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domenica 29 settembre 2019
venerdì 27 settembre 2019
Agnes Grey - Anne Brontë
Anne Brontë (1820-1849) è la minore delle tre sorelle Brontë (in senso anagrafico) ma anche la più negletta, la più dimenticata, e certamente la meno stampata in Italia. Eppure le sorelle Brontë lavorarono insieme, finché questo fu tecnicamente possibile, e insieme, la sera davanti al caminetto, esaminavano e discutevano i loro scritti in fase di produzione; insieme condivisero una esistenza tragica ma ricca di colpi di scena e Anne ed Emily insieme diedero vita al ciclo di scritti dedicato a Gondal, una sorta di universo parallelo di cui non è rimasto quasi niente; Charlotte le ha anche dedicato un grazioso ritratto, eseguito quando la sorella aveva quattordici anni
oltre ad aver fatto un notevole ripulisti delle sue carte dopo la sua morte. Tuttavia, sembra di capire che Anne non avesse nessun particolare segreto da coprire e che il suo armadio fosse del tutto privo di scheletri. Sembra.
Chi vuole notizie un pochino più dettagliate sulla sua vita convien che cerchi non tanto la scarna voce che le dedica la Wikipedia italiana quanto quella inglese che identifica anche i possibili spunti autobiografici dei suoi due romanzi.
Agnes Grey è il primo dei due, in ordine cronologico nonché l'unico che Anne pubblicò in vita e suscitò molte meno mormorazioni e polemiche dei due che le sorelle avevano già dato alle stampe*: un romanzetto calmo, tranquillo, che va giù come acqua di fonte, con qualcosa di austeniano nella scrittura e nella struttura ben equilibrata - ma è un libro delle sorelle Brontë dalla prima riga all'ultima, dietro la sua apparenza tranquilla e un po' sommessa che rispecchia perfettamente il carattere di Anne da quel poco che è dato di sapere: introversa, all'apparenza tranquilla ma tagliente come le sue care sorelline.
Si può facilmente raccontare la trama, e scusate se spoilero un romanzo che ha più di 170 anni: Agnes è una brava ragazza cresciuta in una famiglia amorevole. In seguito a un rovescio economico della famiglia va, ancora giovanissima, a fare l'istitutrice, mossa dal desiderio di aiutare la famiglia, vedere un po' di mondo e soprattutto di insegnare a quelle creature deliziose che sono (sarebbero?) i bambini. La prima famiglia che incrocia si rivela decisamente atroce, anche nel modo di trattarla, con la seconda va meglio ma la famiglia finisce per rivelarsi altrettanto atroce. Nel frattempo però Agnes trova marito, e con lui inizierà una felice vita coniugale che si prospetta ricca di soddisfazioni e di figli. Fine.
Niente ascesa sociale (l'amato consorte è un bravo pastore di anime e tutt'altro che un partito di lusso sul piano economico), niente passioni drammatiche, ma due descrizioni decisamente insolite di due famiglie assai vittoriane e una storia d'amore piuttosto realistica. Oltre a un bel numero di animali di affezione (si contano due gatti e un cagnolino, che funzionano anche da cartine tornasole per chiarire meglio chi è una brava persona e chi no - un tema, questo, che troveremo anche in Shirley dove il personaggio principale (che sappiamo ricalcato su Emily Brontë) ama molto gli animali.
Il primo di questi personaggi a quattro zampe è il gatto di casa Gray, che quando la ragazza va via di casa per la prima volta sta giù diventando una bella gatta adulta. Agnes se ne separa molto a malincuore, pensando che quando tornerà per le vacanze per lei ormai sarà un'estranea (ma non sappiamo se effettivamente succede così, perché poi della micia non si parlerà più). Casa Grey ha anche un piccolo allevamento di piccioni che le donne hanno abituato a prendere il becchime dalle loro mani e che si fanno accarezzare. Insomma, la giovane Agnes è abituata a curare e rispettare gli animali ma soprattutto ad amarli e sbalordirà nello scoprire con quanta superficialità, indifferenza o addirittura crudeltà queste care creature vengono trattate nelle classi alte.
La famiglia dove arriva è un oscuro groviglio di nevrosi e di rapporti malati. Entrambi i genitori pretendono che i due bambini di casa siano educati e obbedienti e possibilmente anche istruiti, ma senza dare ad Agnes la possibilità di punirli o contrariarli in alcun modo od obbligarli a un qualsivoglia sforzo mentale. Grandi risultati chiaramente non ne arrivano, anche perché i bambini, vedendo che l'istitutrice non è tenuta in alcun conto dai genitori, ne fanno ben presto una specie di giocattolo vivente. Il padre entra in scena raramente ma solo per lamentarsi di tutto e di tutti, la madre depreca la mancanza di capacità da parte di Agnes di allevare bene i bambini (ma par di capire che non si sia mai sporcata le mani occupandosene) e dopo qualche mese Agnes viene licenziata. Torna a casa dopo aver accumulato un notevole stress, qualche soldo e una serie di interessanti nozioni su come non gestire una famiglia.
Ciò nonostante ci vuole riprovare. Di nuovo i Gray provano a dissuaderla ma alla fine Agnes la spunta e di nuovo parte all'avventura.
La seconda famiglia all'apparenza è un po' meglio - soprattutto, i figli sono un po' meno anarchici e meno infantili. Tuttavia i problemi di base rimangono quelli: genitori distratti ma pieni di pretese, figli che rifiutano di spremersi le meningi più di tanto, rapporti familiari decisamente mal impostati. Una certa cortesia che tutto sommato nella famiglia viene abbastanza coltivata riesce ad ammorbidire gli spigoli, ma la situazione non è molto migliore rispetto alla prima famiglia dove Agnes ha lavorato.
La protagonista si occupa soprattutto delle due sorelle perché il fratello maggiore dopo pochi mesi va al college dove, se sono vere anche solo un terzo delle storie che traspaiono qua e là nei romanzi vittoriani sui college, imparerà ad osservare rigorosamente la disciplina nel più spiacevole dei modi.
Le due sorelle formano una coppia piuttosto difficile da gestire. La maggiore di mestiere fa la Ragazza Frivola, mentre la minore riesce ad appassionarsi solo a cavalli, cani da caccia e caccia in generale. La madre asseconda la frivolezza della maggiore fin quando non si rende conto che ormai è una ragazza da marito e che quindi rischia di diventare una ragazza frivola e compromessa, il padre asseconda l'aspirante cacciatrice fin quando non si rende conto che ormai è una ragazza da marito e occorre che assuma l'atteggiamento e la forma mentis di una ragazza da marito. L'insieme sembra delirante, ma ahimé è drammaticamente credibile, così come è purtroppo drammaticamente credibile che il matrimonio della figlia maggiore, condotto con singolare scervellaggine da parte della ragazza - ma soprattutto dei genitori che pure qualcosa sull'argomento dovrebbero sapere - si riveli un disastro senza remissione che la ragazza non ha assolutamente gli strumenti per affrontare non essendo mai stata abituata a contare su di sé.
E qui entra in scena il secondo gatto, anzi la seconda gatta della storia.
Costei è l'amatissima gattina di casa di una povera contadina un po' malandata, e serve per descrivere i due sacerdoti che occupano una buona parte del romanzo: quello più ricco e più importante la tratta male, dandole perfino un calcio, mentre il sacerdote più povero e più interessato al benessere fisico e spirituale dei parrocchiani non solo la tratta bene, ma una sera in cui la gatta si è persa la riporta a casa con gran gioia della contadina. Agnes si limita a raccontare gli episodi, anzi a farli raccontare dalla contadina, ma riesce ad orientare il lettore e a fargli capire quale dei due sacerdoti vale di più sul piano umano. Se poi la lettrice sono io, mi viene spontaneo ricordare Shirley quando, nel romanzo che Charlotte le intitola, dirà che per scegliere il compagno della sua vita si baserà anche sul giudizio del suo cane e del suo gatto e su come accoglieranno l'uomo quando entrerà nella di lei casa.
Il terzo animale, un cagnolino trascurato dai datori di lavoro di Agnes, che la ragazza adotta e a cui si affeziona sinceramente, ricambiata, funziona infine come pegno d'amore: verso la fine del libro infatti, quando le cose per Agnes si mettono piuttosto male au molti fronti, il suo padrone decide che quel cane l'ha stufato e lo vende a un cacciatore di ratti, uomo famoso anche per la durezza con cui tratta gli animali. Agnes ne soffre ma non può fare nulla per intervenire. L'uomo che lei ama però, Edward Weston, ricomprerà il cagnolino dall'acchiapparatti quando viene infine a chiedere la mano di Agnes cui ormai può assicurare una casa e una rendita modeste ma adeguate avendo ricevuto l'assegnazione di una bella parrocchia tutta per lui.
Il romanzo si chiude dunque con un lieto fine - un vero, autentico lieto fine dopo una serie di vicende drammatiche a tratti ma non tragiche per la protagonista, quel tipo di finale insomma che nella produzione letteraria delle sorelle Brontë rappresenta un unicum**. Come ho già detto è scorrevole, gradevole, simpatico, fresco e va giù bene, ma dietro la sua gradevole freschezza e la sua fresca gradevolezza c'è una critica piuttosto salata verso la società dell'epoca e diverse considerazioni sulla condizione femminile, sottintese più che dette - sottintese ma espresse con molta chiarezza, soprattutto nella parte che riguarda il matrimonio dell'allieva di Agnes.
È più o meno disponibile a chi vuole comprarselo e si trova senza problemi in versione liquida a prezzi assai contenuti - insomma ci hanno messo parecchio a ristamparlo (la mia copia è del 2000 quando finalmente si degnarono di tradurlo anche se non escludo che la BUR grigia lo aveva in catalogo, negli anni sessanta) ma da allora l'hanno tenuto in catalogo non solo la Mondadori ma anche altre piccole case editrici.
Consigliato, e adattissimo a questa stagione sospesa tra fine estate e inizio d'autunno, quando un bel romanzo inglese è il massimo che c'è.
Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma, sperando che Lurkerella sia in linea.
*sì, sto parlando di Jane Eyre e di Cime tempestose, che sollevarono entrambi un bel polverone.
**con l'unica eccezione del Professore di Charlotte, che venne pubblicato postumo ma che insomma, ammettiamolo, non lo avesse scritto Charlotte diremmo che è una palla di libro.
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giovedì 26 settembre 2019
Sono arrivate le borracce! (post altamente ecologista)
Proteggere il nostro pianeta è importante, come ci ricorda la scritta di questa mug.
Nonostante l'ampia dose di sarcasmo di scarsa levatura che la destra più conservatrice le ha dedicato, Greta e i suoi Venerdì per la Terra hanno innestato un vero effetto valanga e nelle ultime settimane le tematiche ecologiste sono tornate di gran moda.
Molti comuni hanno deciso così di regalare a tutti i loro studenti una bottiglia di alluminio affinché la smettano di seminare bottiglie di plastica per ogni dove.
L'operazione mi sembra meritoria per molti motivi, soprattutto dove l'acqua del rubinetto è di ottima qualità (cioè dappertutto, almeno in Toscana, ma non credo che il resto dell'Italia se la passi molto peggio).
In realtà il comune di St. Mary Mead già da molto tempo aveva promesso un fontanello nella nostra scuola - ne avevo già sentito parlare prima di ammalarmi, ovvero tre anni fa, e ogni tanto l'argomento riaffiorava come quei fiumi carsici che spuntano qua e là per brevi tratti per poi riprendere il loro corso sotterraneo.
"Avremo un fontanello e toglieranno il distributore delle bottigliette dell'acqua minerale" si vociferava in giro. Ma il distributore restava lì, in tutta la sua splendida ingombranza, e torme di studenti assetati ci si recavano ogni giorno per rifornirsi di acque minerali, bibite di dubbio valore nutritivo e snack vari di cui io disapprovavo fortissimamente il costo.
Anni fa era stato fatto un tentativo di convertirlo a snack più salutisti che erano stati assai apprezzati dagli insegnanti ma snobbati dai ragazzi; ma ben presto eravamo ritornati all'originario regime, con mio grande rimpianto.
Quanto alla modesta proposta di eliminare del tutto il distributore in questione, proprio non c'è mai stato verso, nonostante detta proposta venisse presentata ogni anno dagli insegnanti che sostenevano (non a torto, secondo me) che la scuola non mostrava grande coerenza appoggiando le varie campagne di educazione alimentare che incoraggiavano colazioni a base di frutta, yogurt e simili per poi tenere in bella vista una macchinetta che distribuiva tutt'altro.
Ma a quanto pare Greta (sempre sia lodata) ha fatto il miracolo, e sembra che dall'anno prossimo ritorneranno gli snack biologici. Nel frattempo il Comune si è impegnato a dare le bottigliette di alluminio e gli operai sono venuti a installare il rubinetto con il fontanello, che però ancora non è in funzione.
Per tutta la prima settimana i ragazzi hanno continuato a chiederci quando sarebbero arrivate, queste fantomatiche bottigliette di alluminio, ma nessuno di noi ne sapeva niente anche se tutti le aspettavamo a gloria perché lo schioccare delle bottiglie di plastica in classe è davvero esasperante.
E stamani le bottigliette sono arrivate, mentre ero nella Terza Zuzzurlona e stavo navigando nelle acque dolci spiegandogli i problemi che molti fiumi e laghi incontrano in questo periodo. Mai arrivo di gadget fu più pertinente.
Diciamo la verità: il Comune di St. Mary Mead ha fatto un bel lavoro. Le bottigliette sono di un sontuoso rosso intenso metallizzato e di un azzurro oltremare altrettanto metallizzato. Lo stemma del Comune risalta mirabilmente. Sono dei begli oggetti e chiunque può esibirli con fierezza al cinema, a teatro, in piscina o nella camminata tra i boschi. In effetti avrei molto gradito che ce ne fossero anche per gli insegnanti, ma così non è stato.
Ce le hanno portate in una bella borsina di stoffa, anche quella con lo stemma del comune, molto solida e ben fatta. E quella almeno ho potuto intascarla.
Tiro fuori le bottigliette, nove rosse e nove azzurre, tutte avvolte in un bel preservativo di plastica riciclabile.
"Perché, se ci danno le bottigliette per limitare l'uso della plastica le avvolgono nella plastica?" ha chiesto sennatamente un alunno.
"Perché non si graffino, suppongo, e per questioni di igiene. Anche se immagino che gli darete comunque una sciacquatina, prima di usarle".
"E perché sono di due colori?".
"Non oso dirlo, ma temo che quelle rosse siano per le signorine e quelle azzurre per i signorini".
La classe insorge, alcune ragazze guaiolano che la vogliono azzurra. Non sarò io a dar loro torto.
"Comunque è solo una mia teoria, qui nel foglio non c'è scritto niente in proposito".
Risulta che una maggioranza schiacciante la vorrebbe blu. Poi un ragazzo dichiara apertamente che gli piacciono entrambio i colori e che per lui non fa nessuna differenza. Altri si accodano a questa nobile scuola di pensiero. In effetti anche rossa è molto bella.
Faccio un paio di sondaggi per alzata di mano e decido di dare a tutti diritto di scelta. Li chiamo a coppie alla cattedra in ordine casuale. La consegna fila liscia e le bottigliette avanzate per i due assenti sono una rossa e una azzurra.
Direi che meglio non poteva andare.
Poi faccio distribuire i volantini allegati e, come richiesto dal foglio di consegna, lo leggiamo insieme.
Si intitola "Dieci piccole grandi azioni" e contiene una lista di impegni cui tutti sono tenuti per rispettare l'ambiente. Il tono di questi consigli è leggermente roboante. Roba del tipo "Mi impegno a usare la borraccia a scuola e nel tempo libero". Per fortuna non è richiesto un giuramento collettivo, penso in cuor mio. La solita storia di chiudere il rubinetto mentre ci si lava i denti, consigli per riutilizzare gli avanzi senza sprecare cibo*, fare la raccolta differenziata, non seminare i boschi e le spiagge di residui di plastica...
"Pratico la gentilezza con i compagni, con le persone e con gli animali". Che cazzo c'entra la gentilezza con l'ecologia, mi domando perplessa in cuor mio. Un alunno se lo domanda ad alta voce, seppure in modo più forbito.
"Immagino che la gentilezza sia comunque un valore aggiunto, anche se in effetti il collegamento un po' mi sfugge" mi vedo costretta ad ammettere.
"Passo meno tempo davanti a TV, tablet, smartphone e videogames. Aumento il numero delle ore passate a giocare all'aria aperta" e lì il collegamento con le bottigliette di alluminio mi sfugge ancor di più.
"Quando giochiamo fuori maltrattiamo l'erba" osserva qualcuno, non del tutto a torto. Gli altri ne convengono. Anch'io ammetto che è un punto di vista valido.
In cuor mio mi domando perché gli adulti, quando scelgono di rivolgersi ai ragazzi, si sentano in dovere di scrivere tante sciocchezze.
Si conclude con una tirata sulle api "guardiane della biodiversità. Le aiuto seminando fiori di cui sono golose, come la calendula, il rosmarino, il timo e la lavanda". Niente erica, osservo addolorata. Peccato, perché a me il miele di erica piace moltissimo.E infine...
"Racconto a tutti le mie buone azioni per aiutare l'ambiente e chiedo anche agli altri di seguire queste buone azioni per un futuro più ecologico". E al mio confronto i missionari mormoni sono degli zuccherini, vien da pensare.
"Vabbé, ci sono comunque molti suggerimenti utili. Ricordatevi soprattutto l'importanza della raccolta differenziata" concludo diplomaticamente prima di riprendere la lezione "Quanto al fatto di non lasciare rifiuti nei boschi e sulle spiagge non voglio nemmeno soffermarmici, era già considerato grave maleducazione quando ero bambina, cinquant'anni fa".
Non so perché gli adulti hanno questa curiosa tendenza a coprirsi di ridicolo con certi proclami. Ma soprattutto non so perché io non sono mai riuscita a diventare adulta. Non importa quanto tempo abbia passato in ospedale con la seria possibilità di lasciarci la pelle, non importa quanti anni ormai conti sul calendario; niente al mondo sembra in grado di farmi evolvere dallo stadio di adolescente polemica, nemmeno davanti a un tema serio come quello del degrado ambientale.
Però quel volantino potevano scriverlo meglio, ecco.
* tutti suggerimenti squisiti, devo dire. Peccato che io non riesca mai a farmi delle deliziose polpette con gli avanzi, perché gli avanzi me li mangio a colazione. Se voglio farmi delle polpette mi tocca comprare gli ingredienti. È uno dei grandi rimpianti della mia vita, un po' come l'insalata di pollo che andrebbe fatta col pollo avanzato. Ma a me il pollo non avanza mai!
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domenica 22 settembre 2019
Manuale del Perfetto Insegnante - L'orario perfetto
Da intendersi come "Happy New Scholastic Year", naturalmente |
Tale orario è in realtà molto facile da assegnare e davvero non si capisce perché chi compila gli orari la faccia tanto lunga e alla fine partorisca una robaccia improponibile spacciandola per "il tuo orario" e ti guardi malissimo se osi azzardare la più banale delle rimostranze.
Andiamo dunque a spiegare in poche e semplici parole come dev'essere questo Orario Perfetto, ricordando prima di tutto che l'Orario, perfetto o meno, deve comprendere comunque diciotto ore diciotto, come previsto dal contratto docenti.
Prima di tutto non devono esserci prime ore, e naturalmente nemmeno le ultime - perché è risaputo che alle ultime si combina poco. E dunque conviene che ci siano tutte prime ore.
(Già qui il Compilatore dell'Orario comincia a guardarti male, non so perché).
Niente ore a coppie, oppure soltanto ore a coppie.
Mai troppe ore di fila, perché anche il Perfetto Insegnante, per mantenersi nella sua insegnantesca perfezione, deve pur riuscire ogni tanto a respirare.
Niente buchi, perché insomma non si può stare a scuola sei ore per farne due o tre, e questo dovrebbe essere chiaro a chiunque.
Un po' di buchi, per favore, altrimenti dove la metto l'ora del ricevimento dei genitori?
Niente intervalli, possibilmente, perché anche negli intervalli va fatta sorveglianza e insomma uno deve pur staccare per qualche minuto ogni tanto.
Niente blocchi di tre ore in una classe, ché davvero son troppe.
Niente ore due giorni di fila nella stessa classe, a meno che in quella classe tu non abbia almeno due materie.
Non si può cambiare classe ogni ora perché diventa stressante.
Un blocco di due ore (ma soltanto uno) per Matematica perché sennò come fai per il compito?
Un blocco di almeno tre ore per Lettere in Seconda e in Terza perché sennò come fai per il tema?
Non un blocco di più di tre ore per Lettere perché sennò i ragazzi si annoiano.
Niente ultime ore con le Prime, perché con le Prime all'ultima ora non si raccatta niente.
Niente ultima ora di Venerdì.
Niente prima ora di Lunedì.
Tutto qui. Dovrebbe essere semplicissimo.
E invece ogni Perfetto Insegnante (e anche tutti gli altri che Perfetti non sono nemmeno di lontano) si ritrovano sempre tutte ultime ore e tutte prime ore e dei blocchi immani di ore e a cambiare classe sei volte ogni mattina e una caterva di buchi e mai un blocco di tre ore per fare il tema come dio comanda e tutti gli intervalli tutti, ed è mai possibile che l'ultima ora di Venerdì capiti sempre soltanto a me?
Ogni anno. Regolarmente.
E si azzardano pure a spiegarti che qualcuno dovrà pur farle, le prime e le ultime ore, visto che sono previste dal tempo-scuola, e perfino l'ultima ora di Venerdì da qualcuno dovrà pur essere fatta, perfino per le classi Prime. E sostengono pure, gli sciagurati compilatori dell'orario, che su cinque giorni se fai solo seconde e terze ore, alla fine non te ne vengono diciotto. Quando si dice attaccarsi ai pretesti.
Perché quelli che fanno l'orario pensano solo ad aggiustarselo per sé e della didattica se ne fregano.
Insomma, è un vero scandalo.
Possibile che nessuno riesca a organizzare per tutti un semplice orario formato di seconde e terze ore senza intervalli?
Davvero di questo passo non so proprio dove andremo a finire.
E tuttavia, lo sappiamo bene: un Vero Insegnante non può considerarsi tale (e tanto meno un Perfetto Insegnante!) se non si lamenta moltissimo dell'orario che gli hanno assegnato e non invidia quelli degli altri. Che dal canto loro farebbero a scambio tanto volentieri, così prima di tutto ti zittiresti, e una volta tanto nella vita LORO potrebbero finalmente avere un orario decente.
(Perché è cosa nota: l'orario del collega è sempre più verde).
lunedì 16 settembre 2019
Taglio del Nastro - La sganascevole e ridicolissima farsa del nuovo registro elettronico, aggiornamento
Primo giorno di scuola.
Prima ora del primo giorno di scuola dell'anno scolastico, nella prima classe che incontro.
Sulla cattedra, la fotocopia di un foglio di registro di classe, di quelli vecchi, cartacei.
"Oh, sarà per i nuovi arrivati che non hanno ancora la password" mi dico.
Sorrido. Saluto i ragazzi. Faccio l'appello. Uno dei nomi sul foglio appartiene a una ragazza che durante l'estate è emigrata verso altri lidi.
In compenso un povero ragazzino messicano, completamente ignorato dall'elenco, mi fa timidamente notare la sua esistenza in vita.
Lo aggiungo alla lista.
"Adesso proverò ad aprire il registro elettronico, così, giusto per passare il tempo".
Accendo il computer.
Mi chiede una password.
Scopro con orrore che ho dimenticato come funzionano le password delle classi.
Mi affaccio sulla porta e becco un collega che mi istruisce.
Metto la password. Il computer parte.
Avvio il registro elettronico.
Esso parte senza colpo ferire.
Il collegamento va come una scheggia - del resto ormai il comune di St. Mary Mead si è evoluto. Abbiamo la fibra, noi. Basta con queste connessioni all'acqua di rose!
Il registro elettronico mi chiede la password.
Inserisco la password.
Si apre la schermata... che mi dice "Nessun orario definito".
Faccio un sorriso a trentasette denti ai ragazzi, chiudo il registro elettronico e passo ad altro pensando in cuor mio molte cose.
Due ore dopo risbuco in Sala Insegnanti dove Matematica mi dice "Ho visto che il registro elettronico ancora non c'è. Secondo te potrei inserire il mio orario e firmare?"
"Mah, non so... dovrebbe farlo la Segreteria..."
"Nella scuola dov'ero l'anno scorso ognuno inseriva il suo orario, non lo faceva la Segreteria".
"Mah, se te la senti..." mormoro incerta.
"O pensi che rischio di far casino?"
"...non saprei..."
Matematica prova, ma non trova la griglia predisposta per inserire il suo orario.
"Forse è meglio se lascio perdere?"
"...forse sì..."
Resta aperta la domanda: Come mai, se l'orario è stato comunicato in tarda mattinata di Giovedì non è stato ancora inserito? Siamo nove classi, non è poi un procedimento così lungo.
Oppure: perché non hanno caricato almeno l'orario vuoto onde permetterci di inserire il nostro proprio personale orario pirsonalmente di pirsona? Caricare un singolo orario di diciotto ore non è poi una fatica tale da stroncarci, per quanto i primi giorni di scuola siano un po' duri per tutti.
Ma soprattutto: se gli sta fatica inserirlo, che può anche essere ragionevole perché in questi giorni presumibilmente la Segreteria ce ne ha settecento da fare e altre settecento che aspettano scalpitando di essere fatte, perché non ci ha mandato a dire di toglierci le castagne dal fuoco da soli?
Mistero imperscrutabile, ma sarà forse il caso di chiederlo a chi di dovere per evitare l'ennesima figura di palta l'anno prossimo.
Ultimo aggiornamento: non posso inserire l'orario, in compenso ho scoperto che mi hanno sbagliato due classi su quattro.
L'anno scolastico è cominciato, evviva l'anno scolastico.
Prima ora del primo giorno di scuola dell'anno scolastico, nella prima classe che incontro.
Sulla cattedra, la fotocopia di un foglio di registro di classe, di quelli vecchi, cartacei.
"Oh, sarà per i nuovi arrivati che non hanno ancora la password" mi dico.
Sorrido. Saluto i ragazzi. Faccio l'appello. Uno dei nomi sul foglio appartiene a una ragazza che durante l'estate è emigrata verso altri lidi.
In compenso un povero ragazzino messicano, completamente ignorato dall'elenco, mi fa timidamente notare la sua esistenza in vita.
Lo aggiungo alla lista.
"Adesso proverò ad aprire il registro elettronico, così, giusto per passare il tempo".
Accendo il computer.
Mi chiede una password.
Scopro con orrore che ho dimenticato come funzionano le password delle classi.
Mi affaccio sulla porta e becco un collega che mi istruisce.
Metto la password. Il computer parte.
Avvio il registro elettronico.
Esso parte senza colpo ferire.
Il collegamento va come una scheggia - del resto ormai il comune di St. Mary Mead si è evoluto. Abbiamo la fibra, noi. Basta con queste connessioni all'acqua di rose!
Il registro elettronico mi chiede la password.
Inserisco la password.
Si apre la schermata... che mi dice "Nessun orario definito".
Faccio un sorriso a trentasette denti ai ragazzi, chiudo il registro elettronico e passo ad altro pensando in cuor mio molte cose.
Due ore dopo risbuco in Sala Insegnanti dove Matematica mi dice "Ho visto che il registro elettronico ancora non c'è. Secondo te potrei inserire il mio orario e firmare?"
"Mah, non so... dovrebbe farlo la Segreteria..."
"Nella scuola dov'ero l'anno scorso ognuno inseriva il suo orario, non lo faceva la Segreteria".
"Mah, se te la senti..." mormoro incerta.
"O pensi che rischio di far casino?"
"...non saprei..."
Matematica prova, ma non trova la griglia predisposta per inserire il suo orario.
"Forse è meglio se lascio perdere?"
"...forse sì..."
Resta aperta la domanda: Come mai, se l'orario è stato comunicato in tarda mattinata di Giovedì non è stato ancora inserito? Siamo nove classi, non è poi un procedimento così lungo.
Oppure: perché non hanno caricato almeno l'orario vuoto onde permetterci di inserire il nostro proprio personale orario pirsonalmente di pirsona? Caricare un singolo orario di diciotto ore non è poi una fatica tale da stroncarci, per quanto i primi giorni di scuola siano un po' duri per tutti.
Ma soprattutto: se gli sta fatica inserirlo, che può anche essere ragionevole perché in questi giorni presumibilmente la Segreteria ce ne ha settecento da fare e altre settecento che aspettano scalpitando di essere fatte, perché non ci ha mandato a dire di toglierci le castagne dal fuoco da soli?
Mistero imperscrutabile, ma sarà forse il caso di chiederlo a chi di dovere per evitare l'ennesima figura di palta l'anno prossimo.
Ultimo aggiornamento: non posso inserire l'orario, in compenso ho scoperto che mi hanno sbagliato due classi su quattro.
L'anno scolastico è cominciato, evviva l'anno scolastico.
domenica 15 settembre 2019
Come presentarsi al Primo Giorno di Scuola - Guida per l'aspirante Bravo Insegnante
Come ci si presenta a una nuova classe?
Partiamo dal primo punto, che è l'abbigliamento.
Si parla molto dell'abbigliamento degli alunni ma troppo poco di quello degli insegnanti, secondo me. A parte la regola base che gli abiti con cui ci si presenta a quelli che sono destinati a condividere una parte della nostra vita per qualche giorno o per qualche anno devono essere puliti, in ordine e non troppo logori - non state andando a svuotare la cantina, state entrando in una classe, e fate un lavoro al pubblico - la cosa più pratica è indossare qualcosa che effettivamente vi rappresenti, nel concetto che avete di voi stessi, e in cui siate a vostro agio e vi sentiate eleganti.
In effetti niente impedisce che decidiate di stupire i vostri alunni con effetti speciali, vuoi sfoggiando un finto casual
Partiamo dal primo punto, che è l'abbigliamento.
Si parla molto dell'abbigliamento degli alunni ma troppo poco di quello degli insegnanti, secondo me. A parte la regola base che gli abiti con cui ci si presenta a quelli che sono destinati a condividere una parte della nostra vita per qualche giorno o per qualche anno devono essere puliti, in ordine e non troppo logori - non state andando a svuotare la cantina, state entrando in una classe, e fate un lavoro al pubblico - la cosa più pratica è indossare qualcosa che effettivamente vi rappresenti, nel concetto che avete di voi stessi, e in cui siate a vostro agio e vi sentiate eleganti.
In effetti niente impedisce che decidiate di stupire i vostri alunni con effetti speciali, vuoi sfoggiando un finto casual
vuoi con un abito più sontuoso
ma è noto che l'eleganza è un concetto molto vago da definire e non passa necessariamente per un vestito firmato o per un determinato capo di abbigliamento. Inutile mettersi in giacca e cravatta o in tailleur se li considerate alla stregua di una camicia di forza, e niente al mondo impedisce a un insegnante di essere Autorevolmente Autorevolissimo in jeans e maglietta, in tenuta da metallaro, in salopette a fiorellini o in tunica indiana con sciarpa a campanellini. Nel caso però che si opti per la maglietta tuttavia è opportuno fare molta, molta attenzione a eventuali scritte o disegni: se le Keep Calm di solito vanno benissimo, evitate almeno nei primi tempi quelle che inneggiano alla vostra squadra preferita o fanno seriamente sospettare le vostre inclinazioni politiche e lasciate da parte teschi, sangue e qualsivoglia incitamento alla violenza o all'aggressione anche solo verbale. Magari verrà anche il giorno in cui sarete lieti di sfoggiare minacce implicite o esplicite, ma non è così indispensabile che quel giorno sia proprio il primo in cui vi presenterete alla nuova classe.
Purtroppo, per una serie di noiosissime ragioni con cui non voglio tediarvi, non è particolarmente opportuno che vi presentiate senza abbigliamento alcuno, anche se ciò vi garantirebbe di sicuro uno stupefatto silenzio, e probabilmente l'incondizionata approvazione di almeno una parte della classe, specie se siete giovani e ben fatti.
L'essenziale però è che si tratti di una mise con cui vi sentite a vostro agio perché già la situazione è un po' disagevole per tutti, già i ragazzi vi guarderanno con preoccupazione e sospetto quasi foste una bestia rara (e saranno un po' a disagio pure loro, spesso), davvero non è il caso di peggiorare ulteriormente la situazione. Tenete conto che l'abito dice molto di voi, ma di solito non lo dice in modo prevedibile, perciò mettete qualcosa di cui potrete dimenticarvi non appena l'avete indossato e amen. Sta ai vostri alunni decidere se con quel vestito date una impressione amichevole, casalinga, autorevole o idiota. Starà a loro in ogni caso, del resto, e a meno che non siate un esperto di strategia delle comunicazioni (se lo siete, buon per voi e complimenti, perché non è certo un talento che viene coltivato nei corsi di formazioni per docenti - il che secondo me è un grosso errore) non è affatto detto che il look che sceglierete verrà interpretato come volete voi: perché a volte gli alunni fraintendono, e a volte capiscono fin troppo. Quindi fate il possibile per essere a vostro agio e sperate in bene, ché di più non potete fare.
Se proprio non siete del tutto introversi, un saluto amichevole e un sorriso almeno accennato non ci staranno male; l'importante è che non vi forziate troppo, perché il disagio in questo tipo di situazioni è maledettamente contagioso e, so che mi ripeto, l'importante è non peggiorare la situazione. Se invece di carattere siete estroversi e amichevoli siatelo senza ritegno, di solito la cosa non dispiace purché sia spontanea.
Ci saranno probabilmente una serie di formalità da adempiere: cercare di aprire il registro elettronico che non funziona, fare l'appello sbagliando metà nomi (consiglierei di chiedete sempre se la pronuncia dei nomi stranieri è giusta e attenersi all'eventuale forma semplificata che i ragazzi di origine straniera vi daranno - se non avete paura di dimostrarvi troppo disponibili, intendo), parlare del cosiddetto materiale didattico, ovvero tutte quelle attrezzature che vi aspettate i vostri alunni abbiano: compassi verdi fluorescenti, molti metri di spago, 36 diversi colori di pastelli a olio, carta da pacchi, monete da due euro per fare piccoli cerchi, matite a tratto fine e a tratto grosso, quaderni grandi ma non ad anelli, quaderni piccoli rigorosamente ad anelli, quadernetti microscopici a quadretti, cannocchiali, telescopi, flauti in plastica arancione, tamburelli, dizionari etimologici... tutti gli insegnanti hanno un loro lato di perversione con qualcosa che è diverso da ciò che tutti gli altri colleghi al mondo della loro materia chiedono e pretendono, i ragazzi non sono degli indovini e quando le richieste sono particolarmente stravaganti tendono ad aggiustarlo al grido sottinteso di e se non gli va bene il prof. si attaccherà al treno. Ma non fateli impazzire con tre tipi diversi di rigature, per la prosa, la poesia e la saggistica, se poi siete di quelli che gli va benissimo anche il foglio bianco o a quadretti purché quel che ci sta scritto sia corretto nella forma, perché a quel punto troveranno difficile prendervi sul serio quando ESIGETE che "si" venga scritto con l'accento se è avverbio affermativo - e se gli fate comprare un mazzo di tarocchi a topolini o i pastelli a olio a 36 colori fateglieli usare spesso, sin dai primi giorni, perché quell'acquisto deve avere un senso ai loro occhi.
(E tutto questo sembra abbastanza banale e scontato però se lo scrivo c'è un suo perché)
Il vero punto critico del primo giorno di scuola con la classe nuova però è un altro: il discorsetto introduttivo.
Perché persino ottimi insegnanti ormai rodati da decine di anni in cattedra si sentono in dovere di fare il Discorsetto Introduttivo di Presentazione, nella beata convinzione che "questo servirà a mettere le cose in chiaro".
Ahimé, molti studenti sono di dura cervice sotto questo aspetto, e parimenti desiderosi di mettere le cose in chiaro secondo il loro punto di vista e per giunta spesso dotati di un nobile quanto perverso spirito di contraddizione. Mentre fate il vostro impeccabile discorsetto dichiarando che esigerete sempre e comunque (poniamo) correttezza reciproca, o silenzio durante le spiegazioni o altre cose apparentemente del tutto legittime, i loro occhi spesso brillano della classica luce "Ah sì? Mo' ti cucino io" mentre altri pensano un po' annoiati "Eccheppalle, manca solo che ci ricordi che dobbiamo anche respirare". Peggio ancora se vi lancerete in nobili proclami del tipo "Posso essere il vostro migliore amico o il vostro peggior nemico"*. Senza contare che se in questo adorabile discorsino introduttivo, che magari vi siete studiati elaborandolo con cura e attenzione a ogni singola parola, direte settanta cose sensate e una singola cosa opinabile, proprio quell'unica cosa opinabile verrà diffusa in giro con trombe e tamburi, raccontata in famiglia e agli amici, distorcendola o amplificandola senza pietà e rischiate di venir etichettati in base a quella per mesi. Poi, per carità, col tempo e la pazienza le etichette si staccano anche e non c'è scemenza detta il primo giorno che non possa venire dimenticata, ma è davvero più comodo non infilarsi da soli in un simile ginepraio.
A tal proposito può essere utile ricordare una frase della marchesa di Marteuil* secondo cui un'occasione perduta, checché ne dicano, si ripresenta, ma a un'azione intempestiva può non esserci rimedio: avrete tempo per dispiegare tutta la vostra implacabile severità o il vostro giusto rigore, non è necessario impegnarsi troppo il primo giorno.
Cosa fare dunque per passare il tempo, se quel giorno (com'è molto probabile) i ragazzi non avranno con loro né libri né strumentazione adeguata?
Molti rimediano facendo fare ai ragazzi una presentazione a voce. La cosa ha i suoi pro e i suoi contro, e va saputa gestire: soprattutto, ha senso se avete una buona memoria di quel tipo che permette di ingoiare la mole di informazioni e assimilarla prontamente, ricordandosi poi a chi attribuire quel che è stato detto. Purtroppo, se non gli date una traccia precisa su cui muoversi, può capitare che queste presentazioni si assomiglino un po' tutte e non dicano niente di interessante. Quel che funziona bene in un corso tra adulti di, poniamo, otto persone, che hanno età, stato civile, numero di figli e di animali, storia personale e lavorativa assai varie tra loro non è detto che dia gli stessi risultati in una classe di coetanei, che talvolta vengono tutti dalla stessa scuola, escono ancora caldi dall'abbraccio della famiglia e esperienza lavorativa ne hanno ben poca (sì, sto parlando delle elementari e delle medie) - e insomma, animali d'affezione a parte si rischia di ritrovarsi ventitré presentazioni ventitré fatte con lo stampino.
Tuttavia anche così, e anche se sono intimiditi e tendono a ripetere tutti le stesse cose, qualche informazione si può raccattare e magari potete chiedere cosa pensano della vostra materia, cosa guardano alla televisione, che musica ascoltano, cosa leggono, cosa fanno nel tempo libero e simili. Si possono anche chiedere informazioni all'apparenza innocue, come ad esempio il loro colore o animale preferito, cosa sarebbero se fossero un mobile o un cibo, che lavoro gli piacerebbe fare o un'infinità di altre cose più o meno compromettenti.
Molti insegnanti fanno fare agli alunni un cartello col loro nome, che nei primi giorni di scuola è una pratica decisamente sensata, e qualcuno glielo fa integrare con qualche altra informazione. Alcuni gli chiedono di presentarsi con un piccolo disegno (hanno tutti qualche pennarello nell'astuccio). Altri li fanno chiacchierare o li mettono a scrivere, e a volte ci sono le cosiddette Prove d'Ingresso che hanno pur sempre il loro perché nei primissimi giorni di scuola - e se l'istituto dove insegnate non le ha preparate, niente al mondo impedisce che le prepariate voi, a vostro gusto personale.
Insomma il Primo Giorno di Scuola è una terra franca dove la routine non vi sostiene, ma le regole le fate voi, anche senza proclamarlo a gran voce. Non preoccupatevi più di tanto dell'impressione che voi fate ai vostri alunni - avranno tutto il tempo, ed è un processo che è in mano a loro e voi non potete gestirlo più di tanto. Preoccupatevi invece dell'impressione che loro fanno a voi e raccogliete un po' di informazioni, giusto per sapere di che morte andrete a morire.
Perché dopo il primo giorno di scuola arriva il secondo, e dal secondo si fa lezione a modo vostro e dovrete capire come vi conviene impostarla. Voi siete lì per lavorare, e per programmare il vostro lavoro in modo funzionale sin dall'inizio vi servono informazioni sul materiale umano che avete tra le mani. Loro invece sono lì perché ce li hanno mandati (e parecchi sono anche piuttosto interessati) e lì dovranno stare per tutto l'anno scolastico: per farsi una opinione su di voi hanno un sacco di tempo e non è necessario impressionarli subito - o convincerli subito che siete una carogna o un imbecille, ma se si mettono subito a lavorare hanno meno tempo per pensare a voi tra uno sbadiglio e l'altro.
Dedico questo post a tutti i miei colleghi, giovani e vecchi e in mezzo al cammino di lor vita; e anche a me, che domani ritorno in cattedra dopo un intero, involontario anno sabbatico e per me sarà di nuovo come la prima volta, perché quest'anno ho staccato davvero.
Ma se volete leggere qualcosa di meglio sull'argomento, qui c'è un bellissimo post di Milady, un tempo eccellente blogger e ora emigrata su Facebook, e una suggestiva descrizione dell'incanto dell'insegnamento di una insegnante delle elementari ripresa da Mel sul suo bel blog.
Buon anno scolastico a tutti, con la solita, consueta immagine rituale che svela il vero stato d'animo di tutti noi (e anche di tutti loro!)
*storico, posso anche fornire la fonte.
** nei Legami pericolosi di Laclois, che non è esattamente un testo di didattica
(E tutto questo sembra abbastanza banale e scontato però se lo scrivo c'è un suo perché)
Il vero punto critico del primo giorno di scuola con la classe nuova però è un altro: il discorsetto introduttivo.
Perché persino ottimi insegnanti ormai rodati da decine di anni in cattedra si sentono in dovere di fare il Discorsetto Introduttivo di Presentazione, nella beata convinzione che "questo servirà a mettere le cose in chiaro".
Ahimé, molti studenti sono di dura cervice sotto questo aspetto, e parimenti desiderosi di mettere le cose in chiaro secondo il loro punto di vista e per giunta spesso dotati di un nobile quanto perverso spirito di contraddizione. Mentre fate il vostro impeccabile discorsetto dichiarando che esigerete sempre e comunque (poniamo) correttezza reciproca, o silenzio durante le spiegazioni o altre cose apparentemente del tutto legittime, i loro occhi spesso brillano della classica luce "Ah sì? Mo' ti cucino io" mentre altri pensano un po' annoiati "Eccheppalle, manca solo che ci ricordi che dobbiamo anche respirare". Peggio ancora se vi lancerete in nobili proclami del tipo "Posso essere il vostro migliore amico o il vostro peggior nemico"*. Senza contare che se in questo adorabile discorsino introduttivo, che magari vi siete studiati elaborandolo con cura e attenzione a ogni singola parola, direte settanta cose sensate e una singola cosa opinabile, proprio quell'unica cosa opinabile verrà diffusa in giro con trombe e tamburi, raccontata in famiglia e agli amici, distorcendola o amplificandola senza pietà e rischiate di venir etichettati in base a quella per mesi. Poi, per carità, col tempo e la pazienza le etichette si staccano anche e non c'è scemenza detta il primo giorno che non possa venire dimenticata, ma è davvero più comodo non infilarsi da soli in un simile ginepraio.
A tal proposito può essere utile ricordare una frase della marchesa di Marteuil* secondo cui un'occasione perduta, checché ne dicano, si ripresenta, ma a un'azione intempestiva può non esserci rimedio: avrete tempo per dispiegare tutta la vostra implacabile severità o il vostro giusto rigore, non è necessario impegnarsi troppo il primo giorno.
Cosa fare dunque per passare il tempo, se quel giorno (com'è molto probabile) i ragazzi non avranno con loro né libri né strumentazione adeguata?
Molti rimediano facendo fare ai ragazzi una presentazione a voce. La cosa ha i suoi pro e i suoi contro, e va saputa gestire: soprattutto, ha senso se avete una buona memoria di quel tipo che permette di ingoiare la mole di informazioni e assimilarla prontamente, ricordandosi poi a chi attribuire quel che è stato detto. Purtroppo, se non gli date una traccia precisa su cui muoversi, può capitare che queste presentazioni si assomiglino un po' tutte e non dicano niente di interessante. Quel che funziona bene in un corso tra adulti di, poniamo, otto persone, che hanno età, stato civile, numero di figli e di animali, storia personale e lavorativa assai varie tra loro non è detto che dia gli stessi risultati in una classe di coetanei, che talvolta vengono tutti dalla stessa scuola, escono ancora caldi dall'abbraccio della famiglia e esperienza lavorativa ne hanno ben poca (sì, sto parlando delle elementari e delle medie) - e insomma, animali d'affezione a parte si rischia di ritrovarsi ventitré presentazioni ventitré fatte con lo stampino.
Tuttavia anche così, e anche se sono intimiditi e tendono a ripetere tutti le stesse cose, qualche informazione si può raccattare e magari potete chiedere cosa pensano della vostra materia, cosa guardano alla televisione, che musica ascoltano, cosa leggono, cosa fanno nel tempo libero e simili. Si possono anche chiedere informazioni all'apparenza innocue, come ad esempio il loro colore o animale preferito, cosa sarebbero se fossero un mobile o un cibo, che lavoro gli piacerebbe fare o un'infinità di altre cose più o meno compromettenti.
Molti insegnanti fanno fare agli alunni un cartello col loro nome, che nei primi giorni di scuola è una pratica decisamente sensata, e qualcuno glielo fa integrare con qualche altra informazione. Alcuni gli chiedono di presentarsi con un piccolo disegno (hanno tutti qualche pennarello nell'astuccio). Altri li fanno chiacchierare o li mettono a scrivere, e a volte ci sono le cosiddette Prove d'Ingresso che hanno pur sempre il loro perché nei primissimi giorni di scuola - e se l'istituto dove insegnate non le ha preparate, niente al mondo impedisce che le prepariate voi, a vostro gusto personale.
Insomma il Primo Giorno di Scuola è una terra franca dove la routine non vi sostiene, ma le regole le fate voi, anche senza proclamarlo a gran voce. Non preoccupatevi più di tanto dell'impressione che voi fate ai vostri alunni - avranno tutto il tempo, ed è un processo che è in mano a loro e voi non potete gestirlo più di tanto. Preoccupatevi invece dell'impressione che loro fanno a voi e raccogliete un po' di informazioni, giusto per sapere di che morte andrete a morire.
Perché dopo il primo giorno di scuola arriva il secondo, e dal secondo si fa lezione a modo vostro e dovrete capire come vi conviene impostarla. Voi siete lì per lavorare, e per programmare il vostro lavoro in modo funzionale sin dall'inizio vi servono informazioni sul materiale umano che avete tra le mani. Loro invece sono lì perché ce li hanno mandati (e parecchi sono anche piuttosto interessati) e lì dovranno stare per tutto l'anno scolastico: per farsi una opinione su di voi hanno un sacco di tempo e non è necessario impressionarli subito - o convincerli subito che siete una carogna o un imbecille, ma se si mettono subito a lavorare hanno meno tempo per pensare a voi tra uno sbadiglio e l'altro.
Dedico questo post a tutti i miei colleghi, giovani e vecchi e in mezzo al cammino di lor vita; e anche a me, che domani ritorno in cattedra dopo un intero, involontario anno sabbatico e per me sarà di nuovo come la prima volta, perché quest'anno ho staccato davvero.
Ma se volete leggere qualcosa di meglio sull'argomento, qui c'è un bellissimo post di Milady, un tempo eccellente blogger e ora emigrata su Facebook, e una suggestiva descrizione dell'incanto dell'insegnamento di una insegnante delle elementari ripresa da Mel sul suo bel blog.
Buon anno scolastico a tutti, con la solita, consueta immagine rituale che svela il vero stato d'animo di tutti noi (e anche di tutti loro!)
*storico, posso anche fornire la fonte.
** nei Legami pericolosi di Laclois, che non è esattamente un testo di didattica
venerdì 13 settembre 2019
Vento in scatola - Marco Malvaldi e Glay Ghammouri
Per noi toscani Malvaldi è una sorta di gloria locale e la gran parte delle persone che conosco che ha una qualche prossimità con la lettura lo legge e lo compra con gran diletto - come del resto faccio anch'io, che pure tendo a scansare il più possibile gli scrittori italiani contemporanei, specie se maschi. Lo fanno anche molti non-toscani, certo, ma per noi Malvaldi ha il piacere aggiunto di una specie di rimpatriata - perché è così, esattissimamente così, che noi toscani parliamo, smoccoliamo, siamo e viviamo, nel bene come nel male, e nelle conversazioni dei suoi personaggi c'è sempre qualcosa di filologico, come l'impressione di un registratore lasciato aperto e poi sbobinato per mandare avanti la storia.
I suoi romanzi più famosi sono quelli della serie del Bar Lume, consigliatissimi agli amanti del giallo classico che possono ritrovarci una variante al maschile di Miss Marple, qui suddivisa in quattro terribili vecchietti quattro. Le trame gialle, devo ammettere, non sono proprio imperdibili, ma le indagini sono decisamente gustose - anche perché a tirare le fila dei quattro terribili vecchietti c'è un quinto uomo che è anche lui un personaggio notevole; diciamo uno di quei casi in cui, dietro a un grand'uomo o meglio a quattro, c'è un altro uomo.
Alle vicende del Bar Lume Malvaldi, proprio come Camilleri, ha affiancato una produzione un po' più seriosa e di solito storica, che si lascia comunque leggere molto volentieri.
Di lui ho letto quasi tutto - non proprio tutto perché i due anni passati nel limbo ospedaliero mi han fatto perdere qualcosa, che naturalmente recupererò quanto prima. Questo romanzo che vado a presentare comunque è l'ultimo uscito dalle sue prolifiche mani, e me lo sono visto scodellato su un piatto d'argento all'ultima Mostra del Libro della scuola, dove c'è sempre un angolino degli adulti dove spesso bazzicano anche i ragazzi con un certo interesse.
Non è ambientato al Bar Lume ma in un carcere; ed è un giallo anche se per molto tempo non ce ne accorgiamo. L'investigatore, naturalmente, è un detenuto. Extracomunitario, come si usa dire oggi. No, non il solito sfigato senza permesso di soggiorno beccato per piccola criminalità, ma un tunisino laureato in economia e finanza che si è fatto beccare con mezzo chilo di cocaina al seguito - e con mezzo chilo di cocaina non si può certo parlare di piccolo spaccio o di modica quantità per uso personale.
Per molto tempo comunque non lo conosciamo come investigatore ma come un detenuto che si è trovato incastrato da... vabbeh, non è il caso di anticipare tutta la questione, tanto la storia scorre bene ed è chiara.
Il lato più interessante del romanzo stavolta non è costituito dalle chiacchiere di paese di quattro indomabili vecchietti, ma dalle chiacchiere di carcere di un folto gruppo di detenuti. Il carcere qui rappresentato è un tipico carcere italiano, non uno di quei carceri modello che sono i fiori all'occhiello del sistema carcerario italiano, e nemmeno uno di quelli impresentabili (che in Italia abbondano, e infatti abbiamo una gran quantità di sanzioni da parte dell'Unione Europea a riguardo, come so in quanto fida ascoltatrice di Radio Radicale e della sua giustamente celebre rubrica "Radio Carcere"); anche così, comunque, non si tratta di un carcere che segue tutte le regole stabilite dalle leggi e sia i detenuti che il personale di guardia hanno davvero parecchio di cui lamentarsi sul suo funzionamento, come andiamo scoprendo nel corso della lettura.
Il carcere è un mondo a sé e attraverso lo snodarsi della vicenda ne scopriamo le stranezze e le assai numerose assurdità, oltre al sadismo di fondo che non sempre è dettato da comprensibili esigenze di sicurezza. Ed è qui che interviene il secondo autore del romanzo, Glay Ghammouri, di cui viene detto fumosamente nei risvolti di copertina che è un ex militare tunisino dalla carriera stroncata per motivi politici e attualmente detenuto per un grave delitto non meglio specificato. Spigolando qua e là sono venuta a sapere che Malvaldi lo ha conosciuto in occasione di un corso di scrittura creativa da lui tenuto in carcere. A lui dobbiamo la perfetta e minuziosa descrizione di questo universo parallelo conosciuto nei suoi particolari solo da chi, appunto, vive in carcere diciamo non per sua scelta e dai pochi e intrepidi gruppi di volontari che di carcerati appunto si occupano e con loro parlano cercando di difendere i loro diritti. Il romanzo dunque, oltre a costituire una gradevolissima lettura, serve anche a conoscere uno spaccato abbastanza sconosciuto del nostro multiforme e complesso paese e ha quindi anche una valenza istruttiva.
Con questo post di alto contenuto didattico partecipo all'ultimo Venerdì del Libro prima dell'inizio dell'anno scolastico (almeno qui in Toscana, perché corre voce che in altre regioni abbiano già cominciato) - curato come sempre da Homemademamma e auguro liete e libere letture a chiunque passi di qua.
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