Il mio blog preferito

domenica 31 maggio 2020

Come fanno ad Hogwarts? (considerazioni didattiche accampate per aria)

A Hogwarts la didattica ha un approccio piuttosto laboratoriale
Durante la chiusura delle scuole ho pensato molto a Hogwarts. 
Prima di tutto perché ad Hogwarts era già successo qualcosa di molto simile, nel secondo libro Harry Potter e la Camera dei Segreti: dopo un certo numero di ragazzi pietrificati dall'Erede di Serpeverde, Hogwarts viene chiusa e a fine anno gli esami vengono annullati e tutti gli alunni promossi d'ufficio, come comunica Silente durante il banchetto conclusivo, nel gran tripudio generale.
Quando poi è cominciata la Gran Tragedia delle Valutazioni mi sono improvvisamente accorta che ad Hogwarts non fanno mai interrogazioni né verifiche scritte, solo un esame a fine anno. Tuttavia i ragazzi studiano, oh se studiano.
Come funziona?
Le lezioni iniziano sempre con un piccolo riepilogo del precedente e una o due domande alla scolaresca (dove di solito risponde Hermione, ma questo succede nella classe di Harry Potter, che è l'unica che seguiamo dall'interno. Nelle altre classi si suppone che risponderà qualcun altro).
Di solito con la sua risposta Hermione spiattella in sintesi il contenuto della lezione. L'insegnante riprende l'argomento, ci ricama un po' su e mette i ragazzi al lavoro. I ragazzi quindi provano gli incantesimi, tentano di allestire pozioni, invasano piante, cercano di alzarsi in volo sulla scopa eccetera. Unica eccezione il professor Rüf, che spiega monotonamente il suo argomento (non a caso fa storia) e non si è ancora accorto di essere un fantasma, forse perché non sente la differenza rispetto a quando era vivo - ma in effetti Storia è una materia che richiede molte spiegazioni e non puoi chiedere ai ragazzi di allestire una rivoluzione o una carestia, sarebbe scomodo. È probabile comunque che esistano modi più coinvolgenti di insegnarla del metodo Rüf, e so che qualcuno fa costruire castelli e rappresentare investiture cavalleresche. Certo, ci vogliono gli spazi giusti e un po' di materiali - giusto quello che difficilmente si riesce a ottenere.
Alla fine della lezione i ragazzi ricevono i compiti: di solito si tratta di scrivere un saggio di una lunghezza stabilita (in centimetri, non in parole) sulla parte teorica dell'argomento, oppure di lavorare sugli incantesimi e le trasfigurazioni. Nella lezione successiva talvolta si è "interrogati", per esempio mostrando di saper padroneggiare gli incantesimi, e assistiamo a compiti piuttosto concreti - per esempio quando preparano gli schiantesimi, allestendo una stanza ben imbottita di cuscini per il poveretto di turno che così, quando viene schiantato, cade senza farsi male.
Ci sono molti metodi e molte possibilità, e ognuno lavora a modo suo. La professoressa Cooman mette i ragazzi a divinare dai fondi del tè, la professoressa McGonagall fa trasformare vari oggetti, il professor Vicious fa levitare piume e cosa fanno ad Astronomia non è dato sapere, ma stan sempre in osservatorio.
I compiti sono compiti essenzialmente di compilazione: i ragazzi copiano dai libri di scuola, oppure vanno a fare ricerche in biblioteca, a volte lavorando in gruppo. Conta la completezza del lavoro - e, immagino, anche il modo con cui il compito è strutturato. Le valutazioni fioccano numerose ma sono spesso il risultato di un duro lavoro tra salamandre, ippogrifi e mandragole urlanti.
In Italia abbiamo ministri che straparlano di laboratorietà senza pagare i laboratori, e le valutazioni sono rigorosamente divise tra scritte e orali ("almeno due valutazioni scritte e due orali per quadrimestre" si raccomandò a Gennaio la preside prima degli scrutini, beatamente ignara del fatto che alcune materie sono soltanto orali, qualsiasi cosa ciò voglia dire). E, arrivati alla didattica a distanza molti si sono lamentati di avere problemi a interrogare a distanza. E se leggono sul libro? E se da dietro gli suggeriscono? Corre voce che qualcuno abbia perfino fatto bendare gli alunni prima delle interrogazioni, ed è una vera fortuna che esistano tanti ragazzi di animo così gentile e disponibile da accettare di adattarsi a questa roba - non so cosa avrei detto io alla proposta di farmi interrogare bendata, ma dubito davvero che sarebbe stata una risposta cortese, e sospetto anche che avrebbe un po' abbassato il mio voto di condotta.

Molti insegnanti hanno cercato di continuare "nello stesso modo", salvo lamentarsi che non funzionava granché. Altri si sono dati alla libera invenzione mandando a ramengo le vecchie regole e consuetudini, che indipendentemente dal risultato (per quanto ne so, spesso piuttosto buono) è sempre una buona cosa.
(Quanto agli insegnanti dell'alberghiero, giunti alla preparazione di soufflé e pasticcini, non so cosa hanno detto ma credo non siano parole adatte ad un ritrovo di gente educata. Purtroppo nessuno di loro tiene un blog o una pagina su Facebook, e mi dispiace assai).

Comunque questo è un post che non va da nessuna parte in particolare, semplicemente mi andava di scriverlo.

venerdì 29 maggio 2020

Portami il diario. La mia scuola e altri disastri - Valentina Petri


Quando aprii il blog eravamo un bel gruppetto di insegnanti, soprattutto delle medie, in gran parte di Lettere, che ci rimbalzavamo racconti, esperienze e commenti. I miei punti di riferimento erano LaProf, da qualche anno scomparsa senza lasciare recapito, La Noisette, riaffacciata da poco in occasione della malefica Didattica a Distanza e Milady.
Milady teneva un salotto, ora scomparso dalla rete ma di cui si trova ancora traccia navigando con ostinazione. Raccontava un precariato abbastanza avventuroso e classi abbastanza feroci. Dal mio tranquillo paesello di campagna seguivo con grande interesse le sue avventure, intervallate da spassose trame di opere liriche e spiccioli di vita quotidiana: era una Milady di frequentazioni d'artagnane e suo marito, ovviamente, si chiamava Athos.
Poi anche Milady (come La Noisette) dirazzò e passò alle superiori, nel complesso e faticoso mondo degli istituti tecnici, dove l'insegnante di Lettere deve guadagnarsi la vita e soprattutto l'attenzione delle classi frusto a frusto, senza che niente le sia garantito per contratto. Continuò ad allietarci con i suoi racconti ed era chiaro che in mezzo a quella bolgia ci stava come un topo nel formaggio.
Poi un bel giorno migrò su Facebook, lasciandoci il recapito (che è tuttora sul mio blogroll, colonna a destra, se voleste servirvi).
Misi subito il Like di rigore e continuai così a seguire le sue avventure scolastiche, dalle quali ahimé Athos era scomparso, così come l'Erede, ovvero la graziosa fanciullina nata da sì letterario connubio: e non c'erano più nemmeno le opere liriche, anche se sembra che adesso la signora stia seriamente pensando di aprire una rubrica a loro dedicata.
Su Facebook la non più Milady, ormai Portami il diario fece un salto non tanto di qualità (che era già altissima) bensì di pubblico, e da blogger di nicchia - una nicchia ben nutrita, comunque - passò, in crescita esponenziale, a contare i  lettori in decine di migliaia. Così a qualcuno che lavorava a Il Fatto Quotidiano venne in mente di contattarla e adesso l'ex-Milady tiene una brillante rubrica dedicata alla scuola, che si contraddistingue per la vivacità e la pertinenza dei suoi articoli e per la balordaggine assoluta dei commenti che raccoglie (e per una volta Facebook batte la carta stampata 30 a 0, perché lì i commenti sono molto sennati oltre che divertiti).

Poco dopo Portami il diario venne contattata anche da qualcuno che lavorava alla Rizzoli e furono presi accordi per un romanzo. Che cosa mai poteva andare storto?
Nel romanzo niente, certo; ma questo è un anno, come dire, con caratteristiche molto particolari; e così il primo romanzo di Portami il diario (che nel frattempo aveva ripreso la sua legittima identità di Valentina Petri) sarebbe dovuto uscire in quel di Marzo ed essere presentato al pubblico in librerie ed eventi vari ma l'uscita è stata rimandata di due mesi causa totale chiusura delle librerie e blocco delle rotative, ed è stato pubblicizzato con una serie di Presentazioni a Distanza rigorosamente prive di contatto umano*. Nonostante questo le vendite non devono essere andate malissimo, perché a una settimana dall'uscita era già in ristampa.
Un sospetto in merito mi era già venuto quando avevo chiamato in libreria al secondo giorno dall'uscita per chiedere che me lo procurassero.
"Ce l'abbiamo, puoi venirlo subito a prendere" aveva detto la libraia festosa "Vado a mettertelo da parte".
È poi tornata spiegando che ce l'avevano, sì, ma poi lo avevano anche venduto e quindi non lo avevano più e dovevo ripassare a settimana nuova quando ne avrebbero ricevuto nuove copie.
Così ho fatto, e adesso mi accingo a dare il mio minuscolo contributo per incrementare le vendite della ristampa presentandolo al Venerdì del Libro di Homemademamma - vendite che, nonostante il mio apporto, sembrano comunque destinate ad andare piuttosto bene. 

Il libro costa 18.00 euro, un prezzo tutto sommato accettabile per 400 e passa pagine discretamente fitte. Sulla copertina sorvolo pietosamente, ma so che a qualcuno è piaciuta - e naturalmente richiama le copertine del Diario di una schiappa
Personalmente la trovo angosciosa - al contrario del libro che è molto solare.
La Rizzoli però poteva ben degnarsi di mettere un indice, in cambio di diciotto euro, visto che il romanzo è diviso in capitoletti, molti e numerati, ognuno con il suo bravo titolo, e spartito per mesi. 
Perché un romanzo ambientato a scuola nel corso di un anno scolastico, chiaramente, va diviso per mesi. Come potrebbe essere altrimenti?

Quanto alla trama, si racconta in fretta. Il libro è ambientato a scuola e parla di scuola, la protagonista è una giovane insegnante che racconta il suo primo anno in un tumultuoso istituto tecnico e che stabilisce con le sue varie classi un rapporto tutto sommato positivo dove la sindrome di Stoccolma gioca un bel ruolo. Parte dell'intreccio è dedicato anche alla rappresentazione di uno Shakespeare assai alternativo: no, non un dramma di Shakespeare, bensì tre storie di Shakespeare frullate insieme fino a tirarne fuori un lieto fine. Il copione della commedia è poi fornito in una sorta di appendice e già da solo vale il prezzo del libro; giusto per dire che non è un obbligo mettere sempre in scena i Promessi Sposi, si può anche cercare qualcos'altro.
La non-storia è scritta nel classico stile di Milady, con un particolarissimo miscuglio di ironia e di realismo che ha sempre goduto di gran successo tra i suoi lettori e che personalmente mi ricorda un po' Pratchett (che per me è un grandissimo complimento, ma immagino che non significhi molto per chi non ha mai letto Pratchett). 
La protagonista però non è l'insegnante, che racconta in prima persona quel che vede, e non sono nemmeno i ragazzi, quella meravigliosa schiera di pestiferi alunni uno più adorabile dell'altro, e che sono fotografati e riprodotti su lastra d'argento con una rara capacità nonché dotati di soprannomi altamente descrittivi quanto indimenticabili (ce li ricordiamo tutti, credo, i leggendari soprannomi di Milady. Molti blogger han tentato di imitarli, di solito con risultati su cui è cortese sorvolare. Davvero, dare un soprannome ad un alunno è un serio affare, non un passatempo per bagnanti oziosi).
La protagonista è la Scuola, ed è per questo che il romanzo è adorabile e può essere letto tutto di fila, o a ritroso, o a spizzichi e carotaggi o come accidente vi pare: perché la Scuola è sempre sé stessa, sempre immutabile e sempre in continuo cambiamento e cresce e muta aspetto ad ogni istante, come quelle figure mitologiche che danzano e sotto i loro piedi nasce e rinasce il mondo.
Esistono molti romanzi ambientati a scuola, per ragazzi e per adulti. Ce ne sono di didascalici, di avventurosi, di saccenti, di boriosi, di missionari. Quelli per ragazzi talvolta possono essere molto buoni**. Quelli per adulti di solito suonano falsi come la proverbiale moneta da tre euro perché sono molto preoccupati di dare un senso e di trasmettere un messaggio. La scuola è buona o cattiva? È repressiva o maestra di vita? Gli adulti sanno porsi come modelli o sono in realtà più cattivi degli scolari? Ma soprattutto, qual è il modo giusto di portare avanti il discorso?

Tutto ciò non ha il minimo senso nel momento in cui un essere umano di questa terra si pone in veste di docente davanti a un gruppo di altri esseri umani di questa terra, più giovani, radunati in un gruppo che per convenzione si chiama "classe" ma è in realtà una creatura vivente che contiene in sé molto più che la somma dei suoi componenti.
La società (il Potere, se preferiamo chiamarlo così) stabilisce che gli adulti abbiano determinate funzioni e insegnino una determinata quantità di cose (non sempre e soltanto nozioni, "cose" di vario tipo: metodi di lavoro, tecniche, criteri di giudizio); a questo scopo si elaborano infinite quantità di regole e linee guida e modalità, cercando di aggiornarle e migliorarle in continuazione, e si cerca di insegnarle agli insegnanti (che di solito scalpitano perché gli sembrano per lo più grandissime cazzate).
Poi, le cose vanno come gli pare. La scuola è una centrale atomica in continua ebollizione. La scuola è un processo alchemico di perenne trasformazione che a volte produce piombo, a volte oro, a volte quegli strani composti chimici che non sono né piombo né oro ma sono utilissimi per cose del tutto imprevedibili e che devono ancora essere inventate. La scuola va come gli pare, perché si tratta di qualcosa che è composto da esseri umani, ognuno dei quali funziona a modo suo; e questo vale sia per gli alunni che per gli insegnanti (ma sarebbe il caso di ricordare che il processo riguarda anche molti custodi e perfino qualche preside).

Siamo piene di storie in cui intrepidi e carismatici insegnanti affrontano con consumata abilità classi turbolente e intrattabili, instradandole sulla retta via, e risvegliano classi addormentate dalla noia riportandole a nuova vita; e parimenti abbondiamo di storie dove impavidi alunni affrontano valorosamente insegnanti crudeli sconfiggendoli lealmente e talvolta eroicamente oppure infondono nuova linfa ed entusiasmo in insegnanti disillusi e abbrutiti. Tutto ciò è molto gratificante da leggere o da veder raccontato su pellicola ma la scuola è un meccanismo molto più complicato di così - più un posto dove le pecore vanno rassomigliando ai pastori e i pastori alle pecore, per citare Barbalbero, in una continua interazione che non si sa mai dove va a finire e che a volte cambia direzione senza un apparente perché - anche se, naturalmente, un perché c'è sempre.
Valentina Petri ha scelto di raccontare quella scuola, perché è l'unica che conosce e che le sembra valga la pena di raccontare. Non ci sono ragazzi sbagliati da redimere, campioni da esaltare o modelli sociali da discutere, solo un vasto campionario di umanità a tratti decisamente incomprensibile e di cui è difficile capire l'esito a meno che tu non sia Dio nel suo massimo fulgore. Ma in quelle quattrocento e passa c'è la scuola vera, in tutta la sua disperante imprevedibilità e nella sua imprevedibile capacità di farsi male e guarirsi da sola.
In quelle pagine dove l'insegnante annusa la classe entrando e sa giù se potrà o non potrà fare la lezione che ha progettato, magari con qualche aggiustamento, o dovrà giocare carte completamente diverse; dove la classe ha reagito di malagrazia a una qualche proposta apparentemente allettante, e dopo averci sputato su per giorni e giorni conclude svolgendo un impeccabile lavoro; dove i Preziosi Insegnamenti scivolano giù dal lavandino senza lasciar traccia e altri - probabilmente altrettanto Preziosi ma serviti per caso, sbadatamente o senza un perché (anche se naturalmente, un perché c'è sempre) sortiscono effetti del tutto insperati, dove qualcosa produce frutti completamente diversi da quelli previsti, o dove un alunno lascia scivolare una frasetta casuale che fa capire all'insegnante che sta sbagliando tutto e che probabilmente avrebbe fatto meglio a non essere mai nato; dove seguiamo gli sviluppi di quelle bellissime iniziative avviate nel plauso corale, organizzate con ogni cura e dove circostanze impreviste conducono a disastri epocali (e lì davvero a volte non c'è un perché, solo una grandissima sfiga che come è risaputo ci vede benissimo); dove assistiamo a improvvise gratificazioni piovute assolutamente dal cielo senza un perché (e non starò a ripetere che naturalmente un perché c'è sempre, ma vai a capire qual è) - ecco, quelle pagine (più di quattrocento, insisto) sono scuola, nella sua più pura e incomprensibile realtà.
In conclusione, si tratta di un libro altamente consigliato a chi lavora nella scuola, a chi la frequenta, a chi con la scuola ha avuto a che fare almeno qualche volta nella sua vita ma anche a chi della scuola se ne frega nel più completo, totale e assoluto dei modi: un libro dove c'è molto da imparare ma anche parecchio da divertirsi.
Un libro, ahimé, che sarebbe stato davvero adatto ad essere letto nel corso della lunga e cupa quarantena appena passata. Ma funziona bene anche così.
Funziona bene comunque perché ci ricorda che il mondo è in continua costruzione e vivendo c'è sempre molto da imparare, a tutte le età.

*ne trovate in abbondanza a semplice ricerca, comunque sono tutte segnalate nella pagina di Facebook. Io non ho ancora avuto tempo di guardarne nemmeno mezza, ma conto di recuperare qualcosa nel ponte prossimo venturo, dove almeno la pianteranno di fissarmi riunioni e prescrutini.
** poniamo, quelli di Harry Potter, ma ce ne sono anche altri.

giovedì 28 maggio 2020

Ricevimento Genitori, ovvero sugli Svantaggi della Didattica a Distanza

...perché certe volte tutto è davvero molto complicato
(L'autrice di questo bel disegno è Monokubo)
L'ora di ricevimento non è mai stata un peso per me.
Qualche volta ho dei genitori e qualche volta no, e qualche volta arrivano a intermittenza; ma non è mai tempo perso: in Sala Insegnanti c'è sempre qualche scartoffia da riempire, qualche chiacchiera da scambiare, qualche verifica da correggere o da preparare, qualche lezione da ripassare e, da quando curo la biblioteca, anche qualche scatolone di libri vecchi da riporre. Per male che vada, si può sempre aggiornare il registro o riordinare il cassetto. Se i genitori arrivano invece si fa conversazione, cercando di metterli a loro agio e allungando bene le antenne: c'è sempre tanto da imparare, conversando con loro, e non di rado si raccolgono gustosi aneddoti che serviranno a intrattenere famiglia e amici nelle lunghe serate d'inverno accanto al caminetto.

Per quanto ne so, al tempo del coronavirus la maggior parte delle scuole ha sorvolato con eleganza sulla questione del ricevimento dei genitori sospendendolo di fatto. D'altra parte ormai siamo in trappola e i genitori riescono a contattarci agevolmente via mail a qualsiasi ora del giorno e della notte, per tacere del fatto che siamo soprattutto noi a braccare loro in cerca delle nostre scolaresche disperse stanandoli con pazienza e aggirando con abilità qualsiasi intralcio legato a difficoltà di collegamento o carenza di supporti informatici. Insomma, tra tutti i difetti che si possono imputare alla Didattica a Distanza dobbiamo ammettere che non c'è quella di avere allentato il contatto con le famiglie degli alunni - con alcune, per lo meno.
Tuttavia, quando un rappresentante dei genitori ha chiesto che riprendesse il ricevimento,  la cosa è stata prontamente accordata - ma non certo condotta agevolmente.
Faticosamente è stato costruito un orario di ricevimento. Faticosamente sono state elaborate le procedure che, non ho capito bene perché, tiravano di nuovo in ballo il Registro Elettronico, dove a suo tempo era stato elaborato un sistema di appuntamenti da prenotare in una finestra di 48 ore - poniamo, se io ricevevo alle nove di Mercoledì essi dovevano prenotarsi nelle 48 ore precedenti, né prima né dopo, e invece per il ricevimento generale avevano una settimana MA a partire esattamente da mezzogiorno e che chiudeva il giorno prima e...
(Poi finiva sempre che qualcuno arrivava all'ultimo momento e chiedeva di essere ricevuto, di solito con successo. Oppure ti guardava con fare invitante, se per caso ti trovava in Sala Insegnanti e, come si suol dire "ci provava": sa, vedo che è libera/o, se potessi avvantaggiarmi... Non ricordo che abbiano mai incassato un no, anzi talvolta eravamo noi a sfarfallargli intorno chiedendo "Vuole venire anche da me? In questo momento sono disponibile" manco si trattasse di raccattare clienti per arrotondare la paga. Ma per una giusta causa si fanno anche le marchette).

Il Ricevimento a Distanza è una roba complicatissima e altamente ansiogena, almeno per me.
Alla scuola media di St. Mary Mead ora funziona che prima di tutto il genitore si prenota nei due giorni canonici nel registro elettronico nel vecchio registro, non su quello nuovo. Poi l'insegnante va a vedere sul vecchio registro elettronico, scopre che A, B, C e D si sono prenotati per parlare con lui e allora gli preparava un appuntamento sulla classe elettronica della piattaforma dandogli l'ora e una finestra di pochi minuti.
E ci sono così tante possibilità di sbagliare... posso sbagliare l'ora, la classe, fissare due appuntamenti in contemporanea e scoprirlo troppo tardi, sbagliare il giorno (queste ultime due le ho fatte davvero, anche se solo una volta per una) e ogni volta che il genitore di turno si presenta il sollievo è tale che sono già stanca e mi riesce difficile avviare una conversazione decente, sempre con l'occhio all'orologio per non sforare ché poi c'è quello dopo che aspetta.
Il genitore di turno, temo, non è molto più a suo agio di me, e anche lui/lei è abituato a climi più rilassati e a situazioni più agevoli. Ci tapiniamo un po', scambiamo qualche ovvietà, deprechiamo la situazione presente... niente a che vedere con un colloquio serio.
E non sempre va tutto liscio, perché la rete è instabile e talvolta infida e anche per loro ci sono ampie possibilità di sbagliare - e infatti qualcuno ha sbagliato e qualcuno si è trovato di punto in bianco senza banda.
Da ieri dovrebbe essere finito, vivaddio. E spero proprio di non ritrovarmici mai più.
Immagino che valga anche per loro.

domenica 24 maggio 2020

Il complesso ma affascinante mondo dei compiti a casa - Guida per l'aspirante Bravo Insegnante

I gentili lettori sono avvisati: questo non sarà un post molto divertente, anzi è soporifero in sommo grado
(nessuno comunque vi obbliga a leggerlo, a meno che non soffriate di insonnia.
Nel qual caso sì, direi che almeno  un tentativo lo merita)
"Affascinante 'na sega" sbufferebbero tutti gli alunni del mondo a una voce se per avventura passassero di qua (il che, per loro fortuna, è più che improbabile)
"Affascinante 'sto par de cojoni" ringhieranno alcuni genitori approdati per caso su queste rive. Non tutti però, solo i più malaccorti. Perché la prima regola dei compiti a casa è che il genitore non dovrebbe impicciarsene né tanto né poco: i compiti a casa degli alunni infatti sono, per definizione, degli alunni. 
Se tuttavia gli alunni non riescono a farli il genitore può utilmente collaborare in due modi:
1) suggerire alla sua prole di parlarne con l'insegnante
e se il problema persiste, dopo qualche settimana
2) parlare con l'insegnante per chiedergli francamente se la creatura non ha per caso a suo avviso qualche disturbo di apprendimento e regolarsi in base alla risposta. Magari l'insegnante è idiota o ha le traveggole, certo, può essere - nel qual caso una visita andata buca da un medico del settore andrà aggiunta alle tante seccature che il mestiere di genitore include; ma è il classico caso in cui è meglio essere troppo apprensivi che fregarsene perché se il problema esiste non passerà da solo.
Una cauta opera di sorveglianza da lontano mentre la creatura di cui sopra compiteggia può essere rassicurante per lei (e per il genitore); una amichevole risposta a un dubbio può essere un modo come tanti di comunicare; una paziente opera di ascolto della lezione su richiesta della prole può essere uno dei tanti balzelli che la vita ti impone di pagare per goderti le gioie della genitorialità. Fine.
I compiti a casa riguardano solo due categorie di persone: gli insegnanti e gli allievi. Qualche volta anche i pasticceri, se i figli sono creature socievoli e amano ritrovarsi tra amici per svolgerli insieme (nel qual caso una merenda si impone) e se il genitore ospite non sa fare le torte o gli sta fatica imburrare tramezzini, è giusto che si rivolga agli addetti del settore senza inutili sensi di colpa: un genitore è un genitore, non una macchina da cucina.

Spostiamo l'obbiettivo sui compiti, lasciando in pace le famiglie e le loro abilità culinarie.
I compiti nascono con il più o meno lodevole scopo di permettere agli alunni di assimilare quanto gli è stato rifilato a scuola - che magari a volte sono sciocchezze o cose inutili, ma questi son argomenti da discutere altrove e tra specialisti. Come tutti, anch'io ho un bel po' di teorie in merito (e per "tutti" intendo proprio tutti, anche quelli che con la scuola hanno cura di averci a che fare il meno possibile. E anche loro hanno diritto alle loro libere opinioni in proposito). Quindi lascio da parte tutte le opinioni sull'effettiva utilità dell'apprendimento mnemonico delle tabelline, dello studio della storia romana o della genetica e via dicendo - ripeto, tutte opinioni lecite e rispettabili ma non è di questo che stiamo parlando.

I contenuti si assimilano nei più vari modi. Ci sono compiti più noiosi dei giorni di pioggia, ci sono compiti divertenti e gradevoli. Puntare su una categoria o sull'altra a a che fare soprattutto con il rapporto che il singolo insegnante ha con il piacere, che a sua volta si lega al rapporto che il suddetto insegnante ha con la vita e con il sapere. Chi ritiene che solo una grandiosa ipertrofia testicolare conduca ad un giusto apprendimento non esiterà a dare compiti noiosi noiosi, convinto con ciò di fare il bene dell'alunno onde instillargli senso del dovere, disciplina e instradarlo all'esercizio di quell'utilissima virtù che è la pazienza. Altri, più goderecci e portati ad associare all'apprendimento emozioni piacevoli come il gusto della scoperta e il divertimento, cercheranno di darne di vari e di divertenti. 
A questo proposito occorre comunque ricordare che, se è vero che le emozioni piacevoli sono un fissante di grande rilievo per la memoria, questo vale anche per le emozioni negative quali la noia, l'esasperazione e il dispetto - e infatti anche gli insegnanti più goderecci assegnano talvolta compiti noiosissimi e interminabili, e anche gli insegnanti più puritani scodellano a sorpresa compiti variegati e divertenti: il Sapere, invero, è un grandissimo Mistero, e come tutti i veri Misteri ci sono molte strade che vi conducono, e molte porte per entrarvi e nemmeno i saggi conoscono tutte le risposte - per fortuna, vien da dire. Inoltre non tutte le classi reagiscono nello stesso modo: un gruppo di alunni dotati di ambizione, apertura mentale e salda autostima non avrà paura di divertirsi facendo qualcosa per la scuola e un compito insolito non li spaventerà - mentre alunni di mentalità più convenzionale e meno interessati alle scoperte affronteranno con diffidenza e leggerezza un compito dall'apparenza meno seriosa, e se ne faranno sfuggire l'utilità svolgendolo in modo trascurato e assai cialtronesco. In teoria è proprio ai secondi che dovresti dare i gadget più divertenti e riservare le idee più brillanti - ma andranno prima convinti e rassicurati che anche tu sai essere un insegnante noioso come tutti gli altri, prima che si azzardino a prendere sul serio un compito non troppo pedante.

La prima e indispensabile regola perché i compiti vengano presi sul serio è correggerli con grande accuratezza e pazienza e soprattutto controllare sempre che siano stati fatti, almeno nei primi tempi. Se la classe tende allo scioperato andante, conviene partire da dosi leggere, quasi omeopatiche, elargire votacci con grande liberalità una volta appurato   che non sono stati fatti, sopportare con infinita pazienza e dolcezza la torma di genitori che verranno in processione a lamentarsi di tutto ciò (perché una classe scioperata ha spesso alle spalle famiglie iperprotettive), persistere nei votacci e aspettare; e quando i compiti minimali cominciano ad essere svolti (il che a volte comincerà ad avvenire solo dopo il primo giro di colloqui con le famiglie o addirittura dopo la prima scheda di valutazione, ma solo se il voto è estremamente basso - insomma, quattro) alzare gradualmente il carico fino ad arrivare a dosi normali: in sintesi, la buona vecchia regola della bollitura della rana. Nel frattempo, può essere utile assegnare in classe esercitazioni molto facili, dove tutti possano ottenere in un modo o nell'altro valutazioni decorose: dopo qualche quattro un sei può talvolta sortire effetti miracolosi e perfino innescare una perfetta sindrome di Stoccolma. Capisco che possa sembrare una procedura a tinte sadiche ma, come si dice in questi casi, è per il loro bene.
Tutto questo può essere molto complicato quando si tratta di insegnare quelle che io chiamo "materie a trama" (come Matematica o le lingue straniere, dove senza certe basi non si va avanti; mentre alla fine Italiano è una lingua che l'alunno recupera quando vuole e decide di occuparsene, come Storia e Geografia).

La seconda regola consiste nel dare compiti impossibili da copiare, o che anche se "copiati" sortano comunque il loro effetto.
Poniamo di fare una poesia come A Zacinto. Si può assegnare una parafrasi scritta, e a quel punto parecchi rimedieranno con facilità perché una ricerca in rete può fornire in circa mezzo secondo ad andare lenti una buona decina di ottime parafrasi e qualche ventina di parafrasi scadenti - e sotto quest'ultimo aspetto alcuni siti di soccorso per gli alunni sono una vera iattura (ricordo che una volta diffidai apertamente una classe dal ricorrere a non so quale sito e finii con l'indirizzarli verso uno molto più affidabile - perché ce ne sono anche di molto buoni. Diciamo che provai a vincerli di cortesia. Una operazione di questo tipo può col tempo convincerli che sei una persona seria e che non conviene cercare di prenderti in giro. Succede solo con classi sprovvedute, certo. Ma una classe non troppo sprovveduta di solito fa la parafrasi, salvo magari controllarla in rete per sicurezza).
Oppure si può aggirare la questione della parafrasi - per esempio facendo leggere la poesia ai casi sospetti, e una volta avuta la prova con la lettura che chi legge non ha idea di cosa sta leggendo, partire con le domande: perché le sponde sono sacre, che significa inclito e chi è che scrive l'inclito verso eccetera. Dopo un paio di pubbliche figure di palta (e di relativi quattro) l'alunno, piuttosto seccato, finirà per cercare almeno di appiccicare la parafrasi con un po' di criterio, e a quel punto lo scopo del compito è conseguito.
Oppure si può far leggere la parafrasi ad alta voce, chiedendo a quali versi si riferisca, a quali espressioni corrisponda questo quel verso eccetera. Se il malcapitato si è limitato a copiare passivamente dalla rete non saprà rispondere, altrimenti vuol dire che in qualche modo alla fine la parafrasi l'ha fatta - senza usare la vostra, ma pazienza.
(Tutto ciò non è particolarmente gentile verso Foscolo, che quando scrisse A Zacinto aveva ben altri scopi in mente che quello di tormentare poveri ragazzi nei secoli a venire, e può darsi che dopo questa disastrosa esperienza di lacrime e sangue molti dei ragazzi non ne serberanno un gran ricordo. Se volete puntare solo sul piacere che può dare questa bellissima poesia, conviene limitarsi a leggerla e spiegarla, non dare compito alcuno e chiudere lì la questione: ha comunque un bel suono e delle parole molto suggestive*).

Oppure avete fatto la Rivoluzione Francese. Sapete che in quella determinata classe solo quattro o cinque alunni sono in grado di rifilarvi una bella interrogazione distesa sulla Rivoluzione Francese, che è argomento complesso e irto di date e di avvenimenti, e ognuno di questi candidi cigni ha già tre voti. Tuttavia, com'è comprensibile, desiderate che in qualche modo la Rivoluzione Francese resti impressa e sia conosciuta e compresa almeno a grandi linee.
Se volete puntare sulla memorizzazione potete fare una serie di interrogazioni programmate, una pagina per alunno. Ognuno studierò bene solo la sua, ma sentirla ripetere nel complesso sarà un utile esercizio di esposizione.
Oppure potete dare delle domande scritte da fare a casa. Qualche amante delle scorciatoie cercherò un riassunto a sintesi della Rivoluzione Francese (magari quello che c'è a fine capitolo del libro, oppure qualcosa in rete) ma alla fine sempre sulla Rivoluzione Francese lavorerà, volente o nolente. Oppure potete chiedere una cronologia, e per farla dovranno sfogliare e risfogliare quelle maledette pagine; o un riassunto: "La Rivoluzione Francese in 10 tappe, lunghezza massima quaranta righe", ed eccogli servito su un piatto d'argento un utile esercizio di sintesi. Se poi lo fate leggere in classe i poveretti ne ascolteranno una ventina di versioni diverse, e alla fine, stante che le gocce scavano le pietre, i concetti di base li avranno pur assorbiti, anche se per un malefico caso avessero trovato in rete proprio una sintesi in dieci punti della lunghezza richiesta (cosa pur sempre possibile) - e in quel caso avranno anche conseguito il bonus supplementare di  essersi dovuti leggere con cura la sintesi da copiare per controllare che rispondesse in tutto e per tutto ai requisiti richiesti e di essersi cimentati in una ricerca più particolareggiata. D'altra parte, anche quella che trovano sul libro di testo è una sintesi, ben lungi dall'essere perfetta, e per loro si tratta pur sempre di lavorare su materiale premasticato.
Ma potete anche scovare un breve video sulla Rivoluzione Francese e chiedergli di riassumerlo in cinque, sette o quale altro numero vogliate di punti. Se vorranno copiarlo da un compagno, dovranno ritoccare il testo per impedire che scopriate l'inghippo (se non si preoccupano di farlo c'è sempre il buon vecchio quattro a soccorrere l'insegnante in ambasce, e magari una interrogazioncina supplementare di recupero).
Oppure potete fargli fare una scheda individualizzata da leggere in classe dedicata a un singolo personaggio - con la Rivoluzione Francese si può fare tranquillamente anche con le classi più numerose. Lì si parte già dal presupposto che copieranno, o meglio dovranno cercarsi delle fonti; in rete, in questi barbari tempi, ma anche alla biblioteca comunale o dello zio Rodolfo in tempi più gentili.

Terza e ultima regola: i compiti si danno tenendo conto di quel che serve alla classe. Sono un po' incolti e devono sgrezzarsi? Conviene puntare spesso su compiti di ricerca, che gli apriranno nuovi mondi.
Espongono da cani? In quel caso anche le interrogazioni programmate hanno un loro perché.
Ripetono meccanicamente imparando a memoria? Conviene chiedergli l'argomento partendo da una prospettiva particolare.
Scrivono da far pena? Si danno soprattutto compiti scritti, attingendo da qualcosa che ben difficilmente può essere fatta da altri che da loro - magari lezioni preparate a tal scopo che dovranno riferire.
La punteggiatura questa sconosciuta? Si chiede un testo formato da un numero x di frasi che contenga anche almeno una domanda e due esclamazioni, legato a qualche argomento fatto in classe - in questo caso si possono agevolmente acchiappare due materie con una fava, e in più dare anche una mano all'insegnante di italiano.

Domanda: "ma tutta questa gran mole di compiti non sarà troppo lunga e faticosa da gestire?"
Caaaalma, nessuno ha parlato di una gran mole di compiti. Mica gli vanno dati tutti i giorni.
Non c'è da temere: nessuna classe a memoria d'uomo è mai morta di inedia per eccessiva scarsità di compiti. Essi compiti non devono essere troppo frequenti né troppo assidui, anzi il sovraccarico va evitato con cura - anche perché finisce per danneggiare soprattutto i più bravi e coscienziosi, ovvero quelli che i compiti li fanno sempre e comunque, crollasse il mondo. Inoltre non è sempre necessario correggere quelli che vengono letti in classe.

Altra possibile domanda: "non so perché, da qualche tempo avverto l'irresistibile tentazione di fargli fare qualcosa di assai monotono, tipo scrivere tutto il paradigma del verbo essere. Cosa vorrà dire?".
Risposta scontata: è noto che non fa mai bene resistere troppo alle tentazioni; inoltre, se una pensata così pallificante per tutti si è fatta strada, probabilmente c'è il suo bel motivo. Un po' di noia non ha mai ucciso nessuno - e magari tanto si annoieranno che impareranno a usare quel povero verbo in modo adeguato e corretto, non fosse che per la paura di dover rifare di nuovo un sì palloso compito. Dopotutto la vita non è solo un giardino di rose eccetera eccetera.

* E comunque mai dire mai: ricordo di una classe che si arrabattò malamente con In morte del fratello Giovanni tanto che alla fine chiesi scusa pubblicamente dicendo che avevo mancato verso di loro e verso Foscolo e che mai più avrei fatto una cattiveria tale a dei poveri ragazzi e a un sì bravo poeta. Mi guardarono stupiti e molti dissero che no, in realtà la poesia gli era molto piaciuta anche se era effettivamente risultata difficile. Vai a sapere.

giovedì 21 maggio 2020

Il MIUR ai tempi del coronavirus

La prof. Murasaki ha appena letto l'ultima sparata del MIUR
(queste belle micione sono nientemeno che due Tigri Reali del Bengala, animali simbolo del Bangladesh nonché specie protetta perché in via di estinzione)
Strano ma vero, durante il furoreggiare dell'epidemia nessuno se l'è presa con gli insegnanti. Anzi, in tanti hanno detto che siamo stati eroici e si sono sperticati a lodare la nostra dedizione al lavoro.
Per quanto i complimenti facciano sempre piacere e siano di grande aiuto e conforto in tempi di emergenza, ho finito per trovarli un po' eccessivi. È vero che in tanti ci siamo dati un gran da fare. È vero che è stato tutto molto faticoso e complicato e che ci siamo dovuti reinventare il lavoro, improvvisando nuove tecniche e modalità di insegnamento e tutto questo genere di cose. È ancor più vero che lo sconforto e le complicanze sono state davvero molte, ma in somma delle somme è successo a tanti di doversi reinventare il lavoro, così come a molti è successo di perderlo, il lavoro - e questo immagino che sia stato molto più sconfortante. Noi il lavoro l'abbiamo mantenuto, nessuno ci ha mandato in cassa integrazione  e il nostro stipendio, per quanto magari non molto alto, è continuato ad arrivare, e  son cose che fanno piacere quando hai l'abitudine di mangiare tre volte al giorno e delle bollette da pagare.
Ci sono stati dei contrattempi, questo sì. Non sto parlando solo del collegamento che non sempre è stato all'altezza della situazione, anche se in tanti abbiamo imparato a scrutare il cielo perché se pioveva la connessione andava in crisi.
Sto parlando del MIUR.
Perché noi insegnanti facciamo capo al Ministero Istruzione, Università e Ricerca. Purtroppo.

È vero, il MIUR c'era anche prima del coronavirus (purtroppo) e ben raramente la cosa è stata per noi di un qualche conforto. In queste circostanze però si è rivelato, come dire, un tantino inadeguato.
D'accordo, il mondo è impazzito, il governo ha avuto i suoi inciampi, i numerosi enti locali hanno avuto i loro bravi problemi. Non discuto.
Ma il Ministero Istruzione, Università e ricerca, davvero, non si è dimostrato all'altezza della situazione. 
Chi parla male del MIUR lo fa perché non lo conosce, perché se lo conoscesse ne parlerebbe assai peggio. 

Molte attenzioni e molte interviste sono state dedicate all'inizio del futuro anno scolastico, con proponimenti tanto surreali quanto vaghi, grazie anche all'ineffabile task force nominata dal MIUR - una accolita di sconsiderati quali raramente se n'è vista di uguali, se anche solo la metà delle sciocchezze filtrate attraverso indiscrezioni, voci di corridoio, interviste ai giornali e alla televisione ed esternazioni varie sui social sono almeno vagamente rispondenti a quanto da loro effettivamente detto e teorizzato.

Improvvisamente ci si è accorti che la dimensione ideale di una classe è di 10-12 alunni. Pare anzi che ci fosse chi lo diceva da (nientemeno) dieci anni. 
Personalmente ritengo che, almeno alle medie, la dimensione ideale di una classe vada dai venti ai ventiquattro alunni e che già quando siamo a diciannove la classe tenda a smorzarsi e a deprimersi; ma è una teoria come tante.
Di sicuro, nell'istruzione italiana, non abbiamo assolutamente nulla che si avvicini a questo fantomatico modello di classe ideale, anzi gli ultimi provvedimenti legislativi in merito (che risalgono a più di dieci anni fa) hanno alzato l'asticella sopra i trenta alunni per classe. Da allora nessuno è più intervenuto.
Adesso scopriamo che nemmeno dimezzando le attuali ed esistenti classi otterremmo qualcosa di almeno vagamente simile ad una classe ideale.
In compenso nessuno ha nemmeno vagamente suggerito un qualche provvedimento che garantisca per l'anno nuovo non dico delle classi ideali, ma nemmeno delle realistiche e possibili classi a tetto massimo di venticinque per le nuove prime di ogni ordine e grado.
Perché è molto più facile sedersi sul fiume a guardare il panorama e sospirare che le classi dovrebbero essere di dodici alunni piuttosto che fare qualcosa di concreto perché non siano più di trenta alunni. La scuola dovrebbe partire in un qualche giorno di Settembre, ma le classi verranno formate a Giugno. Con che numeri e con che criteri? Visti i precedenti, immagino che ce lo diranno a Luglio.
Per tacere degli insegnanti: se raddoppi e più che raddoppi le classi devi fare altrettanto con gli insegnanti. Ce li abbiamo insegnanti a disposizione per un raddoppio? Ma neanche per idea. Li avremmo, magari, per un piccolo aumento, tipo cinque o sette per cento - e nel giro di qualche anno potremmo procurarcene anche il triplo di quelli che sono in cattedra al momento; ma, appunto, ci vuole un po' di tempo, perché gli insegnanti non sono chicchi di grano che se semini il doppio del terreno ne ottieni in quantità doppia - e comunque anche il grano ci mette un po' a crescere.
Inoltre, il doppio delle classi richiede, non dico il doppio ma certo almeno un settanta per cento di scuole in più - e le scuole crescono più lente del grano e anche degli insegnanti: chiedetelo al consiglio comunale che un bel mattino decide che è tempo di costruire una nuova scuola elementare più a norma e più moderna, e tosto si mette al lavoro di gran lena fiducioso che, se tutti faranno la loro parte e non ci saranno contrattempi, forse i figli che i suddetti consiglieri hanno intenzione di concepire l'anno prossimo riusciranno a frequentarla, almeno negli ultimi anni.
Si ipotizzano classi non-ideali ma divise in due, a rotazione (metà va a scuola e l'altra metà sta in rete a guardare) ma nessuno ha ancora mosso un dito per fornire le aule dell'attrezzatura necessaria. Immagino che cominceranno a Ottobre.
Si ipotizza di usare spazi all'aperto, dimenticando che una non piccola porzione di scuole gli spazi all'aperto non li ha e che se magari una lezione all'aperto in Sicilia a metà Settembre costituirà se non altro un piacevole diversivo alle prime ore (tra mezzogiorno e le due già la questione sarò diversa), il primo scroscio di pioggia rivelerà che la geniale pensata presenta un certo tasso di criticità, e già Ottobre in molte zone d'Italia presenta giornate piuttosto freddine. 
Oh, il sollievo delle famiglie nel sapere che la polmonite dei loro pargoli non è dovuta al Covid-19 ma solo ad un raffreddore trascurato!

Nel frattempo i Dirigenti Scolastici stanno ordinando pannelli di plexiglas per separare i banchi, perché sarà così che andrà a finire: ai Dirigenti verrà chiesto di firmare una dichiarazione di responsabilità per seguire rituali improponibili, agli insegnanti si dirà di attenersi a regole impraticabili, i sindacati insorgeranno, gli insegnanti insorgeranno, i dirigenti insorgeranno, le regole verranno applicate per le prime due opre dell'anno scolastico e infine saranno abbandonate per manifesta impossibilità. 
I pannelli dureranno un po' di più, finché verranno eliminati poco per volta in quanto rotti, inservibili, impossibili da rimontare eccetera. Dopo Natale le regole verranno annullate e alla prossima (eventuale ma pur sempre possibile) pandemia saremo esattamente nella stessa situazione di quest'anno a Febbraio.
Dopo Natale la task force presenterà un raffinatissimo piano di edilizia scolastica che tutti approveranno con entusiasmo ("Finalmente delle scuole belle e comode per i nostri ragazzi!") e su cui verranno fatte una infinità di trasmissioni televisive e servizi di telegiornale ma che non verrà minimamente messo in pratica, nemmeno a livello sperimentale, perché nel bilancio i soldi saranno indirizzati a capitoli ritenuti più pressanti e rimarrà a raccattare polvere (i taskforsisti però saranno ben retribuiti per i loro nobili progetti. Giustamente, perché se commissioni un lavoro è giusto che questo lavoro venga pagato).

In mezzo a questi scenari che viaggiano tra l'horror, il fantasy e la dark fantasy (propendendo vistosamente per quest'ultima) e in attesa della migliore delle scuole possibile, il MIUR doveva dedicarsi a due questioni destinate a presentarsi tra Giugno e Luglio: l'esame delle medie e l'esame di maturità. Non si trattava di novità, sperimentazioni improvvise o possibili accadimenti, ma di due cose che sin dal sorgere della nostra Repubblica, di cui si celebra il 2 di Giugno il 75° anniversario, sono regolate da leggi dello stato, e in verità lo erano anche ai tempi dell'italico regno.
Intendiamoci, a modo suo il MIUR se n'è anche occupato, con infinite esternazioni e chiacchiere e voci di corridoio e dichiarazioni sui social, e talvolta anche con interviste su giornali e telegiornali. Molte, vaghissime e del tutto inconcludenti.
L'esame si farà, ci hanno assicurato (poi, almeno nel caso delle medie, si è visto che non è così). Saranno esami veri, non formalità. Saranno esami seri e impegnativi, a parte il fatto che già ad Aprile è stato assicurato che tutti sarebbero stati promossi.

Le disposizioni per gli esami sono arrivate una settimana fa in bozza. Due giorni fa abbiamo avuto il documento ufficiale. 
Tra un passaggio e l'altro sono intervenuti vistosi cambiamenti. 
L'esame delle medie (che, poi si è scoperto, non è un esame ma nel contempo è un esame. Non chiedetemi come queste due cose possano stare insieme perché non sono riuscita a capirlo) doveva inizialmente avvenire entro la fine delle lezioni, ovvero il 10 Giugno in Toscana e in data assai simile nelle altre regioni (con non poche complicanze per le scuole perché fino al 10 Giugno andava comunque proseguita l'attività didattica con le classi prime e seconde, spalmate in orario mattutino e pomeridiano e purtroppo tutti i docenti italiani hanno il grave difetto di non riuscire a essere contemporaneamente in due luoghi, nemmeno nel cyberspazio - una lacuna che loro per primi sarebbero assai lieti di riuscire a colmare).
Poi è intervenuto il Consiglio superiore del Ministero che ha criticato diversi aspetti del documento ma soprattutto ha ricordato che un esame che sia un esame non può coincidere con gli scrutini e terminare entro la fine della scuola: sembra che lo impedisca nientemeno che la Costituzione, e di sicuro lo impedisce il buon senso, perché in effetti gli esami di scuola si fanno dopo gli scrutini di fine anno, non prima o durante - e tra l'altro non si capisce bene quale sarebbe il vantaggio per chiunque nel finire questo surreale anno scolastico una volta per tutte il 10 Giugno, considerato che l'anno scolastico propriamente detto finisce il 31 Agosto.

L'esame delle scuole medie non si svolgerà in presenza, nonostante le aule vuote permettano senza problemi di dividere le classi in due e financo in tre parti senza particolari problemi. L'esame che non è un esame ma è un esame sarà in videoconferenza e consisterà nella discussione da parte del candidato di un "elaborato". E in verità il fantasma di questo elaborato si aggira nei consigli di classe da circa un mesetto ma nessuno si era degnato di spiegarci, dal MIUR, di che mai si trattasse. Perché elaborato è una parola vaga assai e si può agevolmente applicare a qualsiasi cosa esca, appunto, da un lavoro - insomma, è un po' come portare avanti il discorso o come istituire una task force, e di fatto non significa nulla.
Di fatto, come più o meno ci aspettavamo, l' elaborato è una roba scritta costruita intorno a un argomento o tema che recuperi una parte o tutte le materie del corso - e visto che non deve essere lungo, è meglio se ne recupera poche. 
Ma in realtà non è nemmeno necessario presentarlo, l'elaborato - o almeno così sembra di capire - e l'ordinanza non stabilisce il peso da assegnare all'elaborato in questione, di cui si terrà comunque conto negli scrutini finali (se viene presentato). Di fatto si può promuovere un alunno che non ha portato nessun elaborato e che nemmeno si  presenta alla discussione del suo elaborato - o, più esattamente, si deve promuovere, perché  le possibilità di non licenziare qualcuno sono ridotte veramente all'osso: se ne può parlare solo in caso di gravi fatti disciplinari (comunque avvenuti entro la fine di Febbraio, immagino, e chi se la sente di censurare un ragazzo a quell'età per qualcosa di avvenuto quattro mesi prima, soprattutto in presenza di un ravvedimento almeno formale? Quattro mesi, in quella stagione della vita costituiscono una era geologica) o di una situazione scolastica fortemente compromessa già al primo quadrimestre - cosa che avviene solo a pochi, sfigatissimi alunni impelagati in meccaniche esistenziali, familiari e sociali tali che solo un insegnante dal cuore di pietra oserebbe lasciarlo solo soletto a cantare Frate Leone, pecora di Dio, tutti licenziati fuori che io - e quanto a trovare un intero consiglio di classe formato da insegnanti-roccia, sarebbe impresa di quelle che hanno davvero del prodigioso: in queste condizioni non vi è insegnante che non sia acutamente consapevole che la bocciatura sarebbe solo l'ennesimo schiaffo dato alla cieca dalla vita a una persona che forse, chissà, magari se la merita e magari no, ma comunque chi siamo noi per stabilirlo? 
Di solito su queste anime potenzialmente perse l'avvicinarsi dell'esame ha un potere taumaturgico che lo spinge a dare vaghi segnali di vita scolastica, amorevolmente raccolti dagli insegnanti - e quando poi i segnali non arrivano, in un contesto normale può anche avvenire la bocciatura e ha un qualche senso; ma in queste presenti circostanze, fatte di collegamenti mancati, di corsi di recupero nemmeno avviati, di acrobazie e di reclusione?

Dunque passeranno tutti, a meno che non abbiano commesso un omicidio davanti a testimoni; caso invero piuttosto raro, anche perché l'eventuale omicidio sarebbe commesso al di fuori del contesto scolastico e comunque anche dagli istituti di rieducazione si possono dare esami (o non-esami, come è il nostro caso).
Di fatto, non sarà un esame, e nemmeno una sanatoria, perché non sanerà alcunché. E chi è bravo farà un bell'elaborato e una brillante discussione (ma avrebbe fatto bene anche un esame normalissimo), chi è così-così farà un elaborato smorto e improvvisato perché fino alla fine non si è saputo cosa avrebbe dovuto fare; quanto a chi non ha mai fatto niente o quasi continuerà per la sua strada ma avrà comunque la licenza media - che forse gli servirà e forse no, vai a sapere.
Si poteva fare di peggio, forse. Ma solo impegnandosi davvero a fondo, con un lavoro robusto e determinato che il MIUR non è minimamente in grado di elaborare al momento.

Quanto al ritorno a scuola, come avverrà lo scopriremo solo vivendo: il 16 Settembre se tutto va bene, ma molto più probabilmente a metà Ottobre, quando le lezioni saranno ormai riprese - perché in qualche modo dovranno pur riprendere e non mi sento nemmeno di escludere che alla fine, semplicemente, i battenti della scuola riapriranno nei modi consueti in attesa che al MIUR, con comodo, decidano come regolamentare il nuovo anno scolastico.

Molte categorie professionali hanno probabilmente motivo di lamentarsi di come è stata e sarà gestita la CrisiCoronaVirus, ma la categoria non professionale degli alunni di ogni ordine e grado di sicuro non è stata gestita né bene né male: è stata, semplicemente, ignorata.

lunedì 18 maggio 2020

L'insegnante stupefacente (come rovinarsi la reputazione)

Ci sono molti tipi di cannabis. Questi sono solo i più conosciuti
Come ho già avuto modo di raccontare, le mie esperienze in fatto di droga sono ben poche, e la più importante è stata tutt'altro che volontaria. Quest'anno ho avuto però occasione di ampliare molto le mie conoscenze sulla cocaina e la cannabis, a causa del mio lavoro - ma in questo caso non si può proprio dire che l'abbia fatto involontariamente: anzi, a spingermi a ciò è stato solo il mio allucinante senso del dovere.

Di solito dedico la prima parte dell'anno ad Asia e Africa: continenti assai robusti, che richiedono molte energie e di cui gli alunni sanno abbastanza poco, quindi adatti ad un quadrimestre dove le forze sono ancora fresche e le interruzioni dovute alle gite abbastanza scarse. Quest'anno però la mia Terza è, come dire, non proprio entusiasmante come livello e quindi li ho fatti scegliere tra Americhe e Asia, ben consapevole che avrebbero chiesto a gran voce le Americhe che sono, oggettivamente, più facili perché molto più conosciute dell'Azerbaijan e del Botswana.
Arrivata al Messico mi sono come sempre studiata la mia lezioncina e ho scoperto con una certa sorpresa che il libro non nominava la droga nemmen di striscio. Quattro pagine dedicate al Messico, e niente droga. Eddài, persino io che del Messico me ne sono sempre fregata alla grande so che è uno stato in cui il commercio di droga è un tema abbastanza portante nell'economia, tanto che gli dedicano perfino delle serie televisive. D'altra parte, nonostante cerchi di tenermi aggiornata su varie tematiche, del commercio di droga sapevo soltanto che esiste. Di droga di solito non parlo, a scuola: ve n'è già tanti che sono ansiosi di farlo e d'altra parte la mia personale posizione in merito (sono rigorosamente antiproibizionista) mi rende molto cauta. Facciamo che ne parlano i colleghi, che sono assolutamente ricolmi di buoni propositi e di certezze in merito, e io me ne sto zitta e non do fastidio a nessuno né creo problemi ("Cosa avete fatto a scuola oggi?" "Abbiamo parlato di droga e la prof. Murasaki ci ha detto che le leggi che cercano di impedirne il traffico sono assurde". Da lì a trasformare la prof. Murasaki in una spacciatrice all'angolo di strada sarebbe un attimo, in un paesello come St. Mary Mead. Meglio evitare).

Del commercio di droga in Messico però potevo parlare tranquillamente: antiproibizionista o meno, ritengo che le sparatorie per strada siano cose davvero scomode, che oltretutto fanno fare tardi a cena. Nessun problema a criticarle.
Certo, avrei potuto informarmi con una bella ricerca in rete per poi scodellargli i risultati in una garbata lezioncina: ma non è che su di loro le mie garbate lezioncine suscitino poi questi effetti grandiosi, nonostante la cura con cui le preparo. Così ho pensato di far fare la lezione a loro.
No, niente lavori di gruppo, solo una piccola innocua ricerchina, facile facile perché i lavori più complicati me li portano in sei su diciotto: ma stavolta sarebbe bastato portarmi un articolo di giornale, uno qualunque, che parlasse del traffico di droga in Messico, sintetizzarlo e poi leggerlo in classe. Siccome non c'era molto da studiare e l'argomento era abbastanza palatabile confidavo che ne venisse fuori qualcosa di decente.
In verità si è rivelata una eccellente idea: anche i più smorti o distratti, da soli o in gruppo, si sono messi d'impegno e hanno scodellato una certa varietà di articoli che parlavano della storia del traffico di droga negli ultimi due-tre decenni, dei vari clan, delle frequenti sparatorie e dei morti che avevano causato eccetera. Il quadro che così si è composto davanti ai nostri occhi grazie alle fonti multiple è stato davvero interessante e ricco, gli articoli si completavano fra di loro e alla fine dell'ora tutti noi avevamo abbastanza presente la questione in molti suoi risvolti, l'ora era stata interessante e partecipata ed ero riuscita nella non facile impresa di mettere dei buoni voti a tutti. Quanto a me, avevo imparato un sacco di cose sul commercio della cocaina senza dovermi minimamente incomodare.
Decisamente un bilancio positivo.

Passa il tempo e, qualche lezione fa, mentre eravamo ancora in India, ho fatto un giro per sapere cosa contavano di portare per Geografia all'esame. Etelberto ha detto che intendeva portare la Giamaica. Così gli ho promesso una lezione sulla Giamaica, che sul libro non c'era, e nei giorni scorsi mi sono messa d'impegno per trovare notizie sulla Giamaica, di cui non sapevo niente a parte il fatto che ci era nato Bob Marley, ma che si è rivelato uno stato interessante per molti aspetti. 
Uno di questi per l'appunto è la coltivazione di cannabis ma anche la particolare legislazione che la riguarda - ne è consentita la coltivazione e l'uso in dosi abbastanza generose, venendo così incontro ai legittimi desideri dei rastafariani che la usano durante i riti religiosi, degli ammalati che ne traggono sollievo per i loro mali, dei turisti che si aspettano di trovarne in dosi industriali e infine dei commercianti che possono così esportarla almeno in parte alla luce del sole (se non ho capito male). 
Naviga che ti navigo ho così scoperto che esistono molti tipi di cannabis, che la Giamaica possiede alcune qualità particolarmente pregiate che si trovano quasi soltanto su quell'isola benedetta e che il clima giamaicano è particolarmente favorevole a questo tipo di coltivazioni, che la legislazione vigente risale al 2015 (prima era una comunissima legislazione proibizionista, come ce n'è in tanti paesi, e probabilmente ben poco rispettata, come avviene altresì nei tanti paesi di cui sopra) e che è stata ritoccata nel 2018 per estendere il numero delle licenze di coltivazione, fino a quel momento poche e in mano a grossi proprietari terrieri.
Per impadronirmi di tutte queste informazioni però mi sono ritrovata a navigare in vari e numerosi siti, tutti molto rispettabili ma spesso dediti a incentivare il commercio e l'imprenditoria nel settore, qualcuno in italiano e qualcuno in inglese, e che spesso cercavano di indirizzarmi su pagine che mi avrebbero ben consigliato su come aprire il mio negozio o commercio di cannabis o dove acquistare la preziosa derrata; qualcuno mi ha pure chiesto di dichiarare che ero adulta e maggiorenne (sì, lo sono), se potevano localizzare la mia posizione (no, non potete, non ho mai autorizzato alcuno in vita mia a localizzare la mia posizione e non comincerò certo stasera) e se potevano mandarmi informazioni, comunicazioni e pubblicità (no, grazie, non ho più l'età, e l'ultima cosa che mi verrebbe mai in mente è di darmi all'imprenditoria. Davvero, non è roba per me).
E insomma adesso so quali saranno le pubblicità che mi perseguiteranno su Facebook e Google nei prossimi sei mesi. Proprio adesso che avevano finalmente smesso di offrirmi mutui!*
Invero, il nostro è un mestiere che comporta molti risvolti imprevedibili. Provare per credere.

* cinque anni fa ho fatto una piccola navigatina per informarmi sulle condizioni più consuete per un mutuo-casa. Giuro, solo una piccola navigatina: sono passata dall'IMPS e da un paio di banche. Mi hanno perseguitato per anni.

venerdì 15 maggio 2020

Una donna che fischia - Antonia S. Byatt


Nel 2002, a cinque anni di distanza da “La torre di Babele” Antonia Byatt pubblica il quarto romanzo della quadrilogia dedicata a Frederica Potter, che in Italia arriverà solo nel 2006. Come nel primo La vergine nel giardino l'azione si svolge in un solo anno, ben preciso. Il 1968, guarda un po'.
Il titolo, ci spiega l'autrice, viene da un detto che recita Una donna che fischia e una gallina coccodè – dice l'uomo – non piacciono né a Dio né a me; non è che il lettore, dopo averlo saputo, ne capisca molto più di prima - salvo considerare che Frederica non piace necessariamente a tutti: perché è una donna che fischia, cioè che si mette in mostra senza aspettare permessi dagli altri? O che fischia e fa sentire alta la sua voce che lo si voglia o no? Oppure che poiché fischia risulta inevitabilmente fuori dal coro, discutibile e discussa?
Forse per un inglese il titolo è più chiaro; o forse no, perché con la Byatt l'intreccio dei riferimenti è sempre piuttosto complesso - l'unico autore così stratificato che conosco è Pratchett (Joyce non l'ho mai letto, forse anche perché mi mancavano troppi addentellati).
Ci sono comunque delle donne che fischiano, nel romanzo - cioè, non proprio donne, entità femminili, piuttosto: le temutissime Fischianti, protagoniste delle ultime pagine della lunghissima storia che Agatha, la convivente di Frederica, inventa per i loro figli nelle domeniche pomeriggio ormai da molti e molti mesi: dopo averle sentite a lungo menzionare con terrore da chiunque incrocino,  finalmente i protagonisti riescono a incontrarle, e per quanto temute queste Fischianti si rivelano in realtà piuttosto ospitali. Il racconto finisce poco dopo questo incontro, con grande delusione dei bambini e degli altri ascoltatori che col tempo si erano accumulati nel salotto delle due donne. Il racconto finisce, sì,  ma ricomparirà nel corso del romanzo, perché Agatha lo mette su carta, lo invia a un editore che lo pubblica senza dargli gran peso... per poi ritrovarsi tra le mani un grandissimo best seller. Cose che capitano, nell'editoria, e Tolkien, nominato a spizzichi nel corso della storia,  ne sa qualcosa.

Il romanzo si snoda su tre diversi fili conduttori, destinati a intrecciarsi nel finale. Frederica è più o meno la protagonista, certo, e in qualche modo tiene insieme la trama, ma non come personaggio dominante, quanto piuttosto grazie a una curiosa trasmissione televisiva che le affidano - una di quelle trasmissioni da salotto che negli anni 80 hanno fatto capolino anche da noi, dove tre personaggi di una qualche celebrità commentano un tema e un paio di oggetti avviando percorsi di conversazione assai vasti in una cornice salottiera. Perché Frederica ha una caratteristica invidiabile a chi lavora o vorrebbe lavorare in televisione: la telecamera non le fa paura, e riesce a far scorrere la trasmissione senza dominarla né esserne dominata.
Ma veniamo ai tre fili che compongono la parte principale della trama: c'è l'Università, la cara e solida e tradizionale Università, col suo rettore dotato anche di una certa apertura verso le novità, che organizza un articolatissimo congresso sui rapporti tra corpo e mente; e poi c'è una sorta di Controuniversità organizzata tra l'altro anche da un ramo di studenti sovversivi dove si sguazza in quella che di lì a qualche anno verrà chiamata cultura New Age: pensiero alternativo, droghe, nuove percezioni, astrologia, incontri con altre culture, musica... I due universi paralleli quasi convivono perché la sede della Controuniversità, una struttura molto leggera a base di tendoni e roulotte, prende forma proprio ai margini dei terreni dell'Università. E si guardano con ostilità apparentemente moderata e una certa civiltà.
Nella stessa zona troviamo poi... una comunità? Una comunità a sfondo religioso? Una comunità a sfondo religioso con tocchi di fanatismo sempre più appariscenti? Sì, insomma, una setta. Non nasce come setta, naturalmente, lo diventa, in modo impercettibile... sempre meno impercettibile... e verso la fine diventa è che la vena di follia che la attraversa è molto consistente. 
In quella setta si nasconde una infiltrata: una giovane antropologa intrufolatasi sotto mentite spoglie per osservare. I suoi resoconti occupano una buona parte del romanzo; lunghe lettere dettagliatissime scritte a un esterno che non risponde mai e non dà cenno di vita, scopriremo poi perché: e il suo silenzio trasporta sia l'antropologa che il lettore in una sottile dimensione di angoscia che con l'andare dei capitoli è sempre meno sottile. Quanti capi carismatici può avere una setta? Di solito uno basta e avanza, ma qui ce ne sono due, e uno dei due è un capo carismatico involontario che segue un percorso interiore di cui la setta è solo un aspetto secondario, e che completerà a modo suo. Due distinti capi carismatici quando già uno solo basta a far impazzire un gruppo di persone che si isolano sempre più dal mondo rappresentano una combinazione decisamente rischiosa, e viene il momento in cui il povero lettore si sente davvero preoccupato. Ma non ci sono solo due capi carismatici, ci sono anche due osservatori interni: l'antropologa, certo, ma anche un medico che finisce per ritrovarsi (o finalmente riesce) ad essere travolto da tutto l'insieme.
L'Università, la Controuniversità e la setta contengono ognuna alcuni dei personaggi della quadrilogia. I tre mondi finiranno naturalmente per scontrarsi in vari modi, e alla fine sulle macerie i protagonisti - molti dei quali non hanno mai avuto la benché minima intenzione di scontrarsi con alcunché - si ritroveranno per tirare le fila e continuare la loro esistenza, e con grande sollievo del lettore l'antropologa ne esce viva e in buona salute e con abbondante materiale per costruirsi un nuovo titolo accademico. 
Quanto a Frederica, non è mai stata in pericolo e se la cava benissimo, ma ha ancora molte avventure da vivere e da giocare.
Un romanzo dedicato a uno snodo nascosto della storia, quel 1968 spesso citato a sproposito, dove successero molte cose ma le più importanti non hanno una data a cui aggrapparsi. E in tutto il romanzo, dove ogni tanto si continuano ad affacciare Tolkien e Lawrence e Lewis Carroll in un gran gioco di specchi non c'è una sola riga dedicata ai Beatles, anche se parecchi dei personaggi fanno musica.
Abbiamo però una coppia di gemelli, che un po' si amano, un po' si odiano e si intromettono con gran forza l'uno nella vita dell'altro - e tu guarda la combinazione (che forse è una combinazione davvero, vai a sapere) si chiamano Paul e John.

Con questo post ai limiti dell'incomprensibile, dedicato a un romanzo che non sono sicura di aver capito ma che di sicuro ho molto apprezzato, partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma in un fine settimana che promette grandi piogge e che quindi mi riserverà molte ore di lettura, alla faccia della didattica a distanza di cui comincio sinceramente ad essere assai stufa.