Qualche giorno fa Dolcezze si interrogava sullo scarso discernimento mostrato da quegli alunni che copiavano senza ritegno dalla rete varie tipologie di compiti di italiano senza prevedere che il loro insegnante, pur abituato a leggere la loro usuale produzione scritta, potesse anche solo vagamente insospettirsi per un improvviso cambio di registro linguistico e un ancor più improvviso maturarsi di modalità espositive e capacità critiche di cui poi, al momento di scrivere o parlare in classe, non restava più traccia veruna.
L'argomento è di quelli che aprono la strada a molti dolorosi interrogativi: per esempio "Forse che cotali miei alunni pensano che sia scema/o?" (la risposta è "Sì") oppure "O forse sono loro che sono scemi?" (e, di nuovo, la risposta è "Sì!").
E tuttavia si tratta pur sempre di giovinetti in crescita, poco usi alle malizie del mondo, sprovveduti anche per colpa dell'inesperienza, avventati come spesso solo i giovani sanno esserlo. Insomma, niente vieta di sperare che col tempo e l'esperienza, insieme alla statura cresca anche il loro buon senso.
Tuttavia ogni insegnante, non solo di Lettere, nel corso della sua vita lavorativa si trova ad affrontare una branca dell'idiozia umana ancor più sconfortante dell'Alunno Che Copia I Compiti, ovvero quella del Genitore Che Fa I Compiti.
Non i suoi, mentre magari studia per una seconda laurea o un nuovo diploma o impara una lingua straniera, no. Costui o costei fanno i compiti per i loro figli. Al loro posto. E si impegnano anche molto, per farli bene, dedicando all'opra tempo ed energie che francamente risulterebbero assai meglio utilizzate scavando buche nel terreno per poi riempirle nuovamente, oppure spalando l'acqua con un forcone.
Tesori di conoscenze e competenze artistiche, linguistiche e matematiche vengono profusi senza risparmio - perché questa categoria di genitori mira in alto e vuole buoni voti, ché non vuole sfigurare accanto ai voti degli altri genitori.
Avviene infatti che, mentre spesso il Genitore Che Fa I Compiti è un caso isolato, in molte classi si scateni invece una sorta di virtuosa emulazione che porta questi perfetti idioti a elaborare schede di libri sempre più impegnativi, allestire disegni di impianto sempre più complesso, sfornare composizioni nelle più varie lingue infarcite di costruzioni e considerazioni sempre più mature e risolvere problemi ed equazioni ricorrendo a sofisticate tecniche universitarie.
Inevitabile che l'insegnante se ne accorga: anche al più distratto le incongruenze saltano ben presto agli occhi, e si sentirà infine obbligato a tentare di affrontare l'argomento con l'invadente genitore. Il quale può avere due tipi di reazione:
1) negare stizzosamente qualsiasi tentativo di intromissione giurando che la loro prole, al solo avvicinarsi di un qualsivoglia genitore ai loro amati quaderni, apre le artiglierie e li caccia in malo modo perché non tollera intromissione alcuna, no, giammai!
2) abbozzare un sorrisetto complice e ammettere con una punta di orgoglio (e non già con profonda vergogna, come il più elementare senso di decenza imporrebbe) "Sa, l'ho un po' aiutato" mostrando con ciò di desiderare, oltre al voto alto per il figlio, anche l'ammirata approvazione del docente. Qualora poi l'insegnante si azzardi ad accennare cautamente qualcosa sull'importanza per l'alunno di confrontarsi con i suoi limiti ed esprimersi liberamente con la sua voce o analoghe banalità, il Genitore Che Fa I Compiti ribatte stizzosamente che purtroppo la creaturina è troppo timida, insicura o priva di autostima per riuscire ad esprimersi all'altezza della sua profonda sensibilità. In pratica, costui o costei han già stabilito a tavolino che il loro rampollo è una povera ameba che, privato del loro valido aiuto, franerebbe rapidamente... sì, per mancanza di capacità.
A questo punto l'insegnante può provare a ricorrere alla più assoluta schiettezza o rifugiarsi dietro la più raffinata diplomazia, ma in entrambi i casi sa che quanto dirà sarà perfettamente inutile e che il Genitore Che Fa I Compiti, con squisita malafede, non terrà in alcun conto quanto gli viene detto, talvolta ammettendolo subito con squisito candore; ma dietro tutte le sue apparenze protettive, questa rama di genitori ha già stabilito che la loro prole esiste solo per brillare della luce riflessa del loro genio, e dell'eventuale possibilità che la sventurata creatura abbia una sua propria personalità si curano solo quel tanto che basta per aver cura di soffocarla onde impedire che il fanciullo o la fanciulla crescano (o anche semplicemente esistano) in una forma che non sia una proiezione esatta al millimetro del loro delirio di grandezza.
Inutile porsi la domanda se questa particolare tipologia di genitore pensi che gli insegnanti siano del tutto scemi, perché la risposta è "Degli insegnanti non si curano né tanto né poco, e la questione ai loro occhi non riguarda il rapporto dei loro figli con la scuola, ma il loro rapporto con sé stessi e soprattutto con la loro immagine".
Intrappolato in questo gioco di specchi di inusitata crudeltà, il figlio avrà il suo bel da fare e da patire per riuscire a svincolarsi e vivere di vita propria.
Quanto all'insegnante, se i suoi cauti o ruvidi tentativi di intervento non sortono effetti visibili (raramente ne sortono, ma l'insegnante è tenuto comunque a tentare, prima ancora che per dovere professionale per puro e semplice spirito umanitario) la tecnica più semplice per aggirare l'ostacolo è valutare solo le prove eseguite in classe e lasciare il genitore a strepitare per conto suo o in Sala Insegnanti (cosa che spesso farà senza alcun pudore), salvo poi sfogarsi con i colleghi.