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giovedì 28 aprile 2016

Boschi della Terra di Mezzo - 3 - Lothlorien


Il più famoso bosco della Terra di Mezzo appare per la prima volta nel Signore degli Anelli attraverso la descrizione estatica che ne fa Legolas, che pure non l'ha mai visto:
"E' la più bella fra tutte le dimore della mia gente. Non vi sono alberi pari agli alberi di quella terra; in autunno le loro foglie non cadono, bensì diventano d'oro; per cadere attendono la primavera, che porta il nuovo verde, e ricopre i rami di fiori gialli. Allora il suolo del bosco è d'oro, e d'oro anche il soffitto, e le colonne d'argento, poiché la corteccia degli alberi è liscia e grigia. Così narrano ancora i nostri canti nel Bosco Atro".

E' più che comprensibile che una simile meraviglia sia tanto apprezzata da elfi che appena escono fuori dal fazzoletto di regno di Thranduil si ritrovano in un bosco cupo e pieno di scoiattoli neri (per tacere dei ragni); ma non c'è esagerazione, nei canti di Bosco Atro: Lothlorien è effettivamente la più splendida delle meraviglie della Terra di Mezzo. Bosco d'Oro, lo chiamano nella lingua comune. In elfico era Laurelindòrenan (terra della valle dell'oro cantante) oppure Lothlorien (fiordisogno), talvolta accorciato in Lorien (terra dell'oro). 
Gli alberi dalle foglie d'oro e dai fiori d'oro sono i mallorn, piante che vengono dalle terre al di là del Mare; diciamo qualcosa di simile a delle betulle in versione extralusso, che possono crescere molto più di qualsiasi normale albero (Galadriel ne regalerà un seme a Sam insieme a un po' di terra di Lorien, e Sam userà entrambi per sanare le ferite che Saruman ha causato alla Contea).

Come sempre succede, anche di questa meraviglia delle meraviglie si trova qualcuno disposto a dir male:
"Dobbiamo inoltrarci nel Bosco d'Oro, a quel che dici" depreca Boromir "Ma di quella perigliosa contrada abbiamo udito parlare a Gondor, e si dice che pochi di coloro che vi mettano piede ne escano, e che, di questi pochi, nessuno sia uscito illeso".
"Soltanto il male qui ha da temere, o colui che porta seco il male" ribatte Aragorn.
In realtà non c'è molta scelta: dopo la traversata di Moria (dove Gandalf è caduto nell'abisso insieme al Balrog), la Compagnia è pesta e ammaccata e deve riposarsi, rimettersi in forze e decidere sul da farsi; Lothlorien è l'unico posto nelle vicinanze dove possono farlo in sicurezza.
Il povero Boromir, che in tutto il viaggio non ne azzecca una a parte far portare delle fascine di legna alla Compagnia quando cercano di varcare il passo del Cornorosso, non è qui del tutto da biasimare: se il suo saggio fratello Faramir non nutre alcuna diffidenza ma solo rispetto per la Signora del Bosco d'Oro*, Eomer di Rohan ne parla con una certa leggerezza come di una maga che irretisce gli uomini con i suoi incantesimi (provocando la reazione assai irritata di Gimli). Tuttavia Boromir ha le sue ragioni per temere il Magico Bosco d'Oro, e in quella terra benedetta che cura tutte le ferite e i mali, sarà proprio lui ad ammalarsi, o meglio a prendere coscienza dell'Ombra che si sta impossessando di lui.
Di fatto, Lothlorien è un luogo dove quasi nessuno ha il permesso di entrare, e la Signora del Bosco d'Oro si sceglie con cura i visitatori. Perfino per la Compagnia che sta svolgendo una delle missioni più importanti della storia della Terra di Mezzo l'ingresso non è semplicissimo, nonostante fra i suoi componenti ci siano un elfo e addirittura Aragorn che, oltre ad essere l'erede di Isildur e ad avere sangue elfico nelle vene, è da tempo quasi un parente in quanto promesso sposo di Arwen, nipote della Signora in questione - per inciso, è proprio a Lotlorien che la coppia si è scambiata la promessa.


Lothlorien in primavera, come l'ha disegnata Tolkien

Il Bosco d'oro è protetto da ben due fiumi: l'Argentaroggia e il Nimrodel (che prende il nome da una bellissima e sfortunatissima fanciulla elfica che la ria sorte separò dal suo amato Amroth), che proprio a Lothlorien si congiungono per un tratto per poi sfociare nell'Anduin, detto anche il Grande Fiume. Entrambi i fiumi hanno acque fredde e il Nimrodel in particolare è un fiume incantato, che guarisce dalla fatica e purifica. Proprio attraversando il Nimrodel la Compagnia entra a Lothlorien, in piena notte.
Tuttavia nemmeno i fiumi incantati sono più una difesa sicura, e sui confini di Lorien c'è un servizio permanente di sentinelle per proteggere il Bosco d'Oro dalle scorrerie degli orchetti; ma soprattutto notte e giorno su Lothlorien veglia Galadriel, potente signora elfica che per giunta possiede uno dei Tre anelli - quelli buoni, mai sfiorati da Sauron. Per inciso a Lothlorien c'è anche lo sposo di Galadriel, Celeborn, che pur essendo messo in ombra dalla grandezza della consorte non è certo un elfo di scarso rilievo.

Lothlorien è dunque il regno elfico per eccellenza, il massimo e il meglio che un  viandante sul finire della Terza Era possa sperare di vedere nella Terra di Mezzo, luogo insieme di guarigione e di assoluta armonia e bellezza, l'interno di un canto elfico, come osserva Sam che gradisce assai (ma, se proprio non sei un orchetto o un Nazgul, è davvero difficile stare malvolentieri a Lothlorien - a meno che l'oscuro potere dell'Anello non ti stia corrompendo, com'è il caso dello sventurato Boromir che di tutta la compagnia è quello che si sdilinquisce meno sul Bosco d'Oro); un luogo benedetto fuori dal tempo e dallo spazio, dove il tempo scorre a modo suo - caratteristica tipica dei regni elfici (Sam scoprirà con una certa meraviglia che mentre erano nel Bosco il tempo si era fermato, oppure che era passato più velocemente di come l'avevano percepito - in tutti i casi uscendo ritrovano la stessa luna che avevano lasciato, allo stesso identico punto del suo ciclo. Possibile che fosse passato un intero mese? E Aragorn gli spiegherà che in realtà ne sono passati due, mentre Legolas illustrerà il peculiare modo degli Elfi di percepire il tempo). 
Tutto intorno ai suoi dorati confini il mondo è grigio e informe, ma dentro i colori sono vividi e il tempo è sul bello stabile a parte qualche occasionale pioggerella che rende tutto ancor più luminoso e lucente.
Soprattutto, il bosco è di una felicità assoluta:
"Frodo posò la mano sull'albero accanto alla scala: mai come allora aveva percepito così all'improvviso e con tale intensità il contatto e la consistenza della corteccia di un albero e della vita che vi scorreva. Il legno in se stesso, ed il suo contatto, gli procuravano una gioia diversa da quella del falegname o della guardia forestale: era la gioia vissuta dall'albero che penetrava in lui".

Lothlorien è un bosco felice. Gli alberi amano il popolo che li abita, che li ricambia appassionatamente. Le entità vegetali e quelle che si muovono su due gambe non covano odio,  rancore o risentimento. Non c'è mai stata violenza tra loro, solo amore. Gli elfi abitano gli alberi e li modellano adattandosi a loro. Usano il legname per le loro architetture, ma la cosa non sembra creare problemi agli alberi, persi nell'estasi del loro trionfo vegetale e nella gioia della terra benedetta che abitano con i loro amici.

"Frodo rimase in piedi perso in ammirazione. Gli sembrava di essere volato giù da un'alta finestra aperta, su un mondo svanito. La luce in cui era immerso non aveva nome nella sua lingua. Tutto ciò che vedeva era armonioso, ma i contorni parevano al tempo stesso precisi, come se concepiti e disegnati al momento in cui gli venivano scoperti gli occhi, ed antichi, come se fossero esistiti da sempre. Non vedeva colori ignoti al suo sguardo, ma qui l'oro ed il bianco, il blu ed il verde erano freschi ed acuti, e gli pareva di percepirli per la prima volta e di creare per essi nomi nuovi e meravigliosi. Nessun cuore avrebbe mai potuto qui d'inverno rimpiangere l'estate o la primavera. Né difetto, né malattia, né deformità su tutto ciò che cresceva sulla terra. A Lorien non vi era alcuna macchia".

Siamo ancora a Cerin Amroth, il cuore dell'antico reame ai tempi di Amroth. Lì sorgeva la sua dimora, di cui non è rimasta traccia.


Pauline Bayes - Cerin Amroth

"Una grossa montagnola era ricoperta di un manto d'erba verde come la Primavera dei Tempi Remoti; in cima, in una doppia corona, crescevano due cerchi di alberi: quelli all'esterno avevano una corteccia candida come neve, ed erano privi di foglie, ma splendidi nella loro armoniosa nudità; quelli interni si ergevano in tutta la loro altezza, ancora vestiti di pallido oro. Al centro giganteggiava un albero, fra gli alti rami del quale spendeva un bianco flet. L'erba ai piedi dei tronchi e sui verdi fianchi della collina era cosparsa di piccoli fiori d'oro a forma di stella. Fra questi, altri fiori ondeggiavano su esili steli, bianchi o d'un verde pallidissimo: scintillavano come nebbioline sull'intenso colore dell'erba. Il cielo in alto era blu, ed il sole del pomeriggio ardeva sulla collina proiettando lunghe ombre verdi sotto gli alberi".
E' la collina dove Aragorn ed Arwen si sono scambiati la promessa, nella sera di Mezza Estate (ma il lettore lo scoprirà solo ottocento pagine dopo), e i fiori sono elanor e niphredil, che vengono dal di là del Mare e nella Terra di Mezzo si trovano soltanto a Lothlorien.


Calealdarone - Cerin Amroth

Lothlorien è senza sottobosco: non c'è l'ombra di una pianta parassita o secca, e i fiori e l'erba hanno la stessa importanza degli alberi - un bel bosco panoramico, di stampo finlandese (e sembra, in effetti, che la lingua degli elfi sia stata ricreata sul modello del finlandese). Ampie radure e verdi prati abbondano, e la Compagnia viene alloggiata in un comodo padiglione sotto gli alberi, praticamente all'aperto. Naturalmente la temperatura è mite e gradevole.
Ci sono comunque molti alberi intorno a loro, e la corte dei Signori del Bosco d'Oro è situata a Caras Galadhon, che è una città di alberi:



"Si ergeva alto un verde muro che circondava un verde colle ove si affollavano gli alberi d'oro più imponenti che avessero visto in tutto il paese. Impossibile precisare la loro altezza: giganteggiavano nel vespero come torri viventi. Tra i loro rami frondosi e le loro foglie sempre vibranti, brillavano innumerevoli luci, verdi, oro ed argento".
La loro casa è in alto sull'albero più alto, e la sala del trono è costruita intorno al tronco dell'albero che si affusolava avvicinandosi alla sommità, ed era pur sempre un pilastro dall'ampia circonferenza.



La sala è giocata sui tre colori più elfici: verde, oro (o giallo) e argento (o bianco o grigio), e infatti le pareti sono verdi e argento e il soffitto dorato, e i troni dei due Signori sono sedili sormontati da un baldacchino di rami viventi. Galadriel e Celeborn sono vestiti di bianco, i capelli della Signora di un oro intenso, e quelli del Sire Celeborn d'argento, lunghi e lucenti. 

Gli elfi tendono dunque a mescolarsi con i loro boschi, senza sopraffarli, e hanno dei boschi molto lucenti, lindi e ordinati: niente fango, ragni, bave di lumaca, rami secchi, sterpaglia, rovi - e onestamente nei capitoli dedicati a Lothlorien non viene citato un  animale che sia uno, bello o brutto, simpatico o rustico, solo una barca a forma di cigno che fa tanto Lohengrin (ma nessuna traccia del graal). 
Solo gli elfi e gli alberi, in un eterno idillio, e come si procurino il cibo non è dato sapere: niente mucche, niente campi di insalatina, niente patate e barbabietole (anche se Galadriel ha un frutteto, da cui prende la terra che donerà a Sam); tutto è liscio e ben levigato, ma per quanto ci è dato vedere nulla è coltivato. Lo squisito pranzo che Galadriel offre ai suoi ospiti l'ultimo giorno della loro permanenza in quella terra incantata non si sa come sia stato prodotto, e non ci sono zone abitate nei dintorni con cui commerciare - salvo i posti popolati di orchetti, ma non risulta che la loro cucina o cacciagione abbia niente che possa raccomandarla a palati sì raffinati.
Anche i doni che i Signori del Bosco offrono alla Compagnia al momento della partenza sono doni mimetici: sottili e leggere barche incantate color grigioargento, che scivolano inosservate sul fiume, mantelli mimetici che cambiano colore a seconda dell'ambiente che li circonda (possibili antenati del Mantello dell'Invisibilità di Harry Potter), corda grigioargento (che brilla fiocamente al buio, come le barche) e piccole gallette di un bianco leggermente dorato molto nutrienti - tutte cose che risulteranno utilissime per tutti, più avanti, perché la segretezza è l'arma principale della Compagnia e soprattutto dei due hobbit che sgusceranno dentro Mordor.

Dietro a tutto il suo fascino incantato però Lothlorien è un mondo che sta per essere abbandonato e che i suoi abitanti stanno già rimpiangendo mentre ancora ci abitano: è infatti destino degli elfi avere sempre qualcosa da rimpiangere: il mare se sono sulla terraferma, le isole al di là del mare quando sono nella Terra di Mezzo, e certamente la Terra di Mezzo quando saranno tornati nelle isole al di là del mare. 
L'irrealtà di questa terra incantata viene evidenziata proprio al momento della partenza, quando la Compagnia allontanandosi ha l'impressione che Lorien stesse scivolando via, simile ad una luminosa nave dagli alberi incantati, che navigasse verso lidi obliati, mentre essi guardavano inetti, e seduti sulle rive di un mondo grigio e spoglio.



Il tema dell'addio è intessuto profondamente nel bosco di Lorien: Galadriel sarà la prima ad abbandonarlo, pochi anni dopo la fine della guerra, partendo insieme a Frodo, Bilbo, Gandalf ed Elrond. Celeborn la seguirà qualche anno (decennio?) dopo.
Il bosco resterà, vuoto e silenzioso, e nel centeventesimo anno della Quarta Era accoglierà per qualche mese Arwen Undomiel, la Stella del Vespro, che dopo la morte del suo sposo sceglierà di morire nel luogo dove aveva fatto la scelta che l'aveva separata dalla sua razza:
"Alla fine, mentre cadevano le foglie dei mallorn, e la primavera era ancora lontana, ella si distese sul Cerin Amroth; e quella sarà la sua verde tomba finché il mondo cambierà, e i giorni della sua vita saranno del tutto obliati dagli uomini che nasceranno, e l'elanor e il niphredil non fioriranno più a est del Mare".

*ma è noto che in tutto il romanzo Faramir non sbaglia un colpo che sia uno

domenica 24 aprile 2016

Boschi della Terra di Mezzo - 2 - La Vecchia Foresta

La Frattalta segna il confine tra Terra di Buck e Vecchia Foresta - o almeno, ci prova

"Molte sono le storie narrate sulla Vecchia Foresta" ricorda Elrond al Consiglio "Tutto ciò che ne rimane costituisce soltanto le propaggini degli antichi Confini a nord. Vi fu un tempo in cui uno scoiattolo poteva, saltellando da un albero all'altro, giungere da quella che oggi è la Contea fino al Dunland ad ovest di Isengard. Viaggiai un tempo attraverso quelle contrade e conobbi cose strane e selvagge".
La Vecchia Foresta è dunque solo la traccia fortunosamente sopravvissuta di un enorme bosco che comprendeva anche la foresta di Fangorn. E' anche il primo luogo misterioso e incantato che incontriamo nel romanzo, e quanto a cose strane e selvagge è davvero ben fornita.
Si trova a est della Contea, più esattamente a ridosso della parte meno provinciale e tradizionalista della Contea: la terra di Buck, abitata dagli hobbit del ramo più strano, quelli che vivono sulla parte sbagliata del fiume.
Il confine tra la Terra di Buck e la Vecchia Foresta è segnata da una siepe molto alta, la Frattalta, e l'unico varco è chiuso da un cancello di ferro e foderato da un muro di mattoni. La Vecchia Foresta è considerata un posto tutt'altro che raccomandabile, anche se gli abitanti della terra di Buck ostentano indifferenza e ci vanno talvolta, quando gli gira. Solo che non gli gira poi molto spesso, par di capire.

Come mai è stata costruita la Frattalta?
Per proteggersi dagli alberi. Secondo il racconto di Marry questi alberi "molto tempo fa attaccarono la Siepe: avanzarono, e le si piantarono molto vicino, curvandosi dall'altra parte. Ma gli Hobbit vennero, tagliarono centinaia di alberi, facendone un gran falò in mezzo alla Foresta; poi bruciarono tutto il terreno compreso in una lunga fascia ad est della Siepe. Dopo questa sconfitta gli alberi rinunciarono ad attaccare, ma divennero nemici dichiarati. Esiste ancora, nel punto in cui fu fatto il falò, un vasto spiazzo completamente nudo".
In realtà, spiega Merry, nella Vecchia Foresta si può andare in giro tranquillamente, a patto di andarci di giorno e non allontanarsi troppo dalla Siepe; perché "la Foresta è strana: tutto in lei è molto più vivo, più conscio di ciò che succede intorno". 

Spiega poi che "gli alberi non amano gli estranei: ti osservano e ti scrutano. Generalmente si accontentato di guardarti, finché è ancora giorno, e non fanno gran che. Può darsi che rare volte i più ostili abbassino un ramo o caccino fuori una radice, o ti afferrino con una liana. Ma di notte avvengono le cose più allarmanti, o perlomeno così raccontano".

Insomma, come ammette apertamente Merry, siamo in presenza di alberi consapevoli di quel che fanno e che sono apertamente ostili agli hobbit. Dopo l'episodio del falò la cosa sarebbe anche comprensibile, ma... perché all'inizio gli alberi hanno attaccato la Contea? Gli hobbit non sembrano gente da inimicarsi senza motivo una foresta, o da comportarsi male con lei. Qualsiasi boschetto bennato e costumato, viene da pensare, dovrebbe essere contento di avere gli hobbit ai suoi confini e trattarli in modo gentile e amichevole.
Ma la Vecchia Foresta non è solo strana, è proprio stronza sin nelle barbe.

Frodo sceglie di attraversare la Vecchia Foresta per depistare i Cavalieri Neri, ammettendo che si tratta di una misura estrema davanti a una situazione estrema. E di per sé sarebbe anche una buona idea se (ma questo Frodo non può saperlo) i Cavalieri Neri non avessero allertato sia la Vecchia Foresta che i vicini Tumulilande, e se non fossero comunque pronti ad accoglierli non appena gli hobbit risbucano, dopo qualche giorno decisamente avventuroso, nella Terra di Brea. Per fortuna la Vecchia Foresta (e i Tumuli) non sono completamente indipendenti e anche altre presenze sono state allertate (probabilmente dagli elfi di Gildor): Tom Bombadil e la sua compagna Baccadoro.
Beatamente ignari di tutto ciò gli hobbit raggiungono il bosco con una certa apprensione, e il bosco non si mostra particolarmente accogliente sin dal suo primo apparire:
"Guardando di fronte, riuscivano a vedere soltanto tronchi d'albero di infinite varietà e dimensioni: dritti o curvi, contorti, inclinati, tozzi o slanciati, lisci e lisi o ruvidi e nodosi; ma tutti erano grigi o verdi, ricoperti di muschio, licheni o altre piante parassite viscide o ispide".


Lode Claes - The Old Forest

Nel bosco l'atmosfera è ostile e opprimente sin dall'inizio, e peggiora sempre più. Pipino è il primo a cedere e supplica gli alberi di lasciarlo passare, Frodo si rimprovera per la malcauta idea che gli è venuta. La foresta non reagisce, ma aumenta la sua ostilità.
Il progetto originario era di attraversare la Foresta scansando il fiume Sinuosalice, di cui si dice che sia "il luogo più strano e misterioso dell'intero bosco, addirittura il nucleo da quale proviene e si sviluppa tutto il mistero" e da cui si innalza una specie di vapore o di fumo bianco.


Withywindle - (di TucksMa)

Ma è difficile scegliersi la strada in un bosco dove gli alberi sono dotati di volontà e soprattutto si spostano a loro piacimento. E così, nonostante tutti i loro sforzi, nel primo pomeriggio i quattro hobbit si ritrovano sulle rive del Sinuosalice, accaldati e assonnati. I passaggi stretti li hanno costretti a scendere dai pony, che vagano allontanandosi da loro, e un grande albero (che scopriremo poi chiamarsi Vecchio Uomo Salice) canta loro fresche canzoni di acqua e di sonno. 

Old Man Willow by Iolanthe

Merry e Pipino - destinati sin dall'inizio ad una particolare intimità con gli alberi, soprattutto con quelli che si muovono - vengono ingoiati nel suo tronco; Frodo viene scaraventato in acqua da una radice ed evita l'annegamento solo grazie a Sam... infine, e quasi per caso, arriva Tom Bombadil - per inciso uno dei personaggi più misteriosi del romanzo - e rimedia rapidamente la situazione facendo una vera sfuriata al Vecchio Uomo Salice:
"dopo aver staccato un ramo che pendeva vicino, colpì ripetutamente il fusto dell'albero. "Lasciali uscire immediatamente, Vecchio Uomo Salice!" disse "Che ti salta in testa? Non dovresti essere sveglio. Mangia la terra! Scava profondo! Sorseggia l'acqua! Dormi subito! Bombadil te lo ordina!""
Con molta malagrazia l'albero obbedisce e scaraventa fuori Merry e Pipino "Poi ambedue le fenditure si richiusero ermeticamente con un rumore secco. Un brivido attraversò la pianta dalle radici all'ultima foglia, seguito dal silenzio più assoluto".
Il Vecchio Uomo Salice è costretto a cedere davanti a un potere troppo più forte del suo, ma non c'è in lui ombra di pentimento. Non avrà mai occasione di vendicare l'affronto subito, ma non c'è dubbio che coltiva rancore, e del resto il rancore è il sentimento dominante in lui*.
Più avanti Tom Bombadil (il più antico, colui che ricorda anche la prima ghianda e la prima goccia di pioggia) spiegherà agli hobbit il punto di vista alberesco:
"Le parole di Tom mettevano a nudo il cuore e i pensieri degli alberi, che erano spesso cupi e bizzarri, pieni di odio per tutto ciò che cammina liberamente sulla terra e che rode, morde, strappa, rompe, sega e brucia: distruttori e usurpatori. Non a caso veniva chiamata Vecchia Foresta, poiché era estremamente antica, l'ultima superstite di immensi boschi dimenticati. In essa vivevano ancora, invecchiando insieme alle brulle colline, i padri dei padri degli alberi, memori del tempo in cui erano ancora loro i signori. Gli innumerevoli anni li avevano riempiti di orgoglio, di profonda saggezza, ma anche di malizia. Ma il più pericoloso di tutti era il Grande Salice: il suo cuore era marcio, ma verde era la sua forza; era astuto, padrone dei venti, e il suo canto e il suo pensiero attraversavano i boschi, seguendo le due rive del fiume. Il suo spirito grigio e assetato traeva vigore e potenza dalla terra in cui si diffondeva con una fitta trama di radici, mentre nell'aria si espandeva come la linfa di infiniti, invisibili rami: ebbe così sotto il suo dominio quasi tutti gli alberi della Foresta, dalla Siepe fino ai remoti Tumulilande".



Tuttavia, come spiegherà Barbalbero molte pagine dopo, si possono trovare foreste e alberi più pericolosi e implacabili del Vecchio Uomo Salice della Vecchia Foresta:
"Esistono alberi nelle valli, ai piedi delle montagne, sani e solidi come colonne, e cattivi da cima a fondo. Sembrerebbe una cosa contagiosa. Vi erano in questo paese alcuni posti assai pericolosi. Vi sono tuttora dei punti assai neri".
"Vuoi dire come la Vecchia Foresta su al Nord?" domandò Marry.
"Sì, sì, qualcosa del genere, ma molto peggio".

Gli hobbit non dovranno mai affrontare da soli il molto peggio. Questo succoso privilegio sarà destinato agli orchetti - che non vi troveranno alcun motivo per rallegrarsene.

La Vecchia Foresta dunque non è un semplice bosco incantato e pieno di prodigi: è un bosco che si muove a suo piacimento, che frusta o strangola o cerca di annegare le presenze che non gradisce, che porta rancore ai bipedi. Ha una sua personalità e molti poteri. Ha una sua storia, molto antica, e ricorda il tempo in cui i bipedi non scocciavano, anzi proprio non c'erano.
Il cattolicissimo Tolkien, quando parla di boschi, sembrerebbe piuttosto animista. Non so se la questione è stata studiata a fondo - gli studiosi cattolici hanno versato fiumi di inchiostro sulla Grazia e la Redenzione in Tolkien, ma per quel poco che so dei boschi non si sono occupati molto.
(Se qualcuno ne sa di più sull'argomento, è pregato di farsi avanti: gli sarò molto riconoscente).

*curiosamente, nei fiori di Bach lo stato negativo di Willow (salice) è proprio il rancore che si cova per le sventure di cui diamo la colpa agli altri, solo agli altri e sempre agli altri, crogiolandoci dentro l'autocommiserazione.

martedì 19 aprile 2016

Boschi della Terra di Mezzo - 1 - Bosco Atro

Bosco Atro, qui  raffigurato in un punto ancora molto luminoso...

Il bosco più importante che troviamo nello Hobbit è Bosco Atro (un tempo Bosco Verde); si tratta, in sintesi, di un normale bosco incantato, di quelli che si trovano a tutti gli usci in fiabe e poemi medievali: se vuoi un mistero, un incantesimo o una maledizione è nel bosco che devi andare, e questo lo sappiamo tutti sin dalla prima volta che qualcuno ci ha raccontato la storia di Biancaneve.

Primo tratto caratteristico di un buon bosco incantato è di avere una cattiva reputazione. 
Il primo a parlare male di Bosco Atro è Beorn, l'uomo-orso: 
"La vostra strada attraverso Bosco Atro è scura, pericolosa e difficile. Non è facile trovarvi né acqua né cibo. Non è ancora la stagione delle noci - anche se in verità potrà essere arrivata e passata prima che arriviate dall'altra parte del bosco - e le noci sono più o meno le sole cose buone da mangiare che crescono là dentro: tutto il resto è selvaggio, oscuro, strano, feroce. Vi fornirò di otri per portare l'acqua, e vi darò archi e frecce. Ma dubito molto che qualsiasi cosa troviate dentro Bosco Atro sia tanto salubre da essere potabile o commestibile. So che c'è un corso d'acqua, lì, nero e turbinoso, che attraversa il sentiero. Non dovete né bere né bagnarvici: ho sentito dire infatti, che le sue acque sono magiche e danno sonnolenza e oblio. E nell'ombra indistinta di quel posto non credo che possiate colpire niente, salubre o non salubre, senza allontanarvi dal sentiero. E questo NON DOVETE FARLO, per nessun motivo".
Dopo una presentazione del genere, è chiaro che i nani e Bilbo cercano in ogni modi di scansare sì inospitale luogo, ma proprio non c'è verso: l'autore e Gandalf hanno stabilito che la compagnia deve attraversare quel luogo e così sarà. Peggio che peggio, Gandalf stesso li saluta e li pianta proprio all'ingresso del bosco, rallietandoli vieppiù:
"E' probabile che ci incontreremo ancora prima che tutto sia finito, è però probabile anche il contrario" "Rimanete sulla pista nella foresta, tenete alto il morale, e con un enorme dose di fortuna, forse, un giorno, potreste uscire a vedere le Lunghe Paludi stendersi sotto di voi".

Con queste laute premesse i nani e Bilbo si incamminano, e di tenere alto il morale non se ne parla nemmeno: per tutto il tempo che passeranno nella foresta (che ben presto odieranno con tutte le loro forze) il morale della compagnia sarà decisamente rasoterra.
La prima caratteristica di Bosco Atro è, appunto, quella di essere assai buio. Come aveva avvisato Beorn, niente sembra molto in buona salute, lì dentro:
"L'inizio del sentiero era indicato da una specie di arcata che portava in un tunnel tetro 
fatto di due grandi alberi che si intrecciavano, troppo vecchi ormai e strangolati dall'edera e coperti di musco, per poter reggere più di poche foglie annerite. Il sentiero era stretto e serpeggiava in mezzo ai tronchi. Ben presto la luce all'ingresso fu come un piccolo foro luminoso molto lontano, e il silenzio era così profondo che pareva che i loro passi risuonassero sordi sul terreno, mentre tutti gli alberi si piegavano sopra di loro per ascoltare."
Troviamo qui due classici indicatori del pericolo incombente nelle storie di Tolkien: il silenzio innaturale e l'oscurità - insieme al senso di oppressione:
"Sotto il tetto della foresta non un fremito nell'aria, che era eternamente immobile, scura e afosa. Lo sentivano perfino i nani, che pure erano abituati a vivere nei tunnel, e talvolta restavano molto a lungo senza la luce del sole; ma lo hobbit sentiva che stava lentamente soffocando".

Eppure intorno a loro c'è vita: scoiattoli neri che guizzano da un ramo all'altro degli alberi e che, fatti arrosto, sono assolutamente immangiabili; ragni che producono enormi e spesse ragnatele, falene nere e pipistrelli neri che volano in un gran frullo d'ali... anche il fiume che trovano, naturalmente, è nero - non sia mai che un tocco chiaro profani la foresta. Sentono strani rumori, grugniti, calpestii, tramestii frettolosi nel sottobosco, e quando di notte fa la sentinella Bilbo vede brillare un sacco di occhi

 Mirkwood, Collette J Ellis


occhi gialli, occhi rossi, occhi verdi, occhi che scompaiano e riappaiono proprio sopra di lui... e occhi dal bulbo pallido, occhi di insetto ma di gran lunga troppo grandi. 

Bosco Atro è un posto singolarmente spiacevole e soffocante, ma a quel che pare di vedere gli alberi fanno il loro onesto lavoro di alberi e sono soltanto ammalati. Un veleno percorre la foresta e i suoi abitanti: le acque del fiume che l'attraversa sono incantate, gli scoiattoli immangiabili, i ragni sovradimensionati ed estremamente scortesi. Il maleficio proviene da un punto preciso - nel Signore degli Anelli scopriremo trattarsi di Dol Guldur, una fortezza tenuta da uno stregone malvagio, chiamato il Negromante - insomma, da Sauron. L'unico punto vivibile è la zona dove abitano gli Elfi Silvani, che comunque non si curano di quel che succede nel resto del bosco.
Nelle fiabe infatti i boschi sono posti parecchio strani, spesso abitati da varie entità che se li dividono in pacifico condominio.
A prezzo di lunghi digiuni e notevoli fatiche (che includono anche un incantesimo di sonno e di oblio di cui cade vittima Bombur nonché uno spiacevolissimo incontro con i ragni), la compagnia di dodici nani e un hobbit quasi riesce a compiere la traversata, ma all'ultimo momento commette la più grave delle sciocchezze, facendo quello che Gandalf e Beorn si sono raccomandati di non fare mai, per nessunissima ragione al mondo, inseguendo l'improbabile miraggio di un banchetto.
Tutti sappiamo che nelle fiabe deviare dalla strada indicata dagli aiutanti è colpa grave ma quasi mai irrimediabile, e infatti Mr. Baggins rimedierà a tutto, seppur con notevole incomodo da parte sua.

Bosco Atro non è un protagonista della storia, anche se Tolkien gli dà sufficiente spessore e scoiattoli neri da farne qualcosa di più di un fondale. E' il luogo dove Bilbo collauda (e battezza) la spada e l'Anello di cui è entrato in possesso attraverso le avventure precedenti e prende di fatto il comando della compagnia, relegando in secondo piano Thorin Scudodiquercia - che peraltro non ha mai fatto niente di notevole fino a quel momento. 
Somiglia molto alla selva oscura di dantesca memoria ma deviare dalla retta via di Bosco Atro porta tutto sommato a dei buoni risultati (altro tratto caratteristico delle storie di Tolkien); somiglia anche ad un utero soffocante da cui Bilbo, che ha cercato in  tutti i modi di rimandare la sua nascita come Eroe e Guida è alla fine disposto ad uscire - molto, moltissimo disposto ad uscire; ma, come la selva oscura dantesca, non è un bosco dotato di libero arbitrio o di volontà. 
Le potenze all'opera sono altre: i ragnacci, il Negromante, gli elfi silvani. Bosco Atro è abitato da strana gente e la subisce. Più avanti, molti anni dopo, quando Galadriel lo guarirà e lo purificherà, si adatterà di buon grado a diventare un bosco piacevole archiviando ragni e scoiattoli neri senza rimpianti.

lunedì 11 aprile 2016

Quel che non sappiamo della Terra di Mezzo

Colle  Vento, detto anche Amon Sul

Nello Hobbit Bilbo e i nani si spostavano in un mondo praticamente senza storia, dove l'unica cosa che contava conoscere erano gli usi e costumi delle varie popolazioni che si incrociavano: come ci si rivolge a un drago, come si evita di farsi arrostire dai troll, cose così. Alla fine del romanzo abbiamo visitato un po' di luoghi insoliti, ma gli unici avvenimenti che conosciamo sono piuttosto recenti: l'arrivo di Smaug a Erebor, Bard che discende da una famiglia di re...
Niente fa capire che Gollum abbia una storia degna di rilievo, o che Elrond sia in realtà un protagonista del passato e un custode del futuro della Terra di Mezzo (anche perché, quando fu scritto il romanzo, ancora non lo era nella mente dell'autore), il re degli elfi è inserito in una rassicurante routine da re degli elfi, la doppia natura di Beorn è una tradizione di famiglia che accomuna un gruppo di persone, non sappiamo quanto numeroso. Siamo, insomma, in un mondo senza spessore cronologico, pieno di cose e creature ben diverse dagli hobbit, ma che un hobbit di media cultura conosce almeno per sentito dire in buona parte dei casi.

Nel Signore degli Anelli veniamo invece catapultati in un mondo che ha una ricca storiografia, che si snoda lungo varie migliaia di anni; anzi, la prima cosa che Tolkien fa, nell'introduzione, è raccontarci un po' di storia hobbit, giusto per dirci che loro stessi ne conoscono pochissima. 
Se conoscono poco la loro storia, figurarsi quella degli altri - anche perché, a ben guardare, degli altri spesso nemmeno sanno che esistono - perfino Bilbo, che pure ha raccolto un po' di storie e insegnato qualcosa a Frodo e ai giovani hobbit che lo stavano ad ascoltare.

Il lettore si trova quindi immerso in un posto del tutto sconosciuto, che gli riserverà nuove sorprese ad ogni capitolo e in cui gli eventi raccontati si collegano per mille fili a ciò che è successo in passato (del resto, si sa, la via prosegue senza fine, e le storie anche).
Per un autore questa è una grossa sfida. Gli autori di fantascienza conoscono bene questo genere di problema, gli autori di storie epiche molto meno perché il mondo che narrano di solito è abbastanza noto agli ascoltatori.
Inoltre Tolkien sapeva, da bravo studioso, che il passato è solo in parte noto, e molto spesso solo faticosamente ricostruito da indizi che tendono a contraddirsi e possono essere interpretati in vario modo.
Sceglie dunque la soluzione più realistica ma anche più difficile da gestire: il mondo ha una storia, che in buona parte è stata dimenticata ma di cui rimangono tracce abbastanza visibili e spesso misteriose, e per protagionisti prende quattro hobbit molto ignari di quel che è successo in passato al di fuori dei domestici confini della Contea. Li mette però in contatto con un buon numero di personaggi che questa storia la conoscono, a volte poco, a volte abbastanza, a volte moltissimo, e che spesso sono molto disponibili a raccontare, aggiungendo qua e là un buon numero di informazioni fornite dal Narratore Onnisciente, all'inizio molto vaghe, poi sempre più precise, e buona parte dei temi vengono introdotti in modo graduale - soprattutto il tema del Regno di Gondor, che in qualche modo aspetta ancora il Ritorno del Re, che viene fornito al lettore in dosi omeopatiche, a piccole cucchiaiate, ogni capitolo un tassello nuovo. I lettori (specie quelli che amano le riletture) imparano alla fine non tutto quello che c'è da sapere - che sarebbe impossibile - ma almeno tutto quello che è stato deciso di rivelargli.
Abbiamo dunque fonti di prima mano - Elrond e Galadriel, per esempio, che hanno svariate migliaia di anni alle spalle e che parecchie delle vicende più importanti della Terra di Mezzo le hanno vissute da protagonisti, ma anche personaggi molto più antichi, come Tom Bombadil e Fangorn detto anche Barbalbero, che possono vantarsi di ricordare la prima ghianda e la prima goccia di pioggia - nonché numerose fonti di seconda mano: Gimli che racconta la storia del primo nano, Durin; Aragorn che conosce tutto della storia di Gondor, eccetera. Vediamo però che Barbalbero, che pure conosce l'origine (tragica) degli orchetti e dei troll, ignora l'esistenza degli hobbit. Tom Bombadil invece li conosce bene, ma abitando vicinissimo alla Contea la cosa è piuttosto comprensibile. Le storie che racconta riguardano soprattutto il Nord della Terra di Mezzo, e d'altra parte agli hobbit al momento servono quelle. Ma conosce anche le terre dell'Ombra, o quelle del sud? Chissà.

Quando però Sam e Frodo varcano il confine della Terra di Mordor, non c'è nessuno per parlargli di storia: Gollum conosce al massimo un po' di geografia, e né Shelob né i vari, spiacevolissimi orchetti che i due incrociano loro malgrado si mostrano inclini a fare da menestrelli cantastorie. Supplisce il Narratore Onnisciente, con poche e vaghe notizie, giusto quel minimo che serve per andare avanti; in compenso ogni tre pagine ci spiegano che questa o quella cosa spiacevolissima risalivano a ben prima di Sauron, finché l'Oscuro Signore sul suo oscuro trono finisce per sembrarci una presenza quasi occasionale in quelle antichissime ombre - e in effetti questo è, non di più.

Che dire poi delle terre del Sud? Proprio nulla, perché tutto quel che ci arriva sono pochi nomi sulla carta geografica. I corsari di Umbar, per esempio, non vengono nemmeno nominati di striscio nel romanzo e a malapena se ne fa cenno nelle appendici. Dei Sudroni sappiamo di non sapere niente (condizione essenziale, com'è noto, per una reale conoscenza delle cose. Purché qualcuno ti dia qualche elemento, magari). E vogliamo parlare del mare di Rhun? Sì, forse ne vorremmo parlare, ma con chi? Non c'è un anima disposta a farlo, in tutto quel lunghissimo romanzo.

Una storiografia incompleta, dunque, con pochi eventi analizzati per lungo e per largo (la caduta di Moria, o la forgiatura dell'Anello) e molte storie raccontate assai vagamente o lasciate intuire attraverso qualche vago accenno, oltre a un infinità di domande senza risposta. Del resto, la storia è così: un po' si sa, un po' si tira a indovinare, e la maggior parte riposa tranquilla nell'ombra ridendo dei nostri tentativi di decifrarla.

Con gli anni sono saltati fuori gli appunti del Professore, spesso in contraddizione tra loro. Quasi tutti però riguardano le infinite genealogie degli elfi e le prime due ere. La Terra di Mezzo che impariamo vagamente a conoscere nel Signore degli Anelli resta sigillata nel romanzo e nelle appendici e il Professore, sempre pronto a riscrivere un ennesima variante della storia di Luthien Tinuviel o della caduta di Gondolin (o, ancor più volentieri, qualche intricatissima genealogia tripartita di qualche ramo della prolificissima razza  elfica) se n'è occupato solo molto occasionalmente, quasi sempre dietro precisa richiesta.

Tutto ciò non è stato comunque privo di conseguenze: Il Signore degli Anelli ha fatto da modello per molta della letteratura fantastica che è seguita, anche se più nell'apparenza che nella sostanza; così la maggior parte degli autori di genere fantastico venuti dopo di lui - soprattutto quelli americani - si è sentita in dovere di rabberciare un mondo pieno di nomi più o meno complicati, tenuti insieme in un compendio storico da Bignami che viene poi rifilato al lettore (che di solito lo salta, o lo scorre in uno stato di assonnato torpore) in uno dei primi capitoli, privandolo così del piacere di collezionare accenni lasciandosi immergere lentamente in un altro tempo e in un altro universo.

venerdì 8 aprile 2016

Carol - Patricia Highsmith


E' noto che le lesbiche non esistono: si tratta al più di un prodotto dell'immaginario erotico maschile, o di donne ingannate da circostanze negative che gli hanno impedito di trovare l'Uomo Giusto. Del resto, come ognun sa, è impossibile immaginare qualcosa di più assurdo di due donne che stanno bene senza uomini tra i piedi.
Noncuranti di ciò in una gelida mattina di Dicembre la bella, ricca ed elegantissima Carol e la giovanissima Therese, commessa temporanea in un grande magazzino e aspirante scenografa un po' squattrinata si incontrano nel reparto giocattoli per una questione di bambole, e scocca il colpo di fulmine.
Con un labilissimo pretesto Carol rintraccerà la commessa qualche giorno dopo per invitarla a prendere un caffé e ben presto Therese si ritroverà inserita nel complesso universo di quella bella signora.
La storia è raccontata tutta dalla prospettiva di Therese e il lettore, come lei, solo gradualmente riesce a decifrare l'enigmatica e affascinante Carol. Tanto per cominciare c'è  un marito, da cui Carol sta divorziando, e anche una figlia, molto amata - la bambola che Carol cercava era per lei - e tutti sappiamo quanto facilmente nelle coppie in via di divorzio i figli si trasformano in inconsapevoli ostaggi. Ci sono i soldi - tanti, tantissimi soldi, e Carol è quel tipo di donna che ne ha sempre avuti tanti, mentre Therese è quel tipo di donna che ne ha pochi ed è abituata da sempre ad averne pochi né si strugge molto per questo.  E c'è anche una certa dose di thriller, che si insinua gradualmente nella vicenda. Ma Carol è soprattutto una bella storia d'amore e, ignorando tutte le convenzioni dell'epoca, ha un lieto fine. Storie d'amore tra donne ce n'erano già, nella letteratura americana, ma finivano sempre malissimo: suicidi, desolazione, sensi di colpa e un implacabile condanna della società annegavano le povere protagoniste di turno nella più cupa infelicità.
Non qui. Nonostante anche per Carol e Therese ci sia un prezzo da pagare (ma si sa che nella vita c'è sempre un prezzo da pagare, per qualsiasi cosa), nonostante i colpi di coda dell'ex marito di Carol e qualche complicazione, nonostante le recriminazioni del fidanzato di Therese e i pregiudizi della società americana dei primi anni 50, le due innamorate avranno la loro fetta di felicità che si suppone sapranno difendere nel migliore dei modi negli anni a venire.

Quando scrisse il romanzo, nel 1952, Patricia Highsmith era molto giovane e a carriera appena avviata, e con un solo romanzo alle spalle (decisamente thriller e decisamente angosciante) ancora in corso di pubblicazione. Di Carol il suo editore non ne volle sapere, così lei si trovò un altro editore e uno pseudonimo per pubblicarlo. Solo nel 1989 si decise a pubblicarlo con il suo nome, e a quel punto anche in Italia Bompiani si degnò infine di tradurlo, con comodo. Era stato un libro di successo, come racconta l'autrice nella sua spassosa postfazione dell'edizione 1989, e lei per molti anni aveva ricevuto grossi pacchi di lettere di ringraziamento dai lettori: Molte recavano messaggi tipo:  "Il suo è il primo libro del genere a lieto fine! Non tutti ci suicidiamo, e molti di noi se la passano bene."

Carol racconta una storia d'amore. Per Therese il centro della vicenda è proprio quello: il sentimento che le invade l'esistenza e che non è qualcosa da combattere, da reprimere,  da  negare o da difendere, ma semplicemente da vivere - la meravigliosa avventura che ti trasforma da bruco in farfalla. Del mondo esterno e delle sue insulse opinioni si cura ben poco. Carol, che non è più una giovinetta di  primo pelo ma una donna con una storia alle spalle, sarà invece costretta a dare al mondo una maggiore importanza.

Il libro è di media lunghezza e può riempire bene un fine settimana o diverse serate. Scorre bene, pur essendo piuttosto denso; trattandosi di Highsmith, il lettore può avvicinarsi senza paura di alcun sovraccarico di zucchero. 
E' stato ristampato quest'anno con una nuova copertina con due belle immagini tratte dal film uscito quest'inverno. Io il film non l'ho ancora visto, ma trovo che le attrici siano state scelte molto bene: senza alcun dubbio Cate Blanchett è Carol, né riuscirei mai ad immaginarla con un altro aspetto.

Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma e auguro felici letture a tutti per il prossimo fine settimana, visto che le previsioni del tempo non fanno molto ben sperare per le belle passeggiate sotto gli alberi in fiore cui, stando al calendario, tutti noi avremmo diritto.

mercoledì 6 aprile 2016

Come stampare una cronologia in meno di due ore (unplugged)

Per compiere grandi imprese occorrono grandi guerrieri

Da tempo ormai (più o meno da quando ho una LIM a disposizione) quando arriva il tempo della Rivoluzione Francese preparo una cronologia insieme ai miei alunni. Uno dei ragazzi fa da dattilografo, gli altri la copiano. Poi la stampo e do una copia a tutti, e interrogo i ragazzi davanti alla LIM con la cronologia proiettata.
Quello che segue è il veridico resoconto di come ho fatto a stamparla quest'anno.

Premetto che, per quanto imbranata, anch'io di solito riesco a produrre una stampa in pochi secondi in circostanze favorevoli. Si da il caso tuttavia che le circostanze, nella mia scuola, non sempre siano favorevolissime. 

Ma andiamo per ordine.
La cronologia era stata scritta su Works, un programmino molto leggero per videoscrittura. L'ho scelto prima di tutto perché funzionava, mentre in Word non riuscivamo ad aprire un file nuovo. Chissà perché?

Tempo per produrre la cronologia: circa tre ore di lezione, intervallate da abbondanti chiacchiere, squarci di spiegazioni e molte domande. 
Finita la mattinata, sono rimasta a scuola per fare varie cose, tra cui appunto la stampa (per la quale avevo stanziato una manciata di minuti).
Prima fase: sono andata in classe e ho riguardato la cronologia, ritoccandola in qualche punto. Tempo: circa 5 minuti. Poi ho tentato di salvare il file in Word, perché il computer di Sala Insegnanti non ha Works.
Il computer ha mandato a dire che non c'era spazio sufficiente sulla mia chiavetta per salvare il file (due cartelle scarse, scritte grandi).
Ho sgranato gli occhi "Ma che mi racconti?" ho chiesto al computer, piuttosto seccata.
Il computer non mi ha risposto.
Ho ritentato il salvataggio in Word, e di nuovo mi ha spiegato che non c'era posto sulla chiavetta.
Allora ho aperto un file di Word già esistente e da lì ho provato ad aprirne uno nuovo. E finalmente ho capito: la licenza Word sul computer della LIM era scaduta, e quindi continuava ad aprire i vecchi file, ma si rifiutava di farne di nuovi.
Allora ho salvato la cronologia in formato testo (txt), l'ho copiata senza problemi e sono andata al computer in Sala Insegnanti, dove al momento c'è l'unica stampante funzionante di tutta la scuola (beh, sì, ce ne sarebbe una anche nel laboratorio di informatica, ma non ricordo la password, e comunque non è che faccia sempre tanto bene nemmeno quella). 
Il computer di Sala Insegnanti si è rifiutato di leggere il file in formato testo.
"Si può sapere cosa combini?" gli ho chiesto offesissima.
Nemmeno lui mi ha risposto.
Sono tornata al computer della LIM, ho riaperto la cronologia, ho copiato tutto su un nuovo file in Works e poi l' ho salvato in formato testo.
Nel frattempo era già passata più di mezz'ora, anche perché i due computer sono ai due capi opposti della scuola.

Sono tornata in Sala Insegnanti. Il computer ha gentilmente accettato il file in formato testo. Ho avviato la stampa.
La stampante ha rugliato, poi si è inceppata. Si inceppa speso, in questo periodo.
Allora, in base alla procedura che abbiamo imparato a seguire in questo caso, ho spento, ho riacceso e ho disincastrato il foglio (manovra piuttosto complicata con quel modello di stampante). Poi ho riavviato la stampa, e di nuovo il foglio si è incastrato.
Allora ho spento la stampante, l'ho lasciata riposare qualche minuto, poi l'ho riaccesa. L'ho accarezzata e le ho spiegato che era bella e brava (non so se serve, ma ad ogni buon conto nei casi più critici faccio anche quello. Sospetto che questo rituale serva soprattutto a placare me, che in questo modo non trasmetto il mio nervosismo alla povera stampante stressata). Poi ho di nuovo lanciato la stampa, che questa volta è andata a buon fine.
Ho ringraziato la stampante, poi sono andata alla fotocopiatrice.

In questo periodo anche la fotocopiatrice è molto stressata. Ogni volta che fa una fotocopia lancia lunghi gemiti strazianti, ma soprattutto in certi momenti fa una fotocopia qualsiasi tasto venga toccato: se chiedi un ingrandimento fa una fotocopia (non ingrandita), se chiedi una fotocopia fa una fotocopia, se chiedi un colore più intenso fa una fotocopia (del colore solito), se chiedi 22 fotocopie ti fa una fotocopia, ma te la fa dopo il primo 2 e non ti fa mettere il secondo 2 nel display.
Ho pigiato il tasto di reset (ottenendo con ciò la quarta fotocopia), poi l'ho fatta riposare qualche minuto e, a tradimento, sono riuscita a inserire la richiesta di 18 fotocopie. Con grandi lamentazioni straziate la macchina ha accettato la richiesta e ha sfornato tutte le fotocopie.
Ho preso il pacchetto delle fotocopie, l'ho rimesso nella fotocopiatrice per fare il fronte-retro e ho chiesto 22 copie della seconda facciata della cronologia. E le ho ottenute, seppure tra grandi lamenti e gemiti.
Con il mio bel pacchetto di fotocopie ben croccanti sono tornata in Sala Insegnanti, dove ho messo il tutto in apposito inserto per consegnarle il giorno dopo ai ragazzi.
Non mi sono sorpresa molto quando, guardando l'orologio, ho realizzato che dal momento del mio primo, ingenuo tentativo di copia del file era passata più di un ora e mezzo.

D'accordo, io sono una persona dai tempi distesi; non mi piace che mi facciano fretta e non ho ritmi frenetici. E non mi è mai dispiaciuto passare qualche quarto d'ora in più a scuola, senza badare troppo all'indice di produttività. Ma, sinceramente, più di un ora e mezzo per stampare 22 copie di una cronologia di due facciate mi sembra un po' troppo.

Come in quasi tutte le cose comunque c'è stato un aspetto positivo: vedere la classe che si rotolava dal gran ridere mentre gli raccontavo punto per punto l'avventurosa stampa. 
Dopotutto, un piccolo interludio comico migliora il clima in classe e favorisce la concentrazione dei discenti (quando hanno smesso di ridere, si capisce).
Io, comunque, ero disponibile anche a passare quell'ora e mezzo in modo un po' più proficuo, avendone la possibilità.

Aggiornamento dopo due settimane:
Dopo lunghi mesi di attesa, il prof. Jorge nostro responsabile informatico ha finalmente ottenuto una nuova stampante per la sala docenti, montata l'altro ieri. Nel frattempo anche la fotocopiatrice è stata riparata.