Il mio blog preferito

domenica 29 novembre 2009

Non tutto quel ch'è oro luccica...




...e non tutti quelli che vagano si sono persi.
La poesia che accompagna il nome di Aragorn ci ricorda di andare al di là dell'apparenza delle cose, per poterle valutare giustamente - senza sopravvalutare ciò che è semplice apparenza, ma riconoscendo il valore al di là di un'apparenza dimessa - un'arte, quest'ultima, che oggi non sembra godere di vasta diffusione.

Ad ogni modo Aragorn sceglie un modo piuttosto stravagante per mostrare la sua lucentezza, anche se Frodo in qualche modo la coglie lo stesso (poi arriva la lettera di Gandalf e risolve tutto).
Sta di fatto che in questa prima parte del libro, gli hobbit fuori della Contea si mostrano decisamente imbranati e solo la presenza continua e costante di un protettore riesce a rimediare i pasticci in cui si ficcano non appena vengono lasciati soli un istante: prima Tom Bombadil, il Signore; poi l'erede di Isildur e futuro re di Gondor e più avanti anche il principe degli elfi Glorfindel.
Ad un certo punto però, sparite tutte le guide e gli aiuti, i quattro hobbit si ritroveranno soli, indifesi... ma in grado di cavarsela da soli.
Si tratta di una razza capace di grande e rapida evoluzione.

venerdì 27 novembre 2009

Fredda la mano ed il cuore e le ossa



La Contea è una sorta di isola di tranquillità in una zona fitta di prodigi dei più vari tipi; e così, dopo essere scampati al Vecchio Uomo Salice e dopo una giornata con Tom Bombadil - che non è proprio il tipo più ordinario che si possa trovare, lui e la sua bella convivente Goldenberry - i quattro hobbit finiscono sui Tumulilande e financo dentro ai Tumulilande, nella tomba di uno spettro pazzo furioso e a un filo (di spada) dall'essere sgozzati tutti quanti nel corso di qualche rito malvagio dalle incompensibili finalità.
Sugli Spettri dei Tumuli non viene spiegato niente, perciò restano la gelida quintessenza del terrore mortale. Tra loro manca il più importante: il re degli stregoni di Angmar (del quale avrei sempre desiderato una biografia più dettagliata) Ora ha cambiato lavoro ed è tornato a comandare i Nazgul. Gli hobbit lo incroceranno ben presto, lungo la Via.

martedì 24 novembre 2009

"Ma la Vecchia Foresta è strana"




Così spiega Merry quando i quattro hobbit si sono appena chiusi il cancello della Contea alle spalle.
Ha senz'altro ragione, come scoprono quasi subito i lettori. Gli alberi si muovono, sussurrano, portano rancore (beh, dopo che li han bruciati mi sembra il minimo), deviano l'incauto viandante e cercano di stregarlo prima e di annegarlo poi. Solo la trionfale entrata in scena di Tom Bombadil impedirà che il viaggio dell'anello si chiuda in gran fretta nelle viscere... pardon, nelle legnose fibre di un vecchio e assai vorace salice (e mi domando cosa avrebbero fatto i Nazgul, in quel caso. Forse la risposta è nel Consiglio di Elrond: alle lunghe anche il Vecchio Uomo Salice avrebbe dovuto cedere l'aurea preda, se non ai Nazgul, almeno al loro Oscuro Signore).

E' il primo degli Strani Boschi del Signore degli Anelli, e va detto che i boschi e le foreste del cattolicissimo Tolkien sono quanto di più magico, pagano e animista si sia mai visto nella letteratura occidentale: al confronto tutte le foreste incantate della Tavola Rotonda e financo la Selva Oscura di Dante possono soltanto scavarsi una buchetta e nascondersi per la vergogna, ammettendo apertamente la loro manifesta inferiorità.

domenica 22 novembre 2009

"No, il signor Baggins è partito"



Prima è una voce sibilante nella notte, che tempesta di domande il Gaffiere, poi un tipo alto (troppo alto) tutto vestito di nero, con cappuccio nero e mantello nero e stivali neri e viso in ombra che cavalca un grande cavallo nero... e annusa. Tutto è luminoso e familiare nella Contea, dove l'autunno più dorato segue una splendida estate; ma le ombre di Mordor sono già arrivate fino a Hobbiton in via Saccoforino, fino nella terra dei Took presso Boscheto.
E con loro la Paura striscia su dalle pagine fino al lettore.
Per fortuna una Micidiale Sfiga gli impedirà di prendere l'anello poco oltre pagina 100, chiudendo così la storia prima ancora che abbia avuto il tempo di cominciare veramente.

17 Novembre 2009 - Festa del Gatto Nero


Con imperdonabile ritardo mi sono ricordata che il 17 Novembre è la festa del Gatto Nero.
Che, se proprio vogliamo dirla tutta, non è necessariamente più bello o intelligente o simpatico del gatto bianco, del gatto champagne o di quello a righe - ma agli occhi di Noi, Amanti Dei Gatti Neri avrà sempre quel certo nonsoché a renderlo più charmant. E poi è vero che sta bene su tutto, in qualsiasi appartamento o giardino e su qualsiasi trapunta o cuscino o divano o tappeto.
Dunque auguri per tutti i gatti neri - e anche per chi sa onorarli come meritano. E soprattutto auguri alla bellissima Ninphadora, che ebbi la gran fortuna di trovare sul cancello di casa qualche anno fa. Se gli idioti che l'avevano spersa l'avessero abbandonata trecento metri più a sud, o più a est, mi sarei persa parecchio.
(E, pensate, era il giorno delle Epiche Convocazioni da Supplenza Annuale. Tornare a casa con il consueto mal di testa e ancora senza nomina - ma la certezza di lavorare tutto l'anno, perché si erano fermati poco prima di me - e trovare una bella gattina nera sul muretto che ti guarda con fiducia).

Effetti perniciosi (sugli insegnanti) dei prodotti biologici


Anche a St. Mary Mead naturalmente avevamo le nostre macchinette dispensatrici di cibo e bevande fresche e calde, con tanto di Vecchio Preside che criticava i ragazzi perché sprecavano soldi "in cose che gli facevano male" (in quanto a ipocrisia, il Vecchio Preside trovava difficilmente chi riuscisse a stargli alla pari).
L'insieme era reso particolarmente incongruo dalle seguenti circostanze:
* a meno di cento metri dalla scuola, la Coop di paese offriva bevande gassate, patatine e snack di tutti i tipi a prezzi assai contenuti e in grosse confezioni
* davanti alla scuola, un ottimo bar offriva bevande calde e fredde e un eccellente servizio di pasticceria (particolarmente squisiti i budini di riso e le sfogliatine)
* davanti alla scuola ma cinque metri sulla sinistra una gastronomia di buon livello offriva gustose pizze, focacce e panini ripieni a prezzi rispettabilissimi. Li offriva anche ai ragazzi, e infatti in virtù di una speciale convenzione tutti i giorni verso le dieci arrivava un cesto di panini e focacce ripiene che molti alunni preferivano, giustamente, alle merende confezionate
* la mensa di St. Mary Mead era molto rispettabile: oltre alle insalatine miste e ai carciofi arrosto (amati solo dagli insegnanti, io prendevo regolarmente doppia e tripla porzione) c'erano ottimi primi e dessert, pane fresco e una serie di combinazioni che garantivano a tutti i ragazzi la possibilità di nutrirsi bene e con piacere
* il comune di St. Mary Mead sponsorizzava l'acqua dell'acquedotto, e in verità anche alla mensa c'erano le brocche da riempire alla cannella.

A cosa servissero, in queste circostanze, dei distributori all'interno della scuola non l'ho mai capito. Eppure le macchinette erano affollate, e un po' di colpa ce l'ho anch'io che al Cineforum prima delle Grandi Feste gli facevo portare patatine e pop-corn (senza capire, peraltro, perché non li portassero da casa come facevo io).
Ad ogni modo, nell'estate dell'anno scorso qualcuno deve essersi messo la mano sulla coscienza e aver stabilito una volta per tutte che le multinazionali non dovevano più arricchirsi a spese della salute delle giovani generazioni.
Pensa che ti pensa, arrivò la soluzione: distributori di cibi e bevande biologici (no, non sto scherzando).

All'inizio non feci il minimo caso alla cosa, non avendo mai usato un solo distributore scolastico dopo gli anni delle medie (in cui mi azzuffavo con i compagni per la precedenza per le crostatine e le Fieste), anche se in verità avevo notato che le lamentele perché la macchinetta del caffé in sala professori era guasta/bloccata/senza cialde/senza zucchero/senza palette etc. erano molto aumentate - anche perché erano molto aumentati gli insegnanti che la usavano: pare infatti che il suo caffé fosse all'altezza di quello del bar davanti alla scuola, e qualcuno addirittura sosteneva che fosse migliore.
Rimasi però colpita dai lamenti della mia classe, che deprecavano la qualità degli snack: addirittura, sostenevano che "le patatine erano cattive".
La mia non era una classe di incontentabili - e in tutta la mia vita non avevo mai sentito un adolescente lamentarsi delle patatine "cattive". Così, armata di spiccioli, raggiunsi la macchinetta, e scoprii che adesso distribuiva coca biologica, succo di arancia in cartone, yogurt da bere, succhi di vario genere biologici e spesso anche equi e solidali, oltre a composte di frutta, tortine di farro, snack biologici e simili. Alla fine individuai le "patatine", in realtà sottili sfoglie di mais insaporite con olio e ramerino. Ne presi una confezione.
Come patatine, dovetti convenire, non erano proprio il massimo; prese in sé stesse invece erano molto buone anzi... CHOMP!!
In men che non si dica divorai il pacchetto, e quello bastò per innescarmi una dipendenza in piena regola. Dopo qualche giorno e diversi pacchetti però mi feci un serio esame di coscienza e ripiegai sulle gallette di mais in versione supermercato, che se non altro costavano meno. Nel giro di qualche mese, dopo svariati pacchi di gallette di mais con l'olio, ero praticamente guarita grazie a una terapia a scalare molto graduale. Non ero comunque la sola ad essere caduta nel tranello: intorno a me la dipendenza da gallette di mais e composta di frutta infuriava, soprattutto nei giorni degli organi collegiali, e insegnanti e custodi facevano regolarmente incetta di tutti i biologicissimi prodotti erogati dal distributore, ormai perennemente spoglio di ragazzi. Cessate le risse davanti alle macchinette, cessate le lattine di Fanta rovesciate per terra, restavano solo code di insegnanti e custodi allupati che devolvevano immani cifre all'astuta ditta produttrice (perché gli snack biologici, com'è noto, costano molto più di quelli normali).
Sospetto che alla fine l'incasso per le ditte non sia molto cambiato, e il problema delle file davanti alle macchinette è stato risolto. In effetti, non si è rivelata una scelta fallimentare (se non per le tasche di noi adulti).

sabato 21 novembre 2009

Manuale del Perfetto Insegnante - L'Albero del Bene e del Male


"Di questo cibo avrete caro!" ammonisce una voce dentro l'albero al quale i penitenti colpevoli di gola del Purgatorio dantesco porgono invano le scarne mani consumate dalla fame (sapendo per di più di porgerle invano, e dunque porgendole solo per amore di penitenza), in un'epoca ancora priva dei vantaggi offerti dall'estratto di carne Liebig.
A orecchie moderne la frase ha un doppio significato: infatti al "caro" che vuol dire "carenza" si è affiancato l'attuale significato di "caro", ovvero "di alto prezzo".
Entrambe le interpretazioni descrivono perfettamente il perverso meccanismo che sta alla base delle macchinette distributrici di cibo e bevande all'interno delle scuole, dove sia il cibo che le bevande si distinguono in particolar modo sia per la carenza (quando la macchinetta si inceppa) sia per la carezza (le rare volte che tali macchinette funzionano); tali macchinette inoltre sono regolarmente circondate da una folla di giovani creature che tendono verso di loro le mani come se, in assenza di ciò che le macchinette contengono, non aspettasse loro altra sorte che la morte per inedia.
In un angolo, accigliato, il personale docente e non docente deplora le pessime abitudini alimentari dei ggiovani d'oggi.

Ma andiamo per ordine.

In ogni scuola media di mia conoscenza (con la misteriosa e lodevole eccezione di Hogsmeade) esistono una macchinetta che distribuisce merendine e una che distribuisce bevande fresche e spesso gassate, oltre a un erogatore di bevande calde che di solito (ma non sempre) si trova in sala professori.
La primaria funzione di questi aggeggi è spillare soldi ad insegnanti e alunni in cambio di pochi bocconi di cibo o di pochi sorsi di bevande che al di fuori della scuola costano meno della metà (per "fuori della scuola" si intende qualche metro oltre il cancello della suddetta, visto che la maggior parte delle scuole medie non sono situate in mezzo ad altipiani deserti spazzati dai venti) oltre che far incassare alla scuola un qualche canone dalla ditta che installa le macchinette.
La seconda ma non meno importante funzione di cotali distributori è insegnare agli alunni della scuola i basilari concetti di Divieto, Infrazione e Trasgressione.
Infatti tali macchinette erogatrici sono sempre fatte oggetto di un qualche divieto per gli alunni. Non tutte le scuole arrivano al virtuosismo di piazzare il distributore di cioccolata e caffé nel bel mezzo dell'ingresso della scuola, senza cartello e con il divieto fantasma per i ragazzi di servirsene che diventa esplicito solo dopo un mese e passa che è iniziato l'anno scolastico (lasciando così gli alunni, comprensibilmente, un po' irritati e con la spiacevole quanto veritiera sensazione di essere presi in giro) ma ogni scuola che conosco ha regole stranissime e vagamente bizantine sugli orari in cui i ragazzi possono servirsi di Coca-Cola, KitKat e Kinder Brioss: prima dell'intervallo ma non durante il suddetto, prima dell'inizio delle lezioni, al termine delle lezioni, al cambio delle ore, in tutti i momenti tranne al cambio delle ore, dalle 9,47 alle 10.01 e dalle 12.16 alle 12.32, solo durante l'intervallo, solo durante l'intervallo dopo la mensa... ognuna di queste regole è palesemente dissennata e gli alunni danno l'impressione di vivere solo per infrangerle. Del resto, possono farlo senza pericoli... diciamo per quattordici quindicesimi dell'anno scolastico, violandole apertamente anche in presenza di custodi, insegnanti e genitori che non li degnano di uno sguardo; ma in un gruppetto di giorni disseminati un po' a casaccio durante l'anno scolastico, anche il semplice avvicinarsi all'Albero del Bene e Del Male in un momento che sfori di un solo capellesimo di secondo i Momenti Vietati vuol dire tirarsi addosso orribili ramanzine e perfino note sul diario.
Come può un normale studente resistere alla tentazione del Rischio e del Proibito?
L'insulsa merendina, la lattina di Fanta che può procurarsi a casa o fuori a semplice richiesta, qui può costargli un Pubblico Rimprovero dai professori o un paio di urlacci dai custodi, oppure niente di niente (a parte i soldi), a seconda dei capricci imperscrutabili del destino.
Ovviamente nessuno resiste - nessuno nemmeno ci prova, a resistere, e tutti si affollano rapidi e presti intorno al distributore, godendosi le emozioni della roulette russa senza buona parte degli svantaggi che di solito tale gioco comporta.

Nel frattempo, la stessa Dirigenza che ha fatto installare l'Albero del Bene e del Male prepara circolari che deplorano le risse alle macchinette e il linguaggio alquanto rozzo usato dagli studenti nel caso - frequentissimo - che la macchinetta ingoi i soldi senza volerne sapere né di restituirli né di offrire alcunché in cambio, ed esorta gli insegnanti a preparare lezioni di educazione alimentare in cui venga detto peste e corna delle bevande gassate, degli snack confezionati e delle patatine fritte industriali, criticando nel contempo, insieme ai suddetti insegnanti la sconsiderata tendenza delle giovani generazioni a sprecare soldi per imbottirsi di snack e aggeggi fritti ignorando le buone verdure lesse e la pasta scotta della mensa (beatamente dimentichi, sia la Dirigenza che gli insegnanti, che quando loro facevano le scuole medie, l'unica cosa che gli interessava fare con la verdura lessa era sbatterla nel muro).

venerdì 20 novembre 2009

Una festa a lungo attesa


E stasera, finiti e restituiti tutti i libri che avevo a mezzo, comincia la Grande Rilettura del Signore degli Anelli.
Si parte dalla Contea, dove un memorabile compleanno riempie il paese di chiacchiere...

domenica 15 novembre 2009

Mater imbecillis semper pregna est

Tellus Mater, dall'Ara Pacis Augustae
(beh, a ognuna il suo ordine di grandezza)

Il Ministro dell'Istruzione è incinta. L'evento sembrerebbe di quelli che stanno molto a cuore alle persone più vicino alla diretta interessata (tanto per dirne una, il padre) mentre il resto dell'umanità si crogiola in una beata indifferenza e solo qualche insegnante perfiduccio si lancia in commenti decisamente acidi sul come avrà fatto a farsi impregnare una signora tanto cattolica osservante e tanto family day ma non sposata, oppure ostenta preoccupazione sul risultato di cotal gravidanza, perché si sa che il padre magari è incerto ma la madre è sempre sicura salvo in caso di adozione (sì, il mio commento è stato questo).

I cosiddetti Organi di Informazione invece hanno preso la cosa ben più sul serio, ricordandoci innanzitutto che la Gelmini è il primo ministro nella storia d'Italia che resta incinta durante il suo mandato (che a ben guardare è una notazione interessante che la dice lunga sul numero di ministri donne che abbiamo avuto, nella storia d'Italia, e sulla loro età media); e tuttavia abbiamo avuto un ministro che allattava (la Melandri) e che quindi doveva essere rimasta incinta poco prima del mandato, e pure un Presidente della Camera che è diventato padre durante il suo mandato - ma all'epoca la cosa non colpì nessuno, tanto che venni a conoscenza dell'evento solo grazie a un suo commento sui pannolini prima della pausa estiva.
Dopo aver notato che a modo suo la Maristella aveva stabilito un primato, gli organi di informazione si sono soffermati sul fatto che non intendeva dimettersi per cotal motivo. Sì, perché la prima cosa che la stessa Maristella si è preoccupata di precisare, dopo aver comunicato quella che (almeno per qualcuno) è una bella notizia, è stata per l'appunto che non intendeva dimettersi - dando per scontato che tutti si aspettassero invece il contrario.
E qui mi sorge spontanea la domanda: e perché mai una dovrebbe dimettersi da alcunché se resta incinta? Nei paesi del Grande Nord, dove sono stracolmi di ministresse e presidentesse del consiglio e altoincarichesse varie, costoro si fan la loro vita, riproducendosi se così gli aggrada, e nessuno chiede loro di dimettersi per questo. Forse perché in quegli stravaganti paesi qualcuno è al corrente del fatto che fare il ministro non è come lavorare al nastro della catena di montaggio, e che con l'ausilio di un buon collegamento in rete e di uno staff decente si può amministrare serenamente anche se si partorisce e financo se si decide di allattare? Forse perché lì il parto non è visto come qualcosa di inconciliabile con un lavoro leggermente sofisticato? Forse perché il parto non è visto come qualcosa di insolito in una donna, punto e basta?
Chissà.

Comunque la Maristella resterà al suo posto - senza grande fatica, verrebbe da dire, perché fare il ministro come lo fa lei, firmando qualsiasi carta ti mettano sotto gli occhi e comparendo in pubblico ogni tanto per dire qualche sciocchezza di scarsa o nulla attinenza con la realtà della scuola, mi sembra facilmente conciliabile con qualsiasi altra attività, per quanto impegnativa. Tra l'altro abbiamo avuto anche Presidenti del Consiglio che sparivano a settimane intere per farsi il lifting, senza per questo sognarsi nemmeno lontanamente di dimettersi, anzi senza dare spiegazioni di sorta, nonché ministri di salute decisamente precaria che han tenuto saldamente stretto il dicastero delle Riforme - e dunque sembrerebbe ovvio che un ministro che deve solo partorire resti in carica. Invece c'è chi si preoccupa - c'è sempre chi si preoccupa quando una signora entra in fase riproduttiva, ho scoperto, e viene a spiegarle come dovrebbe fare.
"Signora ministro, auguri. Se lo goda almeno un po', il suo bambino. Tutto, di fronte a lui, può attendere. Non si perda l'inizio di un grande amore" scrive una lettrice accorata dell'Avvenire - dando per scontato che la Maristella, una volta partorito, dirà "levatemi di torno 'sta scocciatura" e abbandonerà la carne della sua carne in qualche Ruota degli Innocenti o - peggio ancora, orrore tra gli orrori - lo affiderà al padre, il quale notoriamente, da Vero Uomo, per il bambino proverà solo fredda indifferenza e non sarà minimamente interessato all'inizio di un grande amore.

Quanto a me, mi auguro sinceramente che ogni bambino nato su questa terra possa d'ora in poi godersi i traumi dell'abbandono e della privazione cui sarà esposto il futuro Maristellino o Maristellina.
Per l'umanità sarebbe decisamente un gran bel progresso.

domenica 8 novembre 2009

Le Regole esistono e vanno rispettate, ovvero la Carica degli Gnu


Gli gnu non migrano a piccoli gruppetti ordinati. No, essi non lo fanno.

Nell'Istituto Comprensivo di Hogsmeade vanno molto di moda i regolamenti. C'è il Regolamento della Scuola e un Regolamento per i singoli plessi, un Regolamento per i coordinatori, uno per i genitori degli alunni e forse uno anche per le mattonelle dell'ingresso; inoltre si insiste sempre molto sulla necessità di rispettare e far rispettare queste regole.
Tuttavia, ogni tanto l'ingranaggio perde colpi.

Prendiamo l'uscita, che per le scuole è sempre un momento piuttosto delicato: secondo i nostri Regolamenti gli alunni devono lasciare ordinatamente la classe e posizionarsi in fila due a due, con davanti quelli che prendono il pullman. Al suono della campana le classi si muovono con ordinata compostezza dietro l'insegnante e si dirigono all'uscita, dove noi insegnanti li congediamo con legittimo sollievo.
Intendiamoci, esistono scuole dove l'uscita avviene  effettivamente in modo ordinato (anche se magari non proprio così tanto ordinato) ma la scuola media di Hogsmeade non è davvero tra queste, oh no. In linea di massima, la nostra Uscita ricorda molto la carica degli gnu del Re Leone di Disney - una scena affascinante, senza dubbio, ma non ho notizia che alcun critico cinematografico l'abbia mai definita "ordinata" o "disciplinata".
D'altra parte gli allievi di Hogsmeade non sono stati forgiati con una lega diversa da quella che forma tutti gli altri ragazzi e sono dunque perfettamente in grado di eseguire un'uscita decorosamente ordinata, né più né meno di qualsiasi altra scolaresca. Personalmente sarei più che disposta a imbarcarmi in un tentativo in tal senso, con la ragionevole speranza di uscirne vincitrice senz'altro aiuto che qualche minuto supplementare da passare in classe a placare gli animi e cardare gli indisciplinati. Anzi, l'ho fatto.
"Prof, perdiamo il pulmino!" si alzava il lamento.
"Non c'è problema, andrete a piedi. Fa bene, camminare a piedi" rispondevo con sereno menefreghismo. Infatti, quando mai si è visto un pulmino della scuola che abbandona i ragazzi per partire senza di loro al grido di "Chi c'è, c'è, e chi non c'è so' cazzi sua"? Prima di approdare a Hogsmeade ho insegnato in quattro diversi comuni della provincia, e gli unici ragazzi appiedati che ho visto all'uscita erano il risultato di fraintendimenti con le famiglie, mai effetto della fretta degli autisti.
A quanto pare, a Hogsmeade le cose stanno diversamente, e dopo aver visto più volte ragazzi sconfortati telefonare all'uscita alle famiglie ho dovuto prendere atto che il problema esisteva.
Ora, se fossi un genitore e la mia prole restasse a piedi e digiuna solo perché all'autista comunale stava fatica aspettare due minuti, dopo il mio passaggio sia la Scuola che il Comune sarebbero ridotti a pochi muri sbocconcellati. Se fossi un DS e i miei allievi venissero lasciati a piedi per pura negligenza, dopo il mio intervento l'autista comunale servirebbe al massimo come hamburger da panini. Ma a Hogsmeade sia i genitori che la Preside sembrano accettare la situazione con sereno fatalismo, tanto che l'unico intervento sulla questione è stato... istituire una campana cinque minuti prima dell'uscita per dar modo a tutti di prepararsi.

Paese che vai, usanze che trovi. Dal canto mio l'Uscita Ordinata con i ragazzi che sfilavano a due a due dietro di me mi sembrava piuttosto ridicola e l'ho accantonata di buon grado. La carica degli gnu non mi entusiasma, anche perché la mia classe deve fare tre rampe piuttosto strette - ma ho rispolverato la mia vecchia abitudine di seguirli anziché precederli, sorvegliandoli dall'alto. Il risultato non è proprio il massimo dell'ordine e tanto meno della disciplina, ma non si presenta nemmeno improponibile.
Insomma, un'uscita come tante.

venerdì 6 novembre 2009

Storia di Calimero


Prendo spunto dal racconto di Cautelosa per ricordare il mio Claudio personale - anzi il mio Calimero personale.

Non era un ragazzino particolarmente piccolo e nessuno ce l'aveva con lui, né compagni né insegnanti: anche lui però viveva la scuola con un senso di assoluta inadeguatezza: in effetti era inadeguato.
Era mortalmente ansioso, per ogni cosa. La classe era un po' vivace ma accogliente, la maggior parte degli insegnanti adattabili e gentili, ma lui era sempre preoccupatissimo di non avere la situazione sotto controllo (anche perché ovviamente non l'aveva).
"Ha subito qualche trauma di recente?" chiesi alla madre "Tipo trovarsi bloccato in una casa in fiamme".
No, mi assicurò la madre. Era ansioso per natura. Molto ansioso.
Studiava tanto, a pomeriggi interi. Lo diceva la mamma (un po' sconsolata. Anche lei "stava rifacendo le medie", in effetti) e dunque ci credevo; e poi aveva sempre i compiti fatti - a volte male, a volte bene. Amici, zero. Gli piaceva (scoprii dai temi) stare alle stazioni, guardare i treni, prenderli. Conosceva tutte le stazioni della zona e tutti i tipi di treni. Altri divertimenti non ci risultavano.
Matematica osservò che se gli si dava tempo veniva a capo delle espressioni, di solito; anche con gli esercizi di grammatica non se la passava male - avevo sempre cura di fargli fare la frase per quinto o sesto, quando ormai il meccanismo era abbastanza chiaro, ma insomma la faceva. Era abbastanza inchiodato a certi errori di ortografia, tipo le H, ma se per questo anche mezza classe.
Nei temi si perdeva, senza speranza. Come primo compito in classe diedi una traccia sul passaggio tra elementari e medie, molto fiera di aver trovato un argomento su cui tutti, ma proprio tutti avrebbero avuto un sacco di cose da dire. Lui mi raccontò di una gita fatta in treno a Firenze con i genitori dove non c'era l'ombra di un riferimento alla scuola.
Per la prima volta in vita mia diedi un Non Sufficiente per "fuori tema": le mie tracce sono scatole talmente larghe che andare fuori tema è praticamente impossibile, e ammetto sempre ogni tipo di interpretazione possibile del titolo - lui però era proprio andato fuori tema; d'altra parte era un lavoro insufficiente, da qualsiasi parte lo guardasse e nonostante tutta la mia ferma intenzione di non scoraggiarlo; almeno, dando la colpa al "fuori tema" evitavo di soffermarmi sul resto, che era abbastanza agghiacciante.
Comunque anche nel secondo e terzo tema mi parlò di gite a Firenze (in treno) con i genitori. In compenso nelle prove di comprensione del testo era un disastro.
Mi guardavo bene dall'interrogarlo a storia e geografia. Gli facevo leggere ogni tanto gli esercizi, che a volte funzionavano e a volte no. Leggeva peggio di certi allievi dislessici, con un tono monocorde che faceva seriamente dubitare della sua appartenenza al genere umano.
Il vero problema però era che non dava segni di miglioramento né nella lettura né in qualsivoglia altro ramo dello scibile.
Non aveva amici ma nemmeno nemici. Aveva rintuzzato senza problemi il paio di tentativi del Teppista di prenderlo in giro - tentativi che, a quel che so, il resto della classe non aveva fatto niente per appoggiare. Gli altri lo prendevano così com'era, qualcuno anche mostrandosi molto amichevole.
Si parlò di certificarlo. Quell'anno, a quanto ci dissero, le certificazioni erano diventate più difficili, ma si poteva tentare. I genitori sospirarono, la madre pianse ma infine accettarono. Per un qualche intralcio burocratico però la cosa finì in nulla. D'altra parte anche noi insegnanti non eravamo convinti al cento per cento: qualche ora di sostegno gli avrebbe fatto certo comodo, ma i vantaggi sarebbero bastati a compensare il dispiacere e l'umiliazione per lui? Perché - e questo era chiaro - era perfettamente consapevole che qualcosa non andava, pur non riuscendo a fare nulla per porvi rimedio. Questo, ovviamente, peggiorava i sensi di colpa striscianti che buona parte di noi sentiva nei suoi confronti - e d'altra parte anche noi insegnanti saremmo stati ben lieti di migliorare la situazione se solo avessimo avuto idea di come farlo.
Discutemmo a lungo se bocciarlo o no. Per tutto l'anno a ogni consiglio si ripeté la stessa discussione:
"Se lo fermiamo si scoraggerà definitivamente e ne concluderà che è inutile impegnarsi, tanto non serve a niente".
"Come facciamo a non fermarlo, visto che non è andato avanti di un centimetro?".
"Appunto, se non è andato avanti è inutile fargli ripetere la prima. Tra l'altro perderebbe i compagni, con cui si trova abbastanza bene".
"Ma che cosa ci facciamo con Calimero l'anno prossimo in seconda? Sarà peggio di un pesce fuor d'acqua".
"Ma è già un pesce fuor d'acqua anche adesso!".
Siccome entrambe le posizioni avevano le loro ragioni, non sapevamo letteralmente che pesci prendere e continuavamo a rimpallarci gli stessi argomenti consiglio dopo consiglio. Calimero era bloccato peggio di un mulo, ma anche noi non scherzavamo.
Finché Matematica ebbe un'ispirazione:
"Noi non sappiamo come saranno le prossime prime. Nella classe dov'è adesso Calimero si è ambientato, magari in un'altra prima si troverebbe male. Se lo fermiamo l'anno prossimo invece sapremo almeno dove andiamo a metterlo".
Appoggiammo tutti il suo punto di vista con sollievo e riconoscenza: era un argomento, qualcosa a cui attaccarsi. E aveva una sua validità. Passammo Calimero in seconda - con qualche perplessità, ma lo passammo.

La storia è a lieto fine; perché, qualsiasi cosa sia successa durante l'estate, l'anno seguente Calimero mise foglie e fiori. Certo, non diventò mai la punta di diamante della classe e il suo inglese agghiacciò sempre ognuna delle tre insegnanti che cambiò, ma nelle altre materie cominciò a migliorare. Smise di fare temi sulle gite in treno a Firenze con i suoi e cominciò a svolgere le tracce assegnate (ricordandosi, per giunta, di mettere le H al posto giusto). Leggeva decorosamente. Alzava la mano per rispondere alle domande. Parlava con i compagni, talvolta ci usciva persino insieme. Addirittura (oh, gioia!) dovevamo riprenderlo perché chiacchierava; ci spingemmo perfino a minacciarlo di una nota sul diario (un paio di volte gliela mettemmo davvero, con grande sollievo della madre). Ci attentammo a interrogarlo, e dopo le prime lezioni ripetute a memoria lo vedemmo perfino, in qualche occasione, seguire un suo personale ragionamento.
Insomma, andava avanti. Con i suoi tempi, a obbiettivi magari un po' ridotti ma andava avanti. Per quanto terrorizzato, ci fece perfino un colloquio decente all'esame.
Lo passammo con grande soddisfazione collettiva. Al nostro consiglio di classe (di cui ero parte integrante) ritengo vada riconosciuto un grande merito, spesso l'unico che un Consiglio di Classe può riconoscersi, malgrado la migliore buona volontà del mondo: quello di non aver peggiorato le cose.
Il resto è nelle mani di forze imperscrutabili - ovvero, dei ragazzi stessi.