e possano le vostre zucche illuminare anche le tenebre più fonde
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giovedì 31 ottobre 2013
mercoledì 30 ottobre 2013
No Woman No Drive
Ci sono libertà modeste, banali, per le quali non si scende in piazza perché sono date talmente per scontate che nemmeno i politici più oltranzisti pensano a metterle in dubbio.
Nei paesi occidentali le donne hanno sempre guidato. Magari non votavano, ma il diritto a guidare un'automobile non è stato mai messo in dubbio come questione di principio - purché le aspiranti guidatrici disponessero dei soldi per comprare l'auto, certo, o di qualcuno disposto a pagarla per loro. Si guida, o si può guidare, e a nessuna, credo, è mai venuto in mente di considerarlo una gran prova di emancipazione.
In Arabia Saudita invece qualcuno ha stabilito che, in base ai sacri precetti del profeta Maometto, le donne non potevano guidare; e siam d'accordo che Maometto era un profeta (o meglio IL profeta per eccellenza, secondo i musulmani) ma è sbalorditivo pensare che profetizzasse così lontano da legiferare su qualcosa che doveva fare le sue prime, timide apparizioni più di mille anni dopo la sua morte.
Le donne saudite stanno combattendo la loro battaglia per il volante, con pazienza e una più che comprensibile irritazione. Alcuni uomini hanno deciso di contribuire alla loro battaglia con una perfida e divertentissima cover di No Woman No Cry di Bob Marley, molto valida anche sul piano musicale.
Un contributo semplice ma di classe.
Reazioni incomposte al solo pensiero che POSSANO in qualche modo comparire in scena i Promessi Sposi
in verità, certe mappe concettuali somigliano un po' a giochi enigmistici per i più piccoli...
Riunione con i genitori della Seconda d'Ogni Grazia Adorna. Atmosfera distesa, tono da chiacchierata informale.
"Ho preferito non prendere l'antologia quest'anno, perché sforerebbe il tetto ministeriale per la spesa dei libri. Pensavo invece di prendere un libro di narrativa, se siete d'accordo*. L'anno scorso lo Hobbit è stato abbastanza apprezzato dai ragazzi, mi sembra...
"Anche da noi!" intervengono alcuni.
"Oh?" sorrido, gongolando in cuor mio come un pavone davanti allo specchio.
Mi confermano che gli è piaciuto molto.
"Visto che nelle antologie di seconda ci sono sempre delle sezioni dedicate a storie di fantasmi e simili avevo pensato alla raccolta di Dahl sulle storie di fantasmi..."
Mormorii di assenso al nome di Dahl.
"Sono quattordici racconti, ed è uscita l'edizione economica, che viene nove euro... tra l'altro è un libro piuttosto diffuso, non è necessario comprarlo, si trova anche in biblioteca..."
Altri mormorii di assenso.
"Beh, fino a nove euro direi che ci arriviamo tutti senza problemi" sorride qualcuno.
"L'anno prossimo, purtroppo, sarà tutto meno allegro... Sapete, il programma di Terza è quel che è..."
Altri mormorii di assenso, più cupi.
"Eh, certo..." sospira qualcuno.
"Eh, i Promessi Sposi..." sospira qualcun altro.
Alzate di spalle rassegnate, sguardi del tipo "Così è la vita, che ci possiamo fare?".
"No, non i Promessi Sposi... In effetti mi riferivo al programma di storia, sapete, le guerre mondiali, i campi di sterminio... pensavo di prendere qualcosa su quello..." mormoro timidamente.
Sguardi sollevati (giuro), sorrisi comprensivi "Ah sì, certo, i campi di sterminio...".
Sono rimasta un po' scossa. Ho notato anch'io che i Promessi Sposi alle medie non sono particolarmente apprezzati dall'utenza, e sono d'accordo che prima delle superiori non andrebbero fatti se non a piccoli pezzettini**, ma addirittura trovarlo una prospettiva più drammatica di un libro sulla shoah...
*essendo una spesa in più, mi sento in dovere di chiedere l'autorizzazione. Anzi, credo di essere obbligata a farlo.
** ma dopo questa scena sto seriamente meditando di astenermi anche dai piccoli pezzettini che ogni tanto propongo, tipo il passaggio dei soldati o il duello di Lodovico...
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mercoledì 23 ottobre 2013
Quando provo a fare la Brava Insegnante
Quello che nel registro personale chiamo forbitamente "Esercizio di scrittura" è nato come toppa ai tempi delle supplenze brevi.
La classe è irrequieta, hanno appena litigato, hai già fatto due ore di storia e ti sembra che attaccare il predicativo del soggetto non sia un'idea vincente, è la sesta ora, Matematica ha riportato i compiti e sono stati un disastro, hai appena finito di farli impazzire col predicativo del soggetto e sai che dopo li aspettano le intricatissime guerre di religione in Francia? Basta metterli a scrivere e si calmeranno, si rilasseranno e smetteranno di insultarsi. Quasi sempre.
L'ispirazione per la traccia si trova nell'aria, basta allungare le mani. "Oggi voglio parlare male di..." è un vecchio classico per classi imbufalite - libertà assoluta di scelta dell'argomento, esclusi gli insegnanti di Lettere presenti e passati, e divieto assoluto di usare parolacce, più garanzia assoluta di riservatezza. "Sei un drago e stai dormendo sul tuo mucchio di monete d'oro. Improvvisamente senti un rumore..."; "Confronto in dieci punti tra il/la tuo/a compagno/a di banco e un orso polare" (molto buono per le prime); "101 motivi per non fare i compiti" (con un bonus nella valutazione per le scuse più originali); "La fontana di cioccolato della mia scuola"; "Piove, sono stufo/a dei verbi irregolari e vorrei tanto essere invece a...".
Di solito urlo la traccia, per farmi sentire nel casino generale, spiego che sono a disposizione per qualsiasi dubbio lessicale, ortografico e sintattico, indico con la mano il dizionario che possono usare in alternativa a me e spiego che possono sviluppare la traccia come gli pare ma non voglio sentire domande del tipo "Posso metterci uno zombie vegetariano?" oppure "Posso essere un gatto nero a righe rosse?" perché per quel tipo di domande "la risposta è dentro di loro" e non posso certo indovinarla io.
Dopo qualche minuto di iniziale sconcerto (soprattutto le primissime volte) e un bel po' di brusio la classe si cheta e comincia a scrivere. Tempo un'ora, non di più, e se resta incompleto pazienza, ma dovrebbero programmare qualcosa da scrivere in un'ora (che spesso è diventata quaranta minuti scarsi tra un'interruzione e l'altra).
Di solito vengono fuori dei testi piuttosto interessanti, e siccome sono scritti in fretta e spesso nemmeno riletti c'è anche una bella visione a tutto tondo degli errori ortografici più consueti su cui fare lezioni supplementari (così mi dico. Ma quasi sempre sono gli stessi identici errori che mi fanno nei temi, il che a volte mi lascia incerta sull'utilità di dargli tre ore per il tema e su tutta la trafila brutta copia - bella copia - rilettura).
Visto che la Seconda d'Ogni Grazia Adorna è, appunto, adorna di ogni grazia e pregio possibile, nonché molto virtuosa quando lavora, mi sono detta un bel mattino che forse avrei potuto, una volta nella vita, provare a fare un lavoro di preparazione della traccia. Va detto che ci avevo già provato, una volta, con una classe di Approfondimento, senza grossi risultati - ma era, oggettivamente, una classe da latte alle ginocchia e non aveva scritto né meglio né peggio del solito). Però, certo, con la Seconda d'Ogni Grazia Adorna...
Scenario: il bosco. O la foresta. "Che differenza c'era tra un bosco e una foresta?" è stata la prima domanda. Beh, di solito un bosco si poteva anche chiamare foresta, se era grandotto, ma una foresta poteva essere anche tropicale, sì, quella con i ragni giganti e le liane e quegli alberi con le foglie enormi. Quella non si poteva chiamare "bosco", ma non era certo più povera di suggestioni o di potenziali prodigi.
Foglio da dividere in quattro parti: flora, fauna, agenti atmosferici, possibili incontri - perché, si capisce, c'erano anche i boschi delle fiabe e delle leggende. E per due ore siamo andati avanti in un profluvio di alberi, piante, quando nel bosco piove, quando c'è nebbia, se è notte, se trovi l'unicorno o l'eremita o lo zombie: "Si possono trovare zombie nei boschi, prof?". "Beh, non vedo perché no" ho concluso dopo breve riflessione (io non amo molto gli zombie, ma qua quest'anno vanno di gran moda. E allora vada per gli zombie). Larici, mirtilli, alberi di Natale, cerbiatti, lepri, zanzare, api, stagni e laghetti, radure e sentieri....
Aggiungo che St. Mary Mead è in una zona dove abbondano boschetti e vicino c'è pure la celebre foresta di una celebre abbazia, dove tutti vanno abbastanza di frequente a fare escursioni e merende all'aperto; e che l'anno scorso, leggendo Lo Hobbit abbiamo attraversato un bosco assai magico, ovvero Bosco Atro. Insomma, il terreno mi pareva assai dissodato.
Due giorni dopo hanno scritto, e poi io ho corretto.
E non ho trovato quasi traccia di boschi. Le storie si svolgevano nei boschi, ma, con un'unica eccezione un po' diabetica di un unicorna che pasteggiava a mirtilli e fragoline e si fidanzava, non c'era quasi nulla di boscoso - non dico una descrizione del paesaggio ramoso, ma qualcosa che indicasse che la vicenda si svolgeva in un luogo alberato invece che nella 52a Avenue, ecco. Il bosco stava lì, come un fondale, non faceva nulla di nulla e ben presto se ne usciva per andare da altre parti. E le storie non erano nemmeno 'sto granché.
Due settimane dopo, gran parte di loro non aveva portato il libro di storia per un fraintendimento. Non c'era nemmeno un libro per banco.
Si scusano e accetto le scuse perché, nelle quattro settimane di orario provvisorio, ho cambiato idea almeno due volte al giorno su cosa portare l'indomani e alla fine era più che normale che perfino loro fossero andati in tilt.
"OK, carta e penna" sospiro. Sono del tutto priva di ispirazione, mencia, giù di corda e fuori c'è una nebbia umida che innamora. Abbiamo in sospeso un testo da ambientare in un giardino ben coltivato, ma quel giorno proprio non mi sembra cosa. Una traccia, una traccia, un'idea per una traccia...
Stavolta la risposta non è dentro di me bensì intorno a me: "Scrivi un testo a tuo piacere che contenga molte precipitazioni atmosferiche: pioggia, nebbia, grandine, neve, tempeste ecc.".
Han fatto delle storie magnifiche. Soprattutto, piene di pioggia, grandine e neve che intervenivano nell'azione e la determinavano. Ci si sguazzava e si sciava, in quei testi. Protagonisti inzuppati, protagonisti congelati, nebbia ovunque.
Credo proprio che continuerò col vecchio sistema di buttargli la traccia addosso.
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venerdì 18 ottobre 2013
Ellis Peters - Le indagini di fratello Cadfael
Nel 1977 Ellis Peters (che non si chiamava affatto Ellis Peters) scelse questo pseudonimo quando avviò la serie dei romanzi di fratello Cadfael. Ne scrisse 20, più una magra raccolta di tre racconti. A tagliare il nastro fu il romanzo che da noi è intitolato La bara d'argento (in inglese sarebbe invece Un gusto perverso per le ossa e tratta di quella che nel medioevo era una vera fissazione, ovvero la caccia e la traslazione delle sante reliquie, affrontata da molti religiosi con mirabile sprezzo del ridicolo e del buon senso). Nel 1994 la serie si chiuse con La penitenza di fratello Cadfael.
In Italia le indagini di fratello Cadfael cominciarono ad essere pubblicate solo negli anni 90, probabilmente sulla scorta del successo del film Il nome della rosa, dove l'investigatore è un frate francescano - e per molti anni tutte le copertine hanno disegnato un Cadfael in perfetta versione francescana, con mia somma indignazione.
Si tratta invece di un monaco benedettino, anche perché all'epoca di frate Cadfael l'ordine francescano era ancora ben di là da venire. Ma andiamo per ordine.
Siamo in Inghilterra, negli anni della guerra civile che nel XII secolo contrappose per quasi vent'anni re Stefano e l'imperatrice Matilde. Per anni i rivali si batterono scorazzando in lungo e in largo per l'Inghilterra, con gran danno per la medesima ma senza riuscire a prevalere davvero uno sull'altro.
In una zona relativamente tranquilla, ma non certo immune da danni, vicino ai confini del Galles, sorge l'abbazia benedettina di Shrewsbury. Lì Cadfael ha pronunciato i voti monastici restando però frate (ovvero senza diventare sacerdote) dopo una variegata e tumultuosa esistenza da uomo d'armi che lo ha visto anche partecipare alla prima crociata. All'epoca dei romanzi, che si snodano nell'arco di circa sette anni, è intorno alla sessantina, felicemente monacato ormai da più di quindici anni; è l'abile erborista del monastero e prepara medicine per l'infermeria e l'ospedale dell'abbazia oltre a curare tutti coloro che vengono in cerca di aiuto. Su autorizzazione dell'abate fa anche visite a domicilio nel villaggio o nella città vicini.
Conosce dunque le erbe e i loro poteri curativi (ma anche i veleni, perché ogni medicina è anche un po' un veleno) e sul campo di battaglia ha imparato parecchio sulle ferite da freccia, da spada e da pugnale, oltre a molte nozioni di anatomia. Conosce anche il viver del mondo, fuori e dentro i monasteri. Inoltre è abituato a interrogarsi sul perché delle cose e si interessa all'umanità. Sì, insomma, è curioso. Infine ha un fedele alleato nello sceriffo della contea, cui è legato da salda amicizia e che lo aiuta (o gli chiede aiuto) nei casi più spinosi.
Durante il medioevo l'Inghilterra era una zona piuttosto prospera ma tranquillamente provinciale - il centro del mondo era altrove. I monaci dell'abbazia di Shrewsbury non sono i monaci perennemente sull'orlo di una crisi di nervi e nell'occhio del ciclone del Nome della Rosa, né i monaci avidi e insoddisfatti e del Decameron*. Serenamente adagiati nel loro angolo di periferia, lontano dai tumulti dottrinali e filosofici che infiammano e infiammeranno ancora a lungo Italia e Francia (e dei quali in un romanzo arriva l'eco lontana) la loro unica preoccupazione è barcamenarsi tra quei due grandissimi impiastri di Stefano e Matilde cercando di limitare il danno per sé e per chi hanno intorno, soprattutto i poveri. Sono monaci paciosi e laboriosi, un po' pettegoli, talvolta timidi davanti al mondo esterno se hanno passato la loro vita nell'abbazia, spesso saggi e prudenti, qualche volta preda di tempeste strettamente personali ma sempre molto preoccupati del buon nome del monastero.
I venti romanzi e i tre racconti inanellano misteri nella maggior parte strettamente medievali, la cui soluzione è legata agli intrighi della guerra civile, alla convivenza di leggi inglesi e gallesi e ai loro vari sistemi ereditari. Gli indizi vengono però elencati in modo chiaro ed esauriente e le spiegazioni sono sempre limpide. La suspense ci perde un po', in compenso il lettore non è mai disturbato da violenze gratuite o sfoggi di sangue e budella fini a sé stessi, nemmeno quando il colpevole viene infine scoperto: comprensione e decenza gli garantiscono sempre una fine rispettabile, talvolta anche la possibilità di rifarsi una vita: il dio di frate Cadfael e dello sceriffo Hugh (e dei due abati che si succedono nel corso degli anni) è misericordioso e garantista, oltre che giusto, e la vendetta non è tenuta in gran considerazione nel loro universo mentale. Abbondano anche le giovani coppie: quasi ogni romanzo ne unisce una, talvolta anche due. Enigmi, misteri e processi speziano la narrazione, ma non sono gli unici ingredienti su cui punta l'autrice: il vero fascino di queste storie è dato dal senso dello scorrere della vita quotidiana e dal piacere di ammirare le più tipiche situazioni medievali, letterarie e no: traslazioni di reliquie, pellegrinaggi, convegni diplomatici, assedi, fiere**, improvvise comparse di santi eremiti, parroci troppo rigorosi, signori feudali troppo arroganti***, novizi imprudenti, fanciulle in fuga, amori proibiti, monaci tormentati da colpe lontane, furti di cavalli, lettere da consegnare ad ogni costo, sacerdoti legittimamente sposati con prole****, figli illegittimi che convivono felicemente con i legittimi, falsi monaci e monaci travestiti da borghesi, candele e processioni, monasteri devastati, monasteri attaccati ma difesi con successo da abili monache e indomite badesse, cadaveri bloccati dentro blocchi di ghiaccio, visioni mistiche... e anche un miracolo. Che viene descritto, ma non spiegato (perché i miracoli non si spiegano, si vivono).
Non sono libri molto lunghi: un singolo romanzo riempie un fine settimana con qualche impegno o un raffreddore.
Consigliato alle anime sensibili che non amano le storie violente, e alle anime curiose che amano i romanzi storici ma non credono troppo ai Cattivi Veramente Cattivi. Anche a chi ama il medioevo, si capisce. Dai dodici anni in su.
Con questo post riapprodo felicemente ai Venerdì del Libro di Homemademamma - e prometto che la prossima settimana mi occuperò seriamente di Pinterest, relazioni scolastiche permettendo.
*che vivono comunque in un assai più inquieto XIV secolo
**da intendersi come "mercati stagionali", non come bestie feroci
***ma i più sono,ovviamente, bravissime persone e ottimi padri di famiglia
****anche loro, si capisce, spesso buoni padri di famiglia
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mercoledì 16 ottobre 2013
Scagliò il dardo contro Medea: un muto stupore le prese l'anima
Gli Argonauti a bordo della nave Argo (vaso attico a figure rosse, 420-390 a.C.)
Apollonio Rodio è entrato nella mia vita in modo piuttosto casuale: anzi, se in prima liceo non avessimo tradotto una buona metà del quarto libro dell'Eneide, dove La Penna cita e ricita nel commento le sue Argonautiche, e se non avessi studiato quel commento con infinita dedizione, è probabile che eventuali e vaghi accenni sarebbero scivolati via dalla mia pur tenace memoria senza lasciar traccia. Nella massiccia antologia di epica che mi allietò durante gli anni delle medie* di Apollonio Rodio non c'era menzione, al ginnasio sospetto che la prof. De Divinis non ce l'abbia citato nemmeno di striscio.
Qualche anno fa però incrociai una traduzione BUR con testo a fronte e me ne impossessai prontamente.
In generale nessuno si spertica a cantare gran lodi delle Argonautiche, salvo ammettere che il terzo libro, dove Medea si innamora di Giasone, non è venuto niente male. Io me le lessi tutte, con grande dedizione e pazienza, rischiando seriamente di addormentarmi in più di un punto - d'altra parte l'epica è così, molto spesso - ma, in effetti, con l'arrivo di Medea, le cose migliorarono decisamente, anche se era chiaro che l'autore si ricordava un po' troppo della Medea di Euripide, dimenticandosi forse che né Medea né Giasone né alcuno degli argonauti all'epoca la aveva letta, che il passar degli anni cambia i caratteri e i sentimenti e che molti degli amori che finiscono da schifo a suo tempo erano iniziati con rutilanti fuochi d'artificio, e non da una parte soltanto.
Alcune scene mi erano però sembrate piuttosto spendibili, caso mai avessi trovato la classe adatta, e avevo attaccato un paio di segnalibri mentali al libro.
Quest'anno l'idea mi è tornata in mente: avendo passato gran tempo l'anno scorso tra goblin, draghi e anelli del potere, la Prima d'Ogni Grazia Adorna era rimasta molto indietro col programma di epica** e insomma aveva attaccato l'Odissea solo quando si era ormai trasformata in Seconda. Visto che l'epica nion era sembrata spiacergli ho quindi deciso di tentare, non fosse che per la soddisfazione di farne l'unica classe di scuola media del regno al corrente dell'esistenza di Apollonio Rodio e delle Argonautiche.
Al contrario di Omero, che si apprezza di più a grandi dosi visto che i suoi episodi sono piuttosto lunghi, Apollonio Rodio, da bravo poeta ellenistico, sta sempre a ricamare piccoli quadretti che si staccano con grande facilità dal quadro d'insieme. Così ho scelto il passaggio delle Simplegadi - un brano che a suo tempo riuscì a scuotermi improvvisamente da un gran sopore che mi avvolgeva tutta - con un taglio quasi cinematografico; poi, visto che la classe è in pieno passaggio adolescenziale, ho scelto anche il brano dove Afrodite manda il figlio Eros a scagliare la freccia contro Medea promettendogli una magica palla d'oro, e il lancio della freccia con relativi effetti su Medea: un po' di letteratura d'amore sarebbe stata senz'altro gradita, soprattutto tra le fanciulle, e potevo profittarne per un accenno sulle convenzioni letterarie legate all'amore che variano a seconda del tempo (mentre è forse possibile che l'amore in sé col passare dei secoli non sia granché mutato). Insomma, ci sarebbero stati diversi ami da agganciare.
Riletti i brani e constatato che non presentavano grosse difficoltà anche senza commento ho lavorato di fotocopiatrice e scodellato infine i frutti della mia ponderata riflessione alla classe. Unica variante rispetto alla solita routine: la prima lettura ad alta voce l'avrei fatta io, per permettergli di seguire meglio il significato del testo.
Il passaggio delle Simplegadi è scivolato via piuttosto bene, e la classe l'ha accolto con quel silenzio un po' assorto che di solito è segno di un certo coinvolgimento.
Quando è entrato in scena Eros mi sono un po' dilungata a richiamar loro alla mente tutte quelle statue e dipinti di amorini paffuti e vestiti solo di una fascia casualmente gettata di traverso (o non vestiti affatto) che tuttora popolano tante immagini anche modernissime. E tutto andava bene finché non è arrivato il lancio della freccia, che il traduttore, immagino per ragioni metriche, definisce "apportatrice di pene", ma se avesse trovato un'altra parola per me sarebbe stato tutto più comodo.
Quando è entrato in scena Eros mi sono un po' dilungata a richiamar loro alla mente tutte quelle statue e dipinti di amorini paffuti e vestiti solo di una fascia casualmente gettata di traverso (o non vestiti affatto) che tuttora popolano tante immagini anche modernissime. E tutto andava bene finché non è arrivato il lancio della freccia, che il traduttore, immagino per ragioni metriche, definisce "apportatrice di pene", ma se avesse trovato un'altra parola per me sarebbe stato tutto più comodo.
Soltanto quando la classe, dopo alquanto sgranare d'occhi, è esplosa in epiche risate inframmezzate da assai numerosi commenti mi sono accorta con orrore dello scoglio insidioso, che non avevo minimamente notato né alla prima né alla seconda lettura: ai miei occhi adulti e letterati una freccia apportatrice di pene è del tutto equivalente a una freccia portatrice di affanni, dolori o traversie - e invero, se il traduttore avesse parlato di una freccia portatrice di affanni la cosa sarebbe filata del tutto liscia, ma ormai la terribile parola "pene" era stata pronunciata, ed eravamo pure alla quinta ora.
In un lampo mi sovviene della mia seconda media, quando il verso di Leopardi "pene tu spargi a larga mano" elettrizzò l'intera classe - anche se cercammo, forse invano, di non far troppo notare la nostra reazione.***
In un lampo mi sovviene della mia seconda media, quando il verso di Leopardi "pene tu spargi a larga mano" elettrizzò l'intera classe - anche se cercammo, forse invano, di non far troppo notare la nostra reazione.***
Uscita fuor di controllo, la Seconda d'Ogni Grazia Adorna non riesce a rispondere alla mia ripetuta domanda "Signori, perché la freccia è chiamata portatrice di pene, ovvero di affanni, di dolori, di dispiaceri?". Anche i più bravi sembrano del tutto incapaci di venirne a capo. Solo quando rivelo ciò che non avevo pensato di dover svelare dando per scontato che tutti lo sapessero****, ovvero che "pene" va inteso come plurale di "pena", l'Onesto Iago riesce infine ad operare il collegamento: "Perché l'amore può portare anche sofferenza".
Davanti a questa nuova prospettiva con cui interpretare il verso la classe improvvisamente si calma - e questo è stato senza dubbio il momento più sorprendente per me.
Zitti, tranquilli, attenti - qualcuna annuisce ogni tanto - ascoltano il seguito: la freccia che entra silenziosa, il dolore dolcissimo, la fiamma che arde nascosta, la filatrice che attizza il fuoco con i fuscelli facendolo divampare, le guance ora pallide ora rosse. Si sciroppano perfino il mio discorsetto sulle convenzioni letterarie legate alla descrizione dell'amore.
Poi eseguono la lettura dei brani - una bella lettura chiara e ben fatta, e la temutissima parola suscita solo una lieve increspatura nella voce di chi legge.
Poi eseguono la lettura dei brani - una bella lettura chiara e ben fatta, e la temutissima parola suscita solo una lieve increspatura nella voce di chi legge.
Quando suona la campana, la classe esce decorosamente, sì come suole.
Il nostro è invero un mestiere affascinante e sempre ricco di sorprese.
*"Dal mito alla storia", volume a dimensioni decisamente elefantiache. Molto bello, tra l'altro.
**Non faccio letteratura, ma epica la faccio sempre con gran cura, in base al principio che ai ragazzi piace.
***A torto o a ragione, il testo sull'antologia era una versione monca, che si fermava proprio prima della tirata filosofica "Sì dolce, sì gradita" evitando con ciò la pericolosissima parola "pene". Tale parola entrò in scena solo perché uno di noi, in un attacco di esibizionismo e del tutto volontariamente, se l'era imparata a memoria in versione completa. Venne naturalmente chiamato a recitarla, e la recitò. In versione completa. Insomma, l'insegnante non aveva minimamente peccato di imprudenza né mancato di buon senso, era stato un incidente inevitabile.
****Che è di gran lunga l'errore più frequente, insegnando. In questo caso credo che la parola "pena" la conoscessero tutti, soltanto che in quel momento erano incapaci di rapportarla in qualche modo alla parola "pene", in quel momento per loro esclusivamente sostantivo maschile e singolare. Una specie di corto circuito, ecco.
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lunedì 14 ottobre 2013
Come gli hobbit della Contea, anche noi non abbiamo un governo
L'anno in cui arrivai a St. Mary Mead ebbi chiara la percezione di una dirigenza, presente anche se non invasiva.
L'anno successivo cotal dirigenza (ovvero il Vecchio Preside) meno presente e più invasiva, mi lasciò a tratti perplessa, ma anche allora mi rendevo conto che in giro si trovava ben di peggio. Adesso, nella mia memoria, la paragono all'età dell'oro, quando nei fiumi scorrevano latte e miele e pecore e lupi giacevano fianco a fianco in buona armonia, condividendo corroboranti dormite.
Da allora si sono succeduti il Nuovo Preside, un anno di reggenza e la Nostra Preside e il nostro piccolo plesso di paese giace in uno stato di abbandono sempre più visibile.
I verbali dei consigli dell'anno scorso non sono stati controfirmati dalla Preside. I registri personali dell'anno scorso hanno stazionato in un'alta pila fino a tutto Settembre senza che la Preside li abbia degnati di uno sguardo. Ignoro che strada abbiano preso da allora: se stiano a prendere polvere nella soffitta della nostra scuola, oppure in qualche angolo della Segreteria della sede centrale, oppure se siano stati indirizzati senz'altro alla raccolta differenziata della carta. Tenderei però a escludere che qualcuno li abbia esaminati e vidimati.
Le ultime Comunicazioni Alle Famiglie, da restituire firmate, portano scritto sul tagliando che la famiglia dichiara di essere stata informata... dello sciopero del 12 Ottobre del 2012. Tali comunicazioni riguarderebbero però, rispettivamente: l'elezione dei rappresentanti dei genitori e l'orario del ricevimento degli insegnanti. Nella segreteria però si sono incredibilmente affezionati a quell'avviso di sciopero di più di un anno fa e continuano a far firmare ai genitori dichiarazione che l'hanno ricevuto - ormai i poveretti hanno ammesso almeno una quindicina di volte di averlo ricevuto, ma la Segreteria continua a fotocopiare lo stesso modulino e a metterlo in calce ai più vari tipi di comunicazione. E' una segreteria molto, molto ostinata - e anche un tantino cialtrona, viene da pensare.
Da più di un anno facciamo parte di un Istituto Comprensivo che fa del suo meglio per dimenticarsi di noi - e sì che la sede centrale si trova a pochi metri in linea d'aria, che diventano circa 80 quando passiamo dalla nostra porta principale alla loro senza prendere la scorciatoia.
Oggi c'erano i primi Consigli di Classe. Il primo punto dell'ordine del giorno era la compilazione dei moduli Q1 e Q2* da consegnare ai genitori. Piccolo ma non del tutto insignificante dettaglio: i moduli Q1 e Q2 sono stati aboliti due anni fa dal Collegio dei Docenti, a votazione pressoché unanime. Ma il loro nome continua ad essere nominato (invano) nell'ordine del giorno del primo Consiglio di Classe (che un tempo era il secondo, spostato verso i primi di Novembre), anzi è l'unico punto dell'ordine del giorno suddetto.
"Non ci sono nemmeno le Varie ed Eventuali?"
"No, ma possiamo sempre aggiungerle. Anzi, sarà meglio farlo, se vogliamo parlare di qualcosa".
In compenso non avevamo né Preside né VicePreside a dirigere i consigli, e nemmeno un'indicazione su chi doveva scrivere il verbale.
"Vabbé, non questa non è una gran tragedia, il verbale lo scriverò io" dico.
"Non puoi. Chi dirige il Consiglio non può scrivere il verbale".
"Quella è una regola che si sono cavati dalla testa due anni fa, quando eravamo col Preside Reggente e facevamo parte di un altro istituto. Ma se non ci mandano a dire niente siamo liberi di regolarci come meglio crediamo. Se qualcuno vuole e brama scrivere il verbale non lo ostacolerò, ma in assenza di volontari lo scriverò io, e mi impegno anche a farlo senza lamentarmi" proclamo fieramente.
Di fatto, in molte scuole dove ho lavorato il Coordinatore era anche tenuto a scrivere tutti i verbali di tutti i Consigli. Ne ho scritti tanti, di verbali, e la cosa non mi ha ucciso né debilitato gravemente; non voglio pretendere di divertirmi o godere in soverchio modo a scrivere verbali, ma non lo trovo nemmeno un compito dei più massacranti. A St. Mary Mead (quasi) tutti invece trovano pesantissimo scrivere un verbale, rifuggono quanto possono dallo scrivere verbali, ma si oppongono risolutamente alla possibilità che il coordinatore scriva il verbale. C'è però il problema che il verbale non ha ancora imparato a scriversi da solo - e onestamente non so come potrebbe averlo fatto, visto che nessuno ha nemmeno tentato di insegnarglielo.
"Come fanno a Crifosso**?" si informa qualcuno.
"A Crifosso il VicePreside ha preparato una tabella per ogni Consiglio di Classe con l'indicazione di chi deve scrivere il verbale".
Così qualcuno si precipita a telefonare alla dirigenza, che promette di mandare al più presto una tabella con l'indicazione di chi dovrà scrivere i verbali, e questa tabella terrà conto anche di chi si è sottoposto all'immane fatica nella giornata di oggi. Nel frattempo la supplente di Tecnologia dichiara timidamente di essere disponibile a scrivere il verbale, e tale onore le viene graziosamente concesso.
Il primo Consiglio dell'anno può finalmente cominciare.
In mancanza di Q1 e Q2 parliamo di alunni, programmazioni, progetti e uscite - anche perché tra dieci giorni ci saranno le riunioni con i genitori, e qualcosa dovremo pur dirgli, stante che sui Q1 e Q2 non ci sarà molto da discutere.
I consigli si snodano e vengono verbalizzati serenamente. Vengono decise una proposta di sospensione e una lettera particolarmente minacciosa - e direi che nel complesso, pur nella totale assenza di dirigenti, ce la caviamo assai onorevolmente.
In effetti questi anni di anarchia e autoregolamentazione non hanno intaccato minimamente la nostra fibra: docenti e custodi sono puntuali, solerti e operosi esattamente come prima, le scartoffie vengono compilate con decorosa puntualità e tutti si lamentano di tutto esattamente come prima, né più né meno, tanto che capita di domandarsi quale effettiva funzione abbia un Dirigente Scolastico, a parte quella di opporsi regolarmente alle pur rarissime proposte di sospensione e di scaraventarci addosso i più vari progetti con circa dieci minuti di preavviso - visto che in fondo le uniche due vere gatte da pelare di questi anni, ovvero Cristaccecami e la Cleptomane, sono state pelate da noi (con un piccolo ma risolutivo intervento da parte del Reggente per la Cleptomane).
*una variante dei pagellini
**Crifosso è l'altro plesso di scuole medie del nostro Istituto Comprensivo
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domenica 13 ottobre 2013
Un computer senza password è infelice come un povero pesce senza la sua bicicletta!
Pesci e biciclette: un rapporto non sempre tra i più scontati
Come ho già scritto un'infinità di volte, il prof. Jorge è un vero appassionato di password, tanto da indurmi a sospettare che solo la lauta prospettiva di inserirne qua e là qualcuna di nuova lo spinga ad occuparsi ogni tanto dei non moltissimi computer di cui dispone la scuola di St. Mary Mead.
Dette password non vengono mai concordate con il possibile utente dei computer in questione, ma semplicemente ideate da Jorge in base ad un suo personale e piuttosto perverso criterio basato per lo più su anagrammi, parole scritte alla rovescia e simili. Il malcapitato di turno che desidera utilizzare per motivi del tutto legittimi uno dei computer della scuola si ritrova così ad armeggiare sulla tastiera consultando foglietti volanti o smoccolando perché il foglietto volante è appunto volato via, o sparito in qualche recesso del cassetto o della borsa; allora, per risparmiare cotanto impiccio aicolleghi che verranno dopo di lui finisce per scrivere l'intricata password su un pezzo di scotch che appiccica ai lati del computer o sotto la tastiera. E capita spesso che qualcuno che deve scrivere o stampare qualcosa e ha i minuti contati perché deve entrare in classe o al Consiglio o alla riunione, davanti alla temutissima schermata "Inserire password" chieda a gran voce "Qual è la password?" e che altrettanto a gran voce qualcuno, dall'altro capo della stanza, gli risponda o si offra di andare a chiedere, entrando nella stanza vicina e chiedendo a gran voce "qual è la password?" eccetera eccetera.
Come inevitabile conseguenza le password dei vari computer sono conosciute da tutti e da nessuno, e di solito l'unico che al momento non la conosce è proprio lo sventurato che, di fretta ma per scopi più che leciti, deve servirsi in modo del tutto occasionale di un determinato computer.
In queste condizioni i più penalizzati naturalmente sono i supplenti e i nuovi arrivati.
Il fine dichiarato di cotanto rutilare di password sarebbe, secondo Jorge, quello di impedire che gli alunni possano intromettersi nei computer. Ora, anche tralasciando l'insignificante dettaglio che di solito gli alunni non hanno alcuna propensione ad impicciarsi degli scialbi documenti dei loro insegnanti, c'è da considerare che costoro sono quelli che passano più tempo nella scuola e che quindi inevitabilmente finiscono per impararne tutti i segreti, spesso senza nemmeno sforzarsi più di tanto. La fermezza della classe docente nell'ignorare questa elementare constatazione è sempre stata per me motivo di sincero stupore.
Di fatto sono proprio gli alunni che di solito cavano d'impaccio l'insegnante nuovo arrivato che, poniamo, porta la classe nel laboratorio informatico per fargli vedere un video.
"La password dovrebbe essere 'Mozart' ma scritto all'incontrario" - suggerisce uno.
"No, quella era l'anno scorso, adesso l'ha cambiata" interviene un altro.
"Ah sì, è vero... aspetta, mi pare che abbia invertito le parti... Prof, provi con 'zomtra'"
"Sì, è 'zomtra', adesso me lo ricordo" conferma un terzo.
Risulta infatti che la parola magica è proprio "zomtra". Perché, se prendete il cognome di Mozart, lo spezzate in due parti (MOZ e ART) e leggete ognuna di queste due parti alla rovescia otterrete "zomtra", oltre ad un accenno di mal di testa. E se poi capovolgete la tastiera scoprirete che qualche collega caritatevole l'aveva appunto segnata sul solito pezzo di scotch, con pennarello indelebile.
Le uniche classi che non sono di aiuto in questi casi sono le prime durante il primo mese di frequenza; ma anche loro imparano in fretta.
E veniamo al computer della biblioteca. All'inizio c'era una password per entrare nel database della schedatura libri. Personalmente l'avevo trovato un po' eccessivo, perché (a parte l'insignificante dettaglio che non risulta che nessuno degli allievi abbia mai cercato di alterare un computer della scuola*) per entrare nella stanza della biblioteca ci vuole la chiave e gli alunni ci vanno solo al seguito di un insegnante. Qualche volta le classi vanno lì dentro a vedere un film ma, appunto, in quelle occasioni guardano il film, o chiacchierano tra loro, ma non degnano della minima attenzione il computer presente lì dentro - senza contare che la postazione consueta dell'insegnante è proprio accanto al tavolino del computer, e che quel computer non si accende affatto in silenzio e la tastiera è tra le più rumorose che abbia incrociato in venticinque anni di onesta frequentazione informatica. Ma, soprattutto: cosa gliene frega ai ragazzi di andare a guardare l'elenco dei volumi schedati per la biblioteca, in particolare quando quei volumi sono gli stessi che popolano gli scaffali intorno a loro? Caso mai, se proprio, sfoglieranno i libri, al limite.
Adesso però Jorge ha messo di nuovo le mani su quel computer, per cambiare il sistema operativo con una versione più recente onde consentirci di fare il backup periodico dei dati senza scomodare l'intero corpo docenti dell'Istituto Comprensivo. Il risultato è che adesso in biblioteca abbiamo un computer che contiene ben due password, una per entrare nel sistema operativo e una per entrare nella banca dati.
Dunque abbiamo due password per proteggere (non si sa da chi) un elenco di ben quattrocento volumi che prima o poi andrà pur reso pubblico, se vogliamo aprire il prestito in quell'accidente di biblioteca.
Due password per quattrocento volumi. Cosa dovrebbero fare al Pentagono proprio non so.
*con l'unica eccezione di Cristaccecami, che però tendeva a smontarli in modo violento, e dunque nemmeno lì le password servivano a qualcosa
Dette password non vengono mai concordate con il possibile utente dei computer in questione, ma semplicemente ideate da Jorge in base ad un suo personale e piuttosto perverso criterio basato per lo più su anagrammi, parole scritte alla rovescia e simili. Il malcapitato di turno che desidera utilizzare per motivi del tutto legittimi uno dei computer della scuola si ritrova così ad armeggiare sulla tastiera consultando foglietti volanti o smoccolando perché il foglietto volante è appunto volato via, o sparito in qualche recesso del cassetto o della borsa; allora, per risparmiare cotanto impiccio aicolleghi che verranno dopo di lui finisce per scrivere l'intricata password su un pezzo di scotch che appiccica ai lati del computer o sotto la tastiera. E capita spesso che qualcuno che deve scrivere o stampare qualcosa e ha i minuti contati perché deve entrare in classe o al Consiglio o alla riunione, davanti alla temutissima schermata "Inserire password" chieda a gran voce "Qual è la password?" e che altrettanto a gran voce qualcuno, dall'altro capo della stanza, gli risponda o si offra di andare a chiedere, entrando nella stanza vicina e chiedendo a gran voce "qual è la password?" eccetera eccetera.
Come inevitabile conseguenza le password dei vari computer sono conosciute da tutti e da nessuno, e di solito l'unico che al momento non la conosce è proprio lo sventurato che, di fretta ma per scopi più che leciti, deve servirsi in modo del tutto occasionale di un determinato computer.
In queste condizioni i più penalizzati naturalmente sono i supplenti e i nuovi arrivati.
Il fine dichiarato di cotanto rutilare di password sarebbe, secondo Jorge, quello di impedire che gli alunni possano intromettersi nei computer. Ora, anche tralasciando l'insignificante dettaglio che di solito gli alunni non hanno alcuna propensione ad impicciarsi degli scialbi documenti dei loro insegnanti, c'è da considerare che costoro sono quelli che passano più tempo nella scuola e che quindi inevitabilmente finiscono per impararne tutti i segreti, spesso senza nemmeno sforzarsi più di tanto. La fermezza della classe docente nell'ignorare questa elementare constatazione è sempre stata per me motivo di sincero stupore.
Di fatto sono proprio gli alunni che di solito cavano d'impaccio l'insegnante nuovo arrivato che, poniamo, porta la classe nel laboratorio informatico per fargli vedere un video.
"La password dovrebbe essere 'Mozart' ma scritto all'incontrario" - suggerisce uno.
"No, quella era l'anno scorso, adesso l'ha cambiata" interviene un altro.
"Ah sì, è vero... aspetta, mi pare che abbia invertito le parti... Prof, provi con 'zomtra'"
"Sì, è 'zomtra', adesso me lo ricordo" conferma un terzo.
Risulta infatti che la parola magica è proprio "zomtra". Perché, se prendete il cognome di Mozart, lo spezzate in due parti (MOZ e ART) e leggete ognuna di queste due parti alla rovescia otterrete "zomtra", oltre ad un accenno di mal di testa. E se poi capovolgete la tastiera scoprirete che qualche collega caritatevole l'aveva appunto segnata sul solito pezzo di scotch, con pennarello indelebile.
Le uniche classi che non sono di aiuto in questi casi sono le prime durante il primo mese di frequenza; ma anche loro imparano in fretta.
E veniamo al computer della biblioteca. All'inizio c'era una password per entrare nel database della schedatura libri. Personalmente l'avevo trovato un po' eccessivo, perché (a parte l'insignificante dettaglio che non risulta che nessuno degli allievi abbia mai cercato di alterare un computer della scuola*) per entrare nella stanza della biblioteca ci vuole la chiave e gli alunni ci vanno solo al seguito di un insegnante. Qualche volta le classi vanno lì dentro a vedere un film ma, appunto, in quelle occasioni guardano il film, o chiacchierano tra loro, ma non degnano della minima attenzione il computer presente lì dentro - senza contare che la postazione consueta dell'insegnante è proprio accanto al tavolino del computer, e che quel computer non si accende affatto in silenzio e la tastiera è tra le più rumorose che abbia incrociato in venticinque anni di onesta frequentazione informatica. Ma, soprattutto: cosa gliene frega ai ragazzi di andare a guardare l'elenco dei volumi schedati per la biblioteca, in particolare quando quei volumi sono gli stessi che popolano gli scaffali intorno a loro? Caso mai, se proprio, sfoglieranno i libri, al limite.
Adesso però Jorge ha messo di nuovo le mani su quel computer, per cambiare il sistema operativo con una versione più recente onde consentirci di fare il backup periodico dei dati senza scomodare l'intero corpo docenti dell'Istituto Comprensivo. Il risultato è che adesso in biblioteca abbiamo un computer che contiene ben due password, una per entrare nel sistema operativo e una per entrare nella banca dati.
Dunque abbiamo due password per proteggere (non si sa da chi) un elenco di ben quattrocento volumi che prima o poi andrà pur reso pubblico, se vogliamo aprire il prestito in quell'accidente di biblioteca.
Due password per quattrocento volumi. Cosa dovrebbero fare al Pentagono proprio non so.
*con l'unica eccezione di Cristaccecami, che però tendeva a smontarli in modo violento, e dunque nemmeno lì le password servivano a qualcosa
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