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martedì 28 luglio 2020

Haretica - Scuola e soldi: un rapporto perverso (e fortemente in passivo)


Come ho raccontato qualche tempo fa , da quando insegno, non ho mai speso niente, nemmeno il tradizionale centesimo bucato per la scuola. Gli do il mio lavoro, vedano di farselo bastare.
Adesso che ho un contratto dove pago una cifra fissa al mese per le telefonate faccio talvolta qualche telefonata di lavoro da casa (prima le facevo solo col telefono della scuola, e se c'era da aspettare aspettavo). Quel che dovevo stampare o fotocopiare per la scuola lo facevo a scuola, con la stampante della scuola, l'inchiostro della stampante della scuola e la carta della scuola. Qualsiasi spesa esterna mi trovassi a fare perché la scuola non disponeva di attrezzature adeguate era preventivamente autorizzata e immediatamente seguita da richiesta di rimborso; che poi il rimborso arrivava quando arrivava, a volte dopo mesi, ma alla fine arrivava sempre. 
Qualsiasi minima spesa fatta per la scuola avrebbe pesato sul mio cuore come un macigno e mi avrebbe persino causato dei sensi di colpa. Con tanti gatti affamati in giro, con tante belle cose da fare e da comprare, proprio alla scuola dovevo dare dei soldi? Il lavoro si cerca di farlo bene, ma non deve mai e poi mai costituire una fonte di spesa.

È un punto di vista che a me sembra dettato da semplice buon senso, ma che evito di esternare se non ne vengo richiesta perché mi sono accorta che non è affatto condiviso. Al momento di fare una telefonata di lavoro - al comune, ai colleghi, ai rappresentanti, ai genitori, ai centri di assistenza, ai musei per fissare una gita - la gran parte dei miei colleghi tira fuori il suo cellulare e chiama. Se il numero di fotocopie fissato per la classe è finito, l'insegnante va in cartoleria e paga. Se dalle elementari, dove al momento c'è l'unica fotocopiatrice disponibile a colori, per qualche motivo qualcuno della segreteria stabilisce che non dobbiamo fare fotocopie a colori, l'insegnante esce e va a farle per conto suo. Se serve un cartellone l'insegnante compra il cartoncino e spesso porta i pennarelli colorati da casa. Se serve un dizionario, per esempio di latino, l'insegnante porta da casa il suo, perché la scuola paga il corso di latino, ma non il dizionario (soprattutto se non le viene chiesto).
Io invece pesto i piedi, mi intrufolo negli armadi dove so che riposano strane scorte di cancellerie dimenticate negli anni, vado a mendicare senza alcun ritegno alle elementari o in segreteria (dove hanno sempre tutto), circuisco i custodi addetti alle fotocopie insomma ricorro a qualsiasi bassezza tranne mettere mano al borsellino - e questo è il motivo per cui non sono mai riuscita ad ottenere un cavo di collegamento maschio-femmina il cui prezzo credo fosse di pochi euro (probabilmente però se all'epoca la mia salute non fosse stata così precaria a forza di piazzate e di insistenze sarebbe arrivato anche il cavo, o almeno l'autorizzazione a comprarlo di persona in attesa di rimborso).
Insisto. Tormento. Trovo altre strade. Mi intrufolo. Chiamo la Dirigente. Se necessario ci spendo anche del tempo (ma il tempo speso in quel modo non mi sembra perso) e quel che mi serve prima o poi arriva.
Ci riesco perché sono fornita di determinazione, tempo libero e ostinazione, e perché quel che faccio mi sembra giusto. Mai avuto l'ombra di un senso di colpa in proposito.

A questo punto, con un bel triplo salto carpiato abbandono la descrizione del mio personale rapporto con il denaro sul posto di lavoro (che non è poi 'sto granché, come argomento) e passo ad allargare il campo.
La scuola è un servizio gratuito che lo stato fornisce ai suoi cittadini e ai giovani ospiti sul suo territorio, perché tutti i giovinetti che calpestano l'italico suolo han diritto a un po' di istruzione. Siamo un paese ospitale e animato da sani principi, noi. La nostra Costituzione è chiarissima, sull'argomento: i giovani vanno istruiti.
A spese dello stato. E lo stato siamo noi. 
Qualcuno, a quel che sembra, è più stato degli altri.
Andiamo per ordine. Lo stato, grazie alle nostre tasse, paga gli insegnanti, i custodi, gli addetti alle pulizie (che a volte coincidono con i custodi e a volte no, in un pasticcio che non ho mai ben compreso), gli addetti di segreteria. Fornisce anche edifici a ciò preposti, e cura (un pochino) la manutenzione delle scuole superiori. Delle scuole materne, elementari e medie invece si occupano (un po') i comuni. Ancora lo stato dota tutte le scuole pubbliche di modesti e insufficienti  finanziamenti per la cancelleria, i laboratori, le biblioteche, gli strumenti di corredo. Per la primaria paga anche i libri di testo.
La Comunità Europea finanzia determinati progetti.
Per tutto il resto ci sono i genitori. I tanto deprecati genitori, così cattivi, rompiscatole, arroganti e pretenziosi, che pretendono di insegnarci il mestiere e che si lamentano sempre. Loro, sì.
I genitori pagano i libri di testo, a partire dalla scuola media. Quelli della lista da comprare a inizio anno, ma anche un sacco di altri libretti, libriccini e manualetti e libri di lettura che arrivano nel corso dell'anno, o addirittura a fine anno per le vacanze. E poi biglietti di musei e teatri, il noleggio dei pullman per le uscite (per una scuola di provincia come la nostra, i pullman sono sempre la parte più pesante del costo delle uscite didattiche, e ai pullman dobbiamo ricorrere quasi sempre perché i treni sono utilizzabili solo in casi particolarmente fortunati; comunque i genitori pagano pure i biglietti per quelli, anche per gli insegnanti).  Cancelleria e attrezzature varie. Corsi speciali di latino, musica, inglese e quant'altro. Assistenza per dislessici. Visite per certificare alunni con problemi di apprendimento (ché se aspetti le visite dell'ASL, i tempi sono decisamente lunghetti). E tante altre cosarelle che spuntano come funghi ogni giorno per ogni dove. Pagano, pagano e ancora pagano. "Pagherete caro, pagherete tutto" è il loro motto, scritto sul blasone che ricevono all'uscita dall'ospedale con il nuovo arrivato in braccio.
A St. Mary Mead (ma non siamo gli unici) pagano anche un contributo volontario di svariate decine di euro che qualche volta qualche Dirigente ha avuto lo stomaco di sollecitare - una pratica che il men che possa dire è che disapprovo ferocemente.
"Prof, ma il contributo è volontario, vero? Significa che possiamo anche non pagarlo?" "" è invariabilmente la mia risposta, qualsiasi cosa abbia scritto la Dirigenza nella circolare di sollecito (ne abbiamo avute, e arrossisco ancora a ricordarle).
A seconda delle annate, delle mattane del Ministero e delle varie leggi finanziarie questi soldi volontariamente forniti dalle pazienti famiglie servono per l'indispensabile (tipo carta igienica, per intendersi) oppure per qualcosa di meno brutale: computer nuovi, per esempio.
Altro cespite di entrata: i supermercati. Da qualche tempo alcune ditte o marchi assai diffusi (l'anno scorso c'era anche una marca di benzina, per esempio) offrono in certi periodi dei buoni da consegnare alla scuola. Ogni anno si aggiunge un marchio, e ormai l'ingresso di una scuola pullula di teche per la raccolta dei buoni. Poi qualche insegnante paziente li inserisce in apposito sito, scopre a quanti soldi abbiamo diritto e deposita sul tavolo della Sala Insegnanti i cataloghi di quel che possiamo scegliere. I supermercati eccetera offrono cancelleria, lettori di DVD, stampanti, fotocopiatrici, carta e cartoncini colorati ma anche LIM e computer (non sempre di qualità eccelsa, a quanto ho capito). Il loro contributo si rivela sempre molto prezioso. Ma anche quelli, a dirla tutta, sono soldi che vengono dai genitori: se non ci fosse questa iniziativa il supermercato gli offrirebbe punti, sconti, stoviglie, coperte, abbonamenti a teatro o altri tipi di premi. Di fatto, al supermercato importa il giusto della scuola, quel che davvero gli interessa è che il cliente sia soddisfatto e torni da loro il più spesso possibile, e cambia le sue offerte in base all'umore della clientela. Per esempio un tempo andavano di moda i pozzi in Africa.

Lo Stato dunque ha scelto di defilarsi sempre più, lasciando che gli utenti del servizio Scuola si arrangino come possono, anche con l'aiuto del supermercato, se necessario. Che vuoi che sia pagare qualche rotolo di carta igienica, un po' di detersivi, qualche barattolo di pennarelli, un po' di lavagne cancellabili, le carte geografiche, le uscite per il laboratorio sul razzismo o sulla legalità, le visite al museo dell'arte vetraria o all'accademia delle belle arti? Il Buon Genitore deve essere contento di pagare per l'istruzione dei suoi figli, giusto? Altrimenti è uno Schifo di Genitore.
(E quand'anche lo fosse? La scuola pubblica non è nata anche per compensare il divario di chi ci ha degli Schifi di Genitori, o semplicemente dei Genitori Poveri o che sull'orlo della povertà navigano perigliosamente facendo quadrare il bilancio a suon di aggiustamenti? In ogni caso, i giovinetti han diritto a essere istruiti, indipendentemente da quanto schifo possano fare i loro genitori, che comunque non ha scelto da un catalogo, ma gli sono capitati in sorte).

In un commento due post fa la povna scrive sarebbe ora di fare tutti una enorme ammenda collettiva e pensare che sostituendoci a chi quei materiali doveva fornirli non abbiamo fatto un atto di supplenza civica, ma abbiamo avallato la sostituzione individuale per beneficenza di un diritto sociale. E forse ha ragione e forse no.
Può darsi che il problema sia più profondo di così. 
Perché abbiamo accettato di fare quest'atto di supplenza civica invece di andare non dico a Roma con i forconi (con le punte avvelenate) ma almeno dai sindacati per schiarirgli le idee?
Può esserci che c'entri qualcosa il fatto che la scuola è in mano alle donne? 
Non parlo solo di insegnanti (che telefonano al museo etrusco a spese loro) ma anche, appunto, di genitori: perché la maggior parte dei genitori che gestiscono il rapporto con la scuola sono donne.
La gran parte del cosiddetto lavoro di cura in Italia, come in molti paesi, è in mano alle donne, in particolare quella parte che non è retribuita ma senza la quale il bilancio dello stato e la società tutta andrebbe a rotoli in men che non si dica. 
Si tratta di un lavoro non retribuito, che vive nell'ombra e che è fatto spesso di aggiustamenti, arrangiamenti, espedienti, dove il motto predominante è "intanto risolviamo il problema presente in qualche modo, mettendoci una toppa, dopo penseremo a trovare un rimedio più stabile"; ma quando arriva il "dopo" ci sono altri settecentoventotto problemi minuti di cui occuparsi subito e che non possono aspettare che tu stia ancora a rimuginare sul primo, che bene o male con la toppa che ci hai messo per il momento è stato aggiustato.
Per i genitori la scuola è solo una parte dell'esistenza. Per le insegnanti, anche. Dopo c'è da pensare a tutta la minutaglia che forma il tessuto della vita, perché nessuna di noi ha una moglie che pensi a tutto l'insieme di piccole incombenze che la vita quotidiana ci impone.
La carta igienica, il cartoncino per il tabellone, le fotocopie a colori servono adesso, ma c'è ancora tutto il resto da fare. Paghi la carta igienica, poi telefoni all'idraulico perché il rubinetto perde (adesso), dopo vai a fare i moduli dell'ISEE (adesso) e a cercare il regalo per il nonno Attilio (adesso) e a prendere la figlia in palestra (subito) e a portare il cane a fare il vaccino (prima che il veterinario chiuda). Si mette la toppa e si spera che per il momento basti.
Per il momento infatti basta, ma tra due settimane la carta igienica servirà di nuovo. E di nuovo andrò pagata. E ci sarà un nuovo cartoncino da comprare per farci un tabellone sulla struttura dell'inferno in Dante o sulla mappa dei sentimenti (da distinguersi dalle emozioni). E via e via, fino alla fine dell'anno.

Non ho soluzioni da offrire se non 
1) dismettere, tutte, ogni lavoro di cura non retribuito (tranne quello di cura dei gatti, naturalmente) e lasciare che il mondo si arrangi. Forse il mondo si arrangerò e forse no, ma ci sarebbe molto più tempo libero per tante di noi
e
2) andare a Roma con i forconi (dopo averne avvelenato per bene le punte), profittando del tempo libero in più di cui disponiamo, al grido non di "banchi rotanti!" bensì di "Alabarda spaziale!"
ma soprattutto
3) evitare di sentirsi in colpa anche per l'effetto serra - perché non sempre la colpa delle porcate altrui è nostra "perché glielo permettiamo".

lunedì 27 luglio 2020

Banchi rotanti! (il Vero Ministro non teme il ridicolo)


Nell'intervista da me citata nel post precedente la nostra ministra aveva accennato al nuovo e portentoso rimedio da lei studiato per dare agli studenti una scuola più bella e innovativa: dei nuovi banchi. Pochi giorni dopo si è anche presentata in televisione a mostrarli al grande pubblico, e su questi poveri banchi si è scatenato l'inferno. E qualcuno ha anche rievocato il buon Goldrake, che ha rallegrato l'infanzia e l'adolescenza di tanti di noi: banchi con le rotelle, banchi rotanti... alabarda spaziale... pioggia di fuoco...
Giustamente perché, come ci ricorda la celebre canzone di Vince Tempera Goldrake era un ottimo studente, mangiava libri di cibernetica e insalata di matematica (prima di andare a giocare su Marte)

Quando però ho visto la foto dei banchi in questione a me, più che Goldrake, è venuto in mente un altro ricordo della mia giovinezza: L'autoscontro.
E il mio primissimo pensiero non è stato di indinniazione, di deprecazione o altro, ma la gran preoccupazione non tanto di impedire alle classi di giocare all'autoscontro con banchi rotellati, e nemmeno di trovare un modo per impedirglielo (ad impossibilia nemo tenetur) ma di riuscire a tenermi ferma e a non mettermici a giocare con loro - cosa che, seriamente, dispero di riuscire a fare.

Si suppone, in base alle sagge argomentazioni presentate dalla povna nei commenti al post precedente nonché al buon senso che da qualche parte esiste anche nell'italica dirigenza (anche se, certo, talvolta è un po' nascosto), che quei banchi nelle aule non ci entreranno mai e che la storia morirà ben prima di cominciare dopo aver allietato per qualche giorno la rete. E tuttavia una domanda mi perplime.
Senza dubbio è vero che la scuola necessita di tante cose, e che scuole più belle, più innovative e dotate di suppellettili che coniughino bellezza, eleganza e funzionalità sarebbero assai gradite dall'utenza. Ma in questo momento quel che l'utenza richiede a gran voce è, prima di tutto, una scuola sicura sul piano sanitario
Forse qualcuno si è dimenticato di avvisare di questo la ministra - che tuttavia, vista l'aria che tira, avrebbe anche potuto arrivarci da sola anche senza suggerimenti. I banchi, bene o male ci sono. I disinfettanti, i tamponi e i misuratori di temperatura no, e tuttavia sarebbe assai opportuno procurarcene un po' in queste settimane prima della riapertura dell'anno scolastico.

Una volta passata questa tempesta, certo, si può pensare anche a banchi e sedie.
Per esempio:

lunedì 20 luglio 2020

I Tuttologi dell'Estate - La supercazzola scorre potente in questa ministra

È mia personale opinione che l'attuale Ministra dell'Istruzione non si segnali per capacità organizzativa.
E ciò mi irrita. Molto.

In teoria molto teorica, una Ministra dell'Istruzione che parla di scuola non andrebbe annoverata tra i Tuttologi bensì tra gli Addetti ai Lavori. L'attuale ministra Azzolina però, pur avendo effettivamente lavorato nella scuola in qualità di insegnante mostra un evidente disinteresse a gestire la scuola italiana nel suo complesso, anche se è sempre disponibile a descrivere la scuola come dovrebbe essere, la scuola del futuro, la scuola com'è nel Multiverso eccetera - e dunque rientra a tutti gli effetti nella vasta categoria dei Tuttologi, come dimostra l'intervista che vado adesso a spulciare.
Detta intervista, datata 17 Luglio 2020, è presa dal sito dell'Huffington Post ed è stata gestita da Fabio Luppino, giornalista di lungo corso che non vanta particolari competenze sul comparto scolastico ma che non ha mostrato veruna tendenza ad atteggiarsi a Tuttologo. È una intervista molto soft, senza nessun tentativo di mettere la ministra all'angolo - vuoi per cavalleria, vuoi per scelta editoriale, vuoi perché tanto basta lasciarla parlare, e commentare sarebbe come portare acqua al mare, vuoi per una infinità di altri motivi tutti rispettabili.
In compenso il tasso di supercazzola esibito dalla ministra è davvero notevole.
Andiamo a cominciare.

Al momento, e secondo le disposizioni attuali, qualcuno ha calcolato che la superficie delle aule è inferiore a quella richiesta per un rientro a scuola in sicurezza. In risposta all'accusa di  mettere un milione di bambini fuori dalla scuola a settembre (col solito amore per i numeri vaghi che accomuna la politica di tanti partiti al giorno d'oggi. Ma guarda te, proprio un milione. Immagino si ritenga che l'elettore medio fatichi a comprendere una cifra meno rotonda, sia pure approssimata al migliaio, come potrebbe essere 863.000 o 1.080.000); la ministra risponde che chi dice questo probabilmente non ama né i musei, né i teatri, né i cinema che per lei invece rappresentano luoghi di cultura. Quindi, portare gli studenti anche lì, al di là dell'aula scolastica, è un modo per avvicinare tantissimi ragazzi, anche con poche possibilità economiche, nei luoghi dove si fa cultura.
Nel suo genere è una risposta fantastica, tanto che non si sa nemmeno bene da che parte cominciare per commentarla - anche perché non è una risposta ma un perfetto esempio di gnégnégné dove invece di rispondere si spara in modo del tutto gratuito su chi ha posto una questione; e quand'anche la persona in questione fosse effettivamente un troglodita nemico di cinema, teatri e musei, che accidente c'entra? È stato segnalato un problema, e questo problema non sparirà nel nulla solo perché chi l'ha segnalato è un essere incolto, becero e magari tifa pure per la squadra sbagliata. 
Abbiamo troppi alunni rispetto ai metri quadri calpestabili necessari, vogliamo parlarne?
Evidentemente no. Meglio esaltare la potenza salvifica di cinema, teatri e musei; peccato che la funzione culturale di queste nobili strutture non c'entri una beneamata minchia col problema posto.
È verissimo che nei cinema e nei teatri (che non di rado possono sovrapporsi tra loro, e infatti molti cinema sono nati dal riadattamento di teatri e molti teatri ospitano all'occorrenza proiezioni cinematografiche) si fa cultura, proiettando film, rappresentando spettacoli e, a volte, ospitando dibattiti e conferenze; molte volte infatti si sono viste ampie scolaresche allietare con la loro bella e fresca presenza tali luoghi di cultura, ivi recandosi per vedere film, guardare spettacoli o partecipare a dibattiti, cerimonie e congressi e talvolta anche a proporre film, spettacoli e interventi da loro preparati. Sono belle esperienze, spesso assai fruttuose sul piano didattico e che di solito lasciano bei ricordi in chi ci partecipa, allievo o insegnante che sia; e certo aiutano anche gli alunni provenienti da contesti culturalmente non troppo fertili a familiarizzarsi con questi ambienti  - e già che ci sono aggiungo pure che le poltroncine di cotali locali quasi sempre si rivelano ben più comode delle sedie che usualmente si adoperano a scuola. 
Ma questi ambienti, per quanto ci si possa far cultura, non sono stati progettati per farci scuola, senza contare che possono ospitare solo una classe per volta, non è che puoi mettere la 2A a destra a fare scienze e la 2B a sinistra a fare inglese; oppure puoi anche mettercele, ma è probabile che sul piano didattico non se ne ricavi un granché.
Un po' diverso mi sembra il discorso dei musei, dove è assai utile portare le scolaresche per acculturarle su temi particolari, ma che non sono certo nati per ospitare classi a tempi lunghi per farci lezione e hanno il sistema di riscaldamento e di illuminazione studiato in funzione non già di una scolaresca ospite fissa, bensì della visibilità del materiale esposto e di una sua adeguata preservazione: tasso di umidità dell'aria, temperature delle lampade puntate sulle bacheche... percorsi di sicurezza in caso di incendio...
L'ha mai visto un museo, la ministra? Lo sa come funziona?
Voglio sperare che sì, ma qualche dubbio viene.
La supercazzola però va al di là di questo, perché dove sta scritto che gli alunni rimasti fuori dalla scuola siano necessariamente poveri e disagiati culturalmente? Una superficie è una superficie, un numero è un numero. Se la scuola X si trova settanta alunni di troppo per la metratura di cui dispone non vuol dire che ci sono tre classi di troppo, ma che alcune (o tutte le) classi hanno ognuna l'eccedenza di un gruppetto di alunni. Come scegliamo quelli da mandare al museo, col sorteggio? Guardiamo l'ISEE o il titolo di studio delle famiglie per mandare a teatro i ragazzi di famiglia meno abbiente o meno acculturata? Facciamo un questionario alle famiglie per sapere quanta dimestichezza hanno con musei, cinema e teatri per avvicinare a questi ambienti gli alunni meno usi a frequentarne?
Tutte domande senza risposta. Ma non sta a noi comuni cittadini preoccuparci, perché al ministero stiamo lavorando dalla mattina alla sera per riportare tutti a scuola a settembre - cosa che, quand'anche fosse vera, è motivo di forte inquietudine per tanti di noi.

Con garbo, l'intervistatore si informa su una questione di cui il paese comincia a mormorare, ovvero il fatto che le classi in entrata, formate quest'anno in piena pandemia, sono affollate come quelle degli anni precedenti: Le scuole hanno già costituito le classi, secondo la legge vigente, la Gelmini, che obbliga a non scendere sotto i 27 alunni, in tempo di Covid un vero problema. Lei ha detto ai sindacati che si può derogare. Già da quest'anno? si informa l'intervistatore.
Ovviamente la risposta esatta è "No": le classi quest'anno sono state giù formate e i pazienti genitori stan già acquistando i libri di testo che serviranno ai loro figli. Le classi ci sono e così come sono ormai ce le dobbiamo tenere. E anche se fa sinceramente piacere, (perché è cosa buona e giusta che le parti sociali dialoghino tra loro) che la ministra abbia detto ai sindacati, che di formazione classi non si sono mai occupati a memoria d'uomo, che dai numeri della legge si può derogare, è un vero peccato che non le sia venuto in mente di parlarne anche con i provveditorati due o tre mesi fa, perché per quest'anno le classi saranno non numerose quanto gli anni scorsi, bensì più numerose, come ci informa una persona informata dei fatti, a causa di una riduzione degli organici avvenuta un po' di soppiatto e che al Ministero nessuno si è preoccupato di intralciare.
Ma questo la ministra non lo racconta, bensì molto scivolosamente afferma:
Nel decreto Rilancio c'è un'enorme novità, sfuggita quasi a tutti, su questo punto. Sulle classi più numerose possiamo iniziare, compatibilmente con gli spazi, a derogare. Non possiamo eliminare le classi pollaio in un mese e mezzo, ma è l'inizio di un processo. Quando arriveranno i soldi del Recovery Fund li utilizzeremo anche per quest'obiettivo, senza contare che da quel giorno nei fiumi scorrerà latte, le fontane daranno vino, dalle travi del soffitto goccioleranno burro e miele eccetera, praticamente l'età dell'oro. In un futuro indefinito, naturalmente - l'età dell'oro della scuola inizia sempre in un futuro indefinito.
Quale sia mai questa enorme novità sfuggita quasi a tutti non saprei dire; e a quel che sembra non lo saprebbe dire nemmeno la ministra, che infatti non lo dice. Ma se è pur vero che eliminare le cosiddette classi pollaio in un mese e mezzo è ormai difficile, quattro mesi fa i mesi sarebbero stati cinque e mezzo senza contare che negli scorsi mesi decreti emergenziali ne abbiamo pur visti parecchi, e qualcosa sulla scuola avrebbe pur potuto passare. Se fosse stato proposto, certo.

Veniamo a una ulteriore supercazzola sulla riapertura: a domande assai precise si risponde vagamente Non ci sarà più un lockdown generalizzato come quello che c'è stato, siamo molto più pronti. Nelle linee guida riportiamo quel che il ministro della Salute ha detto che si deve fare se si dovessero verificare contagi nelle scuole. Ci vuole senso della responsabilità da parte di tutti, a partire dalla misurazione della temperatura a casa. Se un bambino ha 37,5 non lo mettiamo sugli autobus, non lo facciamo uscire di casa, non mettiamo in pericolo gli altri.
E ci fa piacere sapere che siamo molto più pronti, ma misurare la temperatura ai bambini non sono sicura che sia una grande garanzia - anche perché il lockdown passato non è stato causato da torme immani di bambini che giravano con la febbre, mi sembra di ricordare, ma è pur possibile che una parte di responsabilità ce l'abbiano invece avuta stormi di bambini asintomatici che circolavano liberamente, all'apparenza sani come lasche.

I banchi singoli che permetteranno il distanziamento nelle aule arriveranno in tempo per la riapertura? si informa l'intervistatore.
Personalmente non mi spiego la storia dei banchi singoli: da quando insegno, nelle classi  ho visto solo e soltanto banchi singoli; quadrati, rettangolari e anche a tronco di trapezio da disporre in esagono, ma sempre rigorosamente singoli. Magari la provincia di Firenze è una felice isola di individualisti, non so.
Per l'arrivo di questi indispensabili banchi comunque la ministra ripone grande fiducia nell'intervento del mitico Arcuri, detto "Il Signore delle Mascherine e dei Respiratori Mancanti" e si lamenta ma anche qui solo polemiche. Prima ci portano a esempio la bella scuola dei paesi scandinavi, poi quando proviamo a rendere più bella la scuola in Italia solo chiacchiere. I nuovi banchi serviranno a costruire una scuola innovativa.
Come possano dei semplici banchi (singoli oppure a due e financo tre piazze, ma pur sempre banchi) costruire una scuola innovativa non riesco davvero a immaginare, tanto più che dove lavoro io i banchi singoli abbondano, e anche se nel nostro piccolo cerchiamo con tanto impegno e tanta buona volontà di fare, tutti, del nostro meglio e di aggiornarci il più possibile, non mi pare che la scuola di St. Mary Mead sia poi così incredibilmente innovativa. Boh?
Sono comunque molto contenta che la scuola dove lavoro abbia già dei banchi singoli, perché anch'io sono tra quelli che considerano molto improbabile che l'intervento di Arcuri ci rechi gran sollievo, parendomi che costui non abbia dato prova molto brillante di capacità direttive e organizzative nell'ultimo anno. Ma è pur possibile, a questo proposito, che una certa ostilità di fondo mi faccia velo: ho infatti digerito molto male la supercazzola che Arcuri ha sfoderato sui liberisti che criticano dal divano sorseggiando cocktail quando gli venne fatto osservare che calmierare il prezzo delle mascherine non necessariamente pareva destinato a risolvere il problema della reperibilità delle mascherine in questione.

Infine la ministra parla di scuola. Prima la scuola in generale:
la scuola viene usata per prendere consenso elettorale e se restiamo così non cambierà mai nulla. E invece è una cosa serissima. Siccome oggi la scuola parla alla metà delle famiglie del Paese, a 8 milioni di studenti, a un milione e 250mila circa di lavoratori, questo fa sì che ci sia un'attenzione forte, ma che in passato non c'è stata.
In effetti è vero che la scuola è usata da chi è a caccia di consensi elettorali (basta pensare all'eterna promessa di pingui aumenti che gli insegnanti ricevono da tutti i partiti ad ogni campagna elettorale a carattere nazionale; promessa di cui i partiti in questione si dimenticano regolarmente una volta chiuse le urne e a cui, immagino, nemmeno i più giovani e sprovveduti tra i docenti danno il minimo credito) né so immaginare, visto i numeri su cui viaggia, che possa andare diversamente. Ma per l'appunto questi numeri di oggi sono ben più modesti di quelli di qualche decennio fa, quando eravamo in pieno boom demografico, e il fenomeno non è certo nuovo. In questi mesi si è parlato parecchio di scuola soprattutto perché praticamente tutti, da un giorno all'altro, se la sono letteralmente ritrovata in casa o han deplorato assai di non averla a casa e insomma ha smesso per un po' di essere quel posto esterno dove spedivi la prole per un certo numero di ore e la cui esistenza era data per scontata (come in effetti dovrebbe essere). E se è vero che la classe politica l'ha talvolta trascurata, ancora più vero è che spesso se n'è occupata fin troppo; ma non è questo il caso del presente governo che davvero nessuno potrà accusare di avere dedicato eccessiva attenzione alla scuola, salvo citarla a sproposito in estemporanei interventi nei social, nelle trasmissioni televisive e sui giornali.

Tuttavia la ministra sembra convinta di avere fatto meraviglie - ed è davvero un bene che ne sia convinta lei, perché in parecchi tendono a pensarla diversamente.
In realtà stiamo facendo cose meravigliose per la scuola italiana, a partire dalla digitalizzazione delle graduatorie provinciali che danno anche ai giovani la possibilità di iniziare il percorso dell'insegnamento, giovani sempre maltrattati.
Per carità, che i giovani insegnanti siano vessati e maltrattati e umiliati e offesi mi sembra davvero fuor di dubbio e sarebbe davvero ora che gli allestissero un percorso decente e soprattutto stabile di avvio alla professione - ma, onestamente, non mi sembra che la causa dei maltrattamenti fosse la mancanza di digitalizzazione delle graduatorie; se è pur vero che, all'inizio degli anni 90, compilai a mano e a mano consegnai la mia prima domanda per le supplenze, nel corso degli anni le cose sono assai cambiate e l'ultima domanda che ho fatto prima di entrare in ruolo, una decina di anni fa, la sbrigai al computer e dal computer qualche settimana potei controllare la mia posizione - ma oggi credo che arrivi direttamente l'avviso sul telefono.
E allora di cosa sta parlando la ministra?
Hanno cambiato sistema informatico, tutto qui. Lo annunciano con grandissima pompa sul sito del Ministero, col tono di chi ha appena appena aperto il canale di Panama o fatto il primo passo sulla Luna. Par di capire che tutto ciò segni anche la fine del rito barbarico noto come Convocazione per le supplenze annuali - e davvero questa sarebbe una bella cosa, ma non è che siamo passati nel giro di una settimana dalla tavoletta spalmata di cera al riconoscimento facciale. 
E dal profondo del mio animo fortemente prevenuto avanzo pure qualche dubbio che il merito sia dell'attuale ministra e non di procedure di rinnovamento partite qualche anno fa. Ammetto comunque di non avere prove che appoggino sì nero sospetto.
Avete digitalizzato le strutture scolastiche? si informa quietamente l'intervistatore.
Nessuno lo aveva fatto prima assicura la Ministra. Che mi sembra davvero confidare troppo nella mancanza di memoria di chi legge.
Il Piano Nazionale Scuola digitale venne annunciato con trombe e tamburi nella legge della Buona Scuola del 2015 e, a dispetto di tutto e di tutti, è stato perseguito con una certa determinazione nel corso degli anni, conseguendo qualche buon risultato e parecchi risultati ampiamente migliorabili. Tuttavia nemmeno quello partì dal nulla e già da tempo anche il mondo della scuola cercava faticosamente di digitalizzarsi: per esempio i registri elettronici circolavano già da qualche anno (la scuola media di St. Mary Mead per esempio si lanciò nell'avventura già nel 2014, come da me narrato in numerosissimi post, ma non fu certo la prima). 
Con tutto ciò la digitalizzazione nella scuola è ancora molto in divenire, come è stato ampiamente dimostrato nel corso del lockdown, e non saprei proprio dire in che modo la ministra Azzolina possa allegarsene meriti e demeriti: innumerevoli genitori impazziti negli ultimi anni nel vano tentativo di iscrivere la loro prole alla scuola pubblica per via telematica per poi approdare nelle segreterie delle scuole a firmar carte possono testimoniare che la digitalizzazione della burocrazia scolastica è un processo ormai avviato da tempo, anche se non sempre efficientissimo.

In ultimo, una chiosa assai graziosa.
La DaD (didattica a distanza) da settembre sarà usata solo al bisogno. Ma ci sarà e non è contemplata da nessun contratto. Non sarebbe il caso, dopo i ringraziamenti di questi mesi ai docenti, di normarla? suggerisce l'intervistatore, in perfetta versione Serpente nell'Eden.
Stiamo, intanto, scrivendo le linee guida sulla didattica a distanza per colmare il vuoto che c'era. Poi si penserà al contratto nazionale risponde serafica la ministra.
Qualcuno magari potrebbe osservare che le linee guida sarebbe stato interessante e forse perfino utile averle durante il lockdown, quando gli insegnanti hanno coniugato intensamente il verbo "arrangiarsi", e che ormai un po' di linee guida ce le siamo date per conto nostro applicando il metodo sperimentale, visto che altro non potevamo fare. Ma a me sembra ancor più pertinente domandarmi come funziona il cervello di chi prepara delle linee guida per qualcosa che non è ancora normato per contratto, mostrandosi nel contempo del tutto ignaro dei problemi che potrebbe comportare rimettere le mani su un contratto scaduto ormai nella notte dei tempi e che ostinatamente nessuno si preoccupa di rinnovare per tutta una serie di motivi prima di tutto finanziari.
E qui smetto di sparare sulla Croce Rossa.

sabato 18 luglio 2020

Il lavoro di gruppo al tempo del Coronavirus (in sintesi: meglio lasciar perdere)

Sui calzini che entrano nella lavatrice a coppie ed escono spaiati  c'è  una vastissima serie di vignette in rete.
Questa è solo una delle tante.
In pieno lockdown, nel corso di un Consiglio di Classe con Genitori uno dei rappresentanti della Seconda Invasata ci suggerì di fare il lavoro di gruppo.
È sempre un piacere quando i genitori ti insegnano a fare il tuo lavoro, dimenticando magari due o tre evidenze grosse quanto una balena azzurra in avanzato stadio di gravidanza; in quel caso la prima evidenza era che un lavoro di gruppo per via telematica non è proprio il massimo della vita. 
Ad ogni modo la Seconda Brillante, fin dall'inizio dell'anno, aveva mostrato di gradire la possibilità di lavorare a coppie per fare i compiti e aveva dunque continuato anche durante la chiusura della scuola con la mia più totale benedizione. Ma la Seconda Brillante è una classe ben armonizzata dove i rapporti interni sono molto amichevoli, e infatti come premio per la squisita disponibilità & pazienza con cui si erano sciroppate le mie quattro lezioni frontali quattro sull'avvincente tema Tutto quel che non avreste mai voluto sapere sull'Illuminismo ma per vostra disgrazia in cattedra ci sono io avevo fissato, proprio per il giorno in cui le scuole del regno hanno chiuso, una verifica di riepilogo che sarebbe dovuta consistere in un alfabetiere sull'Illuminismo inclusa la nascita degli Stati Uniti da farsi a gruppi, con il libro di testo a portata di mano e possibilità di usare la rete; va da sé che ogni gruppo avrebbe incluso anche uno dei bravi più bravi che avrebbe tolto dal fuoco le castagne più scottanti e insomma contavo di riportarne per tutti un onesto lavoro di ripasso e di riepilogo, due ore non troppo spiacevoli e una bella batteria di voti alti oltre alla possibilità di infilare nella verifica qualche guizzo creativo. La faccenda, ahimé, si è risolta con una serie di malinconici alfabetieri svolti in solitudine. Alcuni l'hanno fatto davvero molto bene, certo - ma quegli stessi avrebbero comunque fatto molto bene qualsiasi tipo di verifica, scritta o orale che fosse.
A dirla tutta c'era in programma qualcosina del genere anche per la Seconda Invasata: un bell'alfabetiere sull'arcipelago britannico. Naturalmente lì fare i gruppi, considerando che i rapporti interni facevano per lo più schifo, ribrezzo e pietà, non era solo complicato, ma anche pericoloso; perciò mi ero consultata con buona parte dei colleghi del Consiglio e al terzo tentativo era venuta fuori una combinazione che, con un po' di fortuna e una occhiutissima sorveglianza da parte mia, dava speranze di non lasciare sul campo né morti né feriti gravi.
Anche lì la faccenda si era risolta in una serie di malinconici alfabetieri fatti in solitudine, ma il risultato era stato molto meno brillante, anche perché molti per riempire le lettere vuote sparavano definizioni a caso che non avevano niente a che fare con l'arcipelago britannico e qualcuno l'ha perfino dovuto rifare. Nonostante le mie minute spiegazioni, il concetto stesso di alfabetiere sembrava sfuggirgli, anche se più volte, durante qualche sostituzione dell'ultimo momento, li avevo visti giocare appunto all'alfabetiere con fiori, frutta, città, campioni dello sport  e altro - e anzi proprio da lì mi era venuta l'idea di mettere tutti a lavorare sugli alfabetieri.
Niente da dire se qualcuno (pochissimi) di sua spontanea volontà decideva di preparare un compito insieme a qualcuno con cui per avventura gli accadeva di avere dei rapporti decenti; ma metterli a lavorare a gruppi in privato e senza sorveglianza sperando che per buona sorte andasse tutto liscio mi pareva cosa davvero da irresponsabili. 
Invece con la Seconda Brillante ho deciso di provarci, dandogli come compito una gita turistica nei paesi della ex-Iugoslavia. Potevano scegliere quel che volevano da una serie di possibilità (boschi, parchi nazionali, città e non so che altro) e organizzarsi il viaggio o la gita come meglio gli pareva.
Ne sono venuti fuori dei buoni lavori, nel complesso, ma l'elemento più critico della classe, un ragazzo piuttosto bravo ma del tutto refrattario alle interrogazioni orali e alquanto tendente all'assenteismo, si limitò a non rispondere alla chiamata, così come si è rifiutato di leggere la sua pur valida ricerca nel corso di un lavoro collettivo sui contemporanei di Napoleone: spense microfono e telecamera, dopo aver detto che non gli funzionavano, e questo fu quanto. Rimediai facilmente leggendo la ricerca al posto suo e mettendogli il voto sul lavoro fatto, ma per il lavoro di gruppo dove si era defilato non c'era altro da fare che segnargli un doveroso quattro e riflettere in solitudine.
Anche le classi più integerrime ci hanno qualche componente lunatico. Ecco, in una classe dal vivo si nota meno, o puoi far finta di notarlo meno o aggirare il problema con abili stratagemmi; ma la didattica a distanza accentua queste componenti lunatiche.

lunedì 13 luglio 2020

Lunedì film - Aleksandr Nevskij (film per le medie)


Alcuni critici sostengono che il personaggio di Aleksander Nevskij del film di Eisenstein richiami la figura di Stalin. Io, in accordo con l'autore di questo meme, lo vedo molto più simile a Lenin, che nel 1917 rientrò dall'esilio per guidare il suo popolo riscuotendo lusinghieri consensi di critica e di pubblico.


Quel che vado a presentare oggi è il mio film preferito in assoluto e di gran lunga. Ho perso il conto delle volte in cui l'ho visto*, conosco la colonna sonora a memoria, nota su nota e l'ho perfino sentita cantare dal vivo in italiano (cosa che, per fortuna, succede piuttosto raramente). Amo svisceratamente questo film e ogni volta che lo vedo trovo nuove motivazioni per questo mio amore incondizionato. Qui mi limiterò a citare le principali:
È un film ambientato nel mio amato medioevo.
Ci sono i cavalieri crociati, e ci fanno una figura barbina.
È molto eroico, ma nel modo che preferisco (cioè senza troppi fronzoli: si è eroici e basta, senza farne un gran parlare).
È ambientato nel Grande Nord.
Il protagonista è bello e carismatico, molto autorevole e solo un po' autoritario, e non sbaglia un colpo.
I buoni sono tutti simpatici.
I cattivi sono tutti antipaticissimi.
Ci sono una fanciulla guerriera e una fanciulla frivola ma non troppo e simpatica
Ci sono ben due storie d'amore.
C'è una colonna sonora favolosa che da sola vale il prezzo del biglietto e per come è montata nel film vale doppio.
È un film multistrato: parla del passato, del presente (il presente in cui fu fatto, intendo) e prevede pure il futuro.
Gli attori recitano benissimo, e anche i loro costumi. Anche i paesaggi e gli scenari, in effetti. Il ghiaccio poi è davvero il migliore di tutti.
È pieno di scene a effetto.
La sceneggiatura è davvero ammirevole.
Finisce bene.
C'è dietro una storia molto interessante e ricca di risvolti (parlo proprio della nascita del film, non della vicenda narrata).

Andiamo a incominciare, che questo era solo il preludio.


Il film si intitola Aleksandr Nevskij, il regista è Sergej Michajlovič Éjzejnštein, la colonna sonora è firmata da Sergej Sergeevič Prokof'ev. Da questa colonna sonora in seguito Prokof'ev trasse una cantata che è tuttora regolarmente incisa ed eseguita in tutti i teatri del mondo e ascoltata anche da un sacco di gente che del film non gliene potrebbe fregar di meno. Una delle versioni di riferimento è quella diretta da Claudio Abbado con la London Simphony Orchestra, ma sul Tubo in questo momento c'è solo a pezzi staccati, quindi metto una bella esecuzione russa dove il coro è italiano (Santa Cecilia).


Il film racconta un episodio della vita di Aleksandr Jaroslavič Nevskij, ovvero quando il 5 Aprile 1242 sconfisse i cavalieri teutonici sulle rive del lago Peipus.
Sul principe Alessandro abbiamo fonti (inedite in Italia, per quel che ne so) già dal XIII secolo, e tutte piuttosto agiografiche. Era altissimo, bello, ottimo stratega e anche buon diplomatico. Tutte le statue e le miniature e i disegni ce lo fanno vedere molto nobile e anche piuttosto ieratico. A quel che ho capito comunque si tratta di disegni posteriori; questo, per esempio, è della fine del Settecento:

A vent'anni affrontò l'esercito svedese appena sbarcato sulla Neva e lo sconfisse sonoramente nonostante l'inferiorità numerica. Da questa impresa guadagnò grande fama e il soprannome di Nevskj. Fu principe, cioè comandante, della libera città di Novgorod, con la quale ebbe parecchio da ridire tanto che lo mandarono via. Poco dopo i però i novgodoriani dovettero tornare col cappello in mano a chiedergli aiuto contro i cavalieri teutoni, e lui li aiutò. Sconfisse sonoramente i cavalieri teutoni e i loro alleati (estoni, livoni e danesi) e ritornò a Novgorod come principe, restandoci e proteggendo la città con le armi e con i trattati diplomatici. Prima di morire passò qualche giorno in monastero, prendendo i voti. Nel 1547 fu proclamato santo (sarebbe interessante chiarire in quali circostanze storiche); nel 1725 a suo nome venne istituito (da Caterina I, ma l'idea era stata di Pietro il Grande) un Ordine Imperiale per onorare quei cittadini russi che avevano servito e difeso la patria con la politica e con le armi, ed era una delle onoreficenze più importanti in Russia: per esempio la ricevette il generale Kutuzov, che aveva sconfitto Napoleone). L'Ordine  venne abolita con l'arrivo della rivoluzione, nel 1917, ma fu poi ripristinata, guarda caso, nel 1942, eliminando riferimenti a imperatori e santi - in pratica diventò l'Ordine di Aleksander Nevskj, mentre prima era l'Ordine Imperiale di sant'Aleksander Nevskj. Infine, Pietro il grande fondò a Pietroburgo nel 1710 il Monastero di Aleksander Nevskj e in seguito ne arrivarono altri, sparsi generosamente per tutte le Russie e in varie parti dell'Europa dell'Est (Serbia e Romania, per esempio).
In Russia dunque è un personaggio estremamente importante e conosciuto, mentre per noi italiani si tratta al massimo del protagonista di un film - con l'unica eccezione di un esiguo gruppetto di studiosi delle Crociate del Nord e della storia slava.
Per i russi invece è una specie di Padre della Patria, e non solo in senso metaforico: infatti suo figlio fondò il Principato di Mosca, primo nucleo del futuro impero russo.

Questo dunque sul protagonista. Passiamo agli avversari.

I cavalieri teutonici (chiamati implacabilmente per tutto il film cavalieri teutoni nel doppiaggio italiano) sono uno dei tanti ordini monastici combattenti sorto in tempo di crociate. Il nome completo è Ordine dei fratelli della Casa di Santa Maria in Gerusalemme; venne fondato nel 1191 con lo scopo di assistere i pellegrini che venivano dalla Germania e a un certo punto si fuse con quello dei Portaspada. Ben presto i cavalieri teutoni(ci) si interessarono dell'Europa dell'Est e con la solita scusa di convertire i pagani si costruirono un regno di dimensioni assai rispettabili nella zona baltica, che comprendeva tra l'altro la celebre Livonia** ma non solo. Un piccolo particolare che mi ha sempre affascinato: erano cattolici, ma all'arrivo della Riforma protestante il Gran Maestro dell'Ordine si convertì prontamente fondando... il ducato di Magdeburgo, futura Prussia (che infatti all'inizio infatti era spostata parecchio a est rispetto all'attuale Germania).
Per quanto è dato di sapere, i loro metodi di conquista e di conversione non erano improntati alla più squisita cortesia né albergavano in alcun modo nel loro cuore principi di tolleranza religiosa.
Ultimo particolare: come tutti gli ordini crociati portavano come simbolo una croce. La loro era nera. Un pochino lugubre, se vogliamo



ma molto d'effetto sulla scena:

Infine, la battaglia del 5 Aprile 1242, che è conosciuta con molti nomi: battaglia del lago ghiacciato, battaglia del lago Peipus, battaglia del lago dei Ciudi... comunque si svolse sulle rive del lago Peipus o dei Ciudi, e le truppe della libera città di Novgorod batterono sonoramente i cavalieri teutoni(ci). Per la verità le fonti germaniche ridimensionano assai le perdite, ma è un dato di fatto che da quel momento i teutoni(ci) lasciarono in pace Novgorod e dintorni.
Sulla battaglia abbiamo diverse versioni. La più suggestiva racconta che i cavalieri furono abilmente guidati fino al lago ghiacciato dove (siamo ad Aprile) il ghiaccio si andava assottigliando; sotto l'immane peso delle armature dei cavalieri il ghiaccio si ruppe e i cavalieri andarono a fondo mentre i loro avversari fecero in tempo ad allontanarsi. La storia suona alquanto improbabile e la fonte è inattendibile. Di fatto, sembra che nessuno abbia combattuto sul ghiaccio e che il lago fosse lì per bellezza e perché da qualche parte doveva pur stare.
Ed ecco qui un riepilogo delle varie versioni:

Esaurite tutte le premesse storiche, siamo finalmente arrivati alla storia del film.
Pare che il soggetto se lo scegliesse Éjzenstejn, da una rosa di possibilità. Doveva fare un film patriottico. Non solo, ma dovette farlo sotto sorveglianza perché, secondo quel grandissimo impiastro di Stalin, né lui né Prokof'ev erano abbastanza ideologicamente corretti.
Per quanto tampinato e tormentato, Eisenstein ebbe anche un budget più che rispettabile e il film fu fatto senza tirare al risparmio. Sul piano storico... beh, costumi e fondali sono fatti molto bene. La vicenda è, diciamo, non falsa ma "ritoccata": Éjzenstejn era un po' il Tito Livio del comunismo, cioè si prendeva delle notevoli libertà ma il risultato era artisticamente valido e dunque va bene così.
Il film uscì a Mosca alla fine del 1938 con questo manifesto:

fruttando al suo regista l'Ordine di Lenin.
Venne tolto dalle sale nell'estate 1939, a seguito della firma del patto Molotv-von Ribbentorp, perché a quel punto i tedeschi erano alleati e non era bene coltivare nel buon popolo russo sentimenti antigermanici. 
Dopo l'invasione tedesca però tutti i russi erano profondamente inclini ad albergare nei loro cuori  sentimenti  profondamente  antigermanici e il film ritornò nelle sale - con un  manifesto piuttosto diverso:



Non ho idea di cosa significhino quelle scritte, ma le due date in alto sono più che sufficienti a dare il senso generale: la vicenda raccontata nel film si svolge nel 1242, e quel 1942 stampato sotto dava per scontato un buon successo contro i teutoni che in quel momento stavano calpestando il sacro suolo della Russia. Al contrario di molte profezie di comodo quella si avverò, anche se i russi per realizzarla dovettero pagare un prezzo molto più alto di un giorno di battaglia a fine inverno con un modesto quantitativo di partecipanti e di morti (ai tempi del civile e pacifico medioevo le battaglie erano sempre a numeri piuttosto ridotti).
Nato in un momento inquieto, come manovra preventiva per risvegliare il senso patriottico del popolo russo, il film si trasformò così in un inno alla riscossa e trovò un terreno molto fertile. La Patria chiamava, il precedente di Aleksandr Nevskij che aveva sconfitto l'invincibile armata dei cavalieri teutoni(ci) era incoraggiante, e proprio Aleksandr Nevskij venne citato da Stalin, insieme a una serie di esempi successivi - che includeva naturalmente il generale Kutuzov - in chiusa del discorso rivolto alla nazione il 7 Novembre 1941
Altro dettaglio profetico: il principe Aleksandr venne richiamato dopo essere stato cacciato via; nello stesso modo, dopo l'invasione della Russia, Stalin dovette richiamare dalla deportazione un bel po' di generali e comandanti perché l'Armata Rossa era ormai priva di ufficiali esperti.
Sta di fatto che se Stalin e soprattutto Éjzenstejn avessero avuto una palla di vetro in cui leggere il futuro, non avrebbero potuto commissionare e soprattutto fare un film più adatto alla circostanza, e questo lascia spazio a molte e profonde considerazioni sulle capacità magiche e profetiche dell'arte. All'epoca, comunque, quando venne commissionato, Aleksandr Nevskij era solo un film di propaganda - e di propaganda, davvero, ce n'è una quantità immane.

Partiamo dal protagonista: come già detto, Aleksandr Nevskij è una figura molto importante nella storia e nell'immaginario russo - non una gloriosa figura sepolta in  dotte cronache ammantate di polvere, ma un personaggio notissimo e che i russi hanno sempre considerato importante.  Éjzenstejn aveva a che fare con una figura già molto forte nell'inconscio collettivo, che non poteva ricreare a suo piacimento. Però ci ha lavorato su con molta cura.

Il ruolo venne affidato a Nikolaj Konstantinovič Čerkasov, attore dotato di grandi capacità artistiche e di notevole bellezza, nonché specializzato in film storici. 
(naturalmente, lo amo con tutta me stessa)
Ma se è vero che gli eroi son tutti giovani e belli, all'epoca dello scontro con i teutoni il principe Alessandro lo forse un po' troppo per gli scopi del regista: solo ventuno anni. Impossibile fargliene una colpa, ma Éizenstejn non voleva un eroico giovinetto, bensì un capo maturo e affidabile, saggio e temprato dall'esperienza, uomo assai esperto del viver del mondo - e insomma nel film gli dai trent'anni, forse qualcosina di più, appunto l'età dell'attore. La sua è la calma autorità che viene dall'esperienza e dalla consapevolezza delle sue capacità.
Inoltre, anche se l'unica scena d'interno che vediamo nel film è proprio a casa sua, non vediamo traccia della moglie - cui era sposato da due anni - né dei due figli con cui la moglie in questione l'aveva già allietato all'epoca; all'apparenza, un uomo del tutto libero da impegni familiari e sentimentali, concentrato solo sugli interessi della patria, e l'unico momento in cui interagisce con le due belle e giovani protagoniste femminili è in una delle ultime scene, quando, chiamato in causa, dà una benedizione nemmeno necessaria ai loro matrimoni. 
All'inizio del film è anche un uomo che quella stessa patria che lui ha già servito con tanta capacità e dedizione lo ha allontanato; non per questo però è andato in crisi.

Proviamo a seguire il film.

Inizio desolato: il paese, ci avvertono le scritte in sovrimpressione su paesaggi vuoti e silenziosi, disseminati di ossa spolpate e armi infrante, è stato invaso da occidente dai crudeli cavalieri teutoni, che si aspettavano una facile vittoria in una terra che non si era ancora riavuta dopo le sanguinose devastazioni subite dai mongoli.
Cambio di scena ed eccoci sulle rive di un lago: navi in costruzione, una fila di pescatori in acqua che canta ricordando la battaglia vittoriosa del principe Aleksandr contro gli svedesi, dove il sangue fu sparso senza risparmio per la grande terra russa e gli invasori svedesi furono sconfitti e distrutti, perché chi marcerà contro la Russia sarà sterminato. 
Tutti sembrano tranquilli e paciosi, qualcuno chiacchiera a riva.
Arriva la portantina di un dignitario mongolo, con numerosa scorta. Qualcuno si inchina al suo passaggio, qualcuno no e perciò viene frustato dalla scorta. Inizia la rissa ma dalla riva del lago un uomo, alto e bello ma vestito come tutti gli altri, ordina di smettere di gridare perché gli stanno rovinando la pesca.
Come nelle migliori tradizioni tutti si fermano. Il principe Aleksandr arriva, si presenta e ricorda con ruvida cortesia ai mongoli che non sono a casa loro. Il dignitario mongolo esce dalla portantina e chiede se è lui che ha battuto gli svedesi, e se non ha niente di meglio da fare che pescare. Nevskij risponde che non c'è niente di male a pescare, e che quando avrà finito di costruire le navi le useranno per commerciare il pesce. Il dignitario gli offre di andare con loro, dove potrà fare adeguata carriera perché abbiamo bisogno di grandi condottieri. Nevskij risponde citando il proverbio russo "meglio la morte che combattere per la patria degli altri".
Il dignitario sorride e risale in carrozza. L'uomo della scorta si stende a terra per fargli da gradino mentre risale. I contadini russi guardano la scena un po' schifati.
Il corteo se ne va. Un vecchio (Amico? Consigliere?) osserva che batterli sarà difficile perché sono forti.
"Vuoi batterli?" chiede Aleksandr.
È tempo di vendicare i nostri padri, risponde il vecchio.
Aleksandr ribatte solennemente che c'è un nemico più crudele e pericoloso dei mongoli: i teutoni e il tributo che dovremo pagare sarò spaventoso.
Va bene, dice il vecchio, se preferisci cominciamo pure dai teutoni, comunque qualcosa andrà fatto.
Se vogliamo battere i teutoni, risponde Aleksandr, dobbiamo attaccarli da Novgorod: là soltanto la Russia è libera.
Poi vanno a badare ai pesci.
Al termine di questa scena sappiamo:
- che il principe Nevskij è conosciuto per ogni dove per la sua vittoria contro gli svedesi
- che è un grande condottiero
- che non ha particolari ambizioni di potere
- che è fedele alla sua patria
- e che per quanto giochi a fare il pescatore e il commerciante si tiene ben informato della situazione politica del paese.
In realtà sappiamo anche che ha letto i libri di storia, in particolare quelli che devono ancora essere scritti (continuerà a farlo per tutto il film, senza sbagliare mai) e questo ci rassicura.
Abbiamo dunque un Vero Eroe Vincitore, di quelli che vanno tanto di moda con i  totalitarismi: bello, bravo, saggio, accorto, grande stratega di indomabile coraggio, guida ferma e all'occorrenza misericordiosa, che si muove con la sicurezza che ti dà l'aver letto in largo anticipo la sceneggiatura e sa bene quel che deve fare e come schierare i suoi uomini per una efficace vittoria. Un eroe così, senza crisi interiori e mezzetinte, è davvero rilassante. Affidatevi al principe Aleksandr e tutto andrà come deve andare!

Cambio di scena, ed eccoci a Novgorod, bella e prospera città, dove la bella Olga Danilovna, in giro per fare spese, si destreggia abilmente tra due innamorati che premono entrambi per un legittimo matrimonio. Il garbato corteggiamento è interrotto dalle campane che chiamano a raccolta: pessime notizie dalla vicina città di Pskov, i teutoni l'hanno presa e devastata.
Discussione tra chi vuole combattere per fermarli, e chiamare in aiuto Aleksandr Nevskij e altri (alcuni perfidi commercianti) che vogliono pagare il tributo. A loro Olda Danilovna dice con grande fermezza che la patria russa si riscatta col sangue, non con l'oro  ed è praticamente l'unica frase che dirà in tutto il film che non sia collegata al suo matrimonio. Una sola, ma forte.
Alla fine della discussione comunque si decide di chiamare Aleksandr, ché salvi la Russia.
Nuovo cambio di scena, e siamo a Pskov, distrutta e devastata con dei teutoni talmente lugubri nonostante le vesti bianche da sembrare usciti da un romanzo gotico. La città è devastata, incendiata, gli abitanti legati, la desolazione senza pari.
Questo è il capo dei teutoni, che sfoggia corna veramente portentose, degne in tutto e per tutto di un funzionario Invalsi

e non appena si toglie l'elmo non vi è chi non sarebbe pronto a giustificare in tutto e per tutto la sua sventurata moglie per le corna che gli ha fatto - se non fosse che la moglie non ce l'ha, perché è un monaco.
I cavalieri teutoni hanno armature spaventose e facce antipatiche, sono lugubri, sadici e cattivi e il più cattivo, lugubre, viscido e antipatico di tutti è il loro capo spirituale, un tizio con l'aria così odiosa, ma così odiosa che non so quanto è durato il casting per sceglierlo, e quanto abbiano dovuto lavorare attore e truccatore  per essere all'altezza di tanta viscida e cupa cattiveria.
Il capo dei cavalieri invece è un essere grigio, spento e un po' malinconico (ci credo, con quella gente intorno). Critica il comandante che gli ha consegnato la città perché è stato troppo duro, ma non fa nulla per fermare il rogo dei piccoli bambini russi bruciati perché eretici ortodossi****.
Ai teutoni è riservata una canzone spaventosamente lugubre, Peregrinus expectavi, pedes meos in cymbalis**** che oltre tutto è pure intraducibile e che viene accompagnata da strani strumenti dal suono assai distonico.
Prima di morire bruciato il voivoda di Pskov incita la figlia Vassilissa ad andare a Novgorod e vendicare i suoi fratelli, poi sulle fiamme del rogo grida  I morti di Pskov ti chiamano, principe Nevskij!
Infine gli ambasciatori di Novgorod arrivano in casa Nevskij. Il principe Aleksandr si lascia un po' cadere dall'alto, ma è chiaro che non aspettava altro. Soprattutto La sacra terra russa è stata calpestata. Come potrebbe non accorrere in aiuto della città, nonostante le offese ricevute?
Ma i soldati non bastano. Bisogna sollevare i contadini.
E li vediamo, i contadini, uscire cauti dalle loro buche e approdare sulle rive con le loro navicelle da pesca: li chiamano, vogliono proprio loro! Il volgo disperso repente si desta, intende l'orecchio, solleva la testa e si accoda con entusiasmo alla fila sempre più lunga al seguito del principe Nevskij - il tutto sulle note di una delle più belle canzoni di guerra di tutti i tempi, qui nella mia edizione preferita cantata, con notevole spirito sportivo, da un coro polacco

D'altronde l'amore per la propria patria è un tema profondamente sentito dai polacchi, che per celebrarlo ben si adattano a cantarlo persino in russo, qualora il caso si presenti.
In italiano il titolo può tradursi più o meno con Sollevati, popolo russo. Ritroveremo questo tema musicale più volte durante la battaglia. Sorgi in armi, popolo russo, per combattere fino alla morte: onore a chi vive, gloria immortale a chi muore. Nessun esercito nemico percorrerà le strade russe,  nessuno sconvolgerà i campi della Russia, combatteremo tutti fino alla morte. E guarda caso i temi musicali dei russi sono allegri, giocosi, trionfali, solenni; e quelli dei cavalieri invece sono lugubri, deprimenti e inquietanti.

Bene, direi che qui posso fermarmi. Il principe raduna le truppe, fa la battaglia e la vince. Poi viene adeguatamente festeggiato. La storia è tutta qui.
Ma il post continua ancora a lungo perché ci sono ancora diverse cose che voglio scrivere.

Prima di tutto un po' di considerazioni storiche. 
In una Notte degli Oscar il film Aleksandr Nevskij avrebbe potuto vincere diverse statuette: per la regia, la sceneggiatura, l'attore protagonista, l'attore e l'attrice non protagonista (con ampia possibilità di scelta), di sicuro quello per la colonna sonora, magari anche quello per i costumi e forse anche gli effetti speciali (i teutoni che affondano nel ghiaccio di cartapesta sono fantastici, tanto che anche Peter Jackson si ispirò a quella scena nel terzo film de Lo Hobbit) ma non quello della precisione nella ricostruzione storica (che comunque non mi risulta che Hollywood abbia mai assegnato). Ci sono anzi storici che sostengono che raramente si è vista una battaglia stravolta come lo è stata quella del lago ghiacciato nel film in questione.
I costumi però sono stati fatti con cura, come gli edifici, le navi, le armi, gli strumenti musicali usati durante la battaglia e gli attrezzi agricoli. Gli elmi dei cavalieri sono tutti attestati, anche se immagino che lo staff dei disegnatori abbia scartabellato a lungo tra libri di storia e trattati di araldica per scegliere i più ridicoli - conseguendo risultati davvero eccellenti. Che la battaglia sul ghiaccio sia stata aggiustata non fa peccato perché i film hanno le loro esigenze.
Non risulta però che in quella battaglia abbia partecipato alcun contadino: le truppe della libera città di di Novgorod bastarono per fermare i cavalieri, e i bravi contadini poterono così conservare le energie per il loro lavoro. Ma è ovvio che la partecipazione dei contadini era necessaria - una partecipazione, si badi bene, spontanea e calorosa, ma fortemente voluta dal principe Aleksandr, che manda a chiamarli - perché egli è bravo, conosce i libri di storia che non sono ancora stati scritti e sa che una buona milizia deve essere composta dal popolo, e stante che gli operai nel XIII secolo in quella parte del mondo scarseggiavano assai, voleva almeno che ci fossero i contadini. Perché quella contro i cavalieri teutoni(ci) non è la vittoria di una città di mercanti, ma del popolo russo unito contro l'invasore.
Di Russia e popolo russo e sangue russo e libertà della Russia - e naturalmente del sacro suolo della Russia, da difendere ad ogni costo - nel film si parla in continuazione: nei cori, nei discorsi del principe Aleksandr, nelle chiacchiere di mercato, nelle conversazioni tra i soldati, nelle esortazioni di Olga Danilovna, perfino nelle poche scritte  che introducono la storia. Il fatto che la Russia all'epoca non ci fosse - né la Russia, né il popolo russo, né il sacro suolo della Russia - è un dettaglio del tutto marginale.
Così come la battaglia di Legnano non fu una battaglia di italiani contro l'invasore tedesco, bensì di alcune città contro un imperatore troppo desideroso di tributi, nello stesso modo la battaglia sul ghiaccio fu solo un rispettabile tentativo di Novgorod di salvare la sua libertà, non la libertà del popolo russo. 
Ma la Russia esisteva, eccome, ai tempi in cui il film fu fatto, e il suo popolo aveva già mostrato una notevole determinazione nel difenderne il sacro suolo. È a quella Russia e a quel popolo che il principe Nevskij si rivolge alla fine del film quando si impegna, in caso di un nuovo tentativo di invasione, a sollevare di nuovo tutta la Russia, vincolando al suo giuramento anche i suoi discendenti (che in seguito, come ho già ricordato, la Russia la fonderanno davvero), ma soprattutto pronunciando con un bel sorriso le parole finali del film
"Andate a dire a tutti gli abitanti dei paesi stranieri che la Russia è viva. Vengano tutti a trovarci senza paura, ma chi verrà da noi con la spada in pugno di spada perirà! Questa è la legge che regola la vita della sacra terra di Russia" (caso mai il concetto non fosse abbastanza chiaro, mentre Aleksandr pronuncia le ultime parole l'immagine inquadra i fanti russi).

Poi, le donne. Che cosa fa una brava donna comunista, quando la sua patria è in pericolo?
Combatte! Non in modo simbolico, ma proprio con le armi. Vassilissa si rifugia a Novgorod e, a quel che sembra, a casa di Olga Danilovna. Nel momento in cui i fabbri distribuiscono le armi, col gesto tipico della ragazza che fa shopping al mercato e che vede qualcosa che vuol provare, passa a Olga il suo copricapo con tanto di mantellina come noi passiamo la borsa e la giacca all'amica che ci accompagna e prova l'elmo, poi la cotta e infine il fabbro le passa la spada perché senza armi non si ammazza nemmeno un pidocchio. Nessuno dice una parola per fermarla. Vuoi combattere, compagna? Eccoti delle buone armi per farlo. E l'intrepida compagna Vassilisa combatterà con valore, tanto che verrò segnalata al principe perché ha mostrato più coraggio di tutti sul campo di battaglia. Perché una compagna può combattere, sissignori, e se decide di combattere lo farà bene, mostrando grande coraggio. Molte donne russe lo dimostrarono, durante la tragica campagna russa, e non tutte ahimé risolsero la questione uscendone illese e con un fidanzato.

Infine, la religione. Il buon comunista, consapevole che la religione è l'oppio dei popoli, non perde tempo in insulse funzioni religiose - mentre i teutoni, nei rari momenti in cui non combattono, son sempre lì a pregare un dio che il men che si possa dire è che è un gran maleducato con chi non lo venera, e a conti fatti non rende grandi servigi nemmeno ai suoi fedeli, lasciando che il ghiaccio faccia tranquillamente il suo mestiere di creparsi in primavera invece di consolidarlo con qualche miracolo.
Quando vidi il film per la prima volta, atea cresciuta in una famiglia più o meno atea, non mi meravigliai dell'assenza dalla parte dei buoni di sacerdoti e di invocazioni all'aiuto di dio; ma rivedendolo anni dopo, in pieni studi medievali, mi resi conto che nel XIII secolo in terra cristiana (e, tutto sommato, aggiungerei, sempre e dappertutto) non era nemmeno immaginabile che i sacerdoti di Novgorod non si facessero vivi nemmeno per fare un generico inboccallupo alle truppe in partenza o per dedicare una preghierina serale ai ragazzi in guerra. Nemmeno Olga Danilovna mostra di rivolgere un solo pensiero a entità trascendentali, ma solo alla patria russa.
A Novgorod vediamo una bella chiesa, con le sue brave cupole dorate, e lì davanti si tengono i raduni della popolazione, e lì davanti il principe Aleksandr parla ai cittadini. Ma, anche se nomina più volte il sacro suolo della Russia, dio non viene mai coinvolto e nemmeno nominato di striscio da nessuno dei buoni: la religione non è roba da bravi cittadini russi.

Considerazione finale (la prima di tre): tutta la complessa introduzione storico-cultural-musical-politica-bocciofila che ho fatto a puro scopo di sfoggio di erudizione è di fatto perfettamente inutile per lo spettatore medio. A quattordici anni, quando vidi per la prima volta il film, non avevo la minima idea di chi o cosa accidente fossero i cavalieri teutoni(ci), non sapevo assolutamente nulla di storia medievale russa e tanto meno di ideologia comunista. I miei genitori, che erano ben più ferrati sul tema dell'ideologia comunista anche per questioni anagrafiche, di storia medievale russa e di ordini monastici combattenti ne sapevano all'incirca quanto me, solo per la parte musicale mio padre era messo un po' meglio perché aveva un disco con la Cantata di Prokov'ev.  Per tutti noi Aleksandr Nevskij era un perfetto sconosciuto. 
Tutto ciò ci fu in qualche modo di ostacolo per seguire il film?
Assolutamente no. Il film racconta di un Eroe temporaneamente in disgrazia (figura comunissima nella narrativa di tutti i tempi) che salva con coraggio e intelligenza il suo paese da una grave minaccia con l'aiuto di tanti eroici comprimari, e di un gruppo di cattivi che viene scornato. Il meccanismo della battaglia sul ghiaccio è perfettamente chiaro e chiunque di noi dopo aver visto il film avrebbe saputo riassumerne la trama essenziale senza problemi, incluse le due storie d'amore e la sottotrama dei traditori al soldo di (alcuni) commercianti menefreghisti di Novgorod. 
Il film basta perfettamente a sé stesso ed è chiaro e ben narrato - cosa che i kolossal di oggi non sono. Il film di propaganda comunista è perfettamente masticabile per qualsiasi mercato estero anche a distanza di decenni e la propaganda scivola via senza lasciar tracce o infastidire in alcun modo. Fuori dalla Russia diventa un buon film di avventura e di guerra che svolge una impeccabile funzione di intrattenimento, come nelle intenzioni se ne vedono tanti anche ai nostri giorni - solo che quelli dei nostri giorni stanno diventando sempre più complicati, aggrovigliati e incomprensibili. Dopo aver seguito, di lontano ma con una certa fascinata repulsione, le infiammatissime polemiche sul nono film della serie di Star Wars (e dopo aver partecipato attivamente alle esasperate discussioni che hanno accompagnato il secondo e terzo film de Lo Hobbit, dedicando a entrambi un post la cui lettura richiede un tempo lungo all'incirca quanto la visione dei film di cui parlavano) mi domando se non sarebbe carino da parte dei produttori ricordarsi che uno dei grandi pregi del primo film della serie, quello uscito da noi più di quaranta anni fa col titolo Guerre Stellari, era di essere appunto una storia semplice e chiara che si seguiva agevolmente senza problemi o difficoltà interpretative o necessità di approfondite discussioni filologiche. Mi rendo conto che costruire una storia semplice e chiara è molto più difficile che farne una arzigogolata, ma alla fine un gruppo di persone qualificate e determinate ne potrebbe venire a capo, secondo me.

Seconda considerazione finale (in realtà è una nota filologica): la pellicola, mi è sembrato di capire, è stata restaurata qualche anno fa, e con discreti risultati. Misteriosamente però, nessuno ha ancora pensato a ridoppiare la colonna sonora, che dopo ottanta anni appare decisamente provata: in certi punti gli strumenti miagolano, in altri sono quasi scomparsi, i cori sono smorti. D'accordo il gusto dell'originale, ma per quanto ami i gatti non li gradisco quando di  gatti non si parla affatto.

Altra questione: quando uscì in Italia, immagino nel dopoguerra, alcuni pezzi erano stati tagliati: non solo quelli dove il sacerdote dei cavalieri teutoni straparlava del potere assoluto della Chiesa di Roma e della missione dei cavalieri, ma, misteriosamente, anche un pezzo del dialogo tra i due pretendenti di Olga Danilovna (che sono anche amici di vecchia data) - un bel dialogo molto amichevole che davvero non dovrebbe dare noia a nessuno. Non dico un nuovo doppiaggio, perché quello originale era fatto benissimo. Ma qualche sottotitolo? Magari anche alle parti cantate? Gli italiani capaci di comprendere il russo miagolato non sono moltissimi, credo.

Terza considerazione finale: l'ho classificato come film per le medie ma confesso che tutto intero non l'ho ancora mai fatto vedere in classe, anche perché passa l'ora e tre quarti e la seconda guerra mondiale arriva di solito in un momento dell'anno in cui trovare due ore in più è praticamente impossibile. Gli ampi stralci che ho fatto vedere sono stati però piuttosto graditi, soprattutto la battaglia sul ghiaccio di cartapesta. Quest'anno mi piacerebbe farlo vedere all'inizio dell'anno, attaccandolo alla Russia in geografia******. Non è un film dalla visione impegnativa e può introdurre molto bene il tema della propaganda politica e del nazionalismo, e anche far riflettere sui progressi della tecnica cinematografica.

Il fatto che sia in bianco e nero non è mai un problema con i ragazzi, se il film è fatto bene. Ma qui, in particolare, bianco e nero sono usati in modo molto efficace, anche  grazie alle divise dei cavalieri teutoni(ci).
Qui mi cheto davvero, e suggerisco a chiunque per avventura sia riuscito ad arrivare in fondo di concorrere a qualche premio per la resistenza: senz'altro ha la possibilità di sortirne risultati molto positivi.

* la prima volta a 14 anni, in prima serata RAI con la famiglia al completo che come me lo vedeva per la prima volta. Infinite volte al benemerito cinema Spazio Uno di Firenze, poi ho comprato il DVD, poi me lo sono pure visto su YouTube in versione originale con sottotitoli, che traducevano anche le parti cantate della colonna sonora (cosa che la versione italiana non fa, e invece avrebbe un suo perché). Insomma dire che me ne son fatta una fissazione sarebbe minimizzare la cosa per gentilezza.
** no, non è affatto celebre se non tra gli addetti ai lavori; però la vedi spuntare dai manuali di storia per le medie dove te la tirano in ballo di punto in bianco con gran disinvoltura facendo finta che per gli studenti italiani sia praticamente il cortile di casa, senza spiegare mai dov'è. Per la cronaca, oggi è una parte della repubblica di Lettonia.
*** Per quanto oggi vada di moda dire che siamo tutti alla ricerca dell'Uomo Forte, in Italia e altrove, a me sembra invece che ci sia una gran ricerca dell'Uomo Isterico. Trovandolo, di solito.
**** episodio difficile da valutare: rientra in un preciso canone dove gli invasori uccidono sempre senza riguardo né per il sesso né per l'età, ed entrano nella città conquistata nuotando nel sangue fino alle ginocchia. Ma è comunque piuttosto noto che i teutoni ci andavano giù pesanti, e non solo con i "russi" (che ancora non erano tali).
***** Frase intraducibile. "Pellegrino, ho aspettato con i miei piedi avvolti in" e fin qui siamo tutti capaci di tradurlo, ma i cymbali che accidente sono? No, non sono calzari di un qualche tipo, e i "cimbali" che conosciamo come strumenti musicali non son roba con cui rivestirsi i piedi. In rete ci sono diversi tentativi di capire cosa diamine intendesse Prokoviev e si trovano facilmente dando il verso incriminato come chiave di ricerca. Personalmente apprezzo la teoria di Rebecca Schwartz, che in questa frase intraducibile vede una specie di scherzo con Stravinski .
****** No, il Covid-19 è innocente: la geografia extraeuropea per me inizia con la Russia, che da sola si piglia mezza Asia. Diciamo che uso come zona di slittamento tra l'Europa e l'Asia.