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venerdì 29 dicembre 2017

Hortodoxa - Sull'insulso, tronfio e tossico cattivismo rispetto al modesto, operoso e utile Buonismo

L'orfanello più famoso della letteratura contemporanea al suo primo, vero Natale.
E' abbastanza diabetico così?
Negli ultimi anni è andata affermandosi una nuova parola, usata come Insulto Definitivo in qualsiasi discussione in rete (nella cosiddetta Real Life è molto meno abusata, almeno nel contesto di decorosa civiltà dove ho il piacere di vivere): buonismo
Il fatto che si tratti di un insulto orribile, di quelli da lavare col sangue, che al confronto attribuire il meretricio a tua madre è robetta da nulla, non ne limita in alcun modo l'uso, anzi in molti si sentono vieppiù esaltati e realizzati quanto più largamente lo usano. E infatti grandissima è la frequenza con cui questa sventurata parola è usata abitualmente.
Ci sono anche svariate sottocategorie di buonisti: abbiamo perciò i buonisti con il portafogli a destra, i buonisti con l'attico in piazza Navona (moltissimi, a quel che sembra, nonostante il buonsensismo potrebbe magari portare a immaginare che, per banali motivi logistici, gli attici in piazza Navona dovrebbero essere in numero piuttosto limitato) e, freschissimi delle ultime settimane, i buonisti col Rolex - e qui devo essere rimasta parecchio indietro perché ricordo che il Rolex era uno status symbol quando facevo il liceo, ma da allora in tanti avevano ripiegato sugli Swatch o affini; ammetto però di non aver mai seguito con troppa attenzione le vicissitudini orologistiche della moda.

Essere definiti buonisti è molto facile: è sufficiente infatti
- mostrare una pur tenue disposizione favorevole verso una legge che conceda la cittadinanza italiana ai figli di stranieri nati e cresciuti in Italia (sì, quelli che mi ritrovo sui banchi di scuola tutte le mattine. Quelli che, grazie alla legge Bossi-Fini spariscono dai quattordici ai diciotto anni, dopo essere stati tutelati fino ai quattordici, e che devono comunque rinnovare il permesso di soggiorno ogni anno)
- mostrare una blanda disposizione a non prendere a sassate il primo musulmano che incontri per strada
- chiedere un trattamento umano per i detenuti (quello che la legge italiana in effetti gli garantirebbe, pur non dandoglielo nei fatti) italiani o stranieri che siano
- far trapelare un certo rincrescimento, anche superficiale, per chi affoga nel Mediterraneo mentre cerca di attraccare in un qualche porto viaggiando su una carretta (non so che farci, a me non piacerebbe morire annegata, o veder morire annegati i miei genitori o figli)
- mostrare una pur blanda propensione all'accoglienza dei profughi
- approvare, sia pure in misura moderata, quei politici o forze politiche che chiedono che l'accoglienza dei profughi stranieri sia gestita con un certo garbaccio
- mostrare una certa diffidenza verso le teorie che ritengono che il colore della pelle renda automaticamente un individuo migliore o peggiore di un altro
- considerare cittadini italiani anche quegli individui che all'apparenza non sembrano discendere dal più puro ceppo longobardo ma che ciò nonostante all'anagrafe risultino effettivamente cittadini italiani
- non mostrare una viscerale avversione verso l'Unione Europea.
Ricordo che un tempo erano buonisti anche quelli che si opponevano alle due guerre del Golfo. In quegli anni però era usato soprattutto l'insulto pacifista.

Una volta schedati tra i buonisti, automaticamente ne consegue che costoro sono i diretti responsabili di:
- qualsivoglia forma di immigrazione in cui il barcone non è stato preso a cannonate prima di approdare sulle italiche coste (il che, con le attuali leggi internazionali, non è proprio un caso comunissimo. Per fortuna, aggiungo molto buonisticamente)
- qualsiasi reato commesso da qualsivoglia immigrato purché di pelle scura (un tempo questo riguardava anche romeni e albanesi, poi qualcuno si è accorto che erano bianchi di pelle e questo pare avere cambiato tutto)
- qualsiasi attentato gestito dal terrorismo internazionale, indipendentemente dal paese in cui è avvenuto - soprattutto in virtù dell'esibizione di gessetti colorati (che, mi dicono, sui terroristi hanno più o meno lo stesso effetto dei drappi rossi con i tori imbizzarriti incitandoli a commettere vieppiù atti terroristici)
- qualsiasi malattia infettiva sia in circolazione
- qualsiasi forma di miseria o disagio economico, sociale, esistenziale e culturale in cui per sua sventura incappi un italiano bianco
e infine, misteriosamente, anche
- la lentezza della ricostruzione nei paesi terremotati del centro Italia.

Tutto ciò è piuttosto stupido e non varrebbe nemmeno la pena parlarne se non per una piccola questione semantica che mi colpisce dolorosamente ogni volta: in che modo essere di tendenza buoni, accoglienti, inclusivi o anche semplicemente educati e non fare troppi discorsi a cazzo* deve essere considerato un insulto sanguinoso che fa di te un reietto invece di un cittadino che si sforza di tener fede alla costituzione e di coltivare in cuor suo pensieri non troppo malevoli verso l'umanità?
Essere buoni, almeno di tendenza, dovrebbe essere un pregio. Un mondo rovinato da un eccesso di bontà e di gentilezza non mi risulta - e, soprattutto, quand'anche risultasse, non mi sembra proprio un pericolo alle porte: non viviamo certo circondati da continui eccessi di bontà e anzi l'attuale papa si lamenta spesso di questo, mi pare non senza qualche ragione; e benché costui abbia ai miei occhi il difetto basilare di essere cattolico (per quanto un cattolico figlio del Vaticano II e quindi non necessariamente malvagio), purtuttavia quando dice che fuori piove e fuori sta effettivamente piovendo, non posso che convenire con lui e cercare un ombrello se mi tocca uscire.

Io sono buonista fin nelle barbe. Potrei difendermi ricorrendo a sofismi del tipo "la responsabilità è individuale", "la gente non va giudicata a categorie", "siamo tutti esseri umani" e simili. Ma non amo ricorrere a questi arzigogoli e mi dichiaro senz'altro buonista senza ulteriori infingimenti. Non possiedo Rolex, il portafogli lo tengo in borsa (e la borsa la porto dalla parte sinistra) e di un attico in piazza Navona non saprei che farmene a parte rivenderlo al primo buonista che trovo (ma, garantisco, a prezzo di mercato e senza sconti) e comunque col cavalo che me ne hanno mai offerto uno.
Ciò nonostante sono buonista, anche se mi dispiace molto per i terremotati che stan lì a candire da più di un anno, e per le vittime del terrorismo e per chi annega nel Medieterraneo (ma anche per chi annega altrove o muore in guerra o simili).
Ammetto il mio buonismo senza remore e senza scuse.
Soltanto, non riesco proprio a vederlo come un difetto. Addirittura, lo trovo uno dei tratti più decorosi in un carattere non sempre mitissimo: essere cattivista mi dispiacerebbe moltissimo - o almeno, se lo fossi, vorrei avere la forza morale di riconoscermelo come un difetto.

Siccome tra le tante critiche rivolte ai buonisti per il momento l'attaccamento ai gatti non è (ancora) stato preso in considerazione, ne approfitto per chiudere con un immagine eccezionalmente diabetica di gattini di Natale:
augurandomi che il diabete (una delle poche malattie al momento di cui i buonisti non sono incolpati) abbia pietà dei miei lettori.
Che lo zucchero filato sia con tutti voi!

* senza offesa per il cazzo, è solo un modo di dire

sabato 11 novembre 2017

Hortodoxa - Insegnare non è vaccinare

Nel tempo in cui infuriano le polemiche sulle vaccinazioni, il nostro amato Ministero dell'Istruzione ha deciso di indagare sul tasso di vaccinità di noi docenti.
A tal scopo ci è stato consegnato un foglio in cui, dopo aver spiegato chi siamo e donde veniamo (nel senso di dove siamo nati), dichiariamo sotto la nostra responsabilità che siamo o non siamo vaccinati per una lunga sfilata di roba, con possibilità di "non ricordare". Di tale modulo si era parlato nell'ultimo Collegio Docenti. Qualcuno che aveva già visto il modulo in questione aveva osservato che  tanti di noi, per ragioni anagrafiche, non erano stati vaccinati contro alcune malattie (morbillo e rosolia, tanto per fare due esempi) ma che avevano avuto cotali malattie e quindi suggeriva di aggiungere a mano a lato "immune" - perché il caso non era previsto dal modulo.
La Preside aveva detto che si poteva fare, perché in fondo una nota a lato non faceva male a nessuno.
Trovatami alfine il modulo davanti rimasi assai assorta a ponderare per qualche minuto. Ai miei tempi vaccinare era di moda, e non vaccinare era segno di oscurantismo e grave tendenza alla superstizione - e infatti i miei, pur appartenendo allo zoccolo dell'istruzione medio-alta (diploma delle scuole superiori, all'epoca non era comunissimo) mi avevano vaccinato senza batter ciglio per qualsiasi cosa ci fosse da vaccinare senza timore di complotti della Big Pharma o simili. Anzi, più volte mi è stato raccontato che per la poliomelite fui vaccinata due volte perché il vaccino che usava quando ero piccola non era ritenuto molto efficace* e il mio pediatra si fece venire quello nuovo direttamente dalla Svizzera. Di nuovo i miei non batterono ciglio perché il pediatra era un amico di famiglia verso cui nutrivano totale fiducia, e anche perché genericamente erano abbastanza fiduciosi verso la medicina in generale (cosa da cui non gli è poi venuto un gran male), e così feci anche la vaccinazione supplementare. Sta di fatto che la poliomelite non la presi.
Passai senza particolari problemi, a parte qualche bella febbrata, morbillo, scarlattina e rosolia e vidi mia madre prendersi gli orecchioni a quarant'anni stando malissimo. La brava donna cercò di contagiarmi in tutti i modi: bevevamo il té dallo stesso bicchiere e passammo molte ore sul suo letto a giocare a carte e a Monopoli, ma gli orecchioni non li presi. In compenso presi la pertosse, e da adulta mi sono sempre meravigliata di quei genitori che, potendo vaccinare i loro figli per cotal malattia nutrissero anche l'ombra di una esitazione: non sono morta di pertosse né ci sono andata vicino, ma accidenti se me la ricordo - e non è tra i miei ricordi più cari. Poter risparmiare a qualcuno una scocciatura del genere e non farlo per me è indizio di grave sadismo, punto e basta. Sembra invece che non abbia mai avuto la varicella - anche se la cosa è piuttosto incerta perché si può prendere in forma molto lieve. Prenderla da adulti invece è un vero strazio, ho scoperto.

Intorno a me alcuni colleghi borbottavano che davvero non ricordavano e non sapevano, e qualcuno parlò anche di cercare i libretti di vaccinazione. Quanto a me, non avevo di questi problemi: conosco l'archivio di casa e so che i miei libretti sono scomparsi nel nulla qualche decennio fa.
Ma il fatto di avere avuto il morbillo, davvero mi rende immune
Non lo so. Francamente, le mie competenze di medicina stanno larghe in un cucchiaino. Disinfetto regolarmente tagli e piccole ferite, so che esistono i globuli rossi e bianchi e in questo periodo mi sono fatta una pjccola infarinatura su le budella, queste sconosciute. Tendo a scansare gli analgesici, anche se ne ho presi in dosi industriali all'inizio dell'anno. Prendo regolarmente miele, echinacea e propoli nel tentativo di prevenire i miei non rari raffreddori, ma al primo accenno di mal di gola passo la questione in mani più competenti.
Di immunologia e di immunità proprio non so nulla.

Soprattutto: il Ministero, quando ha diffuso il modulo, dove andava a parare? Voleva qualche statistica? Cercava dati sulla sicurezza degli alunni che ci vengono affidati? Aveva un po' di carta da smaltire?
Non lo so e nessuno me l'ha spiegato. Però il Ministero è il mio datore di lavoro e la legge mi impone di non dargli informazioni false. Mai l'ho fatto e mai lo farò.
Così non mi sono proclamata immune a un bel niente e non ho millantato vaccinazioni non ricevute. Mi sono rifiutata di interpretare o completare il questionario e mi sono limitata a rispondere.
Mi schederanno?
Non per questo passerò ansiose notti in bianco.
Mi chiederanno di vaccinarmi per la pertosse?
Sosterrò la prova con la saldezza d'animo e il coraggio che da sempre mi contraddistinguono**.
Ma il falso in atto pubblico non lo dichiarerò mai, se appena posso evitarlo, serva o non serva a qualcosa. E non inquinerò i dati.

Con questo post partecipo al concorso "Dipendente d'oro 2017" fiduciosa di conquistarmi almeno un buon piazzamento.

*la leggenda narra che all'epoca il Ministero della Sanità avesse ancora ampie scorte del vecchio vaccino che decise di smaltire, e che parecchi bambini ci andarono di mezzo perché la poliomelite la presero. Ne ho conosciuti più di uno.
**ebbene sì, non ho mai pianto alle vaccinazioni, e nemmeno quando mi facevano le iniezioni. Sopportavo in silenzio e me ne facevo una ragione. Vabbé, esistono prove di coraggio più grande, lo ammetto.

giovedì 19 maggio 2016

Hortodoxa - 17 Maggio 2016 - Giornata mondiale contro l'omofobia - Habemus Legem


Quest'anno la Giornata Mondiale contro l'Omofobia è passata un po' in sordina, probabilmente perché nei mesi scorsi abbiamo tutti sentito parlare notte e giorno senza requie e senza posa di gay e lesbiche e delle terribili conseguenze che avrebbe portato al viver civile l'inconsulto e disastroso atto giuridico di legittimare cotali orrende coppie, ammettendo così esplicitamente che anch'esse sono composte da esseri umani e non da terribili mostri devastatori.
Un benefico silenzio è infine calato da qualche giorno sulla questione. L'improvvida legge (che offre il campo a molte, anche impreviste, considerazioni per chi vuole esaminarla bene) è passata, l'Italia è diventata un paese un po' più normale e si suppone che prima o poi arriverà anche il resto, se non sopravviene l'orribile catastrofe annunciata e promessa dai cattolici integralisti.
Al momento comunque la temutissima invasione di demoniaci mostri non è ancora iniziata, e possiamo goderci un po' di pace.
Auguri e rallegramenti a chi andrà in municipio a registrare la propria unione, a chi non ci andrà e anche e soprattutto a chi, al momento, non ha alcuna felice unione da registrare, perché possa al più presto inciampare in quella sorta di felice catastrofe che è il Grande Amore - di cui poi poter decidere se è il caso di regolarizzarlo o meno.
E possa l'Amore, unito al Buon Senso, illuminare con la sua benefica luce le giornate di tutti noi - anche di chi è allergico alle scartoffie e alle cerimonie.

Ma a proposito di impreviste considerazioni:

giovedì 28 gennaio 2016

Manuale del Perfetto Insegnante - Tipologie di Genitori - 3. Il genitore che fa i compiti


Qualche giorno fa Dolcezze si interrogava sullo scarso discernimento mostrato da quegli alunni che copiavano senza ritegno dalla rete varie tipologie di compiti di italiano senza prevedere che il loro insegnante, pur abituato a leggere la loro usuale produzione scritta, potesse anche solo vagamente insospettirsi per un improvviso cambio di registro linguistico e un ancor più improvviso maturarsi di modalità espositive e capacità critiche di cui poi, al momento di scrivere o parlare in classe, non restava più traccia veruna.

L'argomento è di quelli che aprono la strada a molti dolorosi interrogativi: per esempio "Forse che cotali miei alunni pensano che sia scema/o?" (la risposta è "Sì") oppure "O forse sono loro che sono scemi?" (e, di nuovo, la risposta è "Sì!").
E tuttavia si tratta pur sempre di giovinetti in crescita, poco usi alle malizie del mondo, sprovveduti anche per colpa dell'inesperienza, avventati come spesso solo i giovani sanno esserlo. Insomma, niente vieta di sperare che col tempo e l'esperienza, insieme alla statura cresca anche il loro buon senso.
Tuttavia ogni insegnante, non solo di Lettere, nel corso della sua vita lavorativa si trova ad affrontare una branca dell'idiozia umana ancor più sconfortante dell'Alunno Che Copia I Compiti, ovvero quella del Genitore Che Fa I Compiti. 
Non i suoi, mentre magari studia per una seconda laurea o un nuovo diploma o impara una lingua straniera, no. Costui o costei fanno i compiti per i loro figli. Al loro posto. E si impegnano anche molto, per farli bene, dedicando all'opra tempo ed energie che francamente risulterebbero assai meglio utilizzate scavando buche nel terreno per poi riempirle nuovamente, oppure spalando l'acqua con un forcone.
Tesori di conoscenze e competenze artistiche, linguistiche e matematiche vengono profusi senza risparmio - perché questa categoria di genitori mira in alto e vuole buoni voti, ché non vuole sfigurare accanto ai voti degli altri genitori. 
Avviene infatti che, mentre spesso il Genitore Che Fa I Compiti è un caso isolato, in molte classi si scateni invece una sorta di virtuosa emulazione che porta questi perfetti idioti a elaborare schede di libri sempre più impegnativi, allestire disegni di impianto sempre più complesso, sfornare composizioni nelle più varie lingue infarcite di costruzioni e considerazioni sempre più mature e risolvere problemi ed equazioni ricorrendo a sofisticate tecniche universitarie.
Inevitabile che l'insegnante se ne accorga: anche al più distratto le incongruenze saltano ben presto agli occhi, e si sentirà infine obbligato a tentare di affrontare l'argomento con l'invadente genitore. Il quale può avere due tipi di reazione:
1) negare stizzosamente qualsiasi tentativo di intromissione giurando che la loro prole, al solo avvicinarsi di un qualsivoglia genitore ai loro amati quaderni, apre le artiglierie e li caccia in malo modo perché non tollera intromissione alcuna, no, giammai!
2) abbozzare un sorrisetto complice e ammettere con una punta di orgoglio (e non già con profonda vergogna, come il più elementare senso di decenza imporrebbe) "Sa, l'ho un po' aiutato" mostrando con ciò di desiderare, oltre al voto alto per il figlio, anche l'ammirata approvazione del docente. Qualora poi l'insegnante si azzardi ad accennare cautamente qualcosa sull'importanza per l'alunno di confrontarsi con i suoi limiti ed esprimersi liberamente con la sua voce o analoghe banalità, il Genitore Che Fa I Compiti ribatte stizzosamente che purtroppo la creaturina è troppo timida, insicura o priva di autostima per riuscire ad esprimersi all'altezza della sua profonda sensibilità. In pratica, costui o costei han già stabilito a tavolino che il loro rampollo è una povera ameba che, privato del loro valido aiuto, franerebbe rapidamente... sì, per mancanza di capacità. 
A questo punto l'insegnante può provare a ricorrere alla più assoluta schiettezza o rifugiarsi dietro la più raffinata diplomazia, ma in entrambi i casi sa che quanto dirà sarà perfettamente inutile e che il Genitore Che Fa I Compiti, con squisita malafede, non terrà in alcun conto quanto gli viene detto, talvolta ammettendolo subito con squisito candore; ma dietro tutte le sue apparenze protettive, questa rama di genitori ha già stabilito che la loro prole esiste solo per brillare della luce riflessa del loro genio, e dell'eventuale possibilità che la sventurata creatura abbia una sua propria personalità si curano solo quel tanto che basta per aver cura di soffocarla onde impedire che il fanciullo o la fanciulla crescano (o anche semplicemente esistano) in una forma che non sia una proiezione esatta al millimetro del loro delirio di grandezza. 

Inutile porsi la domanda se questa particolare tipologia di genitore pensi che gli insegnanti siano del tutto scemi, perché la risposta è "Degli insegnanti non si curano né tanto né poco, e la questione ai loro occhi non riguarda il rapporto dei loro figli con la scuola, ma il loro rapporto con sé stessi  e soprattutto con la loro immagine". 
Intrappolato in questo gioco di specchi di inusitata crudeltà, il figlio avrà il suo bel da fare e da patire per riuscire a svincolarsi e vivere di vita propria.
Quanto all'insegnante, se i suoi cauti o ruvidi tentativi di intervento non sortono effetti visibili (raramente ne sortono, ma l'insegnante è tenuto comunque a tentare, prima ancora che per dovere professionale per puro e semplice spirito umanitario) la tecnica più semplice per aggirare l'ostacolo è valutare solo le prove eseguite in classe e lasciare il genitore a strepitare per conto suo o in Sala Insegnanti (cosa che spesso farà senza alcun pudore), salvo poi sfogarsi con i colleghi.

lunedì 18 maggio 2015

Hortodoxa - 17 Maggio 2015 - Giornata mondiale contro l'omofobia - Oggi parliamo di lesbiche

John William Godward - Nel giorno di Saffo (1904)

Mentre per gli uomini che amano accompagnarsi ad altri uomini ci sono sempre state decine e decine di parole diverse, una più sgradevole dell'altra, almeno fin quando un anima buona decise di dedicargli la parola gay*, per indicare le donne che amano le donne vengono da sempre usate soprattutto due parole, entrambe di altissima derivazione letteraria: da una delle più grandi poetesse di sempre, Saffo, deriva l'espressione "amore saffico" e dall'isola Lesbo, dove Saffo vide la luce, nacque l'appellativo "lesbica", che per quanto taluni si ingegnino di usare con varie alterazioni, resta pur sempre parola di origini colte e raffinate.

Di lesbiche si parla poco, e si tende a rimuoverle, soprattutto in Italia, come se non esistessero e se l'omosessualità fosse questione esclusivamente maschile. La cosa presenta anche dei tratti divertenti, come sa chiunque si sia intromesso in rete o dal vivo in qualche accesa discussione maschile sulle adozioni gay per osservare con aria angelica "Ma in fondo per le donne è già legale, no? Per loro la legge non serve, possono fare legalissimamente tutti i figli che vogliono"** causando sempre una pausa di silenzioso sgomento prima che la rissa riprenda.

Ogni tanto comunque qualcuno provvede a rimediare a questa inspiegabile rimozione: di recente ad esempio tal Felice Balloli, presidente della Lega Nazionale Dilettanti, ha ricordato a tutti noi che le lesbiche esistono, sì, e sono le ragazze che giocano a calcio. Con grande finezza infatti costui, il 5 Marzo 2015, durante una riunione del Consiglio di Dipartimento Calcio Femminile, nel corso di un accesa discussione sui finanziamenti da erogare al calcio femminile dilettante, ha chiuso la questione con l'ormai celebre frase "Basta! Non si può sempre parlare di dare soldi a queste quattro lesbiche!". Il verbalizzatore ha trascritto questa perla nel verbale - unica frase di tutta la riunione citata come discorso diretto. Qualche anima buona ha poi provveduto a diffondere prima la frase, poi l'intero resoconto della seduta. 
Da allora chiunque sia in qualche modo collegato con lo sport per dilettanti depreca e si scusa con grandi inchini non appena incrocia una femmina più o meno sportiva, mentre le lettere di protesta contro Balloli fioccano da ogni parte, e tutte le calciatrici d'Italia sono molto, molto, molto irritate. Balloli in compenso concede sette interviste al giorno per spiegare che quella frase non l'ha detta, che l'ha detta ma non in quel contesto e in quel modo, che nessuno può dimostrare che l'abbia effettivamente detta e, naturalmente, che lui non si dimetterà, no, no e ancora no - mentre per contro parecchi dei presenti si sono fatti vivi per dire che loro quella frase se la ricordano benissimo, altri provano a spiegare, con alterni risultati, che in quel momento non erano presenti alla riunione e il diretto superiore di Balloli, tale Tavecchio, che si è fatto di recente una certa reputazione grazie a una frase sui calciatori africani che fino a poco tempo fa mangiavano banane, ha preso le distanze deprecando moltissimo l'avventata frase.

Dall'esterno l'impressione è che qualcuno stia cercando di inguaiare Balloli (e spero caldamente che ci riesca). Resta però l'angoscioso interrogativo "Come ha fatto un uomo con siffatto cervello a diventare presidente di alcunché?" dal momento che dovrebbe essere ormai chiaro che questo tipo di apprezzamenti, fatti in sedi ufficiali e con tanto di verbalizzatore a portata d'orecchio possono rivelarsi piuttosto pericolosi, laddove nessuno ti biasimerà mai se te li risparmi.

Come tutti gli insegnanti, anch'io ho avuto un gran numero di alunni che giocavano a calcio, maschi e femmine; le calciatrici mi venivano regolarmente presentate come "maschiacci" particolarmente vivaci (e non sempre lo erano) e ogni tanto ai consigli di classe si apriva l'avvincente discussione se Y o Z fossero o meno lesbiche. Io ascoltavo piuttosto stranita, e mi domandavo da dove diavolo potesse venire fuori un associazione così balorda come quella. Nessuno è mai riuscito a spiegarmelo, al di là del "dài, si sa che è così". Per l'appunto io non lo sapevo, e continuo a non capire come il fatto di prediligere uno sport rispetto a un altro sveli qualcosa del nostro orientamento sessuale - tra l'altro non risulta nemmeno che Saffo giocasse a palla (anche se le fanciulle che giocano a palla sono un classico della letteratura greca e latina, nonché delle frasi sulla prima declinazione).

Oggi è la giornata mondiale contro l'omofobia, ovvero una delle tante giornate mondiali contro l'idiozia. Auguri a tutte le giocatrici di calcio ancora in erba perché facciano una bella e luminosa carriera, auguri a tutti noi di imparare a scansare le frasi fatte, i pregiudizi e le stupidaggini di tutti i tipi.
Auguri anche alle lesbiche, naturalmente, qualunque sia lo sport cui hanno scelto di dedicarsi. 
Ma soprattutto, auguri alla Lega Dilettanti di trovare al più presto un presidente provvisto di un minimo di criterio.

*sì, lo so, è nata come parola unisex; ma non è colpa mia se in italiano correggiuto adesso si usa solo per i gay maschi.
**in realtà anche questo non è vero, la legge servirebbe anche a loro. Comunque se ancoira nion ce l'hanno non è colpa mia.

venerdì 25 luglio 2014

Hortodoxa - Sul corso di formazione on line per neoimmessi in ruolo

Il regista Spielberg riposa accanto al programmatore della piattaforma on line per i neoimmessi in ruolo

Per completare la trilogia dedicata alla mia disastrata immissione in ruolo non mi resta che parlare del Corso di Formazione On Line.
Ordunque, quando venne istituito l'anno di formazione per i neoassunti in ruolo* venne anche stabilito che i suddetti dovessero fare un corso di formazione di 40 ore, in seguito diventate 50.
In realtà, per quel che mi risulta, le lezioni vere e proprie coprivano una quindicina di ore (per il resto del tempo si supponeva che i neoimmessi facessero i compiti a casa da soli, o qualcosa del genere). Considerando come sono organizzati i corsi di formazione in questo campo era probabilmente meglio così, anche se, in effetti, non ci sarebbe stato niente di male se il Ministero avesse organizzato dei corsi utili e validi della durata di 40, 50 o anche 180 ore, ché il nostro è un lavoro dove c'è sempre tanto da imparare; ma insomma non voglio fare quella che sta sempre a criticare tutto: era così e basta.

Con l'avvento delle Nuove Tecnologie il corso diventò on line, 25 ore in presenza di apposito istruttore e 25 da farsi a casa o dove diamine il neoassunto ritenesse opportuno. Per quanto sono riuscita a ricostruire, ciò avvenne all'inizio del terzo millennio, e prese la sua forma attuale, affidata alle abili mani dell'INDIRE, nel 2004.
Si tratta di una piattaforma cui il Ministero ti autorizza ad accedere tramite password. Lì puoi partecipare a forum e dibattiti, svolgere esercizi e aggiornarti scaricando testi su argomenti collegati alla scuola, fino a raggiungere 50 crediti formativi.
Non sembra malaccio, vero? Il nostro è un mestiere talmente vario e imprevedibile che anche solo parlarne on line (o dal vivo)  con i colleghi ti lascia sempre qualcosa su cui riflettere. 

MA c'erano alcuni piccoli dettagli che presentavano un ampio margine di miglioramento, e trattandosi del MIUR la cosa non sorprende più di tanto. Trattandosi dell'INDIRE sorprende un po' di più, perché sul loro sito ho anche trovato delle cose piuttosto interessanti, ma tant'è.

Il primo e non lieve inconveniente era che la piattaforma funzionava poco e male. Per quanto ne so, dopo il 2004 non era mai stata aggiornata ma non ha mai funzionato bene, nemmeno da neonata: si bloccava spesso e volentieri, non si collegava oppure, direttamente, ti avvisavano che "la piattaforma è giù" (down); forse giù di morale? Poveretta, ne aveva ben donde. E che dire dell'umore del povero neoimmesso che sperava di lavorarci?
Quanto ai gruppi di incontro, avevano finito per chiuderli perché non riuscivano a gestirli e mandavano troppo spesso in tilt la piattaforma - che comunque, anche senza gruppi di lavoro, garantisco che in tilt ci andava spesso e volentieri. In questo casi la spiegazione è sempre "perché ci sono troppi contatti", e la risposta che sorge spontanea a chiunque è "Chissà come fanno con Facebook?". Infine, si tratta di gestire qualche migliaio di contatti, non di più - e oggigiorno sembrerebbe un obbiettivo non al di fuori della portata delle informatiche possibilità. Soprattutto, se insisti a fare il corso compattandolo in poche settimane ma coinvolgendo tutti quelli che entrano in ruolo quell'anno, devi programmare la piattaforma partendo dall'indispensabile requisito che deve reggere dai 50.000 ai 100.000 contatti in contemporanea, e se non ti riesce fare qualcosa in grado di soddisfare a questo requisito di base lasci subito perdere e rimandi tutti nelle aule a fare lezione tradizionale con tanto di penne d'oca, portacalamaio nel banco e striscette di carta pergamena per gli appunti. Dopotutto, non importa mostrarsi aggiornati a tutti i costi, per migliaia di anni siamo andati avanti con le cosiddette tecniche tradizionali, e qualche nozione credo siano riusciti a trasmetterla anche così.

L'anno in cui entravo in ruolo il corso cominciò particolarmente tardi. In effetti ogni anno partivano un po' più tardi dell'anno precedente, e a noi toccò a metà Maggio - che non è proprio il periodo dell'anno in cui un insegnante è ansioso di vedersi arrivare un attività aggiuntiva. Siccome eravamo davvero stretti con i tempi (specie dopo il tentativo di suicidio della piattaforma) una delle lezioni venne fissata di Sabato mattina, quando a St. Mary Mead facevamo lezione. Lo facemmo presente e ci dissero che non c'era problema, la scuola ci avrebbe giustificato l'assenza. L'insieme ci sembrò particolarmente perverso: perché mai avremmo dovuto fare un assenza, di cui a fine anno avremmo davvero fatto volentieri a meno, solo perché all'INDIRE non si erano preoccupati di organizzare le cose per tempo? Il lavoro di scuola ci sembrava dovesse avere la precedenza, si trattava di un servizio pubblico eccetera eccetera.
Saltò fuori che avevamo in effetti diritto a qualche ora di assenza, e così andammo a scuola. In effetti, fare lezione ci sembrava una prospettiva molto più allettante che stare a cazzeggiare con quell'improbabile piattaforma che non aveva nemmeno un interfaccia (al massimo un interculo).

L'istruttore ci spiegò che il corso era partito così tardi perché la piattaforma aveva avuto dei problemi. In effetti li aveva ancora perché già dal giorno dopo la piattaforma diventò irraggiungibile per più di una settimana. Nel frattempo il nostro provvido istruttore si era stampato un buon numero di schermate con le attività più consuete e ce le distribuì generosamente. E così si tornò davvero alla penna d'oca; o meglio, ai file in Word.

Comunque funzionasse, quella piattaforma aveva una grafica decisamente antiquata. A me ricordava moltissimo il sistema di schedatura di archivi Anagrafe, del quale era stato detto assai appropriatamente che non aveva un interfaccia, ma al massimo un interculo. Va detto però che Anagrafe era stato progettato (male) nel 1993, e non nel 2004 - e appariva discretamente antiquato già allora anche se, nonostante tutti i suoi difetti, di solito non andava in crash.
Schermate grigie con ovali di varie sfumature di grigio guidavano il neoimmesso in ruolo lungo percorsi piuttosto perversi. Le attività erano contenute in scatole dentro altre scatole dentro altre scatole, e il vero problema, se non ti eri appuntato subito il percorso, era ritrovare l'attività che volevi fare, perché il percorso sfidava spesso ogni tipo di logica. Certe volte, dopo aver scavato e riscavato, scoprivi che l'attività da fare non c'era, oppure stavi per un buon quarto d'ora a cliccare a casaccio prima di azzeccare l'unico punto dove il programma si apriva, come una rosa, permettendoti di capire cosa volevano da te. Altre volte, dopo aver scavato e riscavato, scoprivi infine che l'attività non era fattibile nel tuo ordine di scuola, e anche se la piattaforma era disposta ad accettartela comunque, un residuo di scrupolo ti inibiva dal preparare (male) un attività per la prima elementare.

In certi rari casi si poteva svolgere l'attività direttamente nella piattaforma - ad esempio in un attività dove chiedevano di inserire dei link utili per le lezioni con la LIM in un apposita tabella Excel. Ne volevano tre, ma in un attacco di virtuosismo decisi di metterne cinque: Wikipedia, un sito specializzato in mappe geografiche, una sezione del sito dell'Accademia della Crusca dove risolvevano dubbi ortografici e linguistici di vario genere, YouTube e un sito specializzato in approfondimenti storici per le scuole medie. Dovetti comunque rinunciare perché né io né l'istruttore riuscimmo ad aggiungere due righe alla tabella.
Nella maggior parte dei casi però si trattava di raccontare o progettare un esperienza didattica, e lo dovevamo fare scrivendo un piccolo file in Word che sarebbe partito come allegato: prima lo spedivamo all'istruttore, lui ce lo rinviava dopo averlo approvato e noi lo inviavamo alla piattaforma. Il giorno dopo ci venivano attribuiti i crediti dell'attività. Il tutto ci sembrò leggermente bizantino e un tantino perverso: più che una piattaforma a quel punto diventava una casella di posta elettronica.

Per noi di Lettere uno delle attività più gettonate era "Handicap e letteratura": si trattava di analizzare un qualche racconto o testo letterario il cui protagonista presentasse handicap. Non so come mai (forse era suggerito dalla traccia) tutti si precipitarono a fare Ranocchio, da Rosso Malpelo. Io personalmente lo trovavo più un caso da infortunio sul lavoro, e finii col fare un analisi de Il nano di Oscar Wilde. Solo dopo mi venne in mente che avrei potuto parlare di Gollum - dovevo essere davvero sotto pressione per non averci pensato subito. 
In un altra attività si chiedeva di tenere un blog di classe e raccontarne gli sviluppi, suggerendo di usare, come possibile piattaforma, Splinder - sì, proprio quella che un annetto prima era defunta, gettando scompiglio nel mondo dei blogger; evidentemente nessuno si preoccupava di aggiornare le tracce, anno dopo anno. Fu con un certo divertimento che mi inventai la storia di un blog di classe descrivendone gli alti e bassi e concludendo con un lamento perché, ahimé, tale blog era su Splinder e dunque ormai scomparso per sempre.
Ma la prima attività che andai a cercarmi fu La palestra contesa, di cui sentivo parlare da anni dalle colleghe entrate in ruolo prima di me: era uno di quei test dove dovevi segnalare chi aveva maggiore responsabilità di una data situazione, in ordine decrescente, e dove non esiste una risposta giusta ma che serve a capire la scala morale di chi risponde. Un po' inutile in quel contesto, visto che nessuno mai sarebbe andato a indagare sulle mie priorità morali, ma divertente. Per curiosità feci una piccola ricerca in rete e scoprii che c'erano almeno una decina di svolgimenti, a disposizione di chiunque li volesse. Con mia ulteriore sorpresa, nessuna delle graduatorie di responsabilità che incrociai corrispondeva alla mia: ai miei occhi era evidentissimo che il pasticcio l'aveva combinato il DS, promettendo la palestra prima a X e poi a Y e lasciando poi la gente a scannarsi come gli pareva. Io mi basai su quel che mi avevano spiegato tanti anni prima, quando avevo fatto un corso organizzato dalla Regione sulla gestione aziendale: la regola diceva che, ove due sottoposti discutono su questioni di organizzazione, la colpa è sempre di chi dirige e che non ha organizzato bene le rispettive sfere di competenza.

Arrivare a quaranta crediti fu rapido e piuttosto indolore e così prendemmo anche noi il nostro bell'attestato, anche se in effetti dopo aver fatto il corso non ci sentivamo particolarmente formate.

*Legge 270/82

sabato 17 maggio 2014

Hortodoxa - 17 Maggio 2014 - Giornata mondiale contro l'omofobia



Molte cose accomunano Albus Silente, grande mago e preside di Hogwarts, e Gandalf il Grigio Pellegrino: la lunga barba bianca, il cappello a punta, la comune discendenza letteraria da Merlino, il fatto di essere due grandi e autorevoli punti di riferimento per i protagonisti delle storie in cui compaiono, le lunghe vesti, i grandi poteri magici, l'importanza che entrambi danno al libero arbitrio e alla misericordia, una morte in corso d'opera e soprattutto il fatto di essere sempre molto, molto misteriosi e criptici in quel che dicono e di saperne molto di più, di quel che sta succedendo, di tutti gli altri protagonisti.
In molte cose differiscono: Silente è un umano e Gandalf un Maia; Silente ha un look elegante con ampie concessioni alla stravaganza, Gandalf è piuttosto trasandato; Silente ha un carattere ingannevolmente amabile, Gandalf è irascibile; Silente è più manipolatorio (anche se i fatti finiscono per dargli ragione) e Gandalf NON PUO' esserlo per statuto. Silente muore e questo è quanto, Gandalf risorge.

Entrambi, pur non vivendo uno straccio di storia d'amore né etero né gay nel corso dei romanzi in cui compaiono (anche perché l'età sembrerebbe mettere entrambi fuori da questo tipo di giochi) sono diventati testimonial gay, ognuno con una strada piuttosto insolita: nel caso di Silente, l'autrice ha fatto coming out per lui, suscitando un moderato vespaio dovuto soprattutto alla meraviglia*, l'altro il coming out l'aveva fatto per bocca dell'attore** che l'ha interpretato, nel 1988, ed è un coming out molto indiretto perché all'epoca sir Ian Murray McKellen non aveva ancora interpretato Gandalf né sapeva che l'avrebbe fatto. Tuttavia il suo aspetto solenne e maestoso in veste gandalfiana ben si presta a molti e giocosi richiami in merito.



E non è detto che il Professore avrebbe apprezzato tutto ciò, ma si sa:
La via prosegue senza fine, lontano dall'uscio da cui parte.

Con la speranza che gli ampi poteri magici di questi due signori aiutino a disperdere le cupe nubi di omofobia, transfobia e prevenzione, lasciando a tutti la libertà di essere serenamente quel che sono.




*vabbé, qualcuno si è anche scandalizzato e strappato i capelli, ma è roba di poco conto.
**e sì, c'è stato qualche tolkieniano che ha trovato da ridire. Ma sorvoliamo pietosamente.

martedì 21 maggio 2013

Hortodoxa - 17 Maggio 2013 - Giornata mondiale contro l'omofobia

Love is love, senza dubbio. Io però un topo innamorato di un gatto non lo vedo messo benissimo. Senza pregiudizi, intendiamoci.

Passano i giorni e i mesi (se li conti anche i minuti) e col tempo è tornato il 17 Maggio, con annessa Giornata Internazionale Contro l'Omofobia. Stavolta sono stata brava e mi sono appuntata la data sul calendario.
Non che avessi in mente grandi cose. Ad avviare un progetto un po' articolato per le prime ci aveva provato la prof. Therral, ma era stata subito stoppata dalla prof. Palmina che aveva assicurato che gli psicologi raccomandano di non affrontare l'argomento negli anni delle medie, perché i ragazzi rischiano di confondersi le idee - e dal momento che gli psicologi, in tema di omosessualità, hanno davvero detto di tutto e di più, ci sta che esista il singolo psicologo che, dopo abbondanti libagioni, abbia partorito cotal strampalato parere; così come ci sta pure la possibilità che l'essere credente e molto praticante incida in parte sull'approccio che la prof. Palmina ha mostrato verso la questione. Comunque sia, il progetto è morto ben prima di nascere.
Non per questo ho rinunciato alla mia lezioncina. Siamo in prima, non importa fare grandi cose, giusto qualche parola di spiegazione, tanto per introdurre il tema. 
Ma proprio come l'anno scorso le cose sono andate un po' diversamente da come le immaginavo.

Scrivo sulla lavagna la parola OMOFOBIA, bella grande.
"Oggi è la giornata mondiale contro l'omofobia - spiego - Qualcuno di voi sa cosa vuol dire questa parola?
Celeste alza la mano, molto soddisfatto della sua competenza in materia.
"E' quel fenomeno per cui alcuni uomini hanno la malattia di provare attrazione per altri uomini".
Nessuno in classe abbozza una qualche reazione di meraviglia o scherno davanti a sì strampalata definizione.

"Molto bene" mi dico "Oggi ci si guadagna lo stipendio, fino all'ultimo centesimo. Ma chi gliele insegna, certe stupidaggini?"
E così inizia una lezione di filologia in piena regola, con le ragazze che ascoltano tranquille e i ragazzi talmente elettrici che se li avessi collegati a dei cavetti avrei potuto mandarci avanti per qualche giorno l'intera Toscana, industrie comprese. 
Prima la parola "fobia", poi la parola "omosessuale", cosa vuol dire "gay" in inglese e cosa vuol dire in italiano, da dove viene la parola "lesbica" (e tutta la classe alla carta geografica a cercare l'isola di Lesbo, felici come pasque dopo averla trovata manco non avessero mai visto un'isola su una carta geografica in tutta la loro vita), di come Saffo fosse una donna anche se il nome finiva in -o (e qui il ricordo di Benigni e della sua versione della storia di Caino e Abele si affaccia con prepotenza).
Poi è iniziato un lungo e sdruccioloso cammino verso la questione dell'orientamento sessuale: l'omosessualità non è una malattia (ma spesso è stata considerata tale), non tutte le religioni la condannano (ma le tre Religioni del Libro sì, se pure con qualche distinguo), non se ne conoscono le cause (ma un sacco di persone le hanno cercate, e qualcuno è pure convinto di averle trovate). E avevo appena spiegato che l'orientamento sessuale non si trova con la bussola quando il suono salvifico della campanella mi ha concesso una legittima fuga verso la Seconda Effervescente, che al confronto mi è risultata assai riposante e quasi soporifera, con il suo tranquillo impero napoleonico e la rilassante spedizione contro la Russia.

Domani l'argomento andrà ripreso, ché c'è ancora da affrontare tutta la questione delle parole che si possono usare per indicare i gay e di quelle che vanno maneggiate con cautela, meglio se evitate del tutto, soprattutto nei corridoi della scuola (per tacere dei pulmini).
Che è la parte più complicata da spiegare e da gestire. Chissà se c'è qualche altoforno nei dintorni cui regalare la corrente in sovrappiù?

giovedì 5 luglio 2012

Hortodoxa - Storia di Astolfo e di Agilulfo

Già è difficile trovare una bella foto a colori di Astolfo, qua in rete (infatti non l'ho
 trovata) - figurarsi di Agilulfo!


Siccome la classe di quest'anno (come la maggior parte delle classi) mostrava all'inizio una certa difficoltà a distinguere le proposizioni soggettive da quelle oggettive, ho pensato di preparargli un esercizio ad hoc, con una bella serie di frasi costruite in modo da raccontare una storia, così gli restava tutto  più impresso; ma mentre scrivevo le frasi mi è venuto in mente che  forse potevo inserire una piccola sorpresa nella vicenda, giusto per accennare in modo subliminale al fatto che niente va mai dato per scontato, soprattutto in amore.
Le frasi sono state proiettate sulla LIM e analizzate, una dopo l'altra, da alunni a mia scelta che potevano venire corretti da chi non condivideva la loro analisi. Quando si mettevano a discutere, aspettavo che addivenissero ad una decisione comune.
Non gli ho detto che soggettive e oggettive erano alternate, e ho aspettato pazientemente che ci arrivassero da soli.

* Guardare nei diari degli altri senza il loro permesso non è lecito

* Agilulfo è convinto che tu abbia guardato sul suo diario

* Ormai è noto a tutti ciò che Agilulfo ha scritto sul suo diario

* Agilulfo ha scritto sul diario che ti ama

* Dichiarerò al mondo intero, e col megafono,  che amo profondamente Agilulfo

* Si dice in giro che Agilulfo sia innamorato della mia migliore amica

* La mia migliore amica mi ha giurato che non le importa assolutamente nulla di Agilulfo

* E' stato molto bello uscire con Agilulfo ieri sera

* Non racconterò a nessuno che io e Agilulfo ci siamo baciati

* Corre voce che io e Agilulfo siamo stati visti, ieri sera

* Mi hanno raccontato che Astolfo ha fatto una terribile scena di gelosia ad Agilulfo.

* Dicono che Agilulfo e Astolfo l'anno scorso facessero coppia fissa

* Agilulfo mi ha detto che tra lui e Astolfo non c'è mai stato nulla.

* Si racconta in giro che ancora pochi giorni fa Astolfo e Agilulfo si giurassero eterno amore

* Astolfo mi ha chiesto di diventare il suo ragazzo

* E' evidente che Agilulfo è molto arrabbiato con Astolfo

* Ho scoperto che amo Astolfo molto più di Agilulfo

* Si dice che Agilulfo parli malissimo di me in giro

* Sono convinto che Agilulfo troverà presto il ragazzo giusto per lui

* E' noto a tutti che Agilulfo è un ragazzo molto permaloso e suscettibile

* Sono sicuro che io e Astolfo ci ameremo per tutta la vita

La classe mi diede gran soddisfazione: non solo analizzò con molta cura i periodi, familiarizzandosi un po' con soggettive e oggettive, ma fece grandi meraviglie davanti agli sviluppi della storia e addirittura ci fu chi mi chiese se era una storia vera, nomi a parte. Risposi di sì, nel senso che doveva essere successa decine di migliaia di volte, nomi a parte.
Mi chiesero anche (ma questo me lo chiedono tutte le classi) dove trovavo i nomi. Glielo spiegai; di Astolfo qualcuno si ricordava, di Agilulfo no. Spiegai anche che avevo imparato a fare le frasi con nomi piuttosto desueti per evitare che qualcuno si sentisse chiamato in causa, o cominciasse a fare commenti su amici o conoscenti.
Qualche giorno dopo, su un libro che parlava di omosessualità nelle scuole, lessi il suggerimento per gli insegnanti di presentare, attraverso letture, situazioni in cui l'omosessualità viene presentata come una cosa normale che fa parte della vita quotidiana. Trovare delle letture adatte per le medie non è facilissimo, o almeno non mi è ancora venuto in mente niente, però mi congratulai con me stessa per aver trovato comunque un modo didatticamente utile.

venerdì 18 maggio 2012

Hortodoxa - 17 Maggio 2012 - Giornata mondiale contro l'omofobia


Mi rendo conto che la giornata mondiale contro l'omofobia era ieri, e non oggi; ma oggigiorno la vita è caotica, non ci sono più le mezze stagioni, a scuola questo mese stanno cercando di battere il record europeo della concentrazione di impegni pomeridiani dopo avermi lasciata quasi libera per due terzi dell'anno e insomma sono venuta a saperlo soltanto ieri sera sul tardi, e d'altra parte ormai le giornate mondiali si sprecano e star dietro a tutte è un'impresa improba. Ci vorrebbe un calendario dedicato. 
Però ho visto che il Ministro dell'Istruzione aveva esortato gli insegnanti a intervenire sull'argomento e mi sono detta che parlarne il giorno dopo era pur sempre meglio che non parlarne affatto, 
Pensavo a un piccolo intervento incentrato sul mutamento di costumi, di come tutta la terminologia sui gay fosse relativamente recente e di come il concetto di omofobia si fosse assai esteso, includendo anche gesti e parole che un tempo erano ritenuti quasi normali... il tutto aiutata da quella che è la migliore amica dell'insegnante con la LIM, ovvero Wikipedia, che citava ben tre diverse accezioni del termine omofobia. Un interventino piccino picciò, che poi c'era la Conferenza di Yalta che incombeva e tanto per cambiare a storia siamo in ritardo.
Arrivata in classe ho acceso la LIM. "Ieri era la giornata mondiale contro l'omofobia".
"Sì, l'abbiamo visto. C'erano un sacco di link su Facebook".
"Molto bene. Chi mi spiega cosa vuol dire omofobia?".
"Sono quelli che amano gli uomini".
"Ehm, non proprio. Qualcuno ha un'altra ipotesi?".
Le ipotesi degli altri, per fortuna, erano molto, molto più vicine al vero.
Così siamo partiti dall'etimologia di "omofobia" e dal suo significato attuale, piuttosto ampio, passando poi alla nascita della parola "gay" nell'accezione comune oggi, al politically correct, alle leggi che vietano la discriminazione basata sull'orientamento sessuale, all'etimologia della parola "lesbica", al significato di "coming out" e "outing"...
... praticamente una lezione di linguistica, con tanto di dettatura di una paginata di schema. Del resto io sono la loro insegnante di lettere, chi più di me deve vegliare sulle loro competenze linguistiche?
Un'ora e mezzo di dibattito ad ampio raggio, con un ricco intermezzo sulle adozioni dei bambini, un altro sulla necessità di non discriminare di ama Justin Bieber (un argomento che ricorre molto spesso, in quella classe. E pensare che fino a otto mesi fa ignoravo financo l'esistenza di Justin Bieber) e finestre varie su Marco Mengoni, George Michael, Oscar Wilde, i registri delle unioni civili, De Gasperi e Pio XII, la nostra costituzione, il Vecchio e Nuovo testamento, le leggi inglesi e americane, la domanda rimasta senza risposta se una coppia gay può adottare un bambino all'estero e vedere riconosciuta l'adozione in Italia, le possibili reazioni dei genitori davanti a un figlio gay, l'opportunità di non usare la parola "finocchi" al di fuori del contesto puramente vegetal-verduriero (qui in Toscana non ha necessariamente un'accezione offensiva), a meno che non si sia più che sicuri dell'uditorio perché si rischia di offendere senza volere il capufficio che sta meditando se rinnovarti o no il contratto, più un'infinità di altre questioni di piccolo e medio calibro.

Piuttosto divertente, nel complesso; ma, da insegnante di lettere, mi sono immersa in profonda meditazione sul fatto che spesso le parole sono usate a caso o comprese con lo spannometro. Voglio dire, di outing si sente parlare a colazione, pranzo e cena, è una parola che si finisce per dare per scontata.
E invece con gli adolescenti è bene non dare per scontato proprio nulla.
Faticoso, a pensarci.
Comunque, eccomi qua. Il mio sassolino l'ho portato anch'io. Del resto, si sa, le parole a volte sono pietre.
La Conferenza di Yalta aspetterà il prossimo Martedì, augurandosi che non sia anche quella una Giornata Mondiale di pari levatura.

Auguri a tutti che questa giornata mondiale diventi inutile il prima possibile e possa venire sostituita da una Ulteriore Giornata Mondiale del Gatto.