Il mio blog preferito

sabato 31 ottobre 2015

La notte di Halloween




La notte di Halloween è quella
 in cui le porte 
tra il nostro e gli altri mondi
 si aprono. 
Strane creature si affacciano, 
e creature molto più familiari 
ritornano tra noi per breve tempo:
 quelle che abbiamo amato 
e non sono più tra noi.
Diamo loro il benvenuto 
per il poco tempo che ci è concesso 
per incontrarci di nuovo.

venerdì 30 ottobre 2015

La valle dell'orco - Umberto Matino



Del libro che questa settimana vado a presentare per il Venerdì del Libro non avrei probabilmente mai sentito parlare se non fosse stato citato da Bridigala nell'ambito del torneo di citazioni letterarie Cita-un-libro che quest'anno, nel passaggio tra inverno e primavera, ha folleggiato su iniziativa della povna in un gruppo di blog nell'ambito della più vasta iniziativa #ioleggoperché.

Così citava Bridigala:

"E perché mai costui si era impiccato?" mi domandai.
Per scoprirlo non restava che leggere il libro - cosa non facilissima perché, messe insieme  tutte le biblioteche dei dintorni c'era a disposizione solo una singola copia; in compenso il libreria si trova con facilità, e infatti penso che lo comprerò. 
Qua in Toscana in effetti è piuttosto sconosciuto, ma nel nord Italia gode di una certa notorietà e di assai buona reputazione: pubblicato nel 2007 da un esordiente, si è rivelato un longseller grazie al passaparola - insomma, chi lo ha letto ne ha parlato bene in giro, lo ha regalato e prestato eccetera (in effetti anch'io sto facendo proprio questo);  e tuttora continua a vendere, insieme ai libri che l'autore ha pubblicato in seguito.
Siccome in questo caso la vicenda proprio non si può raccontare, perché il lettore deve scoprirla nell'ordine che l'autore ha deciso per lui, parlerò... già, di cosa parlerò?

Siamo nell'autunno del 1994 e un triste giorno un ingegnere assai inquadrato scopre che il suo più caro amico, Aldo, si è impiccato, lasciandolo erede dei suoi beni. Per capire come e perché l'amico si è impiccato, e soprattutto perché l'ha nominato erede, l'ingegnere, tale Carlo, si reca nello sfigatissimo paesino citato qui innanzi e in seguito anche nella contrada dove l'amico, reduce da un pesante attacco di depressione, aveva preso casa - un angolino nelle Prealpi non privo di un suo rustico fascino, ma decisamente lontano dal mondo. Lì, in uno di quei villaggetti di montagna che vanno a morire perché i giovani si sono stabiliti tutti a fondovalle, Carlo prende possesso della casa dell'amico, guardato con fiero sospetto e non eccessiva cortesia dai pochi abitanti: chi è quell'estraneo, cosa vuole, cosa rompe, di che s'impiccia?
Pure, nella casetta che Aldo ha praticamente ricostruito con l'aiuto dei suoi nuovi amici del paese (lui no, non era stato guardato con grande diffidenza, anzi accolto volentieri e con grande ospitalità, tanto che gli abitanti lo consideravano quasi uno di loro), Carlo trova, ben nascosta, una lunga lettera dell'amico e un ancor più lungo diario.

Una lunga lettera e un ancor più lungo diario lasciato in un luogo ben nascosto da un caro amico morto, una sorta di estremo viatico. Ho sempre desiderato leggere un romanzo con questi ingredienti, possibilmente ambientato in montagna, in uno di quei paesini dove all'apparenza non c'è niente da scoprire ma dove un  passato lontano e misterioso getta lunghe ombre inquietanti...

Ecco, questo è un libro inquietante, e via via che prosegue la storia lo diventa sempre di più.
Una lettura perfetta per le lunghe e fredde serate d'autunno, quando grosse zucche color arancio aspettano con pazienza di essere scavate e illuminate spettralmente con una candela che conferisca un apparenza inquietante a tutto quel che ci circonda.
E' un giallo, con un mistero che aspetta di essere spiegato, ma non c'è dentro nulla di davvero soprannaturale - tranne, forse, un pizzico di atmosfera... no, facciamo due pizzichi, e abbondanti. Tuttavia, in un certo senso, è una storia di fantasmi. Fantasmi veri, quelle presenze che vagano senza dare né trovare pace e che tutti nascondiamo nell'armadio, cercando di dimenticare con tutte le nostre forze che stanno là dentro, e di cui neghiamo l'esistenza con falsissima disinvoltura. 

Bene, ho detto anche troppo. Non è un horror, non è una vera storia di fantasmi, ma è sicuramente un gothic novel. Molto adatto da mettere sotto la zucca.

Con questo lugubre post partecipo ai Venerdì del Libro di Homemademamma e auguro a tutti buone letture e una lugubre notte di Halloween.

mercoledì 28 ottobre 2015

All'idea di quel metallo, ovvero l'Assegno di aggiornamento

Murasaki in fase di aggiornamento: chiar di luna, letture del buon tempo andato e raffinata musica in 
sottofondo (il lettore di CD purtroppo non è inquadrato nel dipinto)

All'inizio era una vaga voce: ci daranno un bonus per l'aggiornamento.
Mah, sì, vabbé, un bonus per l'aggiornamento. Niente di entusiasmante.
Con gli anni e con l'avvicendarsi dei lavori (per tacere dell'abominevole SSIS) mi sono fatta una piccola esperienza sui corsi di aggiornamento, e in me si è sviluppata la convinzione che l'aggiornamento te l'ha da pagare il datore di lavoro, perché se te lo paga allora vuol dire che è un aggiornamento che ti serve (o almeno lui è convinto che ti serva). Quando lo paga qualcun altro, o pretendono che te lo paghi tu, tira aria di fregatura.

Poi giunse notizia di una tessera che dava diritto a un tot per "aggiornamento o libri".
Anche questo mi entusiasmava relativamente: i libri ormai ho preso l'abitudine di prenderli in biblioteca e solo dopo, eventualmente, comprarli. Ne ho comprati tanti, e comincio ad avere problemi di spazio.

Più avanti si parlò di un rimborso per software, hardware e libri, anche liquidi.
E non sembrava così malvagio, nel complesso.

Infine hanno annunciato un accredito di 500 euro direttamente sul conto.
E tutto ciò mi lasciava piuttosto indifferente perché si sa che per la scuola annunciano sempre un sacco di cose e poi non ne fanno di niente.

Invece, strano ma vero, l'accredito è arrivato davvero, in tempi insolitamente brevi; ed era realmente di 500 euro. Inoltre, insieme all'accredito, era arrivata anche una circolare piuttosto comprensibile che spiegava che il bonus andava speso in biglietti di musei, del cinema e del teatro e libri e corsi di aggiornamenti oltre ad hardware e software - anche se non ho ancora capito se i film li posso anche comprare, oltre che andarli a vedere in sala, e se posso legittimamente comprarmi anche dei CD musicali - in effetti non l'ho capito perché sulla circolare non era scritto.

Sono cominciate le lamentele.
"Ma così sembra che ci facciano l'elemosina!" si è lamentato qualcuno.
Io però vengo da una dura scuola e ho imparato da tempo a non disprezzare le elemosine, specie quando sono a tre cifre.
"Si sono accorti che il nostro stipendio non basta anche per pagarci cinema e teatro e libri. Non facevano prima ad aumentarcelo?".
Non ho assolutamente nulla contro gli aumenti di stipendio, anche consistenti. Ma visto che di aumenti di stipendio per gli insegnanti si continua a non parlare se non in termini assai fumosi e analoghi alla promessa del ritorno del re (che sia Artù, Carlomagno, Aragorn erede di Isildur o anche il re di Ankh-Morpork su Mondo Disco, sempre e solo di re leggendario si tratta), sono disposta a prendere intanto un aumento di stipendio indiretto - e comunque nessuno ha chiesto il mio parere, mi hanno accreditato quei soldi sul conto e amen.
E mi chiedono di spenderli tutti entro il 31 Agosto dell'anno prossimo, con relative pezze d'appoggio che dimostrino che non li ho usati per pagare la bolletta del gas altrimenti, se non li spendo tutti, l'anno prossimo me ne daranno meno.
Non vogliono che li risparmiamo come formichine, vogliono che ci diamo una mossa e andiamo al cinema, a teatro e ai musei e in libreria e a fare corsi a pagamento e che ci compriamo tablet e aggeggi vari per essere ben informatizzati. E vogliono essere sicuri che li useremo per acculturarci e dilettarci. Insomma, vogliono dare una botta di vita al terziario.
Non sembra un idea malvagia, a ben pensarci, e non negherò certo il mio contributo a questa nobile causa; né mi dispiace l'idea che gli insegnanti abbiano diritto ad un gettone supplementare per un certo tipo di superfluo che per la nostra categoria (ma per chiunque, in effetti) è necessario quanto l'aria da respirare e il pane da mangiare.

Nel frattempo, l'anno scorso avevo passato al setaccio la libreria di casa eliminando un po' di libri che facevano solo da zavorra, comprato dei nuovi scaffali e avviato una ristrutturazione del tutto, così adesso un po' di posto ce l'ho e posso procurarmene altro con poca spesa. Ai musei mi hanno sempre visto poco, ma ho una certa abitudine a frequentare concerti e ogni tanto vado al cinema. Mi piacerebbe anche un computer nuovo, ma alla Macintosh hanno alzato tutto il listino e insomma siamo ben al di sopra dei 500 euro. In compenso il tablet ce l'ho già, e mi funziona anche da lettore, quindi posso anche comprarmi i libri liquidi.

Così una mattina mi sono detta: orsù, vediamo: come potrei spendere questi soldi, adesso che non devo più raccattarli con pazienza dallo stipendio di ogni mese ma che dispongo di una cifra da usare solo per questo?
E all'idea di quel metallo (portentoso e onnipossente) l'ispirazione è arrivata.


Prima di tutto ho fatto un giro per la biblioteca di casa, individuando un gruppetto di libri assai malridotti che mi ero ripromessa di rimpiazzare. Poi ho pensato a un regalino per la biblioteca di scuola - un pensierino e niente di più. E il Beowulf di Tolkien, che ha un bellissimo drago in copertina - così mi ritroverò con ben due Beowulf dopo più di quarant'anni in cui non ne avevo nessuno perché in italiano non ve n'era alcuno; e ho già fatto il primo ordine nella mia libreria preferita di Lungacque. E l'edizione completa delle fiabe dei fratelli Grimm, che è l'unica raccolta nazionale europea che mi manca.
Pensa che ti penso, mi è tornato in mente Saxo Grammatico, autore di un bel compendio di leggende vichinghe. In italiano non c'è, ma avrei potuto prendermi una traduzione in inglese e, naturalmente, anche il testo in latino...
Così ho scoperto che l'edizione più reperibile in latino constava di due volumi del prezzo di circa 260 euro cadauno. E pazienza, Saxo Grammatico aspetterà ancora per un po'.
In compenso mi sono ricordata anche della Storia dei Franchi di Gregorio di Tours, che a suo tempo non comprai perché era cara assaettata. Da allora è stata rivista (si era molto discusso sulla traduzione) ed è uscita nella nuova edizione, sempre cara ma molto meno di Saxo Grammatico: con soli 126 euro dovrei riuscire a portarmela a casa.
Per quella comunque aspetterò l'estate, quando rifarò i conti dopo aver dato un mio piccolo contributo al Maggio Musicale Fiorentino.
Ad ogni modo, anche senza scomodare Saxo Grammatico in latino e in inglese, ho messo su una lista di desiderata che basta e avanza a coprire abbondantemente il bonus di quest'anno e intacca anche quello dell'anno prossimo, il tutto senza avere minimamente considerato il settore di storia, dove un giro in libreria dovrebbe fornirmi senza troppa difficoltà qualche idea. In effetti, sembra che il rischio di non spendere tutta la cifra non  sia molto alto, per me.

Essi hanno creato un mostro, e forse era proprio quello che essi volevano.
(No, niente corsi a pagamento, per adesso. Continuo a restare fedele alla mia teoria. E poi ho già il corso delle Life Skills dove mi danno perfino un lussuoso gettone di rimborso di trenta euro).

*ho poi scoperto che in italiano c'era stato, nei soliti Millenni Einaudi, ma è ormai esaurito e introvabile persino nelle librerie del Maremagnum. Averlo saputo dieci anni fa, che c'era...

venerdì 23 ottobre 2015

Guida per l'aspirante Bravo Insegnante - Sull'abbigliamento de' fanciulli (e delle fanciulle)

Nella Terra di Mezzo, vivaddio, ognuno si veste e si pettina come gli pare e nessuno ci trova niente da ridire.

Caggiono i regni, passan genti e linguaggi, ma la scuola mantiene purtuttavia alcune constanti. Tra queste abbiamo, salda e immutabile quant'altre mai, il perenne Lamento di taluni insegnanti sullo Sconsiderato Modo di Vestire e di Porsi di taluni giovinetti e giovinette che affollano i banchi di scuola. Tale lamento risuona ad ogni Consiglio di Classe, laddove i loro cantori, spesso in sparuta minoranza, cercano di depistare l'attenzione dei colleghi da questioni pedestri quali il metodo di studio o l'andamento disciplinare della classe oggetto della riunione.
Ad uso degli insegnanti ancora nuovi del mestiere viene qui esposta una breve lista dei principali capisaldi della questione, veri e autentici must che ricorrrono con indomabile frequenza, insieme a qualche generica linea guida che tenga conto del fatto che l'età scolastica è quella in cui gli alunni ancora implumi cercano di costruire la propria immagine e che ogni singolo dettaglio di questa immagine veicola messaggi e richiami di cui l'insegnante è al corrente solo in modo assai parziale, vuoi perché ogni generazione ha un suo codice interno, vuoi per il continuo evolversi dei costumi.
Occorre inoltre tenere presente un elemento non sempre adeguatamente considerato, ovvero il fatto che, mentre il docente è in una posizione che gli consente di commentare a suo comodo l'abbigliamento dei suoi alunni, dal canto loro gli alunni sono vincolati a non esprimere in alcun modo la loro opinione sull'abbigliamento dei loro docenti, sul quale non possono naturalmente intervenire in alcun modo. Questa notevole disparità di posizione, se da una parte è utilissima per evitare travasi di bile e arrabbiature infinite all'insegnante che è convinto sempre di vestirsi e presentarsi in modo più che adeguato, dovrebbe comunque indurre l'insegnante in questione ad usare grandissima prudenza nei suoi eventuali commenti, o meglio ancora ad evitarli del tutto.

Berretti e cappucci

Per qualche misterioso e insondabile motivo, una buona fetta di insegnanti trova del tutto intollerabile che un alunno stia in sua presenza in classe con il capo adorno di un qualsivoglia berretto o cappuccio; la cosa viene anzi vissuta come una grave mancanza di rispetto - e se è pur vero che un tempo il cappello veniva levato in segno di cortesia in presenza di creature appartenenti al sesso femminile, quando detto cappello era portato sempre e comunque all'atto di uscire di casa, va pur ricordato che le nuove generazioni sono cresciute in un mondo quasi privo di cappelli e non conoscono quindi il galateo che ne regolava l'uso nei tempi passati. Quanto al cappuccio, nei tempi andati lo portavano solo gli esquimesi e i Cavalieri Neri e i galatei dei tempi passati non se ne sono mai occupati (nel caso dei Cavalieri Neri di Mordor, comunque, discuterci era difficile). 
Altrettanto misterioso, peraltro, è il motivo che spinge i fanciulli a tenere addosso un berretto o un cappuccio nel corso delle attività scolastiche - o anche al di fuori delle suddette salvo, per quel che riguarda il cappuccio, nei casi di temperature estremamente rigide. Tuttavia i cappucci odierni costituiscono un ostacolo assai modesto all'ascolto di una lezione, mentre i berretti non lo costituiscono affatto. 
Assai maggior tolleranza viene usata per veli e foulard indossati dalle fanciulle, specie quelle di retaggio musulmano e nel loro uso non viene vista alcuna mancanza di rispetto verso il docente.
Gioverà tuttavia osservare che l'alunno che, a richiesta del docente, toglie prontamente il berretto o abbassa il cappuccio, non muta in alcun modo il suo comportamento e la sua attitudine all'ascolto. Quei rari casi che mantengono saldamente in testa berretto o cappuccio si distinguono usualmente per un comportamento spesso del tutto inadeguato ad un contesto scolastico e disturbano la lezione in analogo modo con cappuccio o senza.
L'uso di cappelli a punta il 31 Ottobre, in previsione della notte di Halloween, andrà preventivamente concordato con il docente, che non è obbligato a consentire ma che facendolo si procurerà l'approvazione della classe con poca spesa. Altrettanto dicasi per le corna da renne e le coroncine di stelle il 23 Dicembre, ultimo giorno prima delle vacanze di Natale. In entrambi i casi però sarebbe più prudente concedere licenza solo per l'ultima ora e preparare lezioni piuttosto leggere per l'occasione.

Spalline

Le spalline imbottite sono passate di moda ormai da secoli, e del resto non hanno mai creato disturbo in alcun docente, a memoria d'uomo o di donna. Per spalline oggi si intendono quelle sottili strisce di tessuto che tengono un top legato alle spalle, oppure quelle larghe fasce di tessuto che distinguono una maglietta da una canottiera. Vengono giudicate del tutto sconvenienti dagli insegnanti (che tuttavia al di fuori della scuola ne fanno spesso uso, nei mesi più caldi). Il loro apporto ai fini di un corretto apprendimento risulta del tutto irrilevante, sia in positivo che in negativo. 
Al contrario dei berretti non possono essere tolte, se non insieme al top o alla canottiera di cui fanno parte. Raramente però gli insegnanti insistono perché tali capi di abbigliamento vengano tolti dall'alunno nel corso della lezione, mentre è probabile, considerando le temperature che usualmente si accompagnano al loro uso, che ben volentieri l'alunna/o in questione toglierebbe volentieri tutto ciò che ha indosso, se solo ne venisse richiesto.
L'obiezione portata dagli insegnanti al loro uso è, di solito, che "la scuola non è una spiaggia". E' pur vero però che, nella maggior parte delle spiagge, sia pure in pieno Agosto, non si raggiungono nemmeno lontanamente le temperature presenti in molte classi con l'arrivo dell'estate.

Trucco

Per trucco qui non si intendono i molti e numerosi espedienti cui ricorrono gli alunni per aggirare o sbarcare compiti o interrogazioni, bensì l'uso, in larga prevalenza femminile, di decorare con vari colori occhi, labbra, viso e unghie. Tali decorazioni, per quanto generosamente applicate, non influiscono in alcun modo sulla capacità dell'alunna/o di seguire una lezione o di esporla nel modo corretto, anche se le unghie rimovibili possono talvolta risultare dannose in caso di caduta, soprattutto per i compagni incautamente vicini all'unghiuta creatura che rischiano di ritrovarsele nel collo con non scarso nocumento per il loro benessere. Qualora si verifichi un incidente in tal senso, un richiamo del docente non sarà fuor di luogo.
Diverso è il caso in cui le alunne, nel corso della lezione, decidano di ritoccarsi il maquillage o di modificarlo, magari coadiuvate dai consigli delle loro vicine di banco. Tale pratica è senz'altro distrattiva dalla lezione (e proprio a questo scopo viene avviata) e dunque è senz'altro opportuno che il docente la interrompa con la massima fermezza. Anche la laccatura delle unghie, qualora svolta in orario scolastico, non è di alcun aiuto nella didattica, oltre a rischiare di lasciare segni indelebili sul banco.

Pantaloni

I pantaloni degli alunni sono diventati negli ultimi due decenni fonte inesauribile di commenti e osservazioni per il corpo docente tutto in virtù della moda cosiddetta "della vita bassa", che impone ai giovinetti di indossare pantaloni che, talvolta anche quando costoro sono in piedi, lasciano scoperte generose porzioni della loro biancheria intima o dell'epidermide della parte più bassa della schiena. Per dirla più chiaramente, l'insegnante si ritrova spesso a possedere molte più informazioni di quel che vorrebbe sull'abbigliamento più intimo dei suoi alunni, con molti dettagli sul tipo e la marca di mutande che detti alunni indossano. Tuttavia sarebbe opportuno che i molti e molti commenti che salgono spontanei alle labbra del docente restassero confinati alla Sala Insegnanti o, meglio ancora, non venissero esternati affatto in alcun luogo. La scelta del colore e della fantasia delle mutande da indossare infatti è piuttosto personale e assai raramente discuterne può apportare miglioramenti all'andamento didattico della classe.
In realtà un alunno che indossi mutande a piccoli rombi azzurri su fondo cenere è in grado di seguire una lezione esattamente nello stesso modo di un alunno di cui al docente sia consentito misericordiosamente di ignorare fattura e colore dell'importante indumento intimo di cui sopra, perché non è con i pantaloni né con le mutande che si ascolta una lezione, bensì con le orecchie.
Qualora sembri che le circostanze consentano un cauto avviso, può forse talvolta essere utile ricordare alla scolaresca o ai singoli alunni mediante colloquio privato che i pantaloni a vita bassa sono indumenti traditori, che svolgono in modo assai approssimativo il loro compito quando si è seduti, e che chi è seduto dietro di loro può talvolta disporre di cellulari in grado di scattare foto di eccellente qualità da distribuire poi copiosamente agli amici.

Esiste poi il problema, ritenuto gravissimo, dei pantaloni corti. Con pantaloni corti va precisato che non ci si riferisce in alcun modo a quei devastanti pantaloni a mezza gamba che solo alcuni maschi di mirabilissimo pregio estetico possono permettersi di indossare senza apparire completamente ridicoli - perché non risulta che mai alcun docente si sia mai irritato nel vedere cotali orrori. Vengono invece gravemente sanzionati i pantaloni corti nelle alunne, in ispecial modo quando cotali alunne risultano in possesso di due gambe particolarmente pregevoli per lunghezza e armonia delle forme. Non è mai stato chiarito cosa ci possa essere di inadeguato o improprio in un paio di belle gambe (maschili o femminili che siano), tuttavia numerosi insegnanti vedono in dette gambe una mancanza di rispetto verso l'intera istituzione scolastica, nonostante nessuno abbia spiegato in modo soddisfacente in qual modo il fatto di avere delle gambe ostacoli un alunno nel suo percorso scolastico, laddove tutti i docenti sarebbero disposti a lamentare come ingiustissimo il triste caso in cui l'alunno si trovasse privo delle due gambe in questione. 
Va ricordato che, salvo rarissimi casi, la visibilità delle gambe in questione si accompagna usualmente alle alte temperature citate nel paragrafo Spalline - e sarà forse il caso di ricordare che, al contrario del possesso di due gambe, le alte temperature possono senz'altro causare gravi cali di concentrazione degli alunni, troppo occupati ad annaspare per prestare grande attenzione al docente che cerca di istruirli sulla rotazione delle figure geometriche, il corretto uso dei pronomi nella lingua inglese o altri argomenti di analogo fascino.

Piercing

Chiamasi così l'uso di traforarsi varie parti del corpo per decorarle con ornamenti in metallo più o meno pregiato, da arricchire eventualmente con piccole gemme, naturali o artificiali che siano.
Per la maggior parte dei docenti nati prima del 1980 l'unico tipo di piercing accettabile a scuola è la foratura delle orecchie nelle fanciulle, e la presenza di qualsivoglia altro foro è spesso ritenuta indice di scarsità di valori morali e mancanza di decoro. Tuttavia, considerando che ormai il piercing conta almeno due generazioni, è probabile che il calo dei valori morali e del decoro non c'entri molto e ancor meno è probabile che il piercing venga vissuto dagli alunni pierciati come mancanza di rispetto verso i docenti. In alcuni casi si tratta di una tradizione di famiglia, come può essere agevolmente dimostrato al momento del ricevimento generale dei genitori, che non necessariamente, ove pierciati, si distinguono per una rilevante scarsità di valori morali o di decoro.
Non risulta che uno o più piercing ostacolino il percorso di apprendimento dell'alunno. In realtà non esistono nemmeno studi che attestino che la presenza di molti piercing influisca in tal senso; e se è vero che capita di trovare alunni pierciati e refrattari allo studio, non è stato mai provato che l'assenza di piercing li renderebbe più studiosi o anche solo più attenti o più silenziosi durante le lezioni.

Capelli

Viene oggi dato per scontato che le ragazze debbano avere i capelli lunghi almeno fino alle spalle e i ragazzi piuttosto corti, e staccarsi da questo modello può contrariare vivamente i docenti.
Molti insegnanti reagiscono negativamente alle teste rasate, le creste, i capelli maschili trattati con coloranti chimici e financo ai capelli femminili corti. Talvolta anche i capelli femminili lunghi ma non raccolti da apposite pinze sono oggetto di deprecazioni. 
L'uso di portare lunghi ciuffi che coprano completamente un occhio viene spesso visto come grave intralcio ad un corretto apprendimento in quanto impedisce una lettura agevole. Tuttavia spesso l'alunno riesce ad aggirare l'ostacolo qualora sia in possesso di due occhi discretamente funzionanti, servendosi di quello non coperto. Quest'ultima moda, tuttavia, sembra in regresso - il che rappresenta una vera fortuna perché permette al Consiglio di Classe di concentrarsi su questioni più strettamente pertinenti al percorso didattico intrapreso (o scansato) dall'alunno/a.
Qualora una fanciulla prediliga tagli corti o cortissimi per i suoi capelli, spesso l Consiglio si sofferma a ponderare con attenzione se colei abbia inclinazioni sessuali alternative a quelle etero o problemi di identità sessuali, oppure se viva  un rapporto conflittuale con la propria femminilità; in tal caso, riportare l'attenzione dei docenti all'ordine del giorno può rivelarsi piuttosto arduo per il Coordinatore (per strano che possa sembrare, queste argomentazioni vengono discusse con grande serietà anche da insegnantesse con capelli corti che hanno avuto una vita eterosessuale senza cedimenti verso altre sponde e abbiano partorito uno o più figli).

Tette

Capita abbastanza di frequente che le giovani studentesse dispongano di ghiandole mammarie ben sviluppate, della cui parte alta talora consentano la visione mediante scollature, più o meno ombreggiate da decorazioni in pizzo sul bordo delle medesime. Nessuno, per quel che si sa, è mai riuscito a spiegare a un Consiglio di Classe che lo scopo di tali scollature non è quello di mancare di riguardo all'istituzione scolastica bensì quello di attirare gli sguardi altrui - scopo di solito conseguito con un certo successo.
Normalmente gli insegnanti in quel caso chiedono all'alunna di munirsi di un qualche tipo di giacchetto per coprire la parte incriminata, e il fatto che il giacchetto finisca spesso per restare sganciato (mancando così a quello che gli insegnanti presumevano essere il suo compito) o dimenticato in un angolo della classe è oggetto di vaste recriminazioni e rimproveri, che finiscono sovente per rallentare il normale svolgimento delle attività didattiche e attirare vieppiù l'attenzione su ciò che taluni vorrebbero fosse coperto (e che talaltri desiderano forse contemplare). Tutto ciò porta, oltre ad un consistente numero di scene tra lo sgradevole e il comico, a lunghe diatribe nei Consigli di Classe e gran sfoggio di conversazioni vibranti di indignazione nei corridoi cui si aggiungono spesso numerose considerazioni inerenti alla vita privata delle studentesse in questione. Osservare pacatamente che il possesso di un bel paio di tette non ha mai impedito a nessuna femmina umana di seguire con profitto un corso di studi raramente basta a placare gli insegnanteschi animi; tuttavia sarà forse opportuno ricordare che, se è vero che una lezione non si ascolta con i pantaloni, altrettanto vero è che non si ascolta con le tette.
Tale osservazione di solito cade nel vuoto perché viene risposto che, quand'anche l'alunna sia disposta a concentrarsi con impegno e profitto nello studio, le sue tette risultano un elemento di distrazione per taluni compagni di classe - mai tuttavia quanto l'eterna diatriba del "Mettiti il giacchino!".

Vestiti non lavati

Il caso non è rarissimo e può effettivamente compromettere seriamente la socializzazione dell'alunno in quanto spesso i compagni non gli si accostano molto volentieri - e ogni docente sa che un alunno mal inserito nella classe raramente si concentra in modo preponderante sullo studio.
Purtroppo la questione non si presenta di facile soluzione perché molto spesso anche i docenti più ciarlieri e impiccioni hanno forti remore ad affrontare francamente l'argomento con l'alunno - e d'altra parte l'alunno in questione presenta spesso problematiche tali, e viene da una situazione di tale complessità che il fatto che i suoi vestiti non siano ben lavati si presenta come l'ultima e la più insignificante tra le sue criticità.

martedì 20 ottobre 2015

Liber semper celandum est ovvero le perversioni delle biblioteche

Che non si sappia che qua dentro ci sono dei libri, PER CARITA'!

In questi giorni la biblioteca scolastica di St. Mary Mead si sta gloriosamente avvicinando al numero di inventario 1600 e ho cominciato a meditare seriamente su come ottenere un supplemento di scaffali dal Comune. Quando guardo i palchetti ben ordinati (il che avviene sempre e soltanto prima del passaggio di una classe, perché dopo la scena è ben diversa) non posso che compiacermi ricordando l'immane ammasso inestricabile che quella stanza era quattro anni fa. Eppure, fino a questo momento, nemmeno un libro è stato comprato.
Come si fa a costruire una biblioteca a costo zero?
Il primo passo naturalmente è controllare quel che c'è già.
No, non quello che c'è già nella stanza chiamata "Biblioteca". Cioè, si capisce che va fatto anche quello, ed è la prima parte del primo passo, ma poi viene la Grande Caccia, ed è un lavoro molto divertente.
Si comincia dagli armadietti delle classi. L'operazione va fatta a fine anno scolastico, quando i professori cominciano a diradarsi. 
La scuola è uno strano posto, dove le cose si accumulano e vengono sommerse da strati su strati di altre cose. Nel primo giro non toccai i palchetti che venivano evidentemente usati, e mi soffermai solo sui mucchi informi dove le date più recenti risalivano a prima dell'ingresso a scuola degli insegnanti titolari. Accompagnata da un bel raccoglitore di carta per la raccolta differenziata scartai mucchi di circolari degli anni 90, di manufatti risalenti a progetti dello scorso millennio, di dispense e riviste pubblicate quando ancora c'era la Cortina di Ferro. Sul fondo, abilmente dissimulati fra le cartacce, c'erano sempre un po' di libri. A volte due, a volte quattro o cinque, in un caso una decina. Si riconoscevano come libri della biblioteca della scuola dalle etichette e dall'inventariazione. Poi ci fu lo spoglio dei cassetti: quelli senza più nome, in basso nella cassettiera di Sala Insegnanti. Poi la caccia nei cassetti delle scrivanie abbandonate. Ho cautamente incamerato anche libri non inventariati, fiduciosa che nessuno si sarebbe accorto che mancavano - e così è stato.
Alla fine entrarono in scena le custodi, nel cui gabbiotto giacevano misteriosi libri abbandonati da tempo immemore, riposti negli angoli più nascosti. La cosiddetta Aula Multimediale mi riservò gradite sorprese, e nella stanza dove stanno frigorifero e bicchieri e piatti di carta trovai un armadio che conteneva tre sporte di plastica assai polverose piene di libri di ogni sorta; gradite sorprese mi giunsero persino dalla ex-Presidenza, dove dormivano numerose pubblicazioni di storia e architettura locale.
Finché un giorno, insieme alle due colleghe che al tempo mi aiutavano, diedi un occhiata distratta a uno scialbo armadietto chiuso a chiave che eravamo talmente abituate a vedere lì, nella biblioteca, che mai avevamo pensato che potesse contenere qualcosa (il cervello umano è invero un organo dal curioso funzionamento).
"Sapete cosa c'è là dentro?" chiedemmo alle custodi.
Sì che lo sapevano "Sono i libri del Giralibro, prof. Vanno conservati là dentro".
"E perché?"
La custode ammise di non saperlo "Sono sempre stati lì. Ci hanno detto che non andavano mescolati con gli altri libri".
Comunque ci aprirono l'armadietto e ci lasciarono le chiavi.
Mezzo armadio pieno di libri del Giralibro. Restammo a guardarli, stranite. Ormai da mesi venivamo là dentro a schedare libri ma le custodi, che pure ogni tanto ripescavano qualche libro fossile dai luoghi più strani e puntualmente ce lo consegnavano, non avevano mai pensato ad aprirci l'armadio.
Non solo: nessuna di noi tre aveva la minima idea che la scuola avesse mai avuto a che fare con il Giralibro, ma finalmente ci spiegammo perché ogni tanto dal marasma degli scaffali spuntavano libri, di solito piuttosto validi, contrassegnati da una misteriosa segnatura Gir seguita da un numerino.

Costui Giralibro era ed è una specie di concorso sponsorizzato dagli editori per incoraggiare i ragazzi alla lettura come piacere, ma senza forzarli: la scuola riceve ogni anno un pacco di libri da contrassegnare con la sigla "Giralibro", con allegato un bando di concorso cui si può partecipare o non partecipare, l'importante è che i libri vengano adeguatamente esposti e dati da leggere ai ragazzi che lo desiderano. Come spiega dettagliatamente il bando, i libri sono intesi come proprietà della scuola e più precisamente della biblioteca della scuola, e non dei singoli insegnanti (e se ci insistono tanto ogni anno ci sarà pure il suo motivo). Tali libri sono scelti dalle case editrici tra le varie pubblicazioni per ragazzi, non necessariamente recentissime, ma sempre piuttosto valide e blasonate - personalmente li preferisco di gran lunga a quelli del Bancarellino, che sono molto più andanti, tutti di autori italiani e per giunta ci vengono fatti pagare, anche se a un prezzo piuttosto contenuto. Quelli del Giralibro invece arrivano completamente aggratis e hanno un taglio più internazionale.
Di sicuro però l'intenzione del Giralibro, quando manda il suo bel pacco di libri, non è e non è mai stata che i suddetti libri venissero rimpiattati in un armadio chiuso a chiave e così ben occultati che nemmeno gli insegnanti intenzionati a riportare a nuova vita la biblioteca ne venissero a sapere qualcosa se non dopo mesi di lavoro in biblioteca. Da almeno dieci anni - perché quell'armadio l'ho sempre visto chiuso - quei libri stavano tranquilli a riposare nella tiepida penombra dell'armadietto, e nessuno ricordava più la loro presenza se non per assicurarsi che fossero ben occultati allo sguardo di qualsiasi mortale. Nessuno degli insegnanti attuali ricordava nemmeno di averlo sentito nominare, il Giralibro, nonostante i pochi esemplari che per qualche misterioso caso erano rimasti fuori dall'Armadio Protettore; e naturalmente nessuno dei ragazzi che hanno frequentato la scuola negli ultimi dieci anni ha avuto la benché minima possibilità di accostare quei libri fin quando l'armadietto non è stato aperto e i libri sparpagliati nei vari scaffali.
Al Giralibro invece si ricordavano benissimo di noi, come ci hanno scritto accogliendo la nostra iscrizione: "La vostra scuola ha già partecipato anni fa al nostro concorso".

L'armadio conteneva anche una ricca serie di libri non catalogati che riguardavano la politica italiana dei tardi anni 70. Chi li aveva portati fin lì? A che scopo? 
Altro affascinante mistero. Comunque adesso hanno trovato la strada per il mercatino del libro alla Coop, dove hanno contribuito a finanziare le adozioni internazionali - e che non si dica più che i politici italiani non servono a niente.

venerdì 16 ottobre 2015

Catastrofe 1914 - Max Hastings


Come ognun sa l'anno scorso ricorreva il centenario della prima guerra mondiale, dal che avvenne che grandissima copia di pubblicazioni e ripubblicazioni a ciò dedicate invase le librerie riempiendone gli scaffali, laddove di frequente io mi appropinquava consultando, spulciando e meditando ma senza mai addivenire ad alcun acquisto. Questo libro era troppo datato, questo troppo costoso, quello lo trovavo anche in biblioteca, quell'altro era troppo monografico... 
Giunse infine Dicembre e non mi ero ancora comprata nulla, e sì che se c'era un argomento di storia dove la mia preparazione era decisamente approssimativa era proprio la prima guerra mondiale, che per me era rimasta ferma al poco che ne avevo imparato dai vari manuali di storia... per le medie, perché quando frequentavo le scuole mi ero ingegnata in ogni modo per tenermene lontana. Per il resto la conoscevo assai alla lontana: la letteratura della prima guerra mondiale, Tolkien alla prima guerra mondiale, le nuove armi della prima guerra mondiale e, naturalmente, la scomodissima vita nelle trincee durante la prima guerra mondiale.
Infine un giorno mi presi per la collottola, mi imbucai nella libreria di paese (tutt'altro che sfornita) e giurai a me stessa che non ne sarei uscita senza aver acquistato un libro sulla prima guerra mondiale, bello o brutto che fosse.
Ne uscii con questo grosso tomo che costa 22 euro e che comprende 730 pagine in corpo piccolo di testo, più una settantina di pagine tra note e bibliografia. Era recentissimo, ma soprattutto aveva un taglio insolito: si occupava infatti solo del 1914.
Ora, perfino a me era noto che nella prima guerra mondiale a parte il primo anno non succedeva quasi niente fino alla fine, e con 730 pagine speravo che, se non altro, mi avrebbero spiegato come cazzo era cominciata la prima guerra mondiale, che non ero mai riuscita davvero a capirlo e tutti i manuali delle medie raccontano questa parte in modo molto confuso.
Tra una cosa e l'altra comunque il libro rimase in paziente attesa fino a quest'estate, quando infine l'ho saldamente addentato, scoprendo così di avere speso assai bene i miei soldi.

Si comincia con una premessa: le fonti sono state truccate a posteriori, perché nessun paese voleva essere accusato di aver cominciato o voluto la guerra; quindi pur essendo numerosissime, non sempre sono il massimo dell'attendibilità. D'altra parte l'autore non si è limitato alle fonti ufficiali e si è occupato anche delle cosiddette fonti minori, fra cui diari, memorie e lettere, incluse quelle dei poveri e comuni mortali (che spesso, ahimé, alla fine della guerra erano morti. Abbiamo dunque un quadro molto dettagliato non solo dei preparativi della guerra e dei primi, catastrofici mesi di guerra sui vari fronti, ma anche delle reazioni dell'opinione pubblica, perennemente affamata di notizie e perennemente nutrita con grandissime quantità di racconti privi della benché minima attendibilità, e della vita quotidiana in tempo di guerra tra i civili, sia quelli che vivevano in paesi dove la guerra non arrivò, sia di quelli che dalla guerra furono toccati senza alcun riguardo - e sull'immane quantità di profughi che le azioni di guerra causarono (di questi tempi, un tema molto attuale e che ci aiuta a ridimensionare le chiacchiere sulla Grandiosa Invasione che si sta riversando sull'Europa, quasi che i profughi che scappano dalla guerra li avessero inventati questa primavera e mai alcuna popolazione fosse stata costretta a muoversi da casa in condizioni decisamente scomode).
Abbiamo una lunga e dettagliata presentazione dei vari stati protagonisti, dove ho scoperto un sacco di cose: per esempio cos'è il famoso panslavismo, ovvero l'intenzione della Serbia di formare uno stato unitario che raccogliesse gli stati slavi della zona balcanica sotto la sua guida - e così in un colpo solo ho scoperto come mai alla Conferenza di Parigi avevano generato quel mostro singolare chiamato Jugoslavia e come mai negli anni 90 del secolo scorso la Serbia ha fatto il casino che ha fatto. Ho anche imparato che la Russia era in grande espansione economica (anche se poi il regime comunista ce l'ha raccontata molto diversamente) e che la Francia se la stava amorevolmente tirando su, armandola di tutto punto, operazione però che nel 1914 era appena avviata; che la Germania voleva fare la guerra ma che sperava che l'Austria fosse in condizioni migliori e che l'Inghilterra non aveva la benché minima intenzione di fare alcuna guerra ad alcuno stato europeo e cercò quanto più possibile di tenersene fuori, intervenendo solo quando i tedeschi invasero il Belgio, che era stato dichiarato neutrale e intoccabile pochi anni prima, neutralità di cui l'Inghilterra si era dichiarata garante. Infine ho scoperto che i tedeschi già allora erano convinti che gli slavi fossero una razza inferiore e che combattere contro di loro non poteva essere una cosa lunga o complicata (previsione che si rivelò del tutto campata in aria ma che non gli impedì di continuare a pensare che combattere contro gli slavi fosse affare di poco conto, con le conseguenze che sappiamo trent'anni dopo).
Cucchiaino su cucchiano, viene poi descritto il complesso meccanismo che avviò la guerra, in un gran rifrullo di trattative diplomatiche e colloqui più o meno segreti, ma dove probabilmente mancano qua e là un po' di tasselli.

E infine si arriva alla guerra vera e propria, dove l'unica popolazione che mostrò un parziale entusiasmo, ma solo all'inizio, fu la Germania. Tutti gli altri, checché ci facciano vedere nei documentari di propaganda, erano molto ma molto scontenti.
Tutti, dai soldati ai capi di stato maggiore, si ritrovarono a vivere una guerra completamente diversa dalle precedenti senza essere preparati. In pratica: le armi si erano assai evolute, nei quaranta e passa anni trascorsi dall'ultima guerra europea (la franco-prussiana), ma la strategia militare no, e in quei quarant'anni gli  eserciti europei avevano fatto pratica soprattutto nelle colonie, dove le guerre erano rimaste di tipo più tradizionale (e dove spesso si vinceva facile, in virtù di una notevole sproporzione di forze).
Nel 1914 un buon numero di eserciti armati fino ai denti con armi modernissime si affrontarono, e tutti avevano armi micidiali, scarsa pratica nell'usarle ed ufficiali educati alla vecchia guerra. C'era tanta cavalleria (intesa come corpi armati a cavallo), che contro i nuovi cannoni e mitraglie serviva il giusto. C'era tanta bella fanteria, che finiva spiaccicata in gran copia sotto i colpi dei cannoni nemici; c'erano ancora le belle divise colorate che permettevano subito di individuare i nemici (solo inglesi e tedeschi avevano divise di tipo moderno), e c'erano un sacco di capi di stato maggiore che prendevano regolarmente le decisoni sbagliate al momento sbagliato. I primi scontri si risolsero in infiniti massacri, con infinita quantità di cadaveri da rimuovere (e che di solito non venivano rimossi), i rifornimenti arrivavano poco e male, e i soldati molto spesso facevano la fame soprattutto perché le pur copiose provvigioni erano da un altra parte e non riuscivano a raggiungere le truppe in combattimento. Truppe digiune vagavano per giorni e giorni, talvolta sbagliando strada perché non avevano le mappe giuste o non le avevano affatto, talvolta cercando un nemico che non trovavano, talvolta trovando nemici che non erano previsti e sempre a corto di ordini e disposizioni. Per compassione verso lo stomaco di chi legge non parlerò di cosa succedeva, o meglio non succedeva ai feriti in assenza di soccorsi medici.
Anche le trincee arrivarono un po' per volta: occasionalmente certi soldati si scavavano delle buche per nascondersi dal fuoco nemico (un arte che molte truppe impararono solo un po' per volta, col metodo sperimentale) e lì restavano fino al momento dell'attacco da fare o da subire; del resto, restare esposti voleva dire condannarsi a morte sicura, e infatti tantissimi morirono. Solo in autunno, quando fu chiaro che la guerra sarebbe durata ancora molto, i fronti contrapposti affrontarono la questione in modo più sistematico e si rassegnarono a quell'orrore noto come "trincee", mentre le fabbriche dei vari paesi scoprirono che, oltre a immani e non previsti quantitativi di munizioni, occorreva fornire chilometri e chilometri di filo spinato di cui nessuno aveva pensato a dotare le truppe se non in dosi minime.
In quei primi mesi tutti gli stati maggiori fecero infiniti e gravissimi errori, mettendosi in un certo senso alla pari tra di loro - e infatti la guerra quasi subito entrò in una situazione di stallo, non perché le truppe non combattessero assai, con grandissimi sacrifici e dispendio di risorse, ma perché gli schieramenti erano equivalenti anche negli errori e nessuno riuscì a sfondare davvero un fronte avversario; del resto anche l'Italia, che entrò in guerra un anno dopo, fece esattamente gli stessi errori e si trovò intrappolata in una scomoda posizione di stallo esattamente come tutti gli altri (salvo l'esercito serbo che, dopo una buona e assai agguerrita partenza, venne sopraffatto per manifesta disparità di forze). Inoltre, nel corso di quasi tutta la guerra, gli stati maggiori ufficialmente alleati si considerarono con enorme diffidenza e disprezzo, ingegnandosi in tutti i modi di comunicare il meno possibile, e anche questo non fu senza conseguenze.

Il libro non scorre sempre bene: in certi punti ci si pianta senza speranza in mezzo al battaglione X che fa questo e alla divisione Y che fa quest'altro e si confondono gli ufficiali, i marescialli, i generali e tutti quanti. Le cifre ballano e si confondono, i numeri dei morti finiscono presto per perdere ogni significato - sono tanti, tanti, tanti. Le cartine geografiche sono microscopiche. Inoltre le truppe hanno la fastidiosa abitudine di avanzare, poi di retrocedere, poi di avanzare ancora e i loro nemici pure (e infatti a un certo punto tutti si fermano). Tutti avanzano prima nel caldo infernale, poi nel fango, sotto la pioggia, nelle paludi, nei fiumi. Una girandola di cavalli morti imperversa ovunque. Cadaveri, cadaveri dappertutto. Feriti... no, ho già detto che dei feriti non parlerò.
Del resto si sa che la Grande Guerra non è stata un pranzo di gala.

Comunque, nella gran parte delle pagine si procede bene e si capisce cosa succede, e se spesso succede un gran casino non è certo colpa dell'autore.
Ci vuole il suo tempo a leggerlo, ma ne vale senz'altro la pena.

Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma e auguro a tutti buone letture nel primo fine settimana davvero autunnale del 2015.

Dimenticavo: il titolo del libro è singolarmente azzeccato.

lunedì 12 ottobre 2015

Lunedì Film - Quando c'era Marnie (Film per le medie)


Per motivi che sfuggono alla mia debole mente, lo Studio Ghibli ha preso l'abitudine di far uscire i suoi film pochissimi giorni per poi toglierli di circolazione e, immagino, metterli in seguito in vendita ai pochi eletti che ne hanno sentito parlare. Se lo fa avrà senz'altro la sua convenienza economica, non discuto, ma resta il fatto che in questo modo questi film non hanno poi una gran diffusione al di fuori del cerchio degli appassionati - ed è un peccato perché si tratta di prodotti di ottima qualità, assai gradevoli e non concepiti come pellicole di elite per pochi eletti.
D'accordo, per chi insegna c'è il vantaggio che può farli vedere alle sue classi senza rischiare di tediare i suoi alunni con roba ormai troppo conosciuta; resta il fatto che in sala, quando sono andata a vedere il film che vado adesso a presentare, nella sala piuttosto piena c'erano a malapena cinque spettatori sotto i venti anni, mentre il target per cui sono stati progettati è, ad occhio, tra i dieci e i quindici anni. Non che un  adulto non possa trarne grandissimo piacere - e infatti eravamo tutti decisamente soddisfatti - ma in fine non sarebbe male che anche i ragazzi che non sono nati e cresciuti in una famiglia appassionata di animazione giapponese avessero la ragionevole possibilità di accostare queste produzioni.

Andiamo per ordine. Il film NON è un film di Hayao Miyazaki, sacro totem dell'animazione giapponese e spirito portante dello Studio Ghibli, anzi è il primo uscito dallo Studio Ghibli dopo uno dei molti ritiri dalle scene di costui, però l'impronta di Miyazaki si sente con forza (per le cronache, la regia è opera dello stimato regista Hiromasa Yonebayashi); guarda caso il, soggetto è preso dal romanzo di Joan J. Robinson When Marnie Was There (1967) che a suo tempo Miyazaki lesse e apprezzò, tanto da includerlo in una lista di libri per ragazzi da lui raccomandati. 
Esiste in italiano?
Sì, esiste. Edizione Kappalab, ovvero una casa editrice specializzata in questi repechage di classici adattati dall'animazione giapponese e mai arrivati in Italia.


Quindi, oltre al film uscito di soppiatto abbiamo anche un romanzo tradotto di soppiatto.
Mi sfugge questa gran necessità di restare nei circuiti di nicchia ma insomma facciano un po' loro. 

Il libro, ci dicono, è stato adattato fedelissimamente, salvo piccoli dettagli quali spostare l'ambientazione in Giappone ai giorni nostri e tagliare parecchio nella seconda parte. Siccome la storia è fuori del tempo, nel senso che è sempre attuale e sempre lo sarà, il fatto che sia ambientata in Giappone non stona in alcun modo.

La protagonista è una ragazzina di nome Anna, o meglio Anna-chan, perché il folle adattamento ha lasciato i cosiddetti onorifici, ovvero quei suffissi che i giapponesi mettono sempre ai nomi e che servono a trasformarli in vezzeggiativi, o a dare un tocco di rispetto o di familiarità oppure... insomma una roba molto giapponese di cui la gran parte dei lettori e spettatori italiani è beatamente ignara; per fare un esempio, gli amici mi chiamano Murachan, mentre chi vuole rivolgersi a me con gran rispetto mi chiama Murasama. In questo film gli onorifici servono mirabilmente a confondere le idee allo spettatore italiano, che si convince che Anna-chan sia un nome giapponese esattamente come Midori o Fujiko. Invece è proprio il nome Anna, tutt'altro che giapponese.
Anna è stata adottata e ha dei genitori adottivi molto preoccuposi. Soffre di asma e si sente molto isolata dai coetanei, e di conseguenza i coetanei finiscono per tenerla un po' a distanza, non per malanimo ma perché non sanno come maneggiarla. Ha anche un notevole talento per il disegno, di cui è abbastanza ignara, in base al principio che essendo ella un piccolo vermetto strisciante, non è materialmente possibile che qualcosa le riesca bene.
Dopo un attacco di asma piuttosto grave, dietro consiglio medico, i genitori decidono di mandarla per un po' dalla (mi sembra) sorella della madre adottiva, che abita in un simpatico paesello dove l'aria è particolarmente buona. Costei è molto contenta di accogliere Anna-chan perché la sua figlia maggiore da tempo è andata in città a lavorare e la sua stanza è rimasta libera.
Gli zii (perché la zia ha anche un marito, simpatico e gentile quanto lei) maneggiano senza difficoltà questa giovane ostrica che parla pochissimo, e avviano la convivenza sulla base del "Fai un po' quel che vuoi, e vedi di mangiare". Un tentativo di inserire Anna-chan tra la gioventù del luogo non sorte grandi risultati, ma in compenso Anna (che è alloggiata in una splendida e ariosa camera che le ho invidiato con tutte le mie forze per l'intera durata del film) prova una grande attrazione per un suggestivo lago, che proprio un lago non deve essere, visto che sale e scende di livello a seconda delle maree e a volte si può guadare, mentre altre volte per traversarlo è necessaria una barca, non sempre disponibile.
Dall'altra parte del simil-lago c'è una grande villa abbandonata


ovvero il più perfetto esemplare di Grande Villa Abbandonata mai disegnato in un cartone animato. Anna-chan ne rimane incantata, com'è giusto, e scopre che la villa in realtà è abitata. Prima vede delle sagome alle finestre illuminate, poi incontra la giovane abitante della villa - Marnie, appunto.
Le due diventano subito amiche, organizzano pic-nic, Marnie le insegna a remare (arte che padroneggia a meraviglia) e una sera la ospita anche a uno dei ricevimenti che i suoi genitori organizzano lì, quando ci sono (il che avviene abbastanza raramente).
Marnie è un sogno? E' reale? E' un fantasma ritornato dal passato?
Anne-chan non si fa troppe domande, si addormenta spesso, qualche volta si sveglia e trova che la villa è vuota e scrostata, qualche volta arriva e la trova animata da tante persone; e c'è anche un misterioso sylos dove rifugiarsi nei giorni di pioggia e dove ambientare prove di coraggio...


Nel frattempo la villa viene acquistata e arrivano gli operai a sistemarla, insieme alla famiglia dei nuovi proprietari, che hanno anche una figlia, un po' più piccola di Anna-chan ma che si lega subito a lei con grande amicizia. Insieme le due trovano anche un diario, tenuto da Marnie qualche decennio prima...
Tra sogni, indagini sul passato, incidenti di percorso, battibecchi e giochi con Marnie, la storia si snoda in una piacevole atmosfera di mistero e finisce per chiarirsi grazie al racconto di una pittrice che viene spesso in zona per dipingere la villa e che apprezza il talento di Anna-chan, oltre a raccontarle la storia della villa e di Marnie. Infine tutto si chiude nel migliore dei modi e Anna-chan, che tornerà l'estate prossima a trovare la sua nuova amica (ovvero la nuova proprietaria della villa),  esce dalla conturbante esperienza molto meno paurosa e introversa di com'era all'inizio del film, e più affettuosa anche verso i genitori adottivi.

Il film è insieme favola, racconto di formazione, storia di una bellissima amicizia (anzi di due), caccia al mistero e racconto di un sogno che non è solo un sogno; incantevole, suggestivo, affascinante, magico, romantico e insieme cronaca fedele degli stati d'animo di un adolescente, presta inoltre lo spunto a diverse considerazioni sui piani temporali sovrapposti e incrociati. Può piacere a chiunque, indipendentemente dall'età, ma è davvero perfetto per i giovani fanciulli in crescita. E i disegni sono bellissimi e davvero suggestivi.
Quando uscirà sul mercato? Ah, saperlo, saperlo...
Il mio vendi-film di fiducia ha azzardato una previsione per questa primavera.

Caldamente consigliato per le classi prime e seconde, ma anche le quinte elementari potrebbero trarne gran piacere.

Postilla sull'adattamento: attualmente tutti gli adattamenti dei film dello Studio Ghibli sono gestiti con criteri piuttosto strampalati e molto, molto discussi tra gli appassionati di animazione giapponese (che tra l'altro non sono mai e poi mai contenti di niente, a prescindere). A parte la curiosa scelta dell'uso degli onorifici, ci sono passaggi piuttosto legnosi e frasi di costruzione piuttosto ardita oltre ad un atroce "Gliene prego!" (che mi ha fatto sobbalzare dalla comoda poltroncina del cinema) quando le due ragazze insistono perché la pittrice racconti loro la storia di Marnie. Tuttavia, considerato quel che si sente raccontare dell'adattamento degli altri film Ghibli, non c'è nel complesso troppo di cui lamentarsi e i dialoghi scorrono abbastanza bene.