovrebbe pure essermi piaciuto, giusto? 

Allora, in ordine di comparsa:
- la storia tra Tauriel e Kili, tutta, a partire dal primo incontro tra i ragni, quando Kili chiede un pugnale per ammazzare un ragnaccio che sta per divorarselo (e Tauriel gli fa osservare che non è lì per distribuire armi ai nani e provvede in prima persona ad eliminare lo sgradevole aracnide). Sarà che simpatizzo sempre e comunque per gli innamorati, soprattutto quelli giovanissimi (Kili non arriva agli 80 anni, Tauriel va per i 600) sarà che Kili mi è sempre piaciuto molto, sarà il colossale vespaio che han risvegliato nel pubblico; comunque sia, parteggio senza ritegno per questi due ragazzini incoscienti che sembrano non curarsi né tanto né poco di come sia stato da tempo stabilito da spettatori e tolkieniani di ogni risma che elfi e nani insieme non possono stare - anche se entrambi hanno addosso l'ombra della morte e la Battaglia dei Cinque Eserciti che incombe.
Sui due incombe anche un Immenso Biasimo per la ormai celebre battuta sui pantaloni, dove Kili chiede a Tauriel "E me, non mi perquisisci? Potrei avere di tutto nei pantaloni" e Tauriel risponde "Oppure niente", e lo chiude in cella (ma dopo entrambi sorridono, ognuno per conto suo). Da attenta e pedantissima analisi dell'originale sembra che cotal battuta sia stata tradotta in modo più rude del dovuto, anche se a me, nonostante la mia purissima devozione tolkieniana, è sembrata divertente (sarà che frequento troppi tredicenni?). Comunque è chiaro che Kili è sorpreso di non essere perquisito perché il fratello Fili, che per l'appunto nei pantaloni e nella camicia e in ogni suo capo di abbigliamento aveva un vero arsenale, era stato rivoltato come un calzino; ed è altrettanto chiaro che lei non lo perquisisce perché sa, appunto, che lui non ha armi né nei pantaloni né altrove, altrimenti non le avrebbe chiesto un pugnale ma lo avrebbe estratto dal capo di abbigliamento che lo conteneva.
- il confronto tra Thorin e Thranduil
- la fuga nei barili. Lo so che fa tanto Aqualand, ma mi è proprio piaciuta. E l'attimo in cui l'ultimo barile scivola giù dalla botola e Bilbo si accorge che i nani sono fuori ma lui è rimasto dentro è impagabile. 
- la conversazione sulla chiatta, in particolare quando Bilbo ricorda ai nani che Bard ha un nome ("Bard", appunto), e quando i nani gli domandano come fa a saperlo risponde che gliel'ha chiesto. Anche questo dialogo non è nel libro, ma mi è molto caro soprattutto perché per un attimo Bilbo smette di essere una preziosa utility e ritorna un personaggio, com'era sempre stato nel primo film
- l'apertura della porta di Erebor e l'ingresso nella montagna
- il drago (l'ho già detto, che c'è un drago?)



Questa è la locandina del film in Giappone. Per il mercato asiatico sul drago hanno insistito parecchio

- l'incontro tra Bilbo e Smaug (che secondo me poteva venire meglio, ma insomma mi è proprio piaciuto)
- la scena dove Thorin minaccia Bilbo con la spada
- la Scena Supplementare col drago. Sì, d'accordo, in tanti hanno detto che non era credibile (no, non lo è. Molti aspetti di questa storia non sono credibili, e non lo erano nemmeno nel romanzo), che sfida le leggi della fisica e un sacco di altre obiezioni senza dubbio più che sensate e pertinenti. Ma io, ormai entrata in piena fase nerd, ho adorato vedere quel drago così grande e grosso e prepotente trasformato dai nani in accendino per le fornaci e poi sommerso dalla colata d'oro, che si rialza prima con movenze simili a quelle del povero cormorano intrappolato dal petrolio, poi si scrolla come un gatto annaffiato e infine spicca il volo seminando polvere d'oro come se gli avessero tirato addosso niente più che un gavettone di Ferragosto. Eccessivamente lunga, del tutto incomprensibile, caotica, sovrabbondante, sovrappeso e pure vagamente pacchiana, la scena del confronto tra i nani e Smaug è assolutamente grandiosa, davvero perfetta per i bambini... e per me.
- il finale. Sissignori, proprio il finale, quello che lascia tutto assolutamente in sospeso: Legolas galoppa via non si sa dove, il drago si alza in volo, Bilbo si chiede angosciato "Cos'abbiamo fatto?", le dita di Tauriel e Kili sono unite ma non intrecciate (Tauriel potrebbe stringerle o allontanarle, ma non fa né l'una né l'altra cosa), la montagna trema, Tauriel si volta... e parte la canzone con i titoli di coda - la quale canzone, bella o brutta che sia (a me non dispiace, devo dire) non c'entra nulla col tono del film ma riesce, ogni volta che la sento, a farmi sciogliere in lacrime.




Insomma, più a mezzo di così proprio non ci potevano lasciare.