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domenica 28 maggio 2023

Come fu che le scuole medie di St. Mary Mead e Crifosso andarono al cinema

Benozzo Gozzoli - Processione dei Re Magi

Vengo ordunque a narrar qua lo grandissimo evento della mirabile uscita del comprensivo tutto di St. Mary Mead- Crifosso per andare al cinema , che si è felicemente conclusa lasciandoci tutti vivi e in buona salute, che è stato risultato assai maggiore di quanto li più ottimisti infra di noi ardissino isperare.
E magari chi passa di qui dirà "Eh, quante storie, tutti i giorni un sacco di gente va al cinema e non gli succede niente di male, tutt'al più si annoia un po'. Questi insegnanti la fanno davvero troppo lunga".
E magari chi lo dicesse avrebbe pure ragione. E tuttavia io sono davvero ammirata dell'ardimentoso coraggio di colei che ha permesso in compimento  di sì complessa impresa e di tutti coloro che han collaborato.
E andiamo ordunque a narrare lo gran prodigio di valore compiuto da tutti noi docenti.
Come ho già raccontato, tutte le classi delle medie di St. Mary Mead e di Crifosso stan seguendo un corso di cinematografia.
Una volta fatta la lezione di storia del cinema, la tappa successiva è stata una visita guidata all'ex teatro-cinema di St. Mary Mead, da tempo in via di restauro.
Dopodiché, vivaddio, era prevista anche la visione di un film. E a qualcuno è venuta la brillante idea, visto che a St. Mary Mead abbiamo solo un cinema ancora in via di restauro (e a Crifosso manco quello) di portare la popolazione di entrambe le scuole medie a una matinée al vicino comune di Pietraforata, che di cinema ne ha addirittura due, e in perfetto funzionamento. E se vi sembra facile da fare non so che dire, accomodatevi pure e buon lavoro.
Si trattava dunque di spostare non solo i 180 alunni delle nove classi del Comprensivo di St. Mary Mead, ma anche gli altrettanto 180 della media di Crifosso, che da St. Mary Mead dista circa una decina di chilometri, per fortuna collegati tra loro da una efficiente linea ferroviaria.
Portare fuori i ragazzi è sempre un'avventura, e dopo tre anni di clausura da COVID siamo diventati tutti orrendamente ansiosi e preoccuposa; inoltre la collega che ha organizzato il tutto è di gran lunga la più ansiosa e preoccuposa di tutti. Per giunta è anche singolarmente incapace di organizzare alcunché senza fare sempre e comunque un immane casino (l'unica persona che conosco ancor più incapace sono io, che però, consapevole di questo mio limite oggettivo, mi guardo bene dall'organizzare alcunché). Non metto in dubbio che la questione fosse complessa, ma in cuor mio sospetto che si potesse fare anche con una decina di circolari in meno; ancor più sospetto che se Trenitalia si fosse degnato di mandare la prenotazione qualche giorno prima, e non la sera avanti, ovvero all'ultimo minuto nonostante la prenotazione sia stata fatta con immane anticipo, il fegato della mia collega se ne sarebbe assai avvantaggiato.
Portare fuori una classe è ritenuto affare di poco conto ("Domani vado con la Seconda B al Museo delle scienze ma si è ammalato Musica, potresti venire tu invece?" "Volentieri, tanto faccio solo due ore e mi sostituiscono senza problemi. A che ora andiamo via?"). 
Portare fuori due o tre classi è già più complicato perché A deve sostituire B mentre C sostituirà se stesso con abile triplo salto carpiato, ma insomma si fa.
Portare fuori tutte le classi, se da una parte semplifica molto la questione delle sostituzioni (siamo tutti fuori quindi nessuno va sostituito) si trasforma in una transumanza assai complessa, tanto che mi sono seriamente domandata come facevano a muoversi le orde barbariche - che si misuravano in decine di migliaia -ai tempi delle invasioni. Probabilmente si preoccupavano meno della sicurezza, immagino, e certo i problemi del traffico automobilistico li impensierivano meno.
Muoversi in 360 alunni più una buona ventina di docenti comunque è affar serio, e così per vedere un film di 94 minuti, proiettato in un paesello a quindici chilometri e quindici minuti di treno di distanza, abbiamo impiegato quasi tutta una mattina di sei ore.
Prima di tutto le partenze scaglionate: ogni cinque minuti partiva una nuova classe e prendeva tosto la strada in discesa che portava alla stazione, con tutto il corredo di insegnanti che si preoccupavano che i ragazzi non scendessero dagli strettissimi marciapiedi di St. Mary Mead, dove per fortuna i marciapiedi sono stretti, ma il traffico automobilistico è davvero modesto; di conseguenza ci abbiamo messo circa un'ora per radunarci alla stazione, che da scuola dista dai cinque ai dieci minuti a passo lento o lentissimo.
Arrivato il treno sono state individuate le carrozze con la prenotazione - che tutto sommato servivano, perché anche se la mattina i treni da St. Mary Mead a Pietraforata sono quasi vuoti, 380 tra ragazzi e insegnanti imprevisti sono un bel boccone per qualsiasi treno regionale.
Alla prima fermata sale anche Crifosso, alla seconda scendiamo. Un quarto d'ora circa di treno, e siamo intorno alle 9.30. Facciamo tappa in un parchetto per la colazione, qualcuno decide di sperimentare il sushi-bar proprio lì davanti, qualcuno va a caccia di souvenir e insomma tutti si comportano come una scolaresca in gita, con l'unico inconveniente che siamo ben nove scolaresche in gita. 
Alle 10.30 sbarchiamo infine al cinema. Ci disponiamo faticosamente tra platea e gallerie, tenendo i gruppi compatti il più possibile (con scarsi risultati: mi ritrovo in mezzo a una fila di perfetti sconosciuti e intravedo i miei nelle file davanti).
Arrivano  il sindaco o l'assessore, insomma l'autorità preposta, e il critico cinematografico e parlano per circa mezz'ora. Il critico dice anche delle cose interessanti, ma non ho mai capito perché ha parlato prima e non dopo. So che è abitudine in questi casi spiegare alla gente cosa vedranno, anche se non ho mai capito bene perché non spiegano invece, caso mai, cosa hanno visto per poi rispondere a eventuali domande. D'altra parte fanno sempre così anche con gli adulti, non è una cosa riservata solo ai fanciulli in fiore.
Film, intervallo e poi saluti. Assai faticosamente le classi vengono radunate e poco dopo mezzogiorno siamo fuori dal cinema e ci dirigiamo avventurosamente (a Pietraforata i marciapiedi sono di grandezza normale, ma per contro il traffico è decisamente sostenuto trattandosi di un paesotto di rispettabilissime dimensioni) e raggiungiamo la piazza centrale del paese, dove facciamo la seconda colazione. 
I ragazzi pascolano allegramente, fraternizzando (o litigando) tra istituti, e io realizzo improvvisamente che è rarissimo che i due plessi al completo si incontrino, mentre gli insegnanti si vedono assai più spesso. Come sempre in questi casi c'è un gran viavai di acquisti di ulteriori dolcetti e souvenir e panini e pizzette. La giornata è bella e molti si mettono a giocare usando i souvenir. Niente incidenti né discussioni serie, comunque. O non più del solito.
Alle 12.50 prendiamo il treno che ci riporterà a Crifosso prima e a St.Mary Mead dopo - e scopriamo che per il ritorno la prenotazione non c'è nonostante ci sia stata promessa e garantita. 380 passeggeri in più sono un bel boccone per qualsiasi treno regionale, con l'aggravante che dopo le 13.00 la linea in questione non è affatto vuota e insomma quasi tutti ci facciamo il tragitto in piedi. Niente di drammatico, per carità, ma a quel punto non capisco a cosa sia servito che la collega si sia dovuta preoccupare di prenotare, se a conti fatti la questione è stata risolta da Trenitalia non prenotando alcunché perché tanto non c'era posto.
Alle 12.58 Crifosso sbarca, alleggerendo abbastanza il treno, e alle 13.05 sbarchiamo anche noi. Pochi minuti ed eccoci in classe a chiacchierare del più e del meno, ovvero del film, che è piaciuto parecchio (ma mai quanto l'uscita collettiva e l'acquisto di souvenir, immagino).
E insomma, come dicevo ne siamo usciti tutti vivi e in buona salute e abbiamo pure fatto alcune piccole ma simpatiche passeggiate. Una mattinata mo,lto faticosa per noi insegnanti, ma nel complesso spesa assai bene.

giovedì 25 maggio 2023

Il Gran Torneo Letterario del Comprensivo di St. Mary Mead - 3 - I giurati sospettosi

Un gregge di testi per il nostro concorso letterario
Infine il tempo delle consegne è scaduto e nella mia casella di posta sono giunti i 45 elaborati degli studenti e una tabella dove scrivere le valutazioni, da 1 a 100. Da brava e coscienziosa giurata (e curiosa come una gazza, sì come soglio essere) mi sono prontamente messa a leggere, dopo aver dismesso mentalmente i panni dell'Insegnante di Lettere (chissenefrega delle virgole, ignoriamo gli accenti fuori posto e le maiuscole mancanti... i congiuntivi sbagliati no, quelli abbassano la valutazione, e parecchio: mi interrompono il ritmo della lettura e dunque è giusto sanzionarli) ed essermi rivestita dei miei consueti panni di lettrice onnivora e pure un po' compulsiva. 
Leggo avidamente da quando avevo sei anni, correggo accenti da quando ne avevo trentotto. La lettrice è arrivata ben prima della correttrice di bozze, e non stacca la spina nemmeno quando correggo (il testo è scorrevole? Va giù liscio? Mi interessa continuare a leggerlo? Offre un punto di vista insolito e/o ben sviluppato? Mi insegna qualcosa? Ed ecco che il voto comincia a lievitare).
Ormai da più di vent'anni correggo testi di tutti i tipi prodotti da alunni che vanno dai dieci ai quindici anni, e se a volte mi sono imbufalita davanti a periodi inutilmente aggrovigliati e a pronomi che vagano alla deriva, molto raramente mi sono annoiata e molto spesso mi sono divertita o appassionata. Ci sono sempre, in una classe, almeno due o tre perle di gran capacità letteraria e contavo di ritrovarmi davanti la crema del nostro Istituto Comprensivo. E magari la crema c'era, ma sospetto che sia stata traviata e mal instradata.

Cominciamo dall'argomento: il titolo segnato nel bando era Alla ricerca della felicità. Non mi era sembrato male. Non avevo idea di come l'avrei svolto a quell'età e non ho nemmeno cercato di immaginarmelo, ma mi sembrava un campo piuttosto vasto, dove si poteva pascolare in modi molto diversi.
Alcuni testi però recavano come titolo Rifletti su cosa significa per te, alla tua età, la ricerca della felicità, che mi sembra piuttosto diverso.
Rifletti, prima di tutto. Nessuno nel bando gli chiedeva di riflettere su un bel nulla - padronissimi di riflettere quanto volevano, ma non era dato per obbligo. Ancor meno gli si chiedeva di tirare in ballo eventuali e fantomatici ragazzi della loro età. Ovvio che un tredicenne scrive dal suo punto di vista di tredicenne (ma comunque dal suo punto di vista di tredicenne, che non necessariamente è lo stesso del suo altrettanto tredicenne vicino di banco) ma perché non avrebbe dovuto provare a immaginarsi nei panni di un neonato, di un vecchio decrepito o di un capibara? La traccia del bando non mostrava alcuna volontà di inchiodarlo a sé stesso medesimo, e indubbiamente uno dei lati più interessanti della scrittura è che, volendo, ti permette di provare ad essere qualcun altro.
Oltre a leggere testi li assegno, e ho sempre gran cura di cercare una forma che permetta di addentare la questione dal maggior numero di lati possibili - e i giovani scrittori affidati alle mie amorevoli cure han spesso profittato di questa possibilità. Mai, a quanto ricordo, han chiesto di ridurgli il campo di azione. Perché un ragazzo, più o meno raziocinante, dovrebbe di sua spontanea volontà trasformare la traccia in quel modo?
Evidentemente Qualcuno, in qualche classe, è intervenuto, in un caso almeno riscrivendogli il titolo.
(Sospetto malvagio in sottofondo: forse anche per essere sicuro di poter riconoscere dal titolo i suoi alunni? Chissà).
Forse Qualcuni, in effetti; perché, su quarantacinque testi, una buona ventina si è preoccupata di precisare che, nonostante quel che dicono in tanti, la felicità non consiste nei beni materiali - che non è quel che si dice una osservazione particolarmente originale, ma possibile sia venuta in mente a quasi metà dei partecipanti? O sono io che sono troppo sospettosa?
E perché tutti quelli che tiravano in ballo i beni materiali convenivano come un sol scrittore che no, la felicità non è quello? A titolo personale posso anche essere d'accordo, ma magari avrebbe potuto essere divertente provare a sostenere il punto di vista opposto e fare una bella tirata sulla felicità data dal possedere una villa con parco, una squadra di calcio di serie A, una grossa quota di partecipazione a una multinazionale, un enorme scrigno stracolmo di gioielli di gran peso e di squisita fattura.
Il gruppo in questione comunque concordava sull'importanza di trovare la felicità nelle piccole gioie di ogni giorno. Forse dovremmo cambiarci nome e chiamarci Istituto Comprensivo Minimalista di St. Mary Mead.
Un nutrito gruppetto citava Leopardi - che ci sta benissimo, in effetti Leopardi parla parecchio della felicità e della sua ricerca, anche se non addiviene, per quanto ne ho letto, alla conclusione che sia effettivamente possibile trovarla. Tuttavia l'unico che ha tirato in ballo Leopardi approfondendo un po' la questione al di là di una bacinella di acqua calda è stato un ragazzo che ha citato anche altri cinque poeti, con tanto di passi scelti, scodellando un testo decisamente interessante che concludeva con una poesia sulla felicità di sua propria mano che era anche piuttosto ben fatta. Una specie di tesina. E perché no? Niente vietava di presentare una tesina. L'ho letta volentieri e gli ho messo un votazione bella alta.
La ventina di ragazzi minimalisti ha partorito dei testi tutto sommato corretti, ma di una noia davvero notevole. Dargli un voto sotto il sessanta non mi sembrava giusto (ahimé, la mia anima di insegnante riemerge nonostante tutto), e in qualche caso mi sono spinta anche sopra il settanta, anche perché tra i miei criteri di lettrice c'era la scorrevolezza, e in fondo molti erano scorrevoli, se pur soporiferi. I voti dall'ottanta in su però li ho rigorosamente riservati ai testi che mi sembravano scritti da un essere umano capace di interessarsi a qualcosa - una dote che magari non ti aiuta a trovare la felicità, ma che ti permette di scrivere dei testi capaci di interessare chi li legge.
Con una certa delusione da parte mia i testi originali non erano molti.
C'è un ragazzo che trova la felicità grazie a una buona terapia psicologica, e la storia si chiude con l'analista che gli offre di prenderlo come assistente per l'alternanza scuola-lavoro.
La felicità che si trova in un lavoro molto amato dove si raggiungono altissimi livelli è ripresa anche in un altro testo, che racconta la storia di un barbiere che esegue prodigiosi tagli di capelli. Sembra quasi una storia zen e mi è piaciuta molto (è il testo cui ho dato il massimo punteggio).
C'è un ragazzo che cerca la felicità facendo esperienze, e dopo averne collezionate diverse di vario tipo si dice "Ma io sono felice anche così, senza fare niente di particolare" e lì si chiude il racconto. Decisamente originale, con una sottile vena polemica che ho apprezzato molto: la felicità è una roba individuale, ognuno ha la sua.
Poi una storia abbastanza orrorifica, dove il protagonista una notte scopre prima il gatto sventrato, poi la madre altrettanto sventrata, ed è molto felice quando scopre che era solo un sogno. Non sono molto sicura che c'entri molto con la felicità, ma il racconto e le descrizioni facevano davvero paura ed era scritto singolarmente bene.
Una ragazza molto infelice perché tutti la guardavano con compatimento e quello che faceva era sempre sbagliato. Così un giorno decide di uccidersi buttandosi da un ponte, e quando muore prova una felicità assoluta. Purtroppo dopo si risveglia e scopre che era un sogno - mi è venuto il sospetto che l'autrice abbia avuto paura che la giuria restasse sconvolta davanti a una tesi così alternativa; secondo me il racconto avrebbe dovuto chiudersi proprio con l'immagine della felicità trovata con la morte; ma sono opinioni personali, e non è detto che il finale sia stato appiccicato per non turbare il professorale perbenismo, magari il racconto era nato proprio così nella mente dell'autrice. L'esaltazione provata al momento della morte però era descritta molto bene.
Poi c'è stata una ragazza che ha scritto una lunga dissertazione sull'importanza di piacersi perché la felicità non viene dall'esterno, con frequenti agganci al tema dei disturbi alimentari e al canone della bellezza che oggi è troppo esigente (ma quando mai non lo è stato?). Era più sul versante trattatistico, ma era scritto molto bene e con adeguata proprietà. Senz'altro molto apprezzabile.
In realtà una ragazza ha provato a parlare della felicità che non ha per colpa di una serie di traversine sentimentali - ma ne è venuto fuori un racconto talmente insulso e pasticciato che gli ho riservato uno dei voti più bassi. Sarai pure un'anima infelice per amore, ma il lettore ha diritto a non morire di noia leggendoti!
Poi c'erano le poesie. Una manciata, mezza dozzina al massimo.
Da sempre i giovinetti scrivono poesie. E' una nobile attività e i risultati talvolta sono affascinanti.
Non è stato questo il caso. Con una sola eccezione erano poesie atroci, brutte sia nella forma che nel contenuto, e con una metrica del tutto improponibile. Scrivere in versi sciolti non vuol dire scrivere ogni verso della lunghezza che ti pare, è un procedimento un po' più complesso. Mentre leggevo quegli abomini continuava a venirmi in mente la definizione di un mio amico dell'università "la poesia non è prosa dove ogni tanto vai a capo". Una invece aveva un bel ritmo molto cantabile (e anche quella ha preso un voto sopra al novanta), e poi c'era quella dell'autore della tesina. Erano comunque tutte poesie di andamento vagamente didattico - fermo restando che io contro la poesia didattica non ho proprio niente da ridire, anzi mi piace abbastanza; e mi rendo conto che trovare l'ispirazione per quelle è più facile che scrivere che si illuminano di immenso o cose del genere.
Poi c'era un testo abbastanza breve. Cos'era la felicità? Non era questo, né quello, e non veniva dall'esterno. Secondo l'autore la felicità si trovava attraverso Dio. Ho apprezzato molto.
Nessuno, ma proprio nessuno, ha avuto una parola per l'amore come felicità. Ammetto di esserne rimasta sorpresa, anche se il silenzio su questo tema è stato così assoluto che ho colto l'assenza soltanto alla fine della prima lettura. I nostri quarantacinque autori hanno, quasi tutti, già compreso che l'Amore non è la chiave della felicità.
Forse dovremmo cambiare nome in Istituto Comprensivo Ascetico di St. Mary Mead? Eppure, da tutta una serie di piccoli segnali, mi era sembrato di capire che le nuove generazioni non sono del tutto immuni alle lusinghe della fiera dolceamara.
Chissà?
Mancavano anche gli animali, con l'unica eccezione del gatto sventrato (che immagino non fosse molto felice). Eppure a St. Mary Mead moltissimi hanno animali da affezione e parecchi bazzicano per i maneggi. Assolutamente nessuno ha identificato la felicità con la nascita dei figli, ma considerata l'età non lo trovo strano.

In conclusione, l'idea del concorso letterario mi sembra molto valida, anche sul piano didattico (dopotutto siamo una scuola, e il ritorno didattico è giusto che sia sempre in cima ai nostri pensieri) ma nel complesso mi sembra che l'occasione non sia ancora sfruttata come dovrebbe. Almeno un insegnante, ma a questo punto visto il numero di testi così simili sospetto che siano almeno due, ha cercato davvero troppo di guidare le cose (vanificando con ciò qualsiasi possibile ritorno didattico per gli alunni). Inutile che il prof. De Magistris si industri a trovare tematiche vaghe e larghe al dichiarato scopo di consentire a chiunque di esprimersi a modo suo, con un trattamento del genere nessun argomento può dare al meglio tutti i suoi frutti, per quanto accuratamente scelto. E d'altra parte da una parte mi sembra troppo sperare che il comprensivo disponga di ben dieci insegnanti di Lettere disposti ad ammettere che ogni alunno ha un cervello di prima qualità e dunque va lasciato il più possibile libero di usarlo; mi verrebbe da pensare che è anche un problema generazionale, ma ahimé un* dei miei sospettati ha una buona quindicina di anni meno di me, quindi sospetto che sia inutile sperare nelle nuove leve - e d'altra parte c'è un consistente numero di insegnanti che trova normalissimo suggerire ai suoi alunni durante le prove Invalsi, quindi forse non è un problema generazionale ma nazionale.

venerdì 5 maggio 2023

Gli innamorati di Sylvia - Elizabeth Gaskell

                                                 

Il penultimo romanzo di Elizabeth Gaskell, pubblicato nel 1863, da lei definito la storia più triste che abbia mai scritto (e aveva ragione) non riscosse un grande successo. In Italia è rimasto completamente sconosciuto fin quando l'editore Jo March, di cui si sono perse le tracce, si decise a pubblicarlo una decina di anni fa. Io l'ho trovato molto bello.
Cominciamo dallo sfondo: è un romanzo storico, e l'autrice lavorò con molta pazienza per documentarsi. Siamo ai tempi delle guerre napoleoniche, quando ogni due per tre l'Inghilterra si univa alle più varie alleanze nella speranza di fermare il Gran Nemico: Napoleone, appunto. L'esercito inglese si trovava spesso a corto di uomini e ricorreva all'arruolamento forzato: ogni tanto, o meglio ogni poco, sui paesi della costa e non solo arrivava qualche nave della Regia Marina a fare la spesa, prendendo tutti i giovani uomini su cui era materialmente  possibile mettere le mani e arruolandoli, volenti o nolenti (spesso molto, molto nolenti, par di capire).
Naturalmente c'erano delle regole molto precise: gli uomini non dovevano essere sposati, i balenieri erano esentati eccetera. Ma le regole, anche nel paese che ha inventato la monarchia costituzionale, han sempre la strana caratteristica che nei momenti di emergenza vanno a farsi friggere e allora puoi reclamare quanto vuoi, e magari hai tutte le ragioni del mondo per protestare e reclamare, ma non serve a niente perché nessuno ti fila nemmen di striscio. 
Così non di rado capitava che uomini sposati e anche balenieri (compresi i balenieri sposati) venissero presi, caricati di peso su una nave e trasformati in marinai al servizio di Sua Maestà; questo, in particolare, nei paesi sul mare - non perché lì le regole venissero seguite meno che ltrove, quanto perché se ti servono dei marinai li cerchi, appunto, nei paesi dove la gente impara a stare sulle navi sin da piccoli. All'interno invece arruolavano le truppe di terra.
Non sono sicura di aver capito bene perché i balenieri avessero diritto all'esenzione, ma i diritti dei cacciatori di balene non sono mai stati un tema molto trattato in Italia, nemmeno ai tempi in cui le balene non erano considerate una specie da proteggere ma solo comodi astucci ricolmi di grasso e carne e pelle e stecche di balena. In Italia, all'epoca come adesso, si pescavano acciughe, sgombri, grossi tonni e grossi pescespada, ma nel Nord dell'Inghilterra si pescavano balene - anche se non in prossimità della costa inglese, si doveva andare in Groenlandia per trovarle.
La Groenlandia entra dunque a far parte della vita i certi villaggi inglesi: per sei mesi all'anno gli uomini più giovani e più avventurosi andavano verso la Groenlandia a caccia di balene, e la loro vita ruotava intorno alla caccia alle balene sin da piccoli. Dopo aver pescato balene per svariati anni avevano messo su abbastanza soldi da comprarsi della terra, o una nave (per andare a caccia di balene, si capisce) e comandarla. Il tutto, certo, se riuscivi ad evitare l'arruolamento forzato, perché in quel caso sparivi dai radar del villaggio e anche della tua famiglia per anni e anni o addirittura per sempre. Certo, magari alla famiglia potevi scrivere ogni tanto (soprattutto se eri ancora vivo), ma non è che in quel tipo di villaggi fossero in tanti a saper leggere e scrivere.
Per descrivere la vita in questo tipo di villaggi Gaskell quindi si documentò a lungo, studiando anche la vita sulle baleniere e le tecniche della caccia alle balene - tutte cose che le era utile sapere per interpretare l'ambiente; nel romanzo comunque non si vede l'ombra di una balena e quel che accade sulle baleniere si intravede appena - ma per Sylvia, figlia di un ex baleniere e molto disponibile a innamorarsi di un baleniere, va benissimo così.

Il romanzo si apre con una descrizione del paese non troppo immaginario di Monkshaven, con il grazioso quadretto quasi di maniera di due ragazzine che vanno al mercato a vendere burro e uova; Sylvia, la più bella e benestante delle due, col ricavato della vendita comprerà la sua prima mantellina. Lei la vorrebbe rossa, sua madre la preferirebbe grigia (così non si macchia con la pioggia) e le due ragazze chiacchierano allegramente di innamorati (che ancora non hanno) e di mantelline per poi assistere all'arrivo delle baleniere che ritornano dal loro viaggio. E all'inizio, nonostante l'arrivo delle navi sia funestato dalla solita compagnia di militari a caccia di uomini, il tutto si presenta piacevolmente frivolo, almeno per qualche pagina. Vediamo Sylvia tampinata da  un corteggiatore bravo, fedele e squisitamente pedante - so che a lui vanno le simpatie di molti lettori, ma io l'ho trovato antipatico fin dalla sua prima comparsa in scena, e non a caso piace molto alla madre di Sylvia, che è quella che preferisce le mantelline grigie a quelle rosse.
Il secondo corteggiatore, molto bello, molto coraggioso ed estremamente baleniere, all'inizio si intravede appena, quasi un'ombra che va via via prendendo consistenza. Sylvia comunque lo vede benissimo fin dall'inizio e fa la sua scelta senza quasi farla, semplicemente comincia a girare nell'orbita del bel giovane come un satellite intorno al suo pianeta, e per un po' le cose vanno come sembra che debbano andare: i due si corteggiano, poi si scambiano la promessa e infine lui parte - a caccia di balene, si capisce.
Il corteggiatore pedante naturalmente disapprova moltissimo. Per disgrazia di tutti i protagonisti, e in modo del tutto improvviso e inaspettato, viene posto davanti a una scelta - una di quelle scelte che possono cambiare la vita delle persone. Una scelta vera, che in apparenza giocherebbe tutta a suo favore. Segue la voce del cuore (e dei suoi interessi) e di colpo il romanzo diventa la storia più triste che mai Gaskell abbia scritto.
Quando il destino, perfido, cinico e baro, presenterà il conto non ci saranno vincitori, anche se in effetti il baleniere non avrà nulla da rimproverarsi - e, a conti fatti, nemmeno Sylvia, ingannata non soltanto dal suo non voluto corteggiatore ma anche da una serie di circostanze contro cui non era possibile lottare.
Il vero centro del romanzo non sembra essere la vicenda di un amore infelice e di due innamorati che non riescono a giungere a felice conclusione a dispetto di tutto, ma proprio la constatazione che a volte le cose vanno male perché una miriade di circostanze, all'apparenza anche lontanissime dai protagonisti, opera nel più perverso dei modi perché tutto vada male - e non è una conclusione delle più consuete, in un romanzo vittoriano. Il senso dell'ingiustizia pervade tutta la storia, ma non è l'ingiustizia del fato e di una volontà superiore, ma proprio l'ingiustizia delle leggi umane, che sin dall'inizio danno pessima prova di sé intrufolandosi nei più vari modi nella vita di persone che pure, tra una caccia alla balena e l'altra, sembrerebbero avere già circostanze avverse in quantità più che sufficiente a complicare la vita di chiunque.
Guarda caso però l'unico personaggio che fin dai primi capitoli del libro lotterà sempre con molta risolutezza contro le ingiustizie, senza nascondersi, senza provare ad aggirare le circostanze ma con molta fermezza - ovvero il baleniere - alla fine della storia, per quanto abbia passato i suoi guai e ricevuto dalla vita una buona serie di colpi, non tutti metaforici, è quello che troverà comunque il modo di costruirsi un'esistenza soddisfacente.

In teoria non è il mio genere di libro, perché disapprovo le storie che non vanno a finire bene; invece l'ho letto molto volentieri e con grande partecipazione, e dopo averlo finito ho continuato a sentirlo volteggiare nell'aria intorno a me per diversi giorni. In effetti, tra i libri che ho letto di quest'autrice è senz'altro quello che ho preferito.

mercoledì 3 maggio 2023

Impreviste opportunità didattiche offerte dalla guerra in Ucraina

anche questo micio ucraino ama molto il suo paese (e disapprova la guerra)
Con la Seconda Sfigata è ormai venuto il tempo di affrontare l'Europa dell'Est a Geografia. 
Quest'anno l'ho lasciata per ultima perché ero abbastanza fiduciosa che la situazione in Ucraina si sarebbe evoluta, ma al momento non si è evoluto un accidente e insomma in qualche modo l'Ucraina andava fatta. Ho deciso dunque di dedicarle una lezione un po' diversa, impostata sul tema sul tema "come fu che anche in un libro ben fatto e assai aggiornato in un breve lasso di tempo si è trasformato in un reperto buono al più per un museo di archeologia".
Per la cronaca il libro in questione è Pianeta in gioco 2030, tanto ben fatto e aggiornato quanto sfortunato: e infatti anche l'anno scorso avevo fatto una lezione sullo stesso argomento nella Terza Asserpentata, dedicata all'Afghanistan che, durante l'estate, a volumi ormai stampati e prenotati, aveva cambiato denominazione, governo e parecchio altro trasformandosi in Repubblica Islamica.
Quest'anno però, ho visto, il disastro era ben più grave e articolato: in fondo l'Afghanistan non aveva cambiato confini, e la sue condizioni erano parecchio ma parecchio disastrate anche prima del ritiro delle truppe americane e dell'arrivo del governo talebano.
Nel caso dell'Ucraina invece sia il nome del paese che la forma istituzionale (repubblica semipresidenziale) sono rimasti intatti, ma quasi tutto il resto è cambiato, a partire dalla colonnetta riassuntiva che ogni manuale propone all'inizio di uno stato.
Prima voce: superficie del paese. Spiego che l'ONU continua a riconoscere quella indicata nel libro, sta di fatto che il governo ucraino non ha dal 2014 possibilità di intervenire in Crimea (e questo il libro lo dice, mettendo anche un bel box dedicato alla questione) ma che adesso anche una lunga striscia sulla costa e parte del territorio del Dombas sono state invase dall'esercito russo, e che per giunta la Russia si è ufficialmente annesso l'intero Dombas, compresa la parte che non è ancora sotto il suo controllo e insomma la situazione territoriale dell'Ucraina è decisamente confusa ma di sicuro l'estensione del paese al momento è più bassa di quella indicata. Arrivati alla Crimea con la storia dell'invasione degli omini verdi la classe ha, del tutto legittimamente, cominciato a rumoreggiare, tanto più che gli ho pure chiesto come compito di trovare una carta con la situazione aggiornata (e i poverini non sanno in che razza di pasticcio li ho messi, perché la rete pullula e brulica di mappe di tutti i tipi, forme e qualità, e una infinità di commentatori sostengono che la loro mappa è migliore delle altre. Va da sé che prenderò senza batter ciglio qualsiasi cosa decidano di rifilarmi perché non sono in grado di stabilire qual è quella giusta, e anche se ci riuscissi di giorno in giorno le cose cambiano, anche se di poco).
Peggio che peggio per in numero degli abitanti: il libro rimanda probabilmente all'ultimo censimento ucraino, ma anche lasciando stare il movimento migratorio piuttosto consistente, non solo c'è stata un grosso esodo all'inizio della guerra, ma poi c'è stato pure il controesodo e in tanti sono ritornati, soprattutto uomini ma non solo. Quindi, c'è chi dice che da 42 milioni sono passati a 30, chi dice che sono 35, chi dice che si sa un accidente. In tutti i casi era già in corso una contrazione demografica da diversi anni.
La capitale però è rimasta quella?
Sì e no, perché mentre prima tutti la chiamavano Kiev, alla russa, adesso i commentatori e i cronisti più filologici la chiamano col suo nome ucraino, cioè Kijv.
E la lingua? Ah, anche la lingua è una roba complicata: fino a quindici mesi fa c'erano quelli che parlavano in ucraino e i russofoni, che detto così sembrano uno di quegli strumenti a tubo che andavano tanto di moda negli anni 60 ma in realtà sono più che altro ucraini che parlano russo. Questi ultimi però sono in netto calo perché dopo l'invasione tanti han deciso che il russo non gli piaceva più e parlano ucraino, non sempre benissimo, e lo stesso presidente dell'Ucraina, che era anche lui uno di quegli strumenti a tubo, dal giorno dell'invasione parla solo in ucraino (e sembra che abbia pure un accento russo piuttosto forte). Prima dell'invasione invece capitava spesso di sentire conversazioni dove ognuno parlava in russo o in ucraino come più gli comodava e la cosa non creava problemi a nessuno perché tutti capivano entrambe le lingue - una forma di bilinguismo piuttosto insolito, in effetti.
In compenso il nome del presidente dell'Ucraina lo sanno tutti, ma proprio tutti. E anche questo è un bel cambiamento, perché fino a due anni fa poche cose erano più lontane dall'interesse di un alunno delle medie del nome del presidente ucraino in carica.
La moneta e la forma di governo, vivaddìo, son rimaste uguali, ma quando si arriva al PIL procapite tutti conveniamo che con tutta probabilità in questi quindici mesi si è  decisamente abbassato.
L'ISU, un misterioso indice di benessere nazionale con cui da anni i manuali di geografia ci martirizzano tutti quanti, non era brillantissimo nemmeno due anni fa, e la tabellina mette l'Ucraina all'88° posto - un po' bassino per un paese europeo, ma è probabile che la qualità della vita in Ucraina negli ultimi 15 mesi si sia decisamente abbassata e che quell'88° posto si sia pure quello parecchio abbassato.
Si passa poi alla parte fisica, tenendo conto che, se sono cambiati i confini, son cambiati anche fiumi, laghi e città. Il clima comunque dovrebbe essere rimasto quello: similmediterraneo sulle coste del mar Nero - che al momento riguardano Odessa e poco più - e continentale di tipo freddino all'interno. 
La cronologia poi si ferma al 2014, anno dell'annessione russa della Crimea e dell'Euromaidan, che il libro spiega piuttosto dettagliatamente, e c'è anche un accenno ai tatari, che erano in origine gli abitanti indigeni di quella bella penisola, oltre a una cartina che indica le zone contese di Crimea e Dombas.
Si passa infine all'economia, che si presenta problematica. Vengono citate le principali coltivazioni (e qui passo a un breve riepilogo della questione dell'esportazione di cereali e semi di girasole, che al momento rappresentano l'unica parte sopravvissuta della fu economia ucraina), poi un piccolo aggiornamento della questione energetica: il settore nucleare al momento se la passa male perché la grossa centrale atomica di Zaporizia, oltre a contare attualmente il massimo numero dàbile di grafie e pronunce, è anche stata occupata dai russi sin dai primi giorni di guerra, senza contare che ci sono stati numerosi attacchi al sistema elettrico, e che sulla rete di gasdotti che dalla Russia portava il gas verso l'Europa si sono presentate un discreto numero di criticità.
Il settore siderurgico, che era molto fiorente, è andato abbastanza in crisi dopo l'occupazione e spegnimento (pare) delle grandiose acciaierie dell'Azovstahl, andate distrutte dopo una lunga resistenza insieme alla città di Mariupol che aveva la sfortuna di ospitarle.
Altrettanto in crisi, stabiliamo, deve essere il settore turistico, fino a poco tempo fa decisamente produttivo, e anche le vie di comunicazione presentano diversi problemi a causa dei vari bombardamenti. In effetti, l'intero settore terziario non sta vivendo un momento particolarmente buono.
Il box su Chernobyl invece mantiene una certa attualità, anche perché i ragazzi si sentono raccontare la storia della centrale nucleare esplosa praticamente sin da quando sono nati. Decido quindi di non soffernarmici più di tanto, anche perché il tempo passa e l'ora sta finendo.
Non ha molto senso studiare un paese in queste condizioni, e nemmeno farci su qualche interrogazione, così per compito gli chiedo di fare una lista di dieci punti dove il libro di testo non è più attuale, e di dieci in cui è ancora valido.
Dopo di che una pausa di dieci minuti in cortile prima di passare a Dante mi sembra d'obbligo.

lunedì 1 maggio 2023

Di climi e biomi e di lavori edilizi fatti male

Parlando di stagioni, un bel gatto primaverile è di rigore
L'anno scolastico volge ormai alla fine e non ho ancora parlato delle mie nuove classi - che tanto nuove ormai non sono più.
Sono due prime. Piccole. Non tanto perché il numero di alunni è piuttosto ridotto, ma proprio perché sono interiormente piccoli - in pratica, sono ancora molto vicini all'infanzia.
E no, non rientro nella categoria degli insegnanti che si lamentano perché ci arrivano sempre più piccoli, ogni anno di più. Fino a due anni fa non ho mai notato differenze degne di nota tra le varie annate. Ma queste sono le mandate figlie del Covid e la loro crescita è un po' rallentata, o almeno io la vedo così.
Dirò di più: ci sono arrivati ancora più piccoli della mandata dell'anno scorso. Voglio dire: siamo a fine Aprile e ancora ci disegnano i cuori sulla lavagna quando arriviamo. Tutte e tre le sezioni. Le rarissime volte in cui l'ho visto accadere nei tempi pre-Covid, i cuori e le scritte "We love prof. TalDeiTali" sparivano ben prima della fine di Ottobre.
Mi sono capitate in sorte una Prima Molto Problematica e una Prima Seria*. La Prima Seria contiene un bel gruppo di appassionati di Storia ma la Geografia non gli dispiace per niente, mentre  la Prima Molto Problematica non stravede per la Storia (anche se la regge abbastanza bene) ma in compenso va pazza per la Geografia, e quando si fa Geografia anche gli elementi più spinosi si appassionano molto. Siccome appunto Storia e Geografia gli faccio, mi ci trovo piuttosto bene. 
Aggiungo anche che li ho trovati molto ben preparati nelle mie materie, fermo restando che scrivono davvero da cani.
Così ho piacevolmente navigato tra monti, fiumi, laghi, depressioni e tante altre belle cose, con i ragazzi che sgomitavano per andare a leggere la grande carta alla parete, laddove normalmente ce li devo mandare col mitra spianato; finché non siamo arrivata ai climi, che spesso si rivelano un po' ostici e ci vuole un po' a fargli capire che ci sono pochi elementi di base da incrociare con una specie di sistema matematico, del tipo che se l'estate è lunga e torrida l'inverno sarà breve e mite, e se siamo in zona artica le precipitazioni saranno prevalentemente a carattere nevoso, per non parlare della fatica che fanno a volte per entrare nell'ordine di idee che il clima atlantico si trova (rullo di tamburi e grido di stupore) guarda un po' tu, sulle coste atlantiche, l'avreste mai detto? 
Stavolta no, niente problemi, e sapevano tutti benissimo quali erano i paesi sulla costa atlantica, purché avessero una carta dell'Europa sotto gli occhi, anche fisica, e talvolta persino senza guardare la carta.
Ma poi, illustrando la solita tabellina con gli schemi, mi è venuta un'idea, di una originalità ai limiti dell'eresia: facciamo dei cartelloni con i climi! E che nessuno osi dire che non mi do allo sperimentalismo più sfrenato!
Ebbene sì, io e i cartelloni non siamo andati mai molto d'accordo, o per meglio dire riconosco che sono cose simpatiche, ma non mi viene mai in mente di farli. Stavolta sì, mi è venuto in mente, così, dal nulla. Evidentemente in qualche modo me l'hanno chiesto loro. Come credo di avere già scritto qualche volta, io non ho un metodo particolare: navigo a vista e in qualche modo percepisco i messaggi impliciti o inconsci che la classe mi manda. Evidentemente, la Prima Molto Problematica mi ha inviato il desiderio di fare un lavoretto manuale con il gioco a incastro. E mi sono convinta, a torto o a ragione, che me l'abbiano mandato appunto perché sono ancora piccoli, e non hanno ancora raggiunto la fase del "Siamo grandi per questo genere di cose".
Comunque abbiamo proceduto: li ho messi a ritagliare triangoli di cartoncino colorato, con colori separati per precipitazioni, estati, inverni, flora, alberi, colture, poi insieme abbiamo deciso cosa scrivere (io facevo la domanda del tipo "Come sono le precipitazioni nel clima atlantico?" loro rispondevano "Abbondanti!" e dopo che avevo approvato la risposta appositi scrivani la scrivevano con pennarelli colorati sull'apposito triangolo. Naturalmente i triangoli non erano sempre gli stessi per ogni cartellone: nel clima polare non c'erano colture, il clima mediterraneo aveva un triangolo dedicato solo agli alberi da frutto, per il clima artico c'erano sia la tundra che la taiga eccetera. Però è venuto fuori un lavoro molto colorato e piuttosto carino, e naturalmente la classe ha fatto un tal casino mentre ritagliava e scriveva i titoli che a un certo punto mi sono spaventata e, per calmare le acque, ho fermato tutto e ho mandato due di loro a prendere ramazza e pattumiera per ripulire la classe, che sembrava ormai un gigantesco cestino della carta straccia - e dopo questa pausa tutti han ripreso il lavoro con molta maggiore calma.
Alla lezione successiva han colorato i titoli dei vari climi sui cartelloni, anch'essi colorati, un colore diverso per ogni clima, e insieme abbiamo discusso su cosa mettere per il clima mediterraneo soprattutto a livello di flora: un triangolo per la macchia mediterranea, uno per le colture, uno per gli alberi da frutto, uno per i boschi, rettili, anfibi e serpenti nella fauna eccetera. Infine, quando la prima mezz'ora era ormai passata, ho mandato a prendere martello e chiodini per attaccare i cartelloni alla parete - perché, per uno stranissimo caso, le due ore di Geografia con la Prima Molto Problematica le faccio proprio nell'aula che teoricamente secondo il progetto DADA è di Geografia, e anzi quelle due ore sono le uniche della settimana che passo in quell'aula. Dunque, i cartelloni col clima ci sarebbero stati benissimo.
Discutiamo dove appenderli, poi lascio il gruppetto dei più scalmanati e indocili e rissosi e permalosi a gestire la faccenda - cosa che fanno mostrando eccellenti capacità organizzative e pratiche e producendo un volume di rumore davvero ridotto. Chiaramente, martellano, ma anche quello lo fanno con singolare garbo e precisione - del resto i chiodi sono lunghi e sottili e a martellarli troppo forte si piegherebbero, cosa che han capito senza che nemmeno dovessi scomodarmi a dirglielo.
Mentre martellano con pazienza il resto della classe chiacchiera, tra loro o con me, e fa finta di fare un paio di esercizietti sui climi che ho assegnato giusto per salvare la faccia. E sto giusto rallegrandomi con il Sostegno per l'eccellente lavoro che i quattro rissaioli stan facendo quando, a due terzi abbondanti del lavoro di appendimento arriva una gentilissima collega di compresenza spiegando che nell'aula di sotto, che è quella di Spagnolo, stan facendo una verifica, che sentono molto rumore e se potremmo smettere? 
Spiego che il lavoro è quasi completato e che presto tutto tornerà silenzioso.
Sì, d'accordo, avrei dovuto fermare tutto. Ma i lavori procedevano talmente bene, e mancava così poco...
Nel giro di una decina di minuti l'ultimo cartellone è appeso; mi congratulo con loro, prometto una gratifica sotto forma di voto e intanto il gruppetto rimette a posto le sedie dove sono saliti per appendere i cartelloni, imbustano i chiodini rimasti, vanno a riportare il tutto ai custodi eccetera, tutto in modo piuttosto ordinato.
Una volta che tutti sono tornati e si sono rimessi a sedere mi metto a spiegare come si svolgeranno le prossime lezioni (ho in mente una ricerca collettiva per l'Italia) e mentre stiamo paciosamente a parlare arriva l'insegnate di Spagnolo in versione Tigre Ircana e ci tratta malissimo: che avevamo fatto un rumore orribile, che giù la Terza che stava facendo la verifica si è molto lamentata, che aveva anche mandato due colleghe a chiedere di fare meno rumore, che avevamo spostato banchi per tutta l'ora e non so che altro.
I ragazzi la guardano perplessi: non era stato spostato alcun banco, solo tre sedie per salirci sopra, ma una volta spostate le avevano lasciate ferme...
Sono abbastanza perplessa anch'io. Tra l'altro è un anno che facciamo lezione là dentro a quell'ora, e la Prima Molto Problematica non è quel che si dice una classe silenziosa, di cui ci si domanda se sono in classe o meno quando ci si accosta alla porta dal corridoio. No, decisamente essa non lo è. Davvero.
Azzardo un po' di scuse ma Spagnolo è veramente imbufalita e dopo avermi vieppiù cenciata se ne va avvolta in una nera nube di collera e di indignazione.
Così il quarto d'ora seguente se ne va a cercare di calmare i ragazzi, che sono a loro volta molto indignati e addirittura mi assicurano "Comunque, prof, noi saremo sempre con lei". 
Li ringrazio ma spiego che non è necessario, che dopo tutto non è successo niente di grave, e alla fine arriva misericordiosa la campana dei pullmini a portarmi via mezza classe.
Scendo in Sala Insegnanti un po' preoccupata: non ho problemi ad accapigliarmi con i colleghi, ma stavolta mi sento abbastanza dalla parte del torto e immagino che lo strappo andrà ricucito, anche perché con quella collega sono usa a rapporti assai amichevoli. 
Cioccolatini propiziatori? Un bel discorsetto di scuse? Ma mi sono scusata già due volte in classe, ottenendo solo di imbufalire vieppiù la collega. Magari riprendere l'argomento Lunedì mattina, sperando di trovarla meno furibonda? Mandarle una mail molto garbata durante il fine settimana?
In Sala Professori Spagnolo non c'è. Ma mi raggiunge in bagno mentre mi lavo le mani, e il discorsetto di scuse lo fa lei. Mi assicura però che nell'aula sotto quella di Geografia si sentiva un tal rumore che aveva pensato che fossero arrivati i muratori, e il rimbombo, e il rumore...
Proviamo a esaminare il caso. Le garantisco che sono in quella scuola da più di dieci anni e non era mai successo che il rumore del piano di sopra se attaccavano qualche chiodo avesse mai creato gran fastidio. Alla fine, a torto o a ragione, stabiliamo che la colpa è degli ultimi lavori fatti tre anni fa, nel secondo anno di pandemia. Probabilmente la parete di cartongesso che è stata messa in fondo ai piani ha creato un qualche tipo di effetto sonoro che si ripercuote al piano di sotto. Altra spiegazione non sembra possibile.
Così lo scisma è rientrato e sono stata perdonata, ma credo che passerà davvero molto, molto tempo prima che mi venga in mente di fare di nuovo dei cartelloni.
Quanto alla gratifica: otto politico per tutti, e mezzo punto in più per il team degli inchiodatori: han lavorato tutti con molto impegno, e le loro medie se ne avvantaggeranno.

* seria, non seriosa. Sono allegri e coccolosi ma si impegnano con molta serietà per fare un buon lavoro, da bambini diligenti quali sono.