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venerdì 28 ottobre 2022

Racconti di fantasmi - Montague Rhode James (con supplemento tolkieniano)

Durante gli anni 80 la casa editrice Theoria si dedicò senza risparmio a tradurre e pubblicare un gran numero di classici inglesi, anche molto famosi, di cui a malapena in Italia si era vista traccia. Tra i pregiati frutti di cotale lodevole impegno ci fu anche questo volume, che comprai a scatola chiusa visto che si trattava di un autore vittoriano e i vittoriani per i fantasmi hanno notoriamente un certo tocco, o per meglio dire hanno canonizzato il genere. E poi a me le storie di fantasmi piacciono molto.
I racconti di fantasmi contiene tutta la produzione fantasmatica di M. R. James, che è divisa in cinque diverse raccolte: I racconti di fantasmi di un antiquarioAltri racconti di fantasmi di un antiquario, Uno spettro scarno e altre storie, Avvertimento ai curiosi, Ultimi racconti e in appendice c'è anche un testo intitolato Storie che ho tentato di scrivere che contiene appunto una serie di tracce che non hanno mai decollato.
Al momento il volume completo è disponibile nell'edizione Newton, e costa anche molto poco. Non so però se si tratta della stessa versione. Circolano poi in libreria una certa quantità di selezioni e qualche edizione della prima raccolta I racconti di fantasmi di un antiquario. Non so perché quella è stata ristampata e le altre no, visto che qualitativamente non mi sembra migliore delle altre né molto diversa. Misteri dell'editoria.

Montague Rhode James era uno scrittore inglese, e dunque non c'entra niente con Henry James, che gli è quasi contemporaneo e ha scritto pure lui un sacco di racconti di fantasmi, anche se con un tratto molto diverso. Per continuare poi a parlare di scrittori americani ce n'è uno, non sprovvisto di una certa qualche fama nel campo dei racconti dell'orrore e della letteratura fantastica in generale, che invece da M.R. James ha tratto spunti e ispirazione, e ha sempre dichiarato di apprezzarlo molto: H. P. Lovecraft.
In sintesi, M.R. James rientra (in Italia) nel club degli Illustri Sconosciuti ma ha lasciato la sua bella traccia anche nella letteratura contemporanea.

I racconti sono stati scritti tra il 1893 e il 1930, mi sembra di capire al ritmo di uno all'anno, e M.R. James li scriveva per leggerli a Natale intorno al fuoco* ad amici e studenti dei college dove insegnava. Non ha mai scritto altro che storie di fantasmi per quanto riguarda la narrativa, ma è stato un illustre e stimato medievista e ha partorito un congruo numero di saggi di storia e letteratura. Gli archivi erano il suo pane e molti dei protagonisti o narratori delle sue storie sono studiosi, giovani o meno giovani, e spesso impegnati in varie ed erudite ricerche.
Il volume contiene 33 storie (più l'ultima), più o meno intercambiabili tra loro e con una certa aria di famiglia all'interno. Non si tratta però di storie ripetitive - il che ha del prodigioso, avendo avuto sempre cura l'autore di mantenersi in un canone con regole molto precise. Tutti questi racconti (a parte forse un paio) lasciano al lettore un senso di sottile angoscia e di inquietudine e una forte tendenza a guardare con sospetto anche gli oggetti apparentemente più innocui tra quelli che ci circondano**. Sono, di fatto, racconti dell'orrore e il concetto di ghost è inteso in una accezione decisamente ampia: non incontriamo solo persone vissute molti o pochi anni fa che portano rancore per i più vari e magari giustificabili motivi, ma tutta una schiera di alberi sospetti, gatti neri (due, e di fatto non fanno niente tranne esistere. Detto e non concesso che davvero esistano), fogli che si scrivono da soli, finestre che riescono ad essere aperte nonostante tutto, capelli insidiosi, tappezzerie decisamente pericolose, ragni oversize molto demoniaci, cespugli poco raccomandabili, cavalli discutibili, gradini pericolosi, case di bambole animate, stampe che narrano storie agghiaccianti, entità vendicative, ombre che sfidano ogni legge dell'ottica, tappeti e guide che se ne vanno per i fatti loro eccetera, e ci sono anche vicoli e strade che davvero è meglio non percorrere e persone che spariscono e non vengono mai più ritrovate, oltre a un quantitativo di scheletri più o meno completi davvero notevole.
Normalmente le storie cominciano in atmosfera molto serena, e spesso e volentieri il protagonista è un molto rispettabile studioso appassionato di ricerche storiche che, appunto nel corso di una ricerca storica, finisce per trovare molto di più di quel che stava cercando, vuoi che si tratti di oggetti o di manoscritti; talvolta si limita a riferire qualche storia del tempo passato di cui è venuto più o meno casualmente a conoscenza, talvolta si ritrova decisamente inguaiato e non sempre riesce a cavarsela. Quasi sempre comunque abbiamo un iniziale momento di pace idilliaca, magari accompagnato a qualche bellissimo paesaggio inglese - ma, scopriamo, niente sulla faccia della terra è più insidioso di un bellissimo paesaggio inglese, in particolar modo durante i lunghi pomeriggi d'estate o nelle belle sere di primavera.
Alla fine dei racconti il lettore non ha mai le idee davvero chiare su cosa sia successo davvero, ma quasi sempre ha la vaga impressione di aver capito l'insieme - salvo poi incontrare notevoli difficoltà quando cerca di rimettere insieme i tasselli perché, gira e rigira, manca sempre qualcosa. E' infatti teoria apertamente dichiarata di M.R. James che il lettore non deve capire tutto - immagino perché una precisa ricostruzione dei fatti sia a modo suo rassicurante e non lascia quindi al lettore quel sottile senso di angoscia di cui quasi sempre si va a caccia quando si legge un racconto dell'orrore.

Infine una notarella letterario-filologica-culturale: a quel che sembra nella cultura anglosassone i ragni sono portatori del Male e in qualche modo collegati con le streghe. Mi rendo conto che non è di quelle scoperte che sconvolgono la vita, ma in effetti non ci ero mai arrivata, anche perché nella cultura mediterranea i ragni sono magari non amatissimi quando te li ritrovi in casa, ma guardati senza troppa ostilità e talvolta perfino considerati di buon auspicio e portatori di futuri guadagni, senza contare la tradizione mitologica che li vuole discendenti da una figura della Grande Dea, Aracne, trasformata appunto in ragno dopo aver perso una sfida nell'arte della tessitura con Atena. Da notare che la sfida fu persa non perché Aracne non tessesse a meraviglia, ma perché si divertì a tessere tutta una serie di sciocchezze fatte dagli dei.
Comunque sia era una bella ragazza, con un nome che la collega all'Arianna di Teseo che alla fine venne invece trasformata in una corona di stelle, abile tessitrice e vittima di un maleficio di Atena - insomma, una storia tra donne.
Sta di fatto che i racconti dell'orrore anglosassoni pullulano di ragni, in particolar modo quando entra in scena una strega, e si tratta di ragni chiaramente inviati dal demonio, senza contare che una cartolina di Halloween non è degna di questo nome senza qualche ragno. Tutto ciò ai miei occhi illumina di nuova luce (...beh, luce per modo di dire, visto che i ragni a quanto sembra sono solerti servitori del tenebrosissimo dimonio) i ragni di Tolkien, tutti discendenti da una Grande Madre, Ungoliant, che aiutò nientemeno che a seccare gli Alberi della Luce a Varda (il tutto senza dimenticare l'Aragog di Harry Potter, che comunque è maschio e in realtà è solo una creatura interessante, secondo i personalissimi parametri di Hagrid).
Colpevolmente, le antologie scolastiche raramente si occupano di M.R. James (e, se dobbiamo dire la cruda verità, sono parecchio avari anche quando si tratta di H.P. Lovecraft, che è un vero scandalo). Visto che i diritti editoriali di entrambi sono ampiamente scaduti immagino che il problema consista nella lunghezza, anche se in entrambi i casi si tratta di una lunghezza molto relativa e molto adatta ai tempi della scuola - a meno che il vero problema non stia nel fatto che fanno abbastanza paura; io comunque li ho elargiti spesso ai miei alunni, e sempre con grande successo. Mi sento di raccomandare in particolare Una storia dei tempi di scuola, ambientata in un college e che praticamente qualsiasi Seconda o Terza che mi sia passata tra le mani ha avuto il piacere di apprezzare, ma anche Cuori strappati e La mezzatinta hanno riscosso i loro bravi successi e quest'anno potrei provarci pure con La casa di bambola animata che contiene tra l'altro anche una garbata parodia del tema del traghettatore vincolato al suo traghetto ma che cerca di liberarsene.

Con questo post commemoro il Venerdì del Libro ed auguro buone letture e un tenebroso Halloween a chiunque passi di qua.

*del resto, i racconti di fantasmi per gli inglesi sono un genere natalizio per eccellenza e non a caso il Racconto di Natale per eccellenza è appunto una storia di fantasmi.
** al tema è anzi dedicato uno degli ultimi racconti La malignità degli oggetti inanimati.

martedì 7 dicembre 2021

Diario di Natale - 5 - Natale con Tolkien


Quando ho aderito al Blogmas di Simona mi ero ripromessa come massimo e ambiziosissimo traguardo quello di riuscire a mantenere la mia consueta media che va sui due post settimanali (ma disperavo di farcela) e oggi avevo anzi stabilito che era assai opportuno fare una pausa.
Ma poi ho visto il suggestivo albero bianco di My countryside blog, così bello e delicato, e subito il mio cuore è andato al Nimloth di Gondor disegnato da Ted Nasmith
che splendeva a Minas Tirith e che è l'albero bianco del celebre verso
Sette stelle, sette pietre e un albero bianco
che è in un certo senso il motto di Gondor, il regno di Aragorn.
Questa è la copertina che Tolkien stesso disegnò per Il ritorno del re terzo volume del Signore degli anelli:
e direi che a un albero di Natale ci somiglia parecchio.
Del resto, ripensandoci, un post su Tolkien e il Natale andava pur fatto. E sarà oggi quel giorno.

Tolkien amava molto il Natale. Sì, certo, il Natale cristiano. Il tema della redenzione lo sentiva davvero molto. La Compagnia dell'Anello, tra tanti giorni possibili, lascia Rivendell proprio il 25 Dicembre - una cosa che mi sorprese abbastanza, quando lessi la cronologia nelle appendici. Di Natale non si parla nemmen di striscio nel Signore degli Anelli, nemmeno per citare un qualche tipo di celebrazione di Yule o cose del genere. Avranno avuto anche nella Terra di Mezzo un solstizio, immagino, ma non risulta che se ne curassero. Eppure la Compagnia parte proprio il 25 Dicembre e perfino la mia totale ingenuità di dodicenne dubitava che si trattasse di una coincidenza.
In realtà Tolkien curava abbastanza anche il Natale pagano, o consumistico, insomma l'altro Natale, quello che non fa il presepe: dal 1920 al 1943 ogni anno ai figli di Tolkien arrivava una lettera dal Polo Nord, con un disegno e strani racconti sulle cose che succedevano laggiù. Col tempo queste lettere sono state raccolte in un volume e addirittura tradotte in italiano.

La data della partenza della Compagnia da Rivendell non è l'unica cosa che mi fa collegare Tolkien al Natale: nel tempo delle vacanze di Natale ho finito di leggere per la prima volta Il Signore degli Anelli, ma soprattutto i film sono sempre usciti a Natale in America, e la rete brulicava di commenti (e di lamenti) non appena arrivavano le prime indiscrezioni dagli USA, dove uscirono appunto sotto Natale.
Ancor più forte è stato il richiamo natalizio per la trilogia dello Hobbit, perché i tre film uscirono appunto poco prima di Natale, a metà Dicembre, illuminando tre Natali a fila con la loro draghesca luce e gli abbondanti effetti speciali. 
Addirittura, quando uscì il primo, diedi come compiti delle vacanze alla prima con cui stavo appunto leggendo il libro de Lo Hobbit di andarsi a vedere il film, cosa che tutti fecero senza batter ciglio, tranne uno. Non, si badi bene, perché non gli piaceva il genere (conosceva benissimo i film del Signore degli Anelli e mi faceva sempre domande piuttosto approfondite sull'universo tolkieniano) ma perché disapprovava per principio che lo costringessi ad andare al cinema.
Ovviamente non potevo costringerlo e non lo costrinsi, né trovai da ridire sul fatto che non ci fosse andato - mi limitai a meditare sulle stranezze del cuore umano.
Comunque c'erano già i social e di Hobbit lì si parlava parecchio, e per l'occasione si ricominciò a parlare anche dei film del Signore degli Anelli. Tra i risultati possiamo includere la gif che apre il presente post, ma anche gli auguri di Thorin che lo chiudono:

blogmas 2021 creato da lacreativeroom.com

venerdì 21 maggio 2021

Le storielle di Mamma Oca - Richard Scarry

Questa settimana presento un libro che ormai si trova (neanche troppo facilmente) soltanto frugando nei vari siti di libri usati e rimanenze editoriali, ma sul quale tempo fa era molto facile mettere le zampe. 
"Mamma Oca" è un personaggio leggendario, che racconta favole, di solito leggendole da un libro. La sua invenzione risale a (nientemeno) Charles Perrault, che intitolò appunto I racconti di Mamma Oca una sua celebre raccolta di fiabe, e da lì si sviluppò questa tradizione anche nel mondo anglosassone (o forse soprattutto nel mondo anglossassone? Davvero non ne ho la minima idea).
Di questa tradizione comunque non sapevo proprio niente quando, nel Natale del 1967, i miei genitori mi fecero trovare sotto l'albero il libro in questione, e sospetto che nemmeno loro ne sapessero granché visto che, richiesta di chiarimenti, mia madre si limitò a farfugliare qualcosa su una oca che raccontava novelle ai suoi piccoli.
Richard Scarry, il cui nome troneggia in copertina quasi si trattasse dell'autore, era uno stimatissimo illustratore per bambini assai celebre per i suoi animali più o meno antropizzati. Quanto ai testi, erano per lo più filastrocche inglesi per bambini, tradotte in italiano (e pure in rima, di solito) da G. Gabbrielli e V. Cosmini, che non ho la minima idea di chi fossero ma si devono essere affaticati assai su quelle filastrocche, e secondo me un posticino in copertina se lo sarebbero meritato pure loro visti gli eccellenti risultati che han conseguito.
Dunque, un libro di filastrocche inglesi tradotte con cura e assai ben illustrato dall'ottimo Scarry. Adorai quel libro, lo consumai, letteralmente, e mi imparai gran parte delle storielle a memoria a forza di leggerlo e rileggerlo. 
Il libro è ormai un relitto, ma è riemerso, misteriosamente, dalla biblioteca dei miei qualche settimana fa, con mio gran piacere. E' molto logorato dal tempo e dall'uso, ma penso che lo farò rilegare perché per me è stato molto importante, anche per l'infinità di parole tutt'altro che comuni che incamerai leggendolo. Alcune di quelle filastrocche le ho col tempo riconosciute nei libri inglesi che ho letto nel corso degli anni, di altre tuttora non so niente.
Le foto sono state fatte da me, con tecnica molto artigianale e, ripeto, il libro è assai malridotto e pure decorato di vari tratti di penna con cui, davvero non so perché, a suo tempo ritenni necessario decorarlo. Alcune filastrocche sono piccole e non si leggono bene, ma cliccandoci su dovrebbero apparire più grandi e diventare leggibili.
Alcune di queste filastrocche ci sono anche in versione italiana. Questa per esempio è la famosa 
Sulla strada di Camogli
passò un uomo con sette mogli

che mio padre ogni tanto recitava


La foto è piccola perché, mentre la scattavo, mi sono accorta che conoscevo anche quella sopra: visto che ci sono campanule d'argento e gusci di conchiglia è senz'altro Mistress Mary, Quite contrary (detta anche "Mary, Mary dispettosa" in italiano). E la conosco perché con il secondo verso "How does your garden grow?" Agatha Christie ha intitolato un racconto dove i gusci di conchiglia sono il fulcro della soluzione.
Agatha Christie adorava infilare filastrocche nei suoi romanzi, e qualche volta le usava anche per i titoli. Questa era Five Little Pigs che in italiano è diventato Il ritratto di Elsa Greer, al quale ho dedicato un post qualche anno fa:


Questa invece è la filastrocca sulla tasca piena di segale, che da noi è diventata Miss Marple: polvere negli occhi  e nel post dove ne parlo cito proprio questa tavola*, da sempre una delle mie preferite del libro - perché, ammettiamolo, la vicenda accaduta al re di Collepiano è davvero singolare:


Da qualche parte giurerei che Agatha Christie citi anche la casa-zucca, qui abitata da una deliziosa coppia di coniglietti


e la casa-scarpone, che nel testo italiano sarebbe abitata da 38 topolini, ma io li ho contati molte volte (come si evince anche dalla foto) e anche se non sono mai riuscita ad essere sicura del risultato, garantisco che passano i quaranta


La povna mi ha poi segnalato nei commenti che nel libro c'era anche Hickory, Dickory, Dock che è altrettanto usata per il titolo di un libro (che in italiano è diventato Poirot si annoia). La filastrocca racconta di un topo che si arrampica su un pendolo ma scappa via quando il pendolo suona - il libro invece parla di tutt'altro):


Abbandoniamo al momento la letteratura per passare alla musica (molto indirettamente): questa è una filastrocca costruita all'incirca come Alla fiera dell'est, anche se con personaggi diversi e con un finale decisamente lieto. Il protagonista è un topolino che si chiama Gianni Nasa, e vai a sapere com'era nell'originale:



Ma passiamo al mio amato medioevo: qui abbiamo la nobil donzella del Valpolicella (e fu così che imparai che esiste una zona chiamata Valpolicella, e mai ho bevuto un vino che venisse da lì senza ripensare a questa immagine):


E c'è anche la storia di un furto di biscotti rimasto impunito:


Non è l'unico caso di furto che si riscontra in questo libro: ad esempio c'è anche l'avido Gasparotto Manolesta, che comunque viene regolarmente punito per le sue malefatte:



Ma c'è anche una classica vicenda di bullismo da elementari (...o da prima media, in effetti):


E dalla scuola torniamo alla letteratura, e pure al medioevo:


A questa poesia è legato un caro ricordo. Alcorso di poesia provenzale stavamo leggendo Ag gai so conde e leri di Arnaut Daniel, che parlava della sua dama, che lui amava più di chi gli desse Lucerna. E Lucerna, ci spiegarono, era una città immaginaria delle chanson de geste, nota per il suo splendore e la sua ricchezza. Così scrissi al mio vicino di banco un distico che mi tornò improvvisamente alla memoria:
La lucerna che splende piccina
tutta rischiara la mia cucina
e lui scosse la testa e commentò "Ah, questi trovatori caserecci...".

Il libro mi servì anche per imparare un sacco di parole nuove: le memorizzavo senza chiedere il significato (non so perché, ma certamente non perché i miei si mostrassero restii a rispondermi se facevo una qualche domanda, fosse pure su argomenti spinosi).
Con questa filastrocca per esempio imparai la parola "lai" e solo molti anni dopo seppi che si trattava di "lamenti":



Non mi feci invece nessun problema per chiedere cos'era una roggia, parola che a dire il vero ho trovato quasi soltanto in questo che è rimasto uno dei miei scioglilingua preferiti:


Infine, su questo libro incontrai per la prima volta una filastrocca molto famosa: quella della mucca sulla Luna, che Tolkien presenta, in versione notevolmente ampliata, quando Frodo e i suoi amici si fermano alla locanda del Puledro Impennato (o Cavallino Inalberato, nella nuova traduzione):


E mai ho letto quel brano senza pensare a questa immagine, dove tra l'altro piatto e cucchiaio in fuga si segnalano per un piglio particolarmente allegro.
La filastrocca dice:
                Hey diddle diddle,
                The Cat and the fiddle
                The Cow jumped over the moon
                The little dog laughed 
                To see such sport
                 and the dish ran away with the spoon

Ed è probabile che abbia ispirato anche un ritornello abbastanza celebre degli ABBA ovvero
             Dum dum diddle
             To be your fiddle


Con questo post, dove per la prima volta presento un libro per bambini, partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma e auguro un felice fine settimana di letture casalinghe visto che, in barba al calendario, la pioggia di Marzo continua a imperversare.


* riconosciuta tra l'altro nei commenti da Lurkerella

venerdì 25 settembre 2020

Peregrinaggio di tre giovani figliuoli del re di Serendippo - Cristoforo Armeno



Il libro che vado oggi a presentare per il Venerdì del Libro di Homemademamma non è esattamente un classico di quelli di cui tutti, ma proprio tutti, han sentito parlare almeno alla lontana.
Anche nella mia vita in effetti è entrato quasi per puro caso - il che gli si addice molto.
Le coincidenze infatti non sono tutte uguali, e ne esistono di particolarmente fortunate e curiose: quando ti avviene di trovare una cosa mentre ne cercavi un altra, per esempio, oppure quando un curioso gioco del caso avvia una strada completamente diversa da quella che intendevi percorrere e dove avrai gran successo e riconoscimenti - ed è una trama molto comune e molto amata.
Tutto ciò ha un nome strano, che a sua volta ha una storia lunga: serendipity (in italiano serendipidità).
Anni fa, nel blog dedicato ai film dello Hobbit, si addivenne appunto a parlare di serendipity - che, se vogliamo, non è proprio il primo argomento che ti viene in mente leggendo quel libro. Eppure, racconta Gandalf nelle appendici del Signore degli Anelli, lui incontrò per caso Thorin Scudodiquercia all'osteria del Puledro Impennato (o del Cavallino Inalberato, nella nuova traduzione): un incontro casuale, diciamo noi nella Terra di Mezzo - e fu così che, cercando di recuperare il tesoro di Smaug, capitò quasi per caso di ritrovare l'Unico Anello, che nessuno stava cercando perché nemmeno si sapeva che era andato perduto: un vero caso di serendipity, se mai se ne vide uno.
Insomma, non ricordo come mai si parlasse di serendipity ma qualcuna spiegò che era una parola che derivava da questo testo del Cinquecento, e raccontò di come lo avesse letto traendone gran piacere.
Rimasi un po' interdetta, perché mai e poi mai ne avevo sentito parlare, e decisi di cercarlo.

L'edizione qui raffigurata al momento è l'unica in Italia (ma una parte del testo si trova anche in rete). Non è un testo economicissimo (35 euro) ma nemmeno improponibile, così lo comprai e questa estate l'ho letto facendo una interessante serie di scoperte: per esempio che non si trattava, come credevo (non so perché), di una storia bizantina di formazione, ricca di avventure: Bisanzio non c'entra niente, di azione non ce n'è poi molta, ma si tratta invece di un classico della letteratura persiana a sfondo assai filosofico.
Anche la nascita della parola serendipity è assai curiosa. Viene da Serendippo, che è l'antico nome... dello Sri Lanka alias Ceylon. D'accordo, in quegli anni avevamo dei problemi piuttosto seri con la traslitterazione dei nomi arabi, visto che abbiamo trasformato Abū al-Walīd Muhammad ibn Ahmad Ibn Rushd in Averroè, ma partire da Ceylon per arrivare a Serendippo   mi sembra richieda comunque una bella fantasia.
Ad ogni modo, verso la metà del Cinquecento, il signor Cristoforo Armeno, di cui non sappiamo praticamente nulla, tradusse dal persiano questa storia in un periodo di gran caldo in cui non aveva evidentemente voglia di uscire, e poscia la pubblicò a Venezia per i tipi dell'editore Michele Tramezzino nel 1557.
Si tratta quindi di un testo di letteratura italiana, scritto nell'italiano dell'epoca e può darsi che qualche manuale di storia della letteratura italiana ne parli, ma dubito assai che sia citato nemmen di striscio nei manuali scolastici. Eppure dovrebbe, perché ebbe un certo successo e fu attraverso questa traduzione che giunse per la prima volta in Europa la storia de le Sette Principesse, capolavoro indiscusso del celebre (per i persianisti, si capisce) Nezami di Ganjè, poeta persiano del XII secolo; il Pellegrinaggio comunque traduce e riadatta una fonte successiva dove la storia è un po' diversa.
Lo scritto di Cristoforo Armeno, in barba ai manuali scolastici di letteratura italiana, ebbe la sua brava diffusione, tanto che nel 1719 un tal de Mailly lo tradusse in francese. Questa traduzione qualche decennio dopo finì poi nelle mani di Horace Walpole che inventò la parola serendipity - e va riconosciuto che per arrivare a questa parola partendo dallo Sri Lanka il cammino è stato lungo, tanto più che nel Pellegrinaggio di Serendippo si parla solo per dire che era il regno del protagonista, più esattamente del padre dei tre protagonisti.
Di tutto questo l'introduzione di Renzo Bergamini non dice molto, concentrandosi per lo più su complesse questioni editoriali di cui ho smesso ben presto di cercare di venire a capo. Quanto al commento, non è in alcun modo da considerarsi un aiuto alla lettura ma al più un compendio sulla grammatica del Cinquecento, in quanto spiega con grandissima dovizia di dettagli le costruzioni appunto grammaticali e sintattiche del testo - no, non nel senso che le traduce in italiano corrente, ma che dice come si chiamano in grammatichese stretto - una roba, insomma, che al lettore medio interessa men che zero, tanto più che se con l'italiano del Cinquecento ti arrangi non ti serve a nulla se non ad annoiarti in sommo grado, e  se invece l'italiano antico non lo mastichi troppo ti serve ancor meno. 
Siamo d'accordo che la Salerno editrice si rivolge agli addetti ai lavori, ma un po' di inquadramento e di analisi dei topi letterari ricorrenti potevano anche darla, in cambio di 35 euro.

Fatta questa micidiale introduzione storicoculturalstoricobocciofila, passo a raccontare la storia, o meglio le storie.
Infatti si tratta di un racconto a cornice; i tre figli del re di Serendippo hanno la loro storia, nel corso della quale gli viene raccontata una seconda storia che a sua volta contiene sette racconti. La storia della seconda cornice, quella che copre la maggior parte del testo, ruota  intorno a un re malmesso in salute che, su consiglio dei tre saggi figliuoli del re di Serendippo, decide di curarsi con la cromoterapia: ogni giorno in un palazzo di un colore diverso, appositamente fatto costruire per l'occasione, e tutti i servi, il re stesso, la sua famiglia, la bella vergine incaricata di intrattenerlo per quel giorno in lieti conversari e il saggio incaricato di raccontare una storia, (questi ultimi diversi ogni giorno) tutti quanti insomma, vestono nel colore del palazzo, che naturalmente non è scelto a caso ma richiama un metallo, un pianeta, un giorno della settimana... insomma, lo sappiamo tutti come sono costruite queste cornici, ma quand'anche non lo sapessimo questo racconto è lì a spiegarcelo.
Alla fine della cura il re è di nuovo in perfetta forma, rimedia a un errore del passato e i tre giovani serendippini tornano a casa dove li aspettano belle spose (una guadagnata nel corso della vicenda), un padre affettuoso e ricche prospettive per il futuro.
Le sette storie incastonate nella seconda cornice sono belle e assai varie. Per giunta in appendice abbiamo anche l'originale delle Sette Principesse - tradotto in italiano corrente, e quindi molto più facile da leggere, così possiamo studiare le differenze. Già che ci sono, ne anticipo una: nella versione di Cristoforo Armeno, che era cristiano, i re e principi e protagonisti vari sono tutti rigorosamente monogami, nel racconto persiano un po' meno.
Ad ogni modo è divertente sia leggere le storie originali che quelle alterate, perché entrambe hanno tra l'altro il piacevole gusto della novità: al massimo troviamo qualche vago elemento fiabesco di nostra conoscenza, ma si tratta di sette storie decisamente nuove ad occhi occidentali, e anche molto diverse tra loro.
La serendipità si annida comunque nella cornice iniziale, quando si racconta dei tre bravi e virtuosi figli di del re di Serendippo. Il padre li aveva presi da parte, uno per uno, dicendogli che aveva deciso di lasciargli il regno per ritirarsi a vita privata ché era stanco. Il primo risponde virtuosamente "Padre mio che dite, siete ancora assai prestante e baldo, di succedervi se ne parlerò quando morirete ma non c'è nessun motivo di affrettarvi a farlo, tanto più che io sono ancora giovane, inesperto e assai bisognevole di imparare e non saprei certo gestire un regno", mentre il secondo e il terzo oltre a dargli la stessa risposta aggiungono che il trono spetta al fratello maggiore, che tra l'altro è molto più saggio e adatto a regnare di loro.
Molto compiaciuto della saggezza, modestia e virtù dei suoi tre figliuoli, il re di Serendippo si mostra invece assai adirato e li caccia via dal regno. 
Così i tre si avviano, e dopo qualche giorno incappano in un signore che aveva perso il suo cammello. Assai premurosi, i tre giovinetti gli descrivono molto dettagliatamente il suddetto cammello, il suo carico, cosa aveva fatto e dove il signore avrebbe potuto trovarlo: ma siccome la descrizione del cammello e del carico risulta esatta al millimetro ma il cammello non si trova, i tre vengono arrestati per furto.
La storia andrebbe a finire male se non fosse che il cammello, andandosene per i fatti suoi, viene preso, riconosciuto e restituito al suo legittimo proprietario. I tre giovani, una volta liberati, vengono richiesti di come mai avessero potuto indovinare tante cose su quel cammello che non avevano mai visto e passano a spiegare le loro deduzioni - che al lettore occidentale del XXI secolo risuonano talvolta decisamente strane, ma che gli ascoltatori dell'epoca trovano invece assai sennate. Così i tre finiscono a fare i consiglieri del sultano o visir o quel che è del luogo e continuano a fare deduzioni, sempre più strampalate e sempre più confermate dai fatti. Come da una serie di deduzioni basate sulla logica e le credenze del tempo (ma che ricordano molto le tecniche deduttive di Sherlock Holmes, e anche la prima scena del Nome della Rosa, dove Guglielmo da Baskerville descrive mirabilmente un cavallo che non ha mai visto appunto sulla base della cultura dell'epoca - e immagino che Umberto Eco il Pellegrinaggio l'avesse letto) si sia arrivati al concetto di serendipidà proprio non saprei dire, ma insomma è andata così.
Comunque si tratta di una lettura piacevole, insolita e assai acculturata e perciò la consiglio a chiunque per avventura passasse da queste parti.

venerdì 1 maggio 2020

La torre di Babele - Antonia S. Byatt


Passano gli anni, la Byatt si prende il suo tempo ed ecco che nel 1996, ovvero 11 anni dopo Natura morta, arriva il terzo romanzo della quadrilogia.
Questa volta Frederica Potter è il personaggio centrale intorno cui ruota tutta la vicenda.
Sono passati otto anni dalla dolorosa conclusione di “Natura morta” e da sei Frederica è sposata e madre di un bel bambino. Anche per lei, come per la sorella, il matrimonio e soprattutto la maternità ha significato la fine degli studi e la contrazione del vocabolario, ma stavolta la volontà del marito ha avuto una parte determinante in questo e Frederica non riesce a trovare una particolare felicità che faccia da contrappeso a questa rinuncia. In pratica: il matrimonio si è rivelato un errore, e da quel matrimonio appare sempre più chiaro che è necessario liberarsi. Del resto, liberarsi da un matrimonio sbagliato che ha bloccato il processo di crescita è una tappa del tutto indispensabile per ogni protagonista femminile in una storia ambientata negli anni 60 e 70: visto come l’unico sbocco possibile per una ragazza di belle speranze, l’istituzione matrimoniale si presenta ben presto come una trappola, una tagliola, una prigione da cui è indispensabile uscire per ricominciare a vivere.
Liberarsi da un matrimonio però non è affare di poco conto, soprattutto quando il marito è decisamente contrario, e disposto a dimostrare questa sua mancanza di disponibilità nel più tagliente dei modi. In tanti han ricordato, davanti a una determinata scena, il brano Careful with that axe, Eugene dei Pink Floyd che in verità uscì nel 1968, cioè qualche anno dopo la scena in questione. Non saprei dire se il riferimento, per quanto implicito, sia voluto, ma è certo che il brano risuona nelle orecchie di chi legge, specie se il lettore è inglese.
Per divorziare si va in tribunale, naturalmente; e in contemporanea si va in tribunale anche per il processo a La torre del balbettìo, un romanzo di impianto assai spregiudicato e dalla tesi di fondo ancor più spregiudicata, accusato di oscenità - e dietro quest'ultimo processo incombe l'ombra del processo per oscenità all'Amante di Lady Chatterley, che infatti viene più volte ricordato; ed entrambe le sentenze segnalano in modo assai evidente che i tempi, nel bene e nel male, stanno cambiando.
I processi si prendono dunque una bella fetta dl romanzo, ma il vero tema conduttore del libro è la parola: sotto forma di grammatica e di insegnamento, come vediamo seguendo i lavori della commissione governativa istituita appunto per decidere il peso che l’insegnamento della grammatica deve avere nella scuola e le varie correnti di pensiero che in quegli anni si confrontano in merito; la parola come mezzo di diffusione del pensiero, anche di un pensiero tutt’altro che ortodosso, come avviene negli scritti letterari di quegli anni rappresentati ne La torre del balbettìo che richiama sin dal titolo le leggendarie vicende della torre di Babele; e infine la parola come mezzo di sussistenza: proprio grazie alla sua dimestichezza con le parole (oltre che alla rete di amici intellettuali che la sostiene con atti, pensieri e, appunto, parole) Frederica accumula una serie di lavori e lavoretti scarsamente redditizi che le permettono comunque di sopravvivere insieme al figlio: e così la vediamo insegnare letteratura inglese a giovani ed adulti e redigere schede di pubblicazione di manoscritti per una casa editrice un po’ di nicchia il cui proprietario è comunque ben deciso a partecipare al movimento di trasformazione culturale che segna l’Inghilterra negli anni ’60 - tra l'altro accollandosi la pubblicazione de La torre del balbettìo pur rendendosi perfettamente conto delle incognite che presenta tale pubblicazione (e delle grane che puntualmente arriveranno).
Come negli altri romanzi della quadrilogia c’è dunque molta letteratura, molto Lawrence (ma anche parecchio Forster) e, a sorpresa, anche parecchio Tolkien - un autore tra l'altro molto amato dal marito di Frederica. Si parte de Lo hobbit, che Frederica legge al suo bambino come libro della buonanotte, ma abbondano riferimenti a Tolkien come fenomeno editoriale, e al Signore degli Anelli come libro che influenza tutto l'ambiente letterario, talvolta come tormentone, fino ad arrivare alla scena finale dove appunto una rappresentazione ispirata a Tolkien viene bruscamente interrotta. E, in mezzo a tutto ciò, ampi stralci de La torre del balbettìo - romanzo ovviamente stracolmo di richiami letterari di tutti i tipi, ma anche il racconto a puntate che la compagna di appartamento di Frederica inventa per intrattenere un gruppo di bambini - un racconto fantasy, stavolta, ma non troppo tolkieniano.
Frederica ascolta, impara, sperimenta come sempre - in una vita sentimentale che non sarà priva di sviluppi imprevedibili (cosa del resto abbastanza prevedibile) - ma soprattutto si ritroverà a prendere in mano la sua vita e a darle pian piano una forma per lei accettabile nonostante (o grazie a) la presenza che il figlio le impone risolutamente e dal quale, si rende conto infine, lei non potrebbe stare lontana esattamente come lui non può stare lontano da lei per quanto ami suo padre.
Nonostante le complicanze della trama, una incredibile quantità di lumache che imperversano con rara invadenza e il cospicuo numero di personaggi, il romanzo è costruito con tale abilità che la lettura risulta davvero scorrevole, tanto che mi tenne gran compagnia e mi fu di notevole aiuto in uno dei punti più critici della malattia.

Con questo post partecipo al Venerdì del libro di Homemademamma, ritornato felicemente in salute dopo i problemi della scorsa settimana, e auguro buone feste di fine reclusione a chiunque passi di qua.

martedì 31 dicembre 2019

Il mio grosso, grasso canone natalizio (post lunghissimo e assolutamente inutile)

Il fatto che qui si parli soprattutto di gatti 
non vuol dire che non si sappia apprezzare un bel canone

La stagione delle feste legate al Solstizio d'inverno per me è molto importante, e col tempo ho sviluppato un canone piuttosto elaborato. Non sempre riesco a infilarci tutto, anzi ormai è diventato quasi impossibile; ma qualcosa c'è sempre, perfino quando, come l'anno scorso, le feste le ho passate tutte all'ospedale.
Per elencarlo userò la tecnica dell'alfabeto, e vediamo cosa viene fuori.

Addobbi:
Al momento di addobbare la casa tolgo un po' di roba appesa o sugli scaffali e la sostituisco con roba rigorosamente natalizia. C'è un po' di tutto: soprammobili, candelieri, ghirlande, quadretti, piattini da dolci... È un settore in continuo rinnovamento comunque perché le gatte di casa mi aiutano a fare un po' di pulizia. Care creature.

Albero:
da bambina abitavo una casa con mansarda. L'albero dunque veniva fatto nell'ingresso ed era una bestia che, con il puntale, sfiorava i quattro metri e richiedeva un pomeriggio di lavori, con sei ghirlande di luci e una quantità esorbitante di nastri e palline, molte delle quali in puro vetro anni 60. Al termine delle operazioni, eseguite rigorosamente il 24 o al massimo il 23 sera, l'ingresso diventava quasi impraticabile: per entrare in casa dovevi praticamente strisciare, per fare le telefonate di auguri dall'unico telefono situato appunto nell'ingresso peggio che mai, ma tutto ciò era molto divertente. 
Più avanti ripiegammo su un albero molto più piccolo (solo due miserabili metri).
Quando i miei se ne andarono io passai a dormire in mansarda e l'albero fu sostituito da una gran quantità di decori appesi alle travi del soffitto - in pratica dormivo dentro l'albero di Natale, e anche quello mi piaceva molto.
Arrivata a Lungacque comprai un abete artificiale un pizzico più alto di me ma piazzai anche una bella serie di chiodini sui cornicioni delle porte e gli scaffali delle librerie. Ogni anno compro qualcosa in più da appendere (e di conseguenza ogni anno aggiungo qualche chiodino).
Oltre alle palline mi piacciono anche gli addobbi stravaganti: non solo campanelline, piccoli abeti, ghiaccioli , renne e folletti vari ma anche gufetti di panno lenci col cappello di Babbo Natale (???) e una coppia di cocorite dorate appese al trespolo (????), ma evito con cura ogni riferimento religioso - insomma, niente angeli.
Qualcuno ha provato a spiegarmi che anche le campane sono un simbolo religioso, ma non intendo trascrivere qui la risposta che ha avuto perché non rende onore alla mia raffinatezza hejan. 
Comunque a Natale le campane suonano, è un dato di fatto.
La base del mio albero è decisamente spoglia e davvero sarebbe il caso che l'anno prossimo affrontassi la questione, anche se i pacchettini sotto aiutano a mascherare questa grave lacuna. Solo che i pacchettini, per la loro stessa natura, prima o poi se ne vanno...
Babbo Natale:
detto anche Santa Klaus, san Nicola di Bari e in vari altri modi.
Dubito di averci mai creduto, io o le mie compagne, anzi mi sembra che ai miei tempi venisse presentata senza infingimenti da parte dei nostri genitori come una graziosa tradizione a cui era bello far finta di credere.
Non so se abitavo in un'isola felice o se all'inizio degli anni 60 l'uso fosse quello, comunque non ricordo alcun trauma o perdita dell'innocenza associato alla scoperta del fatto che i doni li portavano i miei. E chi mai avrebbe dovuto portarli, il Gatto delle Nevi?
Il Babbo Natale rubicondo che circola sulla carta da pacchi o nelle pubblicità non mi ha mai entusiasmato nonostante la sua evidente paganità, mentre adoro le decorazioni a slitte e renne.
Di recente ho trovato tracce e disegni di un Babbo Natale un po' diverso: autorevole, un po' alla Silente, con una lunga veste verde o azzurra bordata di pelliccia, che vaga per i boschi atteso con gran reverenza dagli animali: eccolo qui con Edwige ma anche con due candidi coniglietti della neve:

Giusto ieri sera, navigando pigramente in rete, ho scoperto che oltre ad essere la versione russa di Babbo Natale presenta anche caratteristiche sue particolari. Per la cronaca, si chiama Ded Moroz e Una penna spuntata ne ha raccontato la curiosa storia - da demone del ghiaccio ad amico e collega di San Nicola a testimonial della dittatura stalinista.
Le contaminazionio si sprecano, e le mie immagini preferite sono quelle che lo vedono girare di notte (la notte di Capodanno, ho scoperto) con un bel seguito di bestiole del Grande Nord, tutte in versione assai pellicciosa:

Biancheria:
Ho diverse coperte di pile più o meno natalizi, con renne, notti stellate, alberi di Natale e simili, anche se qualcuna di fatto è soltanto un po' invernale.
Una tovaglia un po' andante, con relativi tovaglioli, e una tovaglia molto bella, oltre a una tovaglia tirolese che potrebbe spacciarsi per una tovaglia di Natale, con un po' di buona volontà.
Un bel po' di tovaglioli di Natale di carta, che restano sempre lì perché uso quasi sempre quelli di stoffa. Diversi centrini di stoffa tirolesi, decisamente natalizi, e una bella striscia da centrotavola con tre diversi Santa Klaus di quelli un po' russi - insomma, non il classico Babbo Natale bianco e rosso.
Vorrei tanto delle vere Lenzuola di Natale, ma finora le ho viste solo in un negozio di biancheria di lusso. Per adesso uso delle belle lenzuola blu, ma certo non è la stessa cosa.
A Capodanno metto delle lenzuola a nuvole e stelle, comprate a un mercatino di Natale dov'ero andata insieme a una cara amica. Cioè, più che un mercatino di Natale era un normalissimo mercatino dove sono andata nei giorni di Natale. Insomma, le uso perché ho stabilito che sono di buon augurio per il Capodanno. 
Asciugamani verde intenso, rossi e blu notte.
Un asciughino di Natale, poi ci sono quelli bianchi e rossi che vanno benissimo lo stesso, o almeno così ho stabilito. E niente presine, ahimé.
Diciamo che è un settore con ampi margini di miglioramento.


Biscotti con le spezie:
A parte qualche sporadico assaggio, sono entrate nella mia vita con l'Ikea. Ne ho comprate  tre scatole di latta con sopra babbi Natale decisamente nordici (uno addirittura con una capretta) e ora ne uso ogni anno una riempiendola con una grossa confezione che compro all'Ikea durante l'estate, perché non sempre riesco ad andare fin là prima delle feste. 
Ne prendo due o tre ogni mattina, con il caffè, e comincio all'inizio di Dicembre. Di solito durano fino alla fine di Gennaio.

Candele e candelieri:
Assolutamente indispensabili, e del resto tranne che in estate le uso tutto l'anno. Comincio ai primi di Dicembre. A parte qualche regalo sono rigorosamente nei colori canonici e la notte della Vigilia, a Natale, a Capodanno e nella Dodicesima notte se sono in casa c'è sempre una gran luminaria.
Ho una piccola raccolta di candelieri natalizi e cominciano a circolare per casa dai primi di Dicembre. Il mio preferito, quello con una renna, lo accendo solo dal 23 Dicembre in poi. Li ripongo lentamente dopo il 7 Gennaio, via via che me ne ricordo, ma uno resta tutto l'anno in camera da letto.

Calamite da frigo:
È un settore che ho molto trascurato - ingiustamente perché messer Frigo ha una grande importanza, a Natale, e lavora assai duramente per tutte le feste mentre noi bagordiamo e banchettiamo. 
Ma insomma, l'unica calamita che ho, tutt'altro che imperdibile, me l'ha regalata un negoziante dopo un acquisto assai corposo. Il problema, dal mio punto di vista, è che tutte quelle che incrocio sono assolutamente orribili.

Canzoni:
Non ho niente contro le canzoni più tradizionali come Jingle Bells, ma la mia preferita tra quelle tradizionali è questa: più una canzone da bevute che da Natale, ma la cantano tutti assai volentieri nel tempo delle feste - soprattutto nelle feste della Dodicesima Notte, mi dicono)

e tra le moderne le mie preferite sono queste due, che trovo ricolme di vero e autentico spirito natalizio e di speranza:




Capodanno:
Per me è il momento del Passaggio, il più importante di tutte le feste. Se esco fuori la notte dell'Ultimo dell'Anno passo il pomeriggio o il giorno seguente in riflessione, di solito compilando un complesso bilancio sul diario.
Mi piacciono molto i Capodanno itineranti, che cominciano con una cenetta e che continuano con altre cene, concerti o passeggiate varie terminando alle cinque o alle sei del mattino. Dubito però che li reggerei ancora - certamente non quest'anno; ma mi piacciono anche i Capodanno intimisti, da sola o con pochissimi amici.
Comunque ho fatto Capodanni assai festaioli con quindici invitati - che per me sono l'equivalente di una enorme festa con centinaia di persone.
Non sono mai andata a cena in un ristorante né mai ho desiderato farlo, e non ho mai passato un Capodanno in viaggio (e spero di non passarlo mai).
Per la cena e il pranzo del giorno dopo se sono io a organizzare la tavolata prediligo cibi farciti (presagio di abbondanza), lenticchie (presagio di ricchezza) e cibi gialli, dorati o arancioni, possibilmente rotondi, in omaggio al Sole che nelle feste è il Grande Assente ma che è in fase di rinascita - per intendersi, va bene anche una frittata o una polenta, e la zucca è sempre la benvenuta.
In casa, nella Notte del Passaggio e il giorno dopo, solo candele d'oro o rosse )...o bi9anche e blu, se proprio le rosse sono finite, come quest'anno).

Cioccolato:
Naturalmente se me lo offrono lo prendo volentieri, in qualsiasi forma o confezione; ma se mi ritrovo ad aver passato le feste senza aver mangiato nemmeno mezzo cioccolatino non mi pare che sia mancato qualcosa.

Colori:
Sui Colori di Natale sono piuttosto rigorosa ma ne ho una bella schiera: bianco, oro, argento, blu e azzurro scuro, rosso di Natale, verde di Natale, viola purché metallizzato e, senza un vero motivo, le varie sfumature di verde-blu. Con questi colori scelgo gli addobbi, gli accessori, le carte da regalo e i nastri e i biglietti per i pacchetti. Quel po' che c'è di colori diversi, di solito è arrivato in regalo.

Cometa:
Una cometa tra gli addobbi natalizi non ce l'ho, ma è solo perché non ne ho mai vista una che mi piacesse davvero, non perché la consideri un simbolo religioso. In realtà le comete mi stanno molto simpatiche.
Ci fu un Natale dove sembrava dovessimo avere una vera cometa in cielo, la Kohoutek. A scuola chiesero chi voleva fare una ricerca sulla questione e io e una compagna ci offrimmo. Facemmo un bel lavoro e per l'occasione imparammo tutto quel che all'epoca si sapeva sulle comete (a livello di seconda media, si capisce). 
La cometa arrivò al momento stabilito ma il cielo era sempre nuvolo e insomma non la vedemmo, con mio grande dispiacere. 
Nell'inverno 1997/98 arrivò invece la bellissima cometa Hale-Boop, che illuminò a lungo i nostri cieli proprio intorno a Natale e soprattutto nei primi giorni di Gennaio - una vera cometa da Epifania, insomma, e ringrazio Lucia di aver schiarito i miei ricordi nei commenti.

Concerto di Capodanno:
Ne ho avuti parecchi, anche con coro, e spero di averne ancora di più in futuro. Andarmi ad ascoltare un po' di musica dal vivo per me è sempre una bella cosa, e Capodanno lo trovo particolarmente di buon auspicio. Se poi mi suonano il Valzer dei Fiori è davvero il massimo.

Crostini:
in Toscana il pranzo di Natale classico si apre con una vassoiata di "crostini", ovvero fettine di pane (di solito frusta) con un impasto di fegatini di pollo. A dire il vero sono un antipasto tipico e aprono quasi ogni pranzo rispettabile, se proprio non è Agosto, ma a Natale sono praticamente obbligatori. 
Mia nonna faceva dei crostini fantastici, di cui mi passò la ricetta e che contengono un paio di variazioni risopetto alla ricetta più classica. 
Più avanti ho scoperto che l'impasto per crostini al banco del mio supermercato, con l'aggiunta del succo di mezzo limone, è una copia esatta di quei capolavori, e così ho smesso di farli - ma non certo di mangiarli.

Dolci:
Durante tutta la mia infanzia il dolce di Natale è stato il Panettone, ma in Toscana resisteva implacabile l'uso dell'accoppiata Vin Santo-Cantuccini (quelli secchi con le mandorle) 

con l'aggiunta della squisita accoppiata Panforte e Ricciarelli. Appresi dell'esistenza del nobile Pandoro quando ormai facevo il liceo, anche se una amica ferrarese di mia madre mi aveva introdotto qualche anno prima all'accoppiata Pandoro-CremaAlMascarpone.
Naturalmente mangio anche il pandoro farcito, se me lo danno, e certo mangiandolo non soffro, ma trovo che pandoro e panettone vadano davvero benissimo come sono e l'uso di infilarci il cioccolato sfugge alla mia comprensione (ma mangio pure quello, se me lo offrono. Mai rifiutare un dolce offerto col cuore, o semplicemente offerto).
Sempre da Siena venivano anche i Cavallucci, una sorta di roba dura con qualche seme di anice e delle vaghe tracce di noci di cui mi sfuggiva completamente il significato.
Finalmente un'anima pietosa mi fece assaggiare i veri cavallucci



dolcetti morbidosi ma non troppo, assai ricchi di noci e arancia candita, addolciti (anche) col miele, che oltre a qualche vaga traccia di anice contenevano anche cannella, noce moscata e pepe, e finalmente il loro significato mi è stato ben chiaro. Da allora le feste di Natale per me si aprono con i cavallucci, che comincio ad acquistare già ai primi giorni di Dicembre.
Il torrone, rigorosamente morbido, al miele e con le mandorle, lo compro alle svendite dei dolci di Natale e me lo mangio a Gennaio come saluto alle feste. Se non me lo offrono, naturalmente, ché certo non lo rifiuto nemmeno se è duro, allo zucchero e con le nocciole; anzi mangio con riconoscenza e ringrazio di cuore.

Epifania:
Da bambina l'ENEL, dove mio padre lavorava, mi faceva ogni anno una calza di dolcetti e un giocattolo piuttosto carino. Quando compii dodici anni smise. 
Da allora per me l'Epifania è scomparsa fino a quando sono entrata in rete, dove ho trovato un sacco di immagini di befane giovani e belle che cavalcavano la scopa insieme al loro gatto nero per portare doni. Così ogni anno faccio un post dove ricordo questa strana creatura un po' inquietante e parecchio pagana riadattata per i tempi moderni, e qualche volta festeggio con le amiche.

Fiori e piante:
Mi piacciono molto le stelle di Natale, soprattutto quando le ammiro a casa degli altri. Purtroppo piacciono parecchio anche alle gatte e, insomma, il tasto è doloroso.
Amo molto le decorazioni con vere fronde di abete e agrifoglio, una volta ci ho anche fatto una corona dell'Avvento ma tengo anche un vaso pieno di fronde argentate e colorate di quelle che vendono ai mercatini e ai supermercati.
So che a Capodanno usa appendere il vischio. Amo molto il vischio, pianta pagana per eccellenza, ma soffocato nel sacchetto mi mette un po' tristezza e allora preferisco lasciarlo sulle querce, al più canticchiando "Casta diva" in cuor mio (che non ha proprio nulla di natalizio ma è una bellissima preghiera per la pace)

Tanto, all'occorrenza mi baciano lo stesso.

Frutta:
Arance e mandarini, naturalmente. Una bella piramide di mandarini è sempre graditissima alla fine di un pasto sostanzioso come quelli delle feste, e non manco mai di fornirla ai miei ospiti, che regolarmente la spolverano via per quanto sia alta e grande.
Poi c'è l'ananas, che regolarmente mettono in offerta ai supermercati in queste settimane e che regolarmente prendo; non è particolarmente filologico, ma comunque, come tutti i cibi gialli, è perfetto a Capodanno.
A fine pranzo e insieme ai dolci c'è la frutta secca (arance e noci sono un classico del Natale nella letteratura vittoriana, ho scoperto solo di recente); io di solito mi concentro sulle noci, ma altri preferiscono le mandorle o le noccioline, perciò provvedo sempre a fornirle ai miei ospiti.
La mia preferita però è la frutta essiccata; dopo molti acquisti ed esperimenti mi sono concentrata su ananas, papaya, zenzero candito, albicocche e mango (oltre ai datteri e ai fichi, che sono un vecchio ricordo d'infanzia) con cui riempio una grande ciotola decorata ad agrifogli e che sgranocchio per settimane.
Un anno una amica dei tempi passati ci fece trovare delle fette di papaya essiccata da mettere nello spumante, e da allora la papaya nello spumante è diventata uno dei riti irrinunciabili.

Galantina:
Un tempo a Firenze avevo un pollaiolo che faceva una meravigliosa galantina. In famiglia cominciammo a mangiarne in quantità industriali finché scoprimmo che invece di arrostirla potevamo farla lessa, e così veniva anche un ottimo brodo. A quel punto cominciammo a mangiarne ancora di più.
Dopo lunghe ricerche e tentativi ho trovato a St. Mary Mead un pollaiolo che ne fa una un po' diversa ma altrettanto buona e da allora ogni Natale ne compro una enorme e nei pomeriggi di letture o dolce far niente natalizio la uso per farmi deliziosi sandwich, con o senza insalata russa - e altrettanto deliziosi tortellini in brodo per la cena.
Naturalmente non la mangio solo a Natale e la trovo una soluzione eccellente quando ho ospiti perché è un piatto molto facile da cucinare e da accompagnare - praticamente da fast-food.
Per Capodanno è particolarmente di buon auspicio, come tutti i cibi ripieni.

Gatti:
A Capodanno ho gran cura di tenerli in casa, anche se da queste parti i botti si sono molto, molto ridimensionati.
Non ricevono festeggiamenti particolari, solo il consueto trattamento. Ci sono stati però degli amici che gli hanno regalato dei giocattolini, e abbiamo apprezzato molto.

Giochi:
Natale è il tempo dei giochi da tavolo. I miei, molto tradizionalmente, sono stati tombola, Monopoli, Allegro chirurgo e, più avanti negli anni, anche Risiko.

Gioielli:
Ho un apposito cassettino per la bigiotteria di Natale. Purtroppo si tratta di un settore che va continuamente rifornito perché non si tratta di oggetti molto robusti e non sono molto facili da trovare come li voglio io. 
Ci sono poi alcuni accessori che porto regolarmente durante l'anno e che per le feste sono particolarmente indicati - la collana di cristallo rossa, ad esempio.  Naturalmente porto anche i gioielli d'oro.
Sotto Natale l'argento mi ispira meno e lo uso raramente.

Harry Potter:
Non credo di avere mai passato un Natale leggendo i libri di Harry Potter, ma i primi due film sono usciti per le feste ed apprezzai molto entrambi - soprattutto il secondo, che anzi trovai meglio del libro ed è anzi tra i miei film preferiti.
In ogni caso nei romanzi il Natale è molto importante e, soprattutto nei primi libri, i capitoli sui preparativi e le vacanze di Natale sono davvero affascinanti.
E qui c'è un video molto particolare, dove agli scenari di Hogwarts sono aggiunti dei bei gatti

Incenso:
Tanti anni fa mio padre tornò a casa la sera della Vigilia con un bruciaincensi e dei bastoncini che crearono una atmosfera estremamente natalizia. Da allora per le feste quasi sempre brucio bastoncini su bastoncini. Ne ho una gran quantità che conservo... in una grossa scatola di latta decorata con gatti di Natale. L'avreste mai detto?

Lenticchie:
Sono entrate nella mia vita quando già facevo le medie, e per l'occasione scoprii che mi piacevano molto. Ormai le mangio tutto l'anno con una certa regolarità, di solito col curry, ma una zuppa di lenticchie rigorosamente tradizionale a Capodanno non può mancare.

Libri:
Natale non è Natale senza qualche libro veramente bello da leggere, così ho sempre cura di procurarmene qualcuno. 
I miei ricordi più intensi sono legati alla Grotta di Cristallo, alla Vita di Charlotte Brontë di Elizabeth Gaskell, a una lussuosa guida a Star Trek, ai racconti di Sherlock Holmes e ad Agatha Christie ma anche ai romanzi della Tavola Rotonda e al manga di Ushio e Tora che rilessi tutto di seguito tra Natale e Capodanno apprezzandone molto l'arcata narrativa che non ero riuscita a seguire adeguatamente leggendolo a pezzi e bocconi nel corso dei tre anni in cui era stato pubblicato.

Luci:
Le luci per l'albero della mia infanzia sono tutte morte di vecchiaia. Le collane di led che usano adesso sono carine, ma rimpiango le mie campanelle di zucchero, i cristalli di neve e le varie stelline metallizzate. Comunque l'Ikea mi ha fornito una ghirlanda di grossi cristalli di ghiaccio. 
La mia collana di led è rigorosamente multicolor ma senza intermittenza perché i led intermittenti sono troppo veloci per i miei gusti.
Vado pazza per le luci di Natale per le strade e appese ai balconi, ma non mi sono ancora decisa a mettere niente fuori anche adesso che ho un balcone e pure una presa esterna. In cuor mio sospetto che sia roba pericolosa, e in cuor mio sospetto ancor più forte che non lo sia affatto se hai un impianto moderno a norma (e io ce l'ho). Magari l'anno prossimo ci provo.
Comunque l'Ikea mi ha fornito una grossa stella luminosa che tengo alla finestra della camera da letto e accendo quando fa buio - nei giorni di Natale, per fortuna, ciò avviene molto presto.

Mug:
Le uso ogni mattina per il caffè, rigorosamente a gatti.
Trovare una mug di Natale è facilissimo. Purtroppo, trovare una mug di Natale a gatti è più complicato. Quella che ho non è il massimo, ma insomma me la tengo in attesa di trovare di meglio. Un tempo erano facilissime da trovare e anche molto belle, ma purtroppo mi limitai a regalarle, perché all'epoca non le usavo.
La mug a gatti di Natale entra in scena ai primi di Dicembre ed è l'ultimo oggetto natalizio ad essere riposto.

Neve:
A Firenze la neve è abbastanza rara e certi anni non si vede proprio, nemmeno in provincia. Anzi, credo di non avere mai avuto un bianco Natale in vita mia, anche se a volte qualcosa arriva per Capodanno. 
Nel 1985 comunque arrivò una nevicata verso il 28 Dicembre che si sciolse solo la notte del 12 Gennaio: fu l'epico inverno dei 22 gradi sotto zero, e a Firenze ci saziammo tutti di neve al di là dei nostri più sfrenati desideri. Da allora son contenta di prenderla quando c'è, ma mi adatto di buon grado a farmi bastare le immaginette su Facebook o alla televisione.
I Natali col sole fanno un effetto curioso, ma tanto fa notte presto quindi mi adatto di buon grado, e se devo mettermi il cappotto leggero per uscire me ne faccio una ragione senza difficoltà.

Oro:
qualche volta me lo hanno regalato, a Natale, sotto forma di spillette, anelli, orecchini e penne stilografiche, e l'ho sempre gradito trovandolo di ottimo auspicio. Una volta arrivò anche uno smeraldo, che dovrei prima o poi usare per il medaglione Serpeverde che da tempo medito di farmi.

Ospedale:
Natale in ospedale lo passiamo quasi tutti, prima o poi, non necessariamente in veste di pazienti: fratelli, zii, cugini e genitori mostrano talvolta la deplorevole tendenza a inguaiarsi proprio sotto le feste.
In particolare ricordo il Natale in cui la nonna a 89 anni si ruppe il femore giusto in tempo di feste costringendoci e soprattutto costringendosi a mettere le tende all'Ortopedico. Eravamo tutti molto preoccupati, ma si riprese perfettamente, senza perdere nemmeno un colpo nonostante l'anestesia.
Ho avuto anche un funerale all'ultimo dell'anno, dopo il quale una amica mi racconfortò con una bella bottiglia di spumante che mi fece un gran bene.

Pacchetti:
Per una curiosa forma di perversione mi incaponisco a fare i pacchetti da sola nonostante i negozianti si offrano sempre di confezionarli loro e spesso, aiutati dalla lunghissima pratica, sfornino risultati eccellenti. In profumeria lascio sempre fare perché i loro criteri sono gli stessi miei: colori canonici, un sacco di sbrilluccichi e risultati capaci di portare a livelli allarmanti qualsiasi glicemia. 
A volte però non mi piace la carta che usano per impaccare, o lo stile di impacchettamento e allora declino con bel garbo e tutti loro in quei casi mi lovvano tantissimo. 
Unica eccezione: Feltrinelli, dove i pacchetti di Natale sono fatti in cambio di una piccola offerta da Mani Tese. I volontari spesso sono piuttosto imbranati, pure peggio di me, ma pagare l'offerta per farmi impacchettare il regalo mi sembra aggiunga comunque valore al pacchetto, fatto bene o male che sia, e allora mi adatto anche alla carta che disapprovo e faranno bene ad adattarsi anche i destinatari.
Le carte e i sacchetti per i regali impacchettati da me devono essere nei colori canonici, con disegni che mi piacciano e senza temi religiosi - oltre che senza pupazzi di neve, anche se qualcuno mio ha fatto osservare che non gli risultava che il pupazzo di neve avesse poi questa grande sacralità cui fosse strettamente connesso. Sta di fatto che i pupazzi di neve proprio non li reggo. 
Adoro invece le slitte con le renne in corsa, le renne anche senza slitte, gli alberi addobbati ma soprattutto le decorazioni a base di agrifoglio, oltre alle carte monocolore o metallizzate con o senza stelline e comete varie.
Negli ultimi tempi ho sviluppato un grande amore per i nastri di stoffa, anche se mi sfuggono dalle mani peggio delle anguille quando tento di fare i nodi. Ci sono poi i nastri in tulle o velo con le decorazioni, che sono cari assaettati ma con i quali qualsiasi incapace riesce a fare dei pacchetti fantastici. Unico problema: nove volte su dieci non soddisfano il mio perverso senso estetico e dunque mi è difficile trovarne di mio gusto.

Piccole donne:
"Natale non sarà Natale senza regali" osserva Jo nella prima frase del libro, e io sono d'accordo con lei, come sono d'accordo nella scansione della storia: un anno di vita di quattro ragazze, ma l'anno comincia appunto sotto Natale e con il Natale seguente finisce.
Il primo Natale è un Natale segnato dalla problematica del consumismo e la scelta virtuosa delle ragazze - pensare ai poveri, sì, ma non negandosi qualcosa per festeggiare anche in modo concreto una festa così importante - viene giustamente ricompensata. Il secondo Natale invece ruota intorno al regalo più bello che si possa ricevere, un tipo di regalo che cancella tutto il resto.
Come tante, anch'io ho ricevuto Piccole donne in regalo di Natale - e come tante della mia età mi è capitata una versione incompleta - anche se i miei ne erano del tutto ignari e credevano di avermi fornito del romanzo completo.

Presepio:
mi ha lasciata sempre molto indifferente. L'ho fatto una sola volta, o meglio ho contribuito anch'io, in prima elementare quando in classe facemmo un bel lavoro collettivo, raccogliendo il mischio nel giardino della scuola, mettendo da parte i fondi di caffè per colorare la carta da pacchi che avrebbe fatto le montagne dello sfondo, portando una statuetta per uno eccetera. 
Mai ho desiderato farne e raramente degno di uno sguardo quelli che incrocio a scuola o a casa di amici, se proprio non mi chiedono di ammirarlo. Nel qual caso, ovviamente, non lesino i complimenti pur non  comprendendo assolutamente perché la gente impieghi così il suo tempo. Ma contenti loro...
La mia profonda irritazione quando, ogni anno, sotto Natale salta fuori la bufala sulle scuole che non fanno il presepe per paura di irritare le famiglie mussulmane degli alunni stranieri non è naturalmente rivolta alla nobile istituzione del Presepe ma 1) alla pretesa che il presepe sia un dovere irrinunciabile per ogni buon italiano e 2) al fatto che, appunto, è una bufala - come risulta inevitabilmente ogni anno. Comunque in ogni scuola dove ho messo piede si fa il presepe e mai nessun genitore ha mai battuto ciglio sulla questione, indipendentemente dal credo religioso. Del resto, nemmeno i miei genitori trovarono alcunché da ridire quando me lo fecero fare in classe. E perché mai avrebbero dovuto? 

Queen:
Freddy Mercury morì a fine Novembre; di conseguenza per tutto il tempo delle feste era praticamente impossibile non sentire, ovunque si andasse, la sua voce per ogni dove. Feci tutti gli acquisti di Natale con una pietra nello stomaco e le lacrime agli occhi. Ogni tanto mi fermavo davanti ai negozi o ai banchetti o dove fosse ad ascoltare, e inevitabilmente finivo per tirare fuori il fazzoletto. Peggio di un salice piangente.
I Queen hanno fatto anche una canzone di Natale, del tipo molto consolante, e qualche anno dopo in una scuola dove facevo supplenza assistetti allo spettacolo di Natale dove il coro (eccellente) dei ragazzi la cantò, insieme ad un canto molto più tradizionale. Era stato uno degli alunni a proporla all'insegnante

Regali:
Indispensabili per un buon Natale. Ai miei occhi il vero Regalo di Natale è piccolo, un po' superfluo, voluttuario e accuratamente scelto per allietare il destinatario ma non deve costare molto. Particolarmente indicati dunque libri, profumi, trousse di ombretti, bigiotteria, videogiochi, musica o film, piccoli soprammobili, addobbi o accessori natalizi e gli intramontabili bagnoschiuma, saponette e simili. Vini, dolci e liquori sono belli e buoni e rispettabili, ma vanno intesi come regalo conviviale da consumarsi nei vari banchetti.
Oltre che per i miei cari ho sempre cura di comprarne anche per me, e si tratta rigorosamente di spese voluttuarie - vedi sopra, libri, profumi eccetera. Molto raramente si tratta di capi di abbigliamento, che ai miei occhi rientrano nella categoria dell'utile che nulla ha a che vedere con la squisita frivolezza voluttuaria delle feste. Unica eccezione, le sciarpe.

Religione:
La mia posizione religiosa è piuttosto complessa. Per comodità mi definisco atea e certamente non sono cattolica, quindi, per sintetizzare con quel che disse una vecchia zia "A Natale a me non mi nasce nessuno". Tuttavia il mio solstizio d'inverno è, di fatto, una festa di morte e rinascita e sotto questo aspetto la sento profondamente, come speranza di un mondo migliore di pace e di armonia eccetera.
Comunque spesso riesco a raccattare un Messia di Händel, possibilmente eseguito con strumenti originali e nel tempo dell'ascolto divento intensamente cristiana e mi rallegro assai della Nascita natalizia per eccellenza, commuovendomi molto. Quando non vado a sentirlo dal vivo (di solito congelandomi nella chiesa dove lo eseguono perché a fine Dicembre tende a fare freddino e il Messiah è lunghetto) me lo ascolto al calduccio a casa mia, e spesso canticchio "For Unto Us A Child Is Born" e "And He Shall Purify" facendo le faccende di casa.

Alla messa di Natale (notturna) sono stata una volta sola, quando un amico cantava nel coro che eseguiva non ricordo quale cantata barocca. La cantata era molto bella, ma la messa in sé non mi colpì molto.

Salmone:
Non c'è nulla di filologico nel mangiare in Toscana le tartine col salmone durante le feste di Natale, e le prime che ho mangiato furono negli anni 80, quando Sary prese l'abitudine di inaugurare le sue cene appunto con questo gustoso antipasto. Da allora il salmone si è assai diffuso e nel tempo di Natale lo offrono sempre a sconto al supermercato, così ne acquisto quantitativi immani e lo mangio a quattro palmenti col pane di segale oppure col pane bianco da tramezzini.
Naturalmente ai primi di Gennaio mi apposto come un falco in attesa delle svendite a metà prezzo delle confezioni da Capodanno con lo sconto del 50% e faccio scorta: e siccome il salmone in busta non ha scadenze lunghissime, sono costretta a finirlo tutto entro Febbraio - che non è poi questo gran dispiacere.

Schiaccianoci:
Mandai a memoria l'intera suite, da bambina, prima di scoprire che era una storia ambientata a Natale e ci misi una vera eternità per capire come funzionava la trama.
Quando ero piccola una rappresentazione dello Schiaccianoci era davvero rara, e vidi la prima dal vivo che già facevo l'università.
Poi cadde l'URSS e da allora ogni Natale arrivano a stormi i più vari corpi di ballo dall'Europa dell'Est presentando sempre degli ottimi spettacoli, con o senza orchestre al seguito, e ogni anno Firenze mi offre qualche possibilità. Ormai credo di averlo visto una decina di volte dal vivo, più una bella serie di edizioni su YouTube - questa, per esempio, mi è piaciuta molto.
Ho anche una edizione integrale su CD, che un amico mi regalò appunto per Natale quando la rete era ancora di là da venire, e tuttora le feste per me iniziano quando metto per la prima volta il CD nel lettore. La suite ormai la guardo dall'alto in basso.

Scuola:
Evito con cura di pensarci per tutte le vacanze, e di solito riesco sia a non portarmi niente da correggere a casa sia a non dare nemmeno l'ombra di un compito. Non sempre, ma di solito sì. 
A Natale io stacco, e mi sembra più che giusto che anche i miei alunni facciano altrettanto, visto che anche loro hanno una vita da vivere.

Sherlock Holmes:
C'è un solo racconto di Sherlock Holmes ambientato a Natale, ed è il Carbonchio Azzurro - uno dei miei preferiti, tra l'altro, dove tra gli ingredienti  principali c'è un'oca da fare arrosto, ovvero un cibo che mai e poi mai sono riuscita a gustare per Natale e in effetti nemmeno in altri momenti dell'anno, anche se a volte ho avuto il piacere di mangiare le uova di oca (apprezzandole molto).
Però per me Sherlock Holmes è strettamente associato a Natale perché fu proprio a Natale che i miei mi regalarono i racconti, edizione Omnibus Mondadori, e non è raro che a Natale mandino in onda qualche film tratto dalle sue storie.

Star Wars:
Il primo film di Star Wars arrivò in Italia intorno a Natale nel 1977. Da allora i film sono stati trasmessi con una certa regolarità alla televisione sotto Natale, insieme a quelli tratti dai libri di Tolkien e di Harry Potter; ed è stato durante le feste di Natale che con due amiche organizzammo una visione casalinga della prima trilogia. 
Inoltre, il 27 Dicembre di due anni fa la principessa Leia è morta, creando con ciò non pochi problemi alla produzione che aveva appena avviato la terza trilogia e spezzando il cuore a tanti di noi.
Anche l'ultima trilogia è uscita sotto Natale, e quest'anno ho dedicato una certa quantità di tempo a guardare i video orripilati di molti fan che hanno appena visto l'ultimo dei film - che, dopo le loro descrizioni, mi guarderò bene dall'andare a vedere al cinema e avrò cura di scansare anche in televisione.
Nei prossimi giorni potrei anche guardarmi i DVD, visto che qualche anima buona me li ha regalati perché si era comprato i  blu-ray.

Stoviglie:
Nonostante il mio sviscerato amore per le feste di Natale, prima di comprarmi un vero servito da Natale dovrò veramente avere i soldi che mi escono dalle orecchie e la vasca da bagno piena di dobloni d'oro. Nell'attesa di quel felice momento mi limito a qualche sporadico piattino ad agrifogli ricevuto in regalo.
Del resto per Natale vanno bene tutte le stoviglie bianche, quelle bianche con filo d'oro e un sacco di altre varianti compatibilissime con la maggior parte dei serviti buoni in circolazione. 
Al momento il mio servito buono (preso con i punti del supermercato) è bianco con un piccolo bordo a disegni geometrici blu e oro. Direi che va più che benissimo per tutti i secoli dei secoli.

Stuoini:
Ho ben due stuoini di Natale: uno rosso in fibra di cocco che metto davanti alla porta d'ingresso, e che piace molto alle gatte perché ci si possono fare le unghie con grande soddisfazione, e uno più morbidoso che uso come scendiletto.
Li tiro fuori l'8 Dicembre.

Tavola Rotonda:
il ciclo della Tavola Rotonda è strettamente collegato a Natale: proprio a Natale infatti Artù estrasse la spada dalla roccia, iniziando così il suo regno.
Per molti anni in un modo o nell'altro a Natale arrivava in libreria qualche libro arturiano, e se anche era arrivato in altri momenti finivo sempre per comprarlo a Natale, oppure a Natale me lo regalavano - non solo versioni romanzate moderne come quella di Mary Stewart, Le nebbie di Avalon o Re in eterno ma anche testi medievali come i romanzi di Chretien o il Lancelot-Graal; e un anno mio padre mi regalò il Parsifal di Wagner - che però è decisamente più pasquale che natalizio.

Tolkien:
I film de Lo Hobbit uscirono tutti sotto le feste, e per me che li ho molto amati in quegli anni Natale fu doppiamente speciale.


Per il resto, credo che Natale sia l'unico periodo dell'anno in cui non ho mai letto Tolkien, ma non è detto che sarà sempre così.
Ad ogni modo la Compagnia lascia Rivendellm proprio il 25 Dicembre.
"Che strana coincidenza" pensai quando lessi la Cronologia per la prima volta (all'epoca non sapevo assolutamente che Tolkien era cattolico).

Uva:
Indispensabile, nel brindisi di Capodanno, qualche chicco di uva fresca nel bicchiere. 

Vestiti:
A Natale mi vesto soltanto nei colori canonici, con l'unica eccezione del nero, cercando il più possibile di somigliare a un albero di Natale - ogni tocco di glitter dunque è il benvenuto. Non ho un abbigliamento specifico per Capodanno, nemmeno le tradizionali mutande nuove. 
Insomma, a partire da metà Dicembre fino al 7 Gennaio uso solo una parte del mio guardaroba.

Vini: 
A parte l'inevitabile Vin Santo dal quale niuno toscano vivente può scampare, per le feste prediligo i bianchi frizzanti: champagne e spumanti accuratamente selezionati ma anche tutti gli altri. Non sono esperta, ma a scegliere qualcosa di qualità medio-alta ci arrivo e in questo periodo i supermercati offrono sempre ottimi prodotti a sconto.
Naturalmente, quando sono invitata bevo senza far storie qualsiasi roba mi versino nel bicchiere, purché sia di qualità decente. Altrimenti sorrido e spiego "no,grazie,  in questi giorni sto davvero bevendo troppo". 
Durante le feste bevo volentieri anche da sola. Niente liquori, salvo qualche limoncello o mandarinetto fatto in casa - ma del resto di liquori ne bevo ben pochi, a parte la grappa, che ai miei occhi non ha però nulla di natalizio. Unica eccezione: la grappa di rose al ristorante cinese. Peccato che sotto le feste ai ristoranti cinesi ci vada ben poco, anche perché quasi nessuno me lo propone.

Wagner:
Non è un autore molto natalizio e nemmeno granché festaiolo, ma per Natale ho ricevuto diverse sue opere in regalo e mi sembra di ricordare un Crepuscolo degli dei molto, molto bello e commovente visto sotto le feste.

Yule:
Festività germanica di origine decisamente pagana. Comincia col Solstizio d'inverno e termina con la Dodicesima Notte. Oggi con Yule Season si intende appunto il tempo delle feste, ed è più politicamente corretto perché include anche chi festeggia le feste in questione senza essere cristiano.
Quello che nella prima traduzione di Harry Potter è chiamato "il ballo del ceppo" in inglese è "il ballo di Yule".

Zenzero:
Prima della celebre canzone degli Elio e le Storie Tese ignoravo che lo zenzero fosse il vero simbolo del Natale



ma mi hanno convinto facilmente e adesso un po' di zenzero candito lo compro sempre - o lo mangio, quando me lo offrono, e me lo offrono spesso. 
Anche quello va bene nel bicchiere di vino spumante.