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martedì 28 agosto 2018

Uno hobbit per finirlo e alle stampe alfin mandarlo

Copertina della prima edizione del Silmarillion - che naturalmente mi precipitai a comprare, in quel lontano 1979

La seconda considerazione che è andata prendendo forma nelle spaziose pareti eccetera eccetera (vedi post precedente) riguarda le vicende editoriali di Tolkien, che fin da ragazzo scrisse ampie e dettagliate storie delle Ere Antiche della Terra di Mezzo, partendo dalla sua creazione attraverso la musica e raccogliendole pazientemente nel Silmarillion, che non diede mai alle stampe.
Tolkien morì nel 1973, ovvero diciotto anni dopo la pubblicazione del Signore degli Anelli. Il romanzo gli portò in cassa qualche soldo e lui andò in pensione. Quali circostanze più favorevoli per riordinare infine la sua opera di una vita, quella cui in teoria aveva sempre lavorato? Ma così non avvenne: quando infine Il Silmarillion venne pubblicato ad opera del figlio Christopher, costui dovette pasticciare non poco per sistemare una materia che era ancora allo stato fluido. Non solo, ma molti dei testi che compongono Il Silmarillion esistevano in più versioni, talvolta lunghe e dettagliate e in contraddizione o in contrasto tra loro. Fino alla fine Tolkien aveva continuato a giocare col suo giocattolo preferito, evitando con cura di dargli una forma stabile che gli permettesse di andare in giro per il mondo incontro a un destino editoriale.
Insomma, la mia personale teoria è che, vivente Tolkien, Il Silmarillion non sia stato pubblicato perché al professore non importava, e voleva tenere aperto il laboratorio fino all'ultimo - oppure, a scelta, che a quel punto le storie del Silmarillion lo interessavano fino a un certo punto perché ormai sapeva come andava a finire la storia. 
C'è un altro fattore da considerare: nel frattempo, nell'eroica Terra di Mezzo colma di gioielli magici e cupidi nani e nobilissimi e sanguinarissimi (e talvolta stupidissimi) elfi e uomini usciti di peso, loro sì, da saghe celtiche e germaniche di quelle dove il destino si comporta sempre in maniera scorretta, era entrato in scena un popolo anarchico e disciplinato, gaudente e resiliente, disinteressato a gioielli magici, alle spade incantate e spesso perfino agli spocchiosissimi elfi, che commerciava con i nani comprando soprattutto giocattoli e fuochi d'artificio... insomma, gli hobbit, con le loro doppie colazioni (una delle quali a base di bacon e uova), i loro pub, i loro campi ben arati, indifesi in modo patetico ma capaci di sbrogliarsela nelle situazioni più assurde.
In presenza degli hobbit le storie assumono un senso, e pretendono a gran voce di essere portate a una conclusione. Non ci sono hobbit nel Silmarillion, se non appiccicati con lo sputo nell'ultimissimo capitolo che in sintesi è solo un rapido riassunto per infilare il Signore degli Anelli in tutta la vicenda. 
Non ci sono hobbit, ma soprattutto: come potrebbero esserci? Cosa potrebbero fare, in tutte quelle storie nobili ed eroiche e pure un po' convenzionali? 
Beh, magari potrebbero farci molto, ma col loro intervento le storie avrebbero avuto una conclusione, un senso, una dimensione precisa: sarebbero insomma diventate vere storie. Oppure, più probabilmente, le storie si sarebbero snaturate perdendo sapore.
Resta il fatto che di tutte le storie della Terra di Mezzo Tolkien è riuscito a completarne e stamparne due (la prima delle quali non era nata per stare nel ciclo della Terra di Mezzo) ed erano quelle con gli hobbit. Guarda caso, sono anche quelle secondo me letterariamente più valide e con i personaggi più interessanti. 
Coincidenze? Personalmente ne dubito.

lunedì 28 dicembre 2015

Tolkien e la politica, ovvero sul reggimento degli stati nella Terra di Mezzo

La bandiera di Dol Amroth (monarchia assoluta, si suppone)

Molto si è discusso nei tempi andati (in Italia, solo in Italia. Altrove han trovato di meglio per passare il tempo) sull'avvincente questione se lo stimato scrittore J. R. R. Tolkien fosse di destra o di sinistra e, sempre in Italia, negli anni 70 e 80 prevalse in molti ambienti la convinzione che fosse di destra, e addirittura di orientamento fascista.
Argomenti precisi per questo reclutamento forzato non ne vennero indicati mai, e va aggiunto che tale reclutamento avvenne quando lo stimato scrittore giaceva ormai da qualche anno sotto svariati palmi di terra ed avrebbe quindi incontrato notevoli difficoltà a dire la sua sulla questione. 
Tuttavia un orientamento politico Tolkien ce l'aveva, come ce l'hanno tutti, anche quelli che sono convinti di non interessarsi affatto di politica. 

In che modo questo orientamento abbia influenzato le forme di governo che incrociamo nella Terra di Mezzo nei due romanzi che ha pubblicato da vivo è difficile da stabilire, perché appunto stiamo parlando della Terra di Mezzo sul finire della Terza Era, ovvero di un mondo che non ha (quasi) conosciuto la rivoluzione industriale, il comunismo e i moderni mezzi di comunicazione ma che dispone di alberi socialmente organizzati, stregoni e balrog, montagne dotate di libero arbitrio, un Oscuro Signore senza forma ed altri elementi piuttosto estranei alla nostra politica attuale, oltre a un sacco di elementi soprattutto economici che non vengono mai chiariti - e sono tutti fattori che spostano la visione politica al di là della moderna divisione tra "destra" e "sinistra".

Abbiamo comunque numerose comunità, ognuna organizzata a modo suo, e svariati individui ed entità che vivono a modo loro. Ci sono regni, dittature, libere città, tribù, libere comunità e qualche individuo che sta per conto suo, più adunanze varie di spettri e fantasmi vari e una grande quantità di terre abbandonate, desolate o distrutte. La maggior parte della Terra di Mezzo che conosciamo è spopolata. Andando verso sud comunque le cose cambiano, anche se della parte più popolata Tolkien non ci dice praticamente nulla, nemmeno nelle appendici.

Quel che segue è un tentativo di descrivere politicamente le varie entità della Terra di Mezzo di cui ci viene detto qualcosa, senza alcun  riferimento agli scritti che Tolkien non ha pubblicato in vita.

Prima di tutto i re degli uomini (di fatto, gli unici regni che conosciamo un po' sono quelli di Gondor e di Rohan). 
Nella Terra di Mezzo i re abbondano, ma dobbiamo considerare che Tolkien ha vissuto per tutta la vita sotto una monarchia (costituzionale) e, quando ha progettato la Terra di Mezzo, i re erano molto più comuni di adesso. 
C'è poi il tema del ritorno del Re, tanto importante da intitolargli un volume della trilogia del Signore degli Anelli. E' un tema piuttosto diffuso nelle leggende: lo stesso Artù è un re che ritorna attraverso il prodigio della spada nella roccia, e lui e Carlo Magno non muoiono davvero, si limitano ad addormentarsi in una qualche montagna fatta di luce o in un isola incantata per risvegliarsi quando sarà necessario. C'è poi un altro Re il cui ritorno viene atteso generazione dopo generazione, ed è Gesù che tornando inaugurerà finalmente il Regno di Dio. Ad ogni modo un re che ritorna è un re che si è lasciato dietro un vuoto di potere e una speranza che potrebbe non realizzarsi mai ma che continua a vivere nei proverbi e nelle speranze dei sudditi.
Nella Terra di Mezzo quello che è scomparso è il re di Gondor. E' una storia molto complicata, raccontata nelle Appendici: prima sparì la stirpe dei re del Nord, ingoiati dai ghiacci e dalla sorte avversa (nella fattispecie, la sorte avversa è il re di Angmar, noto anche come capo degli Spettri dell'Anello). La cosa però non è proprio chiarissima: muore l'ultimo re incoronato, ma la stirpe in qualche modo sopravvive, nascosta e protetta dai pochi Dunedain rimasti. Aragorn discenderà da quel ramo.
Nel grande regno del Sud l'ultimo dei re scompare, attirato da una sfida impossibile dal re di Minas Morgul. Al suo posto resterà a fare funzione di re il Sovrintendente. Si suppone che il re sia morto, ma nessuno ha visto il cadavere, per cui, chissà... e i Sovrintendenti si passano il potere di padre in figlio, visto che non c'è un pretendente su cui tutti sono d'accordo, e che tempo prima c'era stata una guerra civile. Passano i secoli, e i Sovrintendenti regnano a Gondor, uno dopo l'altro, ma senza usare la bandiera del Re e senza sedere sul trono. 
E tutti aspettano, ma nessuno crede veramente che i Re possa davvero tornare (tranne Elrond che sta pazientemente covando i discendenti della stirpe del Nord). Secolo dopo secolo passano più di  mille anni a Nord e un po' meno di mille anni a Sud. Nel Nord si organizzano a modo loro, nel Sud regnano i Sovrintendenti, ma a prendere il trono per chiamarsi Re non ci pensano nemmeno: quando Boromir suggerisce qualcosa del genere al padre, Denethor gli spiega che non è ancora tempo e non lo sarà per un bel pezzo.
Non ci viene detto un accidente sulle strutture politiche di Gondor, per cui possiamo immaginare che ci sia una monarchia assoluta, retta nell'attesa di un improbabile ritorno del Re da un Sovrintendente assoluto, e questo è quanto. I re di Gondor sono tali per diritto divino, o meglio per per manifesta superiorità razziale (e anche i Sovrintendenti sono discendenti dei Numenoreani, anche se il loro sangue è un po' meno puro).

Si tratta comunque di un regno in guerra da molte generazioni, quindi in una situazione in cui gli organi democratici hanno comunque un potere ridotto sempre e comunque, ed è 
possibile che, una volta tornate la pace e il re, le maglie si allentino. Resta il fatto che non c'è traccia di parlam,enti, consigli della corona né altro. Il Sovrintendente è solo al comando.
Ad ogni modo Aragorn si preoccupa prima di tutto di meritarsi il diritto al trono, e di essere accettato come re, senza imporsi (anche se il re di Dol Amroth stabilisce fin da subito che Aragorn è il re, punto e basta) e in seguito sarà un re molto attento a tutelare le differenze culturali: assegna ufficialmente delle terre agli Uomini delle Foreste, vieta l'ingresso nella Contea alla Gente Alta (includendo lui stesso nel divieto) eccetera; e accetterà di diventare Re solo dopo essere stato acclamato come tale.Resta il fatto che i Numenoreani sono monarchi per diritto divino, e fatti di una pasta diversa da quella dei comuni mortali (anche se questo non ha impedito ad alcuni di loro di comportarsi in modo estremamente stupido, a Numenor e anche nella Terra di Mezzo) e soprattutto che "le mani del Re sono mani di guaritore" - una caratteristica attribuita ai re francesi e nata per mettere l'accento sulla consacrazione divina, ai tempi in cui la monarchia francese si incamminava sulla strada dell'assolutismo.


L'altro regno di cui sappiamo qualcosina è quello di Rohan, che ha  un ordinamento
di tipo altogermanico (o celtico), con l'assemblea dei Liberi, cioè di tutti i maschi in grado di portare una spada, e dove il re è un primus inter pares. Comunque l'unica volta che vediamo quest'assemblea gli uomini ribadiscono la loro fedeltà alla casa di Eorl e chiedono che a guidare la popolazione civile in assenza del re sia Eowyn, in quanto discendente della casa di Eorl. Nel complesso, è un popolo serio e disciplinato, ma che mantiene buoni margini di libertà personale.

Proprietà privata: esiste, ma sembra esistere anche parecchia proprietà collettiva, come succede spesso dove la densità della popolazione è bassa.

Abbiamo poi la Città di Brea, dove convivono serenamente uomini e hobbit. Non sappiamo assolutamente nulla di com'è organizzata, ma si suppone che sia un qualche tipo di Consiglio o Assemblea, almeno per decidere a che ora chiudere i cancelli della città.
Hanno i soldi, come nella Contea, ma non sappiamo chi batte le monete.

Di Esgaroth sul Lagolungo sappiamo che ha un governatore, che è stato in qualche modo scelto o eletto. La popolazione è piuttosto umorale e il governatore sta ben attento a non contrariarla. Un tempo, prima dell'arrivo di Smaug, c'era un re, e dopo la morte di Smaug il discendente dei vecchi re salirà al trono per acclamazione popolare. Sappiamo che governerà bene e con saggezza, ma non sappiamo che tipo di monarchia sarà perché nessuno ce lo dice.
Commerciano, quindi si suppone che battano moneta. Però, quando li incontriamo ne Lo Hobbit, hanno soltanto il reame degli elfi silvani con cui commerciare.
Se gli Elfi usino monete, è e resta un mistero insondabile.



Passiamo agli hobbit.
Parlare di istituzioni e governo con gli hobbit è quasi una presa di giro: la Contea è organizzata in base al principio dell'anarchia e del libero arbitrio. Le pubbliche istituzioni si limitano a qualche Guardaconfini, qualche postino, un Conte che non fa niente di particolare a parte chiamarsi così, e infine il Sindaco di Pietraforata, che viene eletto con la precisa mansione di organizzare feste e banchetti.
Niente esercito, niente magistratura. In questa quasi totale anarchia, la Contea se la passa d'incanto: è un paese ricco, ordinato e popolato da abitanti per lo più di buon umore. I bambini vengono cresciuti secondo i criteri dell'educazione permissiva, e tutti si fanno la vita loro in grande autonomia. Tutto è pulito, ordinato e piacevole.
Certo, all'esterno ci sono i Rangers che sorvegliano la situazione: "erano protetti ma lo dimenticarono". Comunque le minacce, appunto, vengono dall'esterno.
Questo regime così piacevole e sensato crolla come un castello di carte all'arrivo di qualche Uomo malintenzionato. Consideriamo però che anche la dittatura instaurata dagli uomini in questione crolla come un castello di carte quando gli hobbit si danno una svegliata. (Se la sarebbero data anche senza i Quattro Baldi Viagggiatori? Tutto lascia pensare di sì: non scordiamo che il Vecchio Tuc aveva cominciato a pestare i piedi sin dall'inizio)
Tanta anarchia comunque non mette minimamente in discussione la legittimità della proprietà privata.

Gli Ent sono una democrazia diretta, se mai se ne vide una: il lloro regime prevede un enorme margine di libertà personale e un solo organo di potere: l'Entaconsulta, dove le decisioni vengono prese all'unanimità e dove ogni Ent ha parità di diritti e rappresenta solo sé stesso. Il massimo di gerarchia di comando che troviamo  è qualche capo carismatico, reso tale in virtù della maggiore età ed esperienza.
Nota bene: gli Ent diffidano della fretta, ma NON delle novità: il Progresso non è considerato male in quanto tale e le tradizioni non sono necessariamente sacre - solo,
Progresso non e' considerato male in quanto tale, e le tradizioni non sono sacre - solo, occorre valutare tutto con attenzione, e senza fretta.
Per quanto riguarda la proprietà privata,  sappiamo che Fangorn (alias Barbalbero) ha dato il nome alla foresta dove vive, ma sembra considerarlo suo territorio solo perché, appunto, ci vive.
Un tragico accidente li ha privati della parte femminile della popolazione, rendendoli un popolo in via di estinzione. Ad ogni modo le signore Ent se ne sono andate (per inventare l’agricoltura) semplicemente perché hanno voluto andarsene, e nessuno ha trovato strano o ingiusto che chi voleva andarsene se ne sia poi effettivamente andato.
Insomma, gli Ent sono l’unica popolazione della Terra di Mezzo dove vige la parità dei sessi, e sembra molto probabile che le signore Ent partecipasserro all’Entaconsulta con diritto di voto.
Non hanno denaro né saprebbero cosa farsene, e non commerciano dal momento che non gli serve niente a parte la loro foresta, dove sono perfettamente autosufficienti.

Dei Nani si sa poco. Hanno la monarchia, visto che ci sono dei re, ed è una monarchia ereditaria ma non risulta che abbiano mai avuto regine (né risulta  il contrario).
Considerando il caratterino dei nani, si tratta probabilmente di monarchie costituzionali, con mooolti  organi per affiancare il re nelle sue funzioni. Di sicuro ci sono delle assemblee per discutere.
Se qualcuno vuole farsi un regno in proprio, nessun problema: sceglie un territorio e ci va con chi lo segue.
Quanto alla proprieta' privata... vabbè, lasciamo perdere.
Dal momento che vivono soprattutto di commercio, lavorazione dei metalli e alto artigianato, hanno il denaro e lo amano anche molto.
Il loro sistema politico funziona?
Altrochè. Almeno per quel poco che sappiamo dei Nani.

Veniamo agli Elfi
Qualcuno ha capito che tipo di governo hanno gli Elfi? 
Monarchia, visto che hanno i re - i quali re sembrano, in un certo senso, essere l'emanazione della volontà del loro popolo. I sudditi elfi sembrano molto disciplinati ma non sottomessi (e, nei primi capitoli i del Silmarillion, anche politicamente piuttosto effervescenti).
Ad occhio, sembrerebbe una Monarchia Assoluta basata sul consenso.
Non sembra esserci proprietà privata per la terra, ma solo per alcuni oggetti. 
Il loro sistema politico funziona?
Mah, non e' chiarissimo. Il punto è che alla fine della Terza Era gli Elfi nel loro complesso non funzionano piu' granché - ma non sembra un problema legato alle strutture politiche.

Infine Mordor (e, su scala molto ridotta, Isengard)
Qui possiamo senz'altro parlare di Feroce Dittatura. Siccome Mordor è a est, qualcuno ci ha visto una descrizione dell'Unione Sovietica  (ed è stato smentito con grande fermezza da Tolkien). 
Ma, siamo seri: le masse proletarie di Mordor vi sembrano al potere, sia pure nominalmente?
C'è molta ferocia, molta efficienza e molto nero. I prigionieri vengono maltrattati senza pietà, i sottoposti sfruttati fino all'osso. Si accenna anche a manipolazioni genetiche e Orrori Non Ben Definiti (per riguardo allo stomaco dei lettori).
Culto del dittatore: assoluto. Potere delle masse: zero.
Democrazia rappresentativa: meno di zero. Il regime di basa soprattutto sulla paura.
Organi repressivi, misure punitive e limitazioni della libertà personale: ottimi e abbondanti.
Scontento: diffuso, e accuratamente coltivato. Appena due orchetti hanno un attimo di tranquillità, prima di tutto si mettono a mugugnare contro le Alte Sfere, poi cercano di ammazzarsi tra loro. Questo crea una continua corrente di paura, molta diffidenza reciproca ma nessun danno per il dittatore di turno, che tanto ne ha un'infinita' a disposizione.
Proprieta' privata: esiste. Infatti tutto e' di proprieta' di Sauron (o di Saruman).
Considerati gli anni in cui il libro e' stato scritto, la tentazione di vedere il regime nazista come fonte di ispirazione e' molto, molto forte.
Il sistema politico di Mordor e Isengard funziona?
Mica tanto. Capi e subordinati mancano di flessibilità mentale e di capacità nell'affrontare gli imprevisti. Dal momento che gli viene chiesta soprattutto un obbedienza assoluta, sul piano del problem solving non se la cavano granché.
Un po' più di fantasia al potere gli avrebbe fatto un gran comodo - ma certo, se fossero stati in grado di avere la fantasia al potere, sarebbero anche stati molto diversi.

giovedì 13 agosto 2015

La Contea vive nel Settecento

Consuetudine e pigrizia vogliono che alla Terra di Mezzo venga attribuita un ambientazione "medievale". In realtà si tratta di un affascinante calderone basato in parte su leggende medievali nordiche  dove vivono tra l'altro un popolo di uomini medievali (la gente di Rohan) e una razza che deve parecchio all'epica norrena (i nani), più un drago uscito pari pari dal Beowulf.
Quando poi arriviamo nella Contea, di medioevo non c'è traccia: questo simpatico paese di cui nessuno nella Terra di Mezzo sa niente, a parte Gandalf e qualche Ramingo da lui istruito perché lo sorvegli, non ha assolutamente nulla di medievale.
Non che gli abitanti brillino per meccanismi particolarmente sofisticati, perché sono apertamente disinteressati a qualsiasi cosa più complessa di soffietto da fabbro, mulino ad acqua e telaio manuale; l'economia ruota intorno al settore primario, e l'organizzazione dello stato è ridotta al più minimo dei termini, con qualche guardia al confine, un sindaco che si occupa soprattutto di organizzare feste e un conte che si fa chiamare conte per diritto di discendenza Took con tanto di numero accanto al nome ma che non comanda alcunché.
Qua e là però compaiono dei tratti che non hanno niente di medievale e che finiscono per trasmettere l'idea di un piccolo staterello del Settecento o inizio Ottocento - preindustriale, e con abitanti di mentalità niente affatto medievale.
La sera gli hobbit vanno al pub a bere birra scambiandosi pettegolezzi. Hanno il bagno caldo con la caldaia. Usano stoviglie in porcellana. Hanno un regolare servizio postale, con tanto di postini. Fumano la pipa. Mangiano fish and chips. E soprattutto prendono il té: il classico tè inglese alle cinque contornato dalle più varie vivande. La mattina invece fanno colazione con uova strapazzate e pancetta fritta. Hanno lo zucchero per fare i dolci. Zucchero di canna o di barbabietola? Non lo sappiamo, ma certo con il miele il pandispagna non lo fai (mentre sappiamo che Bilbo faceva ottimi pandispagna).

Naturalmente niente di tutto questo è in contrasto con il medioevo: basta immaginarsi un medioevo dove c'erano tè, tabacco e patate (e canna da zucchero). Sarebbe interessante però capire come facevano nella Contea a coltivare il tè (per tacere della canna da zucchero) in un clima non tropicale, come si procuravano il burro per le tartine e il latte e la panna per i dolci se non allevavano mucche (Tolkien ci dice che allevavano pollame, maiali e pecore, e del resto per allevare mucche non sarebbe stato facile per loro, viste le dimensioni) o come facevano a estrarre lo zucchero dalla barbabietola, che richiede una procedura piuttosto complessa, da farsi a livello industriale. Certamente nelle regioni del sud della Terra di Mezzo era facile coltivare canna di zucchero e tè, ma il problema era farli arrivare fino alla Contea. Un cospicuo flusso di mercanti che portavano tè e zucchero non è conciliabile con un paese di cui nessuno conosce l'esistenza, senza contare che gli hobbit commerciavano solo con i nani, che al sud non andavano. Quanto a latte e burro, non sono materie facili da trasportare per lunghi tratti di strada, e la zona intorno alla Contea è deserta per un lungo tratto. Forse dalla Gente Alta della Terra di Brea? Certo che per un lattaio senza frigoriferi non è facile rifornire clienti che stanno come minimo a un giorno di distanza, e produrre latte e burro per tutta la Contea, magari lasciandosi anche qualche panetto per sé avrebbe richiesto ai Breani o Breatini o come cavolo si chiamavano allevamenti di mucche assai vasti (ma forse gli hobbit allevavano capre?).
Resta il fatto che, nel nostro immaginario culturale, il giro di birra la sera al pub e il tè alle cinque con dolci e focacce e la colazione con uova e pancetta e la pipa con il tabacco e il fish and chips e il bagno con la caldaia e la posta non si associano al medioevo ma all'Inghilterra del Settecento e Ottocento. E infatti gli hobbit sono inglesi in miniatura, ma non certo inglesi medievali, né il loro comportamento, una volta varcati i confini della Contea, denota alcunché di medievale: nei loro viaggi gli hobbit incontrano re e regine, elfi di altissimo lignaggio, mutapelle e draghi. A tutti si rivolgono con estrema cortesia, perché sono un popolo assai cortese, ma non mostrano di avvertire alcun senso di inferiorità sociale (tranne Sam, che si sente socialmente inferiore per principio, ma in un modo tutto inglese). I cinque hobbit viaggiatori affrontano chiunque da pari a pari con la calma consapevolezza di sé di chi ha letto il Contratto sociale e i pensieri di Voltaire e vive in una comunità che non conosce più la schiavitù dalla notte dei tempi. Non sono nostri contemporanei, ma certo vengono da un epoca piuttosto vicina alla nostra e si sentono liberi cittadini in grado di rapportarsi con qualsiasi principe elfico (o drago).

Curiosamente, si sono però dimenticati di inventare la stampa (che pure non è un procedimento molto complicato). Almeno sembrerebbe, anche se Bilbo e Frodo hanno molti libri. Ma, dopotutto, anche la biblioteca di Alessandria aveva molti libri, e per avere molti libri in assenza di stampa basta armarsi di carta e penna o comprare quelli trascritti pazientemente da altri. In questo, magari, i contatti commerciali con i nani potevano essere molto utili.

domenica 29 dicembre 2013

Percorrendo la Contea


Per tutto Lo Hobbit  Bilbo sogna e rimpiange Casa Baggins come la fonte di ogni piacere e confort; e quando, finalmente, dopo lunghe avventure e prove di ogni tipo, che comprendono anche  un'infinità di pasti saltati, riesce a tornarci... la trova completamente messa a soqquadro, con un asta in corso dove vendono i suoi beni dopo averlo dichiarato morto.
Non proprio un ritorno tranquillo, ecco, e sarà un lavoro lungo e complesso recuperare tutto quanto e rimetterlo al suo giusto posto; parecchie cose, in realtà, le dovrà addirittura ricomprare.
Un finale curioso, per un libro di quel tipo. L'Eroe è tornato a casa, con una piccola ricompensa (piccola solo perché non ne ha voluta una più grande) ma in sua assenza il mondo si è mosso, e non in modo a lui favorevole. Anche se poi, certo, con un po' di lavoro tutto torna come deve.

Ma quando i quattro hobbit tornano a casa nel Signore degli Anelli, con addosso i segni tangibili dell'amicizia e della profonda riconoscenza dei più importanti sovrani della Terra di Mezzo, quel che ritrovano è infinitamente peggiore. Casa Baggins è una tomba spoglia, dove è successo ben di peggio che il furto di qualche pezzo di argenteria, e addirittura  l'Albero della Festa è stato abbattuto (vedendolo Sam piange, ma anche il lettore, o comunque la lettrice, sente qualcosa spezzarsi dentro) e questo è ancora il meno: è tutta la Contea che è stata violata e devastata. Gli hobbit hanno visto andare in pezzi il loro pacifico e prospero mondo e sono stati privati della loro libertà - una libertà quietamente autogestita, una quasi completa anarchia dove un sindaco e pochi Guardiani ai confini bastavano e avanzavano per regolare una terra senza conflitti. 
Pochi mesi sono bastati per trasformare la Contea in una terra squallida e miserabile, a dimostrazione di quanto libertà e benssere vadano custoditi con cura vigile e armata.
"Erano protetti, ma lo dimenticarono".
Una strana dittatura assolutista (qualche critico ha detto fascista, qualche altro comunista, ma sempre con scarsi elementi) dove è scomparsa ogni forma di bellezza, ogni traccia di prospera abbondanza, ogni piacere, e pochi malviventi della Gente Alta hanno facilmente avuto ragione dei pacifici e piccoli hobbit. 
All'inizio sembra un disastro irreparabile.
Qua e là però rimangono focolai di resistenza, primi fra tutti i Grandi Smial dei Took. Lo squillo del corno di Rohan, regalo d'addio di Eowyn a Meriadoc, li chiama a raccolta. In breve gli invasori vengono cacciati, Saruman (sì, proprio lui. Un bell'abbassamento, da Capo del Bianco Consiglio scelto dai massimi saggi della Terra di Mezzo, a Capo della Contea insediatosi con la violenza) e Vermilinguo sono uccisi; il resto dei danni verrà riparato dai laboriosi hobbit nel giro di poco più di un anno, Casa Baggins rimessa a puntino, e l'albero della festa sostituito niente di meno che da un mallorn, albero dei fiori d'oro regalato da Galadriel in persona a Sam. Anche stavolta tutto torna come prima, salvo qualche ritocco in meglio. Infine ritornano anche le reti protettive, e Aragorn provvede a rinsaldarle, fino a estendere anche a lui stesso medesimo il divieto per la Gente Alta di entrare nella Contea (con grande disappunto degli hobbit, immagino).

Le pagine dedicate alla riscossa della Contea risvegliano la speranza: ci sono tanti tipi di forza, non tutti malvagi, il buon senso e la gioia di vivere possono prevalere sempre, e i danni si riparano quasi sempre, anche i peggiori, anche quelli all'apparenza senza rimedio. Ma il messaggio è doppio: la bellezza e la libertà vanno custoditi con vigile cura, e davanti al tradizionale latte versato piangere non serve a nulla, mentre un'accorta operosità è al contrario di grande aiuto. La vita a volte va in pezzi, ma i pezzi si possono sempre ricomporre.
Certo, c'è sempre un prezzo per tutto. Questa volta il prezzo lo pagano Bilbo e Frodo: qualcuno deve rinunciare alle belle cose perché altri possano goderne. Le ferite inferte da Saruman guariscono in fretta, ma le ferite causate dall'Anello vanno molto più a fondo.
Per gli altri, comunque, le cose alla fine si aggiustano proprio bene.

sabato 7 dicembre 2013

Se mi attacco Gollum, non si stacca più



Mi scuso con i gatti Sphynx e i loro umani per l'implicito paragone, ma non ho voluto lasciarmi sfuggire questa possibilità assolutamente unica di associare Gollum con un gatto

Nello Hobbit Gollum vive il suo momento di gloria in un capitoletto e l'autore lo lascia lì a strepitare,  con scarso rimpianto del lettore. Nel Signore degli Anelli invece è un'ombra che riappare sin dal primo capitolo, quando Bilbo lo cita, e prende sempre maggior consistenza: a Moria un eco fantasma di soffici passi, a Lotholorien un'apparizione indistinta sugli alberi vicino al confine, sull'Anduin un ceppo con gli occhi che rema....
Infine, dopo settecento pagine rieccolo in tutta la sua sibilante e scheletrica concretezza. Sam e Frodo riescono a catturarlo e infine a vincolarlo con un giuramento sul Tessoro, l'unico che possa avere un valore per quella sventurata creatura.
Oppure è Gollum che ha imprigionato loro?

I vincoli che legano il singolare terzetto sono perversi in sommo grado: gli hobbit si portano dietro Gollum perché averlo con loro è pur sempre un modo di sorvegliarlo ed evitare che li strangoli mentre dormono per poi allontanarsi col suo Tessoro; Gollum li segue e li guida per restare vicino al suo Tessoro e nella speranza di riuscire a vederlo, toccarlo, RIPRENDERSELO e ricominciare la stessa miserabile vita che ci conduceva prima che Bilbo arrivasse a spezzare il cerchio malefico che lo aveva imprigionato.

Per Gollum tutto ritorna come in quel maledetto giorno di quasi ottant'anni prima, quando avviò una gara di indovinelli nella speranza di mangiarsi un tenero hobbit, eppure tutto è diverso: c'è una promessa che lo lega e che vuole infrangere, ma infrangere un giuramento fatto sul Tessoro non è così semplice; c'è un Baggins che ha l'Anello, ma non è lo stesso Baggins, e Gollum lo odia perché ha l'Anello e lo ama perché ha l'Anello, immerso in una micidiale sindrome di Stoccolma in cui è coinvolta perfino una parte di sincero affetto e di riconoscenza per la gentilezza che Frodo gli dimostra,  insieme ad un legame ancor più perverso dato da una comune comprensione - perché Frodo è l'unico essere vivente sulla faccia della Terra di Mezzo che può capire cosa prova lui, e viceversa. E come allora c'è una spada elfica che lo minaccia, ed è la stessa spada che, allora come adesso, non lo ferirà mai ma potrebbe  farlo; e infine c'è Sam, che all'epoca non c'era, e che Gollum odia in sommo grado perché è del tutto immune al potere dell'Anello e perché l'altro Baggins, quello buono, lo ama. Perfino Sam finisce invischiato in questi legami perversi, perché oltre a temere Gollum ne è in parte geloso, dato che Gollum è l'unico che conosce quella parte dell'anima di Frodo ormai legata indissolubilmente all'Anello. E insomma, se i nodi del cuore sono duri da sciogliere, i nodi dell'Anello sono peggio che mai.

In queste condizioni il terzetto fa il suo cammino, prima nelle stomachevoli Paludi Morte - con spettri buoni e cattivi incorporati, poi al Cancello Nero che sbarra la strada per la Torre Oscura, fino all'avvelenata valle di Morgul e all'orribile Crocevia che li porterà al peggio del peggio, ovvero Cirith Ungol. E invero, se i luoghi sono spiacevoli, la compagnia di Gollum lo è ancor di più.
Come un raggio di luce che attraversa la tenebra più fitta, la traversata dell'Ithilien porta una pausa di sollievo agli hobbit, ma proprio in questa pausa Frodo si troverà a tradire Gollum per aiutarlo, in una sequenza del tipo "Devi solo entrare nella gabbietta e tutto andrà bene" che ogni umano che porta il micio dal veterinario conosce molto bene (Gollum però non ha niente di micioso, proprio no, tesssoro mio). E c'è poi il tradimento più nero che incombe dietro l'angolo: la povera creatura derelitta che guida Sam e Frodo crede di seguire il suo amatissimo Tessoro e non sa che lo sta portando verso la distruzione. Oppure non vuole saperlo, o non può nemmeno riuscire a immaginarlo - resta il fatto che Frodo l'ha fatto giurare su qualcosa che ha la ferma intenzione di distruggere.

C'era un'altro modo per entrare a Mordor? Oh no, Tessoro, non c'era. Gandalf ed Elrond e Glorfindel hanno discusso e programmato e pianificato, ma per loro il problema era passare le montagne. Di come entrare a Mordor nessuno di loro aveva idea, di come raggiungere il Monte Fato men che meno. Nessuno dà istruzioni agli hobbit su come fare arrivati al dunque, perché nessuno ha la minima idea di come potrebbero fare. E' vero, come ricorda Frodo sulla torre di Cirith Ungol, che senza Sam non avrebbe combinato granché. Ma, e questo Frodo preferisce non dirlo, o non pensarlo, senza Gollum non avrebbero combinato niente del tutto.

I nodi dell'Anello sono davvero impossibili da districare.

giovedì 21 novembre 2013

All'insegna del Puledro Impennato

Ted Nasmith - Gandalf e Thorin a Brea (ovvero dove tutto ebbe inizio)

La terra di Brea è un simpatico posto dove uomini e hobbit vivono mescolati con grande soddisfazione reciproca e dove nani e uomini di varia provenienza passano di frequente nei loro viaggi. Adesso però a questa variegata fauna si sono aggiunte le spie del Nemico e pure i Cavalieri Neri, e questo rende assai complicata la tappa che i quattro hobbit fanno lì.
Per proteggerli ci sarebbe Aragorn, figlio di Arathorn, erede di Isildur nonché amico e confidente di Gandalf. Ma il primo intervento del blasonatissimo ramingo si rivela disastroso sotto tutti gli effetti: preoccupato che, chissà, forse Pipino potrebbe finire per rivelare qualcosa dell'Anello chiacchierando del più e del meno nella sala comune della locanda, Aragorn spinge Frodo ad intervenire - e Frodo per distrarre tutti canta una canzone di Bilbo (tuttora molto famosa ai nostri giorni) e finisce per infilarsi involontariamente l'Anello e sparire, mettendo così sull'avviso tutti i Cavalieri Neri del circondario - quattro, per il momento - nonché innervosendo assai tutti gli ospiti del Puledro Impennato. Complimenti, messer Aragorn, con amici come lei i nemici sono superflui.

Nonostante questo disastroso avvio gli hobbit (o almeno Frodo) decidono di fidarsi di lui e se lo prendono come guida, incuranti della palese preoccupazione dell'oste Cactaceo - che, anche lui, come amico non sembra un gran guadagno visto quel che ha combinato con la lettera di Gandalf.

La tappa di Brea è l'ultimo, fragile istante in cui le cose hanno ancora un aspetto di normalità: una gustosa cenetta in un salottino della locanda (e chi la vedrà più, una locanda? Palazzi reali quanti ne vuoi, ma un pasto normale in una locanda d'ora in poi gli hobbit possono soltanto sognarselo), conversazione con gente normale nella sala comune, con una buona birra in mano, canzoni da osteria, provviste da acquistare per il viaggio... E' anche l'unica volta che vediamo del denaro: autentiche monete coniate da qualche zecca e usate per transazioni finanziarie. Scopriamo così che si usano i soldi d'argento, monete di un certo valore perché con quattro puoi comprarci un buon pony e una spesa imprevista di trenta soldi sguarnisce assai le casse dell'oste. D'ora in poi avremo solo regali, ricche ospitalità, pranzi al sacco o digiuno drastico e non vedremo più cambiar di mano nemmeno a una monetina di bronzo o di rame.

Davanti ai quattro hobbit, all'erede di Isildur e al pony Billy si aprono le distese delle Terre Selvagge, che se le chiamano così c'è ben il suo motivo. 
Il pony comunque è contento: stava talmente male col suo padrone precedente che nelle Terre Selvagge ingrassa, si rimette in forze e riprende il pelo lucente e il buon umore di cui Natura lo aveva dotato.
Si sa, a volte basta davvero poco.

martedì 20 aprile 2010

Sono piccoli, ma valorosi



Merry e Pipino, in un'assai filologica trasfigurazione felina

Frodo e Samwise, Meriadoc e Peregrino, i quattro hobbit della Contea, passano il loro tempo guardando dal basso in alto i vari protagonisti e sentendosi sempre del tutto inadeguati alla situazione; pure, non c'è dubbio che senza di loro nel libro non si caverebbe un ragno dal buco.
Di Frodo e Samwise, che riescono nientemeno che a strisciare fino alla Voragine del Fato e a distruggere l'Anello (con l'aiuto di Gollum che, non va dimenticato, in origine era pure lui un hobbit) è perfino inutile parlare, senza di loro la storia semplicemente non ci sarebbe. Ma anche l'intervento dei due cuginetti più aristocratici, Merry e Pipino, non è certo da sottovalutare. Diciamo che mentre i due hobbit borghesi si preoccupano di sbrigare gli affari veramente importanti, ovvero dell'Anello, i due aristocratici badano alla guerra, che ha come principale scopo quello di distrarre Sauron mentre i due hobbit borghesi strisciano etc. etc.

A questo scopo i due hobbit più giovani provvedono prima di tutto a liberarsi da quegli insopportabili Uruk-hai che li hanno catturati, per poi rifugiarsi nella foresta di Fangorn, evitando accortamente il settore degli Ucorni, con i quali sarebbe estremamente increscioso avere a che fare. Incontrano invece Barbalbero, lo conquistano con la loro grazia fanciullesca e lo convincono nel giro di un paio d'ore a organizzare una spedizione di Ent e Ucorni contro Isengard.
Dopo il passaggio degli Ent, a Isengard non resta letteralmente pietra su pietra; ma gli Ucorni hanno ancora fame e sono dispostissimi a fare una piccola deviazione e spazzar via anche gli eserciti di Isengard. In seguito gli Ent svolgono un utile opera di salvaguardia per la terra di Rohan - ma se gli hobbit non fossero andati a chiamarli, si sarebbero limitati a restare nei loro boschi bofonchiando che le cose non stavano andando granché bene mentre gli Ucorni ucorneggiavano ancor più di malumore.
Giunti a Isengard, Pipino si prende la briga di testare una strana sfera di cristallo. Permette così a Aragorn e a Gandalf di scoprire senza (loro) rischio che si tratta di un palantìr, che poi Aragorn userà per distrarre Sauron con qualche effetto speciale mentre questi sta radunando gli eserciti per andare contro Minas Tirith.
Al momento della battaglia Merry aiuterà Eowyn ad uccidere il Re degli Stregoni (salvandole nel contempo la pelle) mentre Pipino riuscirà nell'epica impresa di salvare Faramir non tanto da sciocchezze quali gli orchetti o i Nazgul, ma dal ben più pericoloso abbraccio mortale del suo amoroso padre. I due hobbit riescono così a preservare la materia prima per l'unica storia d'amore nata all'interno del romanzo, contribuendo a formare una gran bella coppia.
Ovviamente, agli ultimi capitoli, rimettere a posto la situazione nella Contea gli richiederà pochi giorni e pochissimi colpi di spada. Poi passerò Sam con la sua scatoletta di legno di rosa a ripulire il terreno e tutto tornerà come prima grazie a un po' di lavoro.

Non male per dei teneri, piccoli indifesi hobbit tanto carini e simpatici e tanto inadeguati alla dura vita fuori dai confini protetti della Contea...

domenica 13 dicembre 2009

Il mio cuore parla infine chiaramente: il destino del Portatore non è più nelle mie mani



A dividere la Compagnia non è solo la malefica influenza dell'Anello, che ha sconvolto il pur ben intenzionato Boromir, ma qualcosa di ancora più profondo, cioè la consapevolezza che la Compagnia ormai non serve più. Tutti in cuor loro sono dispostissimi ad accompagnare Frodo a Mordor, per spiacevole che possa rivelarsi, e tutti sono più che disposti a sacrificarsi per lui; ma in cuor loro sospettano che a Mordor sarebbero più d'impiccio che altro, con tutta la loro disponibilità. Come risulterà sempre più chiaro nello svolgersi della storia, per la missione a Mordor servono hobbit: leggeri, piccoli e silenziosi, disarmati, disarmanti e sguscianti, capaci di gestire Smeagol e di fingersi orchetti, abbastanza piccoli per non farsi notare. Elfi, nani e uomini non caverebbero un ragno dal buco (e che razza di ragno ci sarà da cavare!). La presenza di Aragorn e della sua Anduril sarebbero peggio di una segnalazione con i catarinfrangenti, per l'Occhio.

Andranno i due hobbit borghesi; sentendosi molto inadeguati, ma andranno. Non c'è niente da fare, è un lavoro che tocca a loro.
I due hobbit aristocratici si sono fatti rapire e Boromir è entrato in un corto circuito da cui l'unica uscita decorosa gli pare un'eroica morte in combattimento. Legolas, Gimli e Aragorn gli fanno un funerale di tipo vichingo, caricando sulla barchetta con lui le armi dei nemici uccisi e il corno spezzato perché suonato con troppa forza... e solo davanti a quel corno spezzato ho riconosciuto qualche anno fa il modello letterario di Boromir: Roland, paladino coraggioso ma non troppo capace di gestire le sfumature e le zone d'ombra che tutti ci portiamo dentro.
Suo fratello Faramir, che se lo vedrà passare davanti in quella zona sospesa tra sogno e irrealtà, sotto questo aspetto si dimostrerà molto più capace.
(Sotto tutti gli aspetti, in verità).

domenica 29 novembre 2009

Non tutto quel ch'è oro luccica...




...e non tutti quelli che vagano si sono persi.
La poesia che accompagna il nome di Aragorn ci ricorda di andare al di là dell'apparenza delle cose, per poterle valutare giustamente - senza sopravvalutare ciò che è semplice apparenza, ma riconoscendo il valore al di là di un'apparenza dimessa - un'arte, quest'ultima, che oggi non sembra godere di vasta diffusione.

Ad ogni modo Aragorn sceglie un modo piuttosto stravagante per mostrare la sua lucentezza, anche se Frodo in qualche modo la coglie lo stesso (poi arriva la lettera di Gandalf e risolve tutto).
Sta di fatto che in questa prima parte del libro, gli hobbit fuori della Contea si mostrano decisamente imbranati e solo la presenza continua e costante di un protettore riesce a rimediare i pasticci in cui si ficcano non appena vengono lasciati soli un istante: prima Tom Bombadil, il Signore; poi l'erede di Isildur e futuro re di Gondor e più avanti anche il principe degli elfi Glorfindel.
Ad un certo punto però, sparite tutte le guide e gli aiuti, i quattro hobbit si ritroveranno soli, indifesi... ma in grado di cavarsela da soli.
Si tratta di una razza capace di grande e rapida evoluzione.