Il mio blog preferito

Visualizzazione post con etichetta Sam Gamgee. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Sam Gamgee. Mostra tutti i post

martedì 28 gennaio 2014

Vita privata degli hobbit (di cui non sappiamo praticamente nulla)

Peregrin Took e Diamante di Lungo Squarcio
http://www.deviantart.com/morelikethis/206903627?offset=10
(garantisco che trovare un'immagine di questi due è davvero difficile, persino in rete)


Se alla fine della lettura dei due romanzi più famosi di Tolkien sappiamo tutto sulla tempra morale degli hobbit, il loro strenuo coraggio e la loro immensa capacità di resistenza, manchiamo quasi completamente di informazioni sulla loro vita affettiva. Sappiamo come si comportano con draghi, re, regine, elfi, ent e altre meraviglie, come riescano a ritagliarsi angoli tranquilli in mezzo alle situazioni più assurde, di come sappiano rendersi simpatici a tutti tranne che agli orchetti, e di come il loro sogno sia trovare sempre e comunque una bella mensa imbandita, ma non abbiamo quasi la minima idea di come siano in famiglia, e men che meno di come si corteggiano. 
Si suppone, dal momento che la Contea è piena di hobbit, che in qualche modo si riproducano, sappiamo che si sposano giovani (purché non incappino nell'Unico Anello, nel qual caso non si sposano affatto) ma le uniche scene vagamente domestiche cui assistiamo sono una cena a casa Maggot e un ritorno a casa di Sam. 
All'inizio della storia di Bilbo ci viene spiegato che "lo hobbit amava moltissimo ricevere visite" e quindi aveva gran copia di attaccapanni per gli ospiti, ma l'unica visita che riceve Bilbo all'inizio, ovvero dodici nani più uno stregone, non lo entusiasma affatto ed è decisamente di tipo particolare. 
Bilbo parte per la sua avventura a cinquant'anni, che per gli hobbit sono equivalenti all'incirca ai nostri trentacinque (ricordiamo che diventano maggiorenni a 33 anni mentre gli umani, all'epoca, in Inghilterra lo diventavano a 21) senza salutare nessuno. D'accordo, dopo arriva l'Anello, ma prima?
Fidanzate, nemmeno l'ombra. Amici del cuore nemmeno. Nessuno che gli getti le braccia al collo dicendo "Meno male che sei tornato sano e salvo! Sapessi quanto sono stato/a in pensiero per te, un anno intero senza nemmeno l'ombra di una notizia!". I legami emotivi più forti per lui sono quasi tutti fuori dalla Contea: Gandalf, gli elfi di Gran Burrone, i superstiti della Cerca di Erebor. Unica eccezione è Frodo - guarda caso un orfanello, preso in casa perché rimasto solo al mondo, più qualche ragazzo con cui si comporta come uno zio ma con cui non entra davvero in confidenza.
Lo stesso Martin Freeman, che su Bilbo Baggins è la massima autorità vivente essendone diventato la reincarnazione in 3D, dichiara di non avere la minima idea di quale fosse la vita sessuale di Bilbo prima del viaggio, e tanto meno se ne avesse una. Qualcuno ha suggerito la possibilità che il suo grande amore sia stato un nano dal temperamento piuttosto burrascoso - ma quand'anche sia vero, non risolve la questione del prima.
Infine, non rimane che archiviare la questione ricordando che sì, gli hobbit hanno la reputazione di essere gente socievole, ma che in ogni gruppo ci sono delle eccezioni, e dunque se esistono tigri vegetariane (esistono?) possono pur esserci hobbit un po' asociali - non a caso Bilbo viene reputato piuttosto stravagante all'interno della Contea (e anche fuori dalla Contea, ma non per gli stessi motivi).

Frodo è diverso, e assai socievole: ha un bel gruppo di amici del cuore e un giardiniere che lo adora. Insieme fanno passeggiate ed escursioni, bevono grandi quantità di birra, mangiano come cavallette, ridono e scherzano. Gli amici si occupano di lui, all'occorrenza (come si suppone lui si occuperebbe di loro, se si presentasse l'occasione): gli organizzano il trasloco, lo accompagnano nei suoi perigliosissimi viaggi, lo assistono quando è malato eccetera. Sono amici allegri e socievoli, molto giovani (Pipino addirittura non è nemmeno maggiorenne) e di buona compagnia - ma al gruppo non è associata nemmeno una ragazza hobbit, sorella, amica, cugina o compagna di scuola che sia. Fidanzate, men che meno. Alla fine del libro scopriamo che Samvise aveva, diciamo, "lasciato a mezzo" una ragazza di cui fino a quel momento non avevamo nemmeno sentito parlare nel più casuale dei modi: Rosie Cotton - nel senso che non si erano scambiati nessuna promessa ufficiale, ma che entrambi sapevano benissimo che c'era qualcosa tra loro. 
Gli altri hobbit della Compagnia ne sapevano niente? 
Oso dire di no, altrimenti Sam sarebbe stato lasciato a casa. La cosa più sbalorditiva è che non ne sapesse niente nemmeno Gandalf, che altrimenti non l'avrebbe certo precettato per quel pericolosissimo viaggio.
Altre ragazze, non pervenute. Frodo, Merry e Pipino sono allegri, socievoli, simpatici e decisamente ricchi. Non sappiamo se sono particolarmente belli, ma niente lascia immaginare che non siano almeno carini. E sono giovani e freschi. Dovrebbero averci la fila di ragazze davanti a casa e, stante l'età e l'inclinazione alla vita conviviale, dovrebbero farla loro, la fila, davanti alle case delle ragazze. Invece niente.
Niente fidanzate né innamorate, dunque.
Certo, quando l'eroe parte per un viaggio finisce sempre per trovare la sua principessa (o il suo principe, se si tratta di un'eroina), ma per gli hobbit questo è impossibile, perché vivono solo nella Contea o in prossimità, e il resto del mondo ne ignora financo l'esistenza. Certo, Bilbo incontra Gollum, che un tempo era uno hobbit ma... non so, vederlo come una principessa non mi sembra molto proponibile.
Gli hobbit della seconda generazione invece nel viaggio trovano un po' di tutto, ma niente hobbit (a parte il solito Gollum, ancor meno appetibile che nel primo romanzo) e in generale pochissime creature di sesso femminile. Tutte già sposate, per giunta, con l'unica eccezione di Eowyn.

Le cose non cambiano molto con il ritorno nella Contea: se Frodo a questo punto incontrerebbe serie difficoltà a costruirsi una piacevole vita familiare hobbit, tanto che finisce ben presto per lasciare non solo la Contea ma addirittura la Terra di Mezzo, e Sam si butta il ricordo di Mordor alle spalle e ricomincia la sua vita esattamente al punto in cui l'aveva lasciata sposando Rosie in tempi assai brevi, i due hobbit più giovani se la prendono piuttosto comoda: Pipino si sposa otto anni dopo, con Diamante di Lungo Squarcio (ma lo scopriamo casualmente solo spulciando cronologia e alberi genealogici) e Merry non si sposa affatto, e nessuno ci spiega il perché.

Ora, non è che Tolkien sia di quegli autori che ritengono obbligatorio infilare storie d'amore dappertutto, però all'occorrenza non si tira indietro, e tra un Anello e un lupo mannaro il tempo per parlare d'amore si trova: ne parlano gli Ent, ne parlano gli elfi, ne parlano gli uomini (che non si limitano solo a parlarne come di qualcosa che riguarda i tempi antichi), ne parlano Tom Bombadil e Baccadoro, che fanno coppia fissa e anche Gimli il Nano, unico rappresentante della sua razza nella Compagnia, ha un intermezzo romantico. Ma per quanto riguarda gli hobbit, l'unico che dedica qualche pensiero alla questione è Sam, e solo dopo che l'avventura è completamente finita.

Meno degli hobbit, solo gli orchetti.

martedì 31 dicembre 2013

Non siamo noi, bensì quelli che verranno dopo di noi, a creare le leggende sui nostri tempi

La pergamena dove Isildur descrive l'Anello, antica testimonianza di un evento scivolato pian piano nella leggenda, svolge un non piccolo ruolo nel romanzo

Eomer di Rohan è uomo concreto e sensato, al punto da inghiottire senza difficoltà sia la ricomparsa improvvisa di un erede di Isildur (con tutte le conseguenze che la cosa si porta dietro) sia la reale esistenza della Signora del Bosco d'Oro, nota a Rohan solo dalle antiche storie. Gli uomini di Rohan infatti sono saggi ma non dotti; non scrivono libri ma cantano canzoni; e Eomer si rende conto che quando i tempi sono strani, come quello che stanno vivendo sogni e leggende divengono realtà e sorgono dall'erba dei prati
Tuttavia anche per i cavalieri di Rohan c'è un limite, e curiosamente questo limite arriva quando Aragorn cita gli hobbit, detti anche Mezzuomini.
"Mezzuomini!" esclama ridendo un cavaliere "Ma è soltanto un popolo di piccoli esseri di cui parlavano vecchie canzoni e leggende del Nord. Stiamo camminando in un mondo di favole o su verdi praterie alla luce del sole?".
Aragorn, che di certe cose si intende perché è nato in una leggenda, ha vissuto  circondato da leggende e ne sta pure realizzando alcune, soprattutto nel tentativo di rimediare a un errore commesso da un suo leggendario antenato riguardo a un piccolo oggettino d'oro, non ha difficoltà a spiegare che una cosa non esclude l'altra perchè non siamo noi, bensì coloro che verranno dopo, a creare le leggende sui nostri tempi, e del resto le verdi praterie sono ottimi argomenti per una favola, anche quando vengono calpestate alla luce del sole.
Leggende, favole e realtà sono qui equiparate e infilate in un unico calderone - quello stesso calderone dove, secondo Tolkien, elementi reali e spunti narrativi ben fusi producono alla fine le storie, che nascono e si evolvono con un percorso tutto loro*.

Undici giorni dopo, in cima alle scale di Cirith Ungol, giusto prima di entrare nella Terra di Mordor, Frodo e Sam discutono lo stesso argomento, ma con una visuale più ampia - perché ormai hanno capito benissimo di essere dentro a un futuro racconto eroico, e hanno anche capito come nascono, questi racconti: semplicemente, i protagonisti ci si trovano in mezzo. Spesso hanno la possibilità di tornare indietro, non una ma molte volte, ma noi conosciamo le storie di chi non l'ha fatto, ed ha proseguito, non tutti verso una felice fine, o comunque non verso quella che i protagonisti di una storia chiamano una felice fine come è stato per Bilbo (ma sappiamo che anche per lui la fine non è stata poi così felice); e le storie con una fine felice sono quelle magari migliori da vivere ma probabilmente non sono quelle migliori da ascoltare.
A quel punto della vicenda né Sam né Frodo sanno ancora in quale delle due categorie sono finiti (anche se di lì a poco Frodo comincerà a chiarirsi le idee in proposito) ma è così che accade nelle storie vere: Tu potresti sapere o indovinare di che genere di storia si tratta, se finisce bene o male, ma la gente che la vive non lo sa, e tu non vuoi che lo sappia. E loro due, osserva Frodo, sono proprio nel punto peggiore della storia, quando il bambino chiede al padre "Chiudi il libro adesso, non ho più voglia di leggere". Anche se Sam è sicuro che non chiederebbe mai una cosa dl genere perché ciò che è passato e finito e fa parte di un lungo racconto è ormai diverso.

In principio dunque è la vita, e chi la vive procede a tastoni, non ha letto il libro, non sa la trama e si arrangia come può. Altri verranno dopo, riordineranno il materiale e gli daranno la giusta direzione (un problema che Tolkien conosce bene, perché proprio scrivendo il seguito de Lo Hobbit ha capito che il punto centrale della storia non era quello che aveva immaginato all'inizio). E magari perfino Gollum potrebbe venire bene, in una favola, osserva Sam, e si domanda se in quel caso si vedrebbe come l'eroe o il cattivo; ma molto giustamente Gollum non risponde ed anzi è scappato ben lontano da questo tipo di discorsi: perché in tutti i casi la sua parte è spiacevolissima da vivere dall'inizio alla fine - e quanto a dire se è l'eroe o il cattivo, non ci riesce nemmeno l'autore, e figurarsi lui.

Le storie nascono dalla vita, dunque; ma nascono anche come prosieguo di altre storie, anche lì seguendo un corso imprevedibile a tutti (...autore compreso...). E non hanno mai fine. Quella che i due hobbit stanno vivendo è il seguito della storia di Bilbo, ma anche di Sauron e di Isildur; e con loro ad aiutarli c'è una scintilla della luce del Silmaril, e Silmaril vuol dire anche Beren e Luthien (e la famiglia di Aragorn al seguito), la luce degli alberi di Arda, la creazione di Arda...    davvero la Via prosegue senza fine, lontano dall'uscio da cui parte, e chi imbocca il sentiero lo fa a suo rischio e pericolo, senza sapere dove andrà.

*così spiega Tolkien nel saggio Sulle fiabe che la maggior parte dei tolkieniani e la quasi totalità dei critici letterari sembra non avere ancora digerito a dovere - mai capito perché, dal momento che la tesi di base mi sembra tanto concreta quanto sensata. Forse che tra i miei antenati c'è qualche cavaliere di Rohan?

mercoledì 11 dicembre 2013

Di ragni, di pungiglioni e di stelle (A Elbereth Gilthoniel)

Gordon Sumner, in arte Sting, è una stella del rock che ci ha donato splendide canzoni in cui ha parlato di vari argomenti, comprese le tartarughe azzurre, ma mai di ragni - e non è che uno dei suoi molti pregi. Questo post non parla di lui; per chi vuole, però, qui c'è una canzone.

Qualcuno (e mi dispiace molto non ricordare chi) ha scritto che Il Signore degli Anelli, più che un seguito de Lo Hobbit, è una riscrittura, e in In effetti le due strutture si somigliano davvero molto. Ma c'è di più: abbiamo delle somiglianze anche con il terzo libro che Tolkien ha dedicato alla Terra di Mezzo, ovvero l'incompleto Silmarillion, bloccato dopo la morte dell'autore in una forma che non era e non poteva essere quella definitiva, anche perché in fondo Tolkien una forma definitiva al Silmarillion non l'ha mai data, e forse non ha nemmeno mai davvero voluto completarlo (altrimenti, vien da supporre, l'avrebbe completato).

E qual è il punto in comune tra i tre libri?
Forse gli elfi?
Beh, sì, gli elfi ci sono in tutti i tre libri, ma fare un libro sulla Terra di Mezzo senza elfi non sarebbe semplice.
Oppure l'accentramento su un gioiello di tal valore che sarebbe impossibile dargli un prezzo?
Ah, certo, anche quello, ma in fondo nello Hobbit è un tema che arriva solo verso la fine.
Oppure la perenne lotta della Luce contro le Tenebre?
In effetti, la lotta della Luce contro le tenebre c'è, ma insomma è un tema diffuso anche al di fuori dell'universo tolkieniano. Però un ramo di questo tema è presente in tutti e tre i libri... 

...

I ragni. 
Enormi ragnacci dai poteri smisurati che è quasi impossibile sconfiggere. Molto  tenebrosi. Ragni che odiano la luce.

Ma io mi domando e dico, tra tanti temi nobili ed elevati, proprio i ragni?
E poi, che ragni! Ma nemmeno quelli della foresta amazzonica, che gli indigeni fanno alla griglia. Ragni enormi, immensi, incommensurabili. In effetti non sono nemmeno ragni, sono... ragne. Femmine. E se è pur vero che il ragno è una delle forme della Grande Dea (come mi hanno spiegato una volta ma io mi sono ben guardata dal cercare conferme o chiedere dettagli) certamente non è la forma che prediligo. Anche perché a me i ragni stanno antipatici. Tutti, senza distinzioni. E tuttavia non sono mai arrivata a figurarmeli in quel modo.

Ma andiamo per ordine. Si comincia con Ungoliant, la tessitrice di tenebre che in origine era addirittura una Maiar. Sì, una dea, come Gandalf. Ad un un certo punto della sua divina esistenza si ragnò, si avvolse ben bene nelle tenebre da lei stessa medesima tessute e distrusse i due Alberi di Valinor... sì, quelli dalla cui luce furono tratti i Silmaril. Le ragne tolkieniane non hanno alcuna simpatia per la luce, e amano soffocarla con la tenebra più cupa.

Tra i discendenti di Ungoliant c'è anche Shelob, il ragno-femmina per eccellenza, quello che Frodo e Sam incontrano nel momento... beh, certamente nel momento più buio del loro viaggio. Shelob custodisce uno degli ingressi laterali di Mordor ormai da tempo immemorabile, ben prima che arrivasse Sauron. Vive nella sua tana a Cirith Ungol (il Crepaccio del Ragnaccio, appunto), è invincibile e praticamente immortale, mangia carne viva e tesse, o meglio vomita, oscurità. Vive circondata da un terrore accecante, in una tenebra senza scampo e in un posto che... ma no, non c'è motivo di descrivere la tana di Shelob: lo fa già Tolkien, e nel più efficace dei modi.

Per chiudere il cerchio, o meglio per invischiarci ulteriormente nella ragnatela di rimandi, da Shelob discendono i ragni di Bosco Atro (sì, certo, ragni di quel tipo in un bosco luminoso alla Lothlorien sarebbero piuttosto a disagio). E proprio i ragni tessono il punto chiave di svolta del romanzo, quando Bilbo, non avendo assolutamente più nessuno che lo badi, si decide infine a badarsi da solo, con eccellenti risultati. Tuttavia, nonostante il coraggio e l'accortezza che mostra in quell'occasione, è dubbio che ne sarebbe venuto a capo senza l'Anello e soprattutto senza la sua piccola spada elfica, che proprio in quell'occasione riceve da lui il nome di Sting (in italiano Pungolo o Pungiglione, a seconda del traduttore). La spada elfica sembra infatti avere un discreto feeling verso i ragni e laddove spade più blasonate hanno fallito, Sting affonda come nel burro e lascia segni indelebili.

L'incontro con Shelob sarà molto meno felice: l'unico concreto vantaggio per i due hobbit (se vogliamo chiamarlo un vantaggio) sarà quello di riuscire bene o male - più male che bene, in effetti - ad entrare nella terra di Mordor, oltre a una temporanea liberazione da Gollum, che in effetti li ha portati lì come delicatesse per Shelob, nella speranza che la ragna gli consegni vestiti e accessori dei due hobbit, Anello compreso.

E tutto va bene (dal punto di vista di Gollum e di Shelob) finché Sting non entra in scena: Shelob morde Frodo per addormentarlo, in attesa di succhiarlo come un sorbetto (e la sua ferita è uno dei motivi per cui Frodo non riuscirà più a vivere nella Terra di Mezzo, dopo, e dovrà passare il mare) ma l'intervento di Sting rovina il suo snack: la lama elfica infatti riuscirà non soltanto a tagliare l'enorme ragnatela (cioè, la chiamano ragnatela, anche se dalla descrizione sembra più un cancello elettrificato con l'alta tensione) ma addirittura a  tagliare seriamente lei, impresa mai riuscita ad alcuno prima.

Ma non c'è solo Sting, c'è anche la Stella di Cristallo: perché la saggia Galadriel, stabilito che Frodo sarebbe andato nella Terra d'Ombra, presso l'Oscuro Signore e la Torre Nera eccetera eccetera, pensa bene di provvederlo di un po' di luce: nientemeno che una scintilla di luce dei Silmaril, le tre gemme che racchiudono la luce dei Due Alberi di Valinor creati da Yavanna. La luce, imprigionata in una fiala di cristallo, svolgerà egregiamente il suo compito fin quasi alla fine, spegnendosi solo nel cuore di Mordor, là dove più forte è il potere di Sauron, ma su Shelob avrà addirittura un effetto micidiale, perché è una luce antica come lei. L'infezione di luce, quella lucentezza inesorabile, unita ai colpi della piccola ma indomabile spada elfica la feriranno così a fondo da spingerla a rintanarsi nella sua oscura tana a leccarsi le repellenti ferite, sparendo di circolazione forse per sempre.

Si tratta in buona parte di un duello al femminile: Galadriel tesse luce di origine paradisiaca, Shelob tesse tenebra immonda: stavolta vince la luce, e di molte distanze.
Quanto ai due hobbit, ormai abbandonati da Gollum, più che vincere riescono a non perdere nel più disastroso dei modi.
Considerate le circostanze, si tratta comunque di un'impresa non da poco.

Ultima nota strettamente culturale: da Shelob e Ungoliant, o, più probabilmente, dai ragni di Bosco Atro (corre voce che Lady Rowling abbia dichiarato di non aver mai letto il Signore degli Anelli, ma solo lo Hobbit) discende per via letteraria Aragog, il ragnetto allevato amorevolmente da Hagrid in una cantina di Hogwarts e poi liberato nella Foresta Proibita, dove si riproduce generosamente. E di nuovo la lettrice si domanda: ma insomma, tra tanti nobili ed elevati temi, proprio i ragni giganti?!?

sabato 7 dicembre 2013

Se mi attacco Gollum, non si stacca più



Mi scuso con i gatti Sphynx e i loro umani per l'implicito paragone, ma non ho voluto lasciarmi sfuggire questa possibilità assolutamente unica di associare Gollum con un gatto

Nello Hobbit Gollum vive il suo momento di gloria in un capitoletto e l'autore lo lascia lì a strepitare,  con scarso rimpianto del lettore. Nel Signore degli Anelli invece è un'ombra che riappare sin dal primo capitolo, quando Bilbo lo cita, e prende sempre maggior consistenza: a Moria un eco fantasma di soffici passi, a Lotholorien un'apparizione indistinta sugli alberi vicino al confine, sull'Anduin un ceppo con gli occhi che rema....
Infine, dopo settecento pagine rieccolo in tutta la sua sibilante e scheletrica concretezza. Sam e Frodo riescono a catturarlo e infine a vincolarlo con un giuramento sul Tessoro, l'unico che possa avere un valore per quella sventurata creatura.
Oppure è Gollum che ha imprigionato loro?

I vincoli che legano il singolare terzetto sono perversi in sommo grado: gli hobbit si portano dietro Gollum perché averlo con loro è pur sempre un modo di sorvegliarlo ed evitare che li strangoli mentre dormono per poi allontanarsi col suo Tessoro; Gollum li segue e li guida per restare vicino al suo Tessoro e nella speranza di riuscire a vederlo, toccarlo, RIPRENDERSELO e ricominciare la stessa miserabile vita che ci conduceva prima che Bilbo arrivasse a spezzare il cerchio malefico che lo aveva imprigionato.

Per Gollum tutto ritorna come in quel maledetto giorno di quasi ottant'anni prima, quando avviò una gara di indovinelli nella speranza di mangiarsi un tenero hobbit, eppure tutto è diverso: c'è una promessa che lo lega e che vuole infrangere, ma infrangere un giuramento fatto sul Tessoro non è così semplice; c'è un Baggins che ha l'Anello, ma non è lo stesso Baggins, e Gollum lo odia perché ha l'Anello e lo ama perché ha l'Anello, immerso in una micidiale sindrome di Stoccolma in cui è coinvolta perfino una parte di sincero affetto e di riconoscenza per la gentilezza che Frodo gli dimostra,  insieme ad un legame ancor più perverso dato da una comune comprensione - perché Frodo è l'unico essere vivente sulla faccia della Terra di Mezzo che può capire cosa prova lui, e viceversa. E come allora c'è una spada elfica che lo minaccia, ed è la stessa spada che, allora come adesso, non lo ferirà mai ma potrebbe  farlo; e infine c'è Sam, che all'epoca non c'era, e che Gollum odia in sommo grado perché è del tutto immune al potere dell'Anello e perché l'altro Baggins, quello buono, lo ama. Perfino Sam finisce invischiato in questi legami perversi, perché oltre a temere Gollum ne è in parte geloso, dato che Gollum è l'unico che conosce quella parte dell'anima di Frodo ormai legata indissolubilmente all'Anello. E insomma, se i nodi del cuore sono duri da sciogliere, i nodi dell'Anello sono peggio che mai.

In queste condizioni il terzetto fa il suo cammino, prima nelle stomachevoli Paludi Morte - con spettri buoni e cattivi incorporati, poi al Cancello Nero che sbarra la strada per la Torre Oscura, fino all'avvelenata valle di Morgul e all'orribile Crocevia che li porterà al peggio del peggio, ovvero Cirith Ungol. E invero, se i luoghi sono spiacevoli, la compagnia di Gollum lo è ancor di più.
Come un raggio di luce che attraversa la tenebra più fitta, la traversata dell'Ithilien porta una pausa di sollievo agli hobbit, ma proprio in questa pausa Frodo si troverà a tradire Gollum per aiutarlo, in una sequenza del tipo "Devi solo entrare nella gabbietta e tutto andrà bene" che ogni umano che porta il micio dal veterinario conosce molto bene (Gollum però non ha niente di micioso, proprio no, tesssoro mio). E c'è poi il tradimento più nero che incombe dietro l'angolo: la povera creatura derelitta che guida Sam e Frodo crede di seguire il suo amatissimo Tessoro e non sa che lo sta portando verso la distruzione. Oppure non vuole saperlo, o non può nemmeno riuscire a immaginarlo - resta il fatto che Frodo l'ha fatto giurare su qualcosa che ha la ferma intenzione di distruggere.

C'era un'altro modo per entrare a Mordor? Oh no, Tessoro, non c'era. Gandalf ed Elrond e Glorfindel hanno discusso e programmato e pianificato, ma per loro il problema era passare le montagne. Di come entrare a Mordor nessuno di loro aveva idea, di come raggiungere il Monte Fato men che meno. Nessuno dà istruzioni agli hobbit su come fare arrivati al dunque, perché nessuno ha la minima idea di come potrebbero fare. E' vero, come ricorda Frodo sulla torre di Cirith Ungol, che senza Sam non avrebbe combinato granché. Ma, e questo Frodo preferisce non dirlo, o non pensarlo, senza Gollum non avrebbero combinato niente del tutto.

I nodi dell'Anello sono davvero impossibili da districare.

domenica 4 aprile 2010

Samwise il Forte, Eroe dell'Era



Sam è un personaggio piuttosto anomalo nel panorama della letteratura, e lo è senza parere. Parte come Servo Fedele, sottocategoria "storditello ma tanto affezionato al padrone", un po' can da guardia, un po' scemo del villaggio - ma di un villaggio molto bonario. Come i due hobbit aristocratici ha scelto di imbarcarsi in quell'avventura per amore, ma anche per curiosità e sete di conoscenza. Entrambe le molle lo spingeranno per tutto il libro e non verranno mai meno. Partecipa al viaggio per scelta, lo ha scelto più volte; per questo, quando arriva per lui il momento delle decisioni, sceglie senza troppa difficoltà.
Non è un semplice Aiutante: come riconosce apertamente Frodo "senza Sam non avrebbe combinato granché": negli ultimi quattro capitoli dello sciagurato viaggio a Mordor è Sam che decide, fa e disfa. Frodo è ormai incapace di fare altro che tirare avanti, passo dopo passo, fino alla Voragine; ma Sam è ancora integro, perché è stato vicino all'Anello abbastanza per capire all'incirca di che si trattava, pur tenendosene a distanza quanto bastava per non farsene assorbire (e in verità assorbire e dominare Samvise Gamgee non dev'essere affare di poco conto).
L'Anello prova con tutte le sue forze a sottometterlo nei pochi istanti in cui Sam lo porta al dito - ma anche l'Anello non trova di meglio che promettergli un enorme giardino su cui possa regnare indisturbato dopo aver vinto tutti i nemici. E' in effetti l'unico miraggio che possa tentare un giardiniere per vocazione, ma Sam scopre quasi subito il trucco: non gli interessa comandare una squadra di giardinieri (anche se, alla fine del libro, si troverà a fare anche quello): vuole un giardino tutto suo da far fiorire, nient'altro.
Troppo, o troppo poco per l'Unico Anello del Potere - che infatti con lui non riesce ad averla vinta.
(Naturalmente col tempo e la pazienza sarebbe venuto a capo anche di Sam. Forse. Ma, non dimentichiamocene, non è riuscito a venire a capo di Bilbo in sessant'anni e riesce a prevalere per un attimo su Frodo solo  nel suo momento di massimo potere, accanto alla sua fonte d'origine).