Ci sono prime medie che scrivono bene, prime medie che scrivono male e prime medie che, per quanto riguarda l'ortografia, sono al di là di ogni possibile classidicazione - ad esempio la prima che presi tre anni fa a St. Mary Mead.
Si sa che oggi a scuola non ci vanno più solo quelli bravi e di buona famiglia, che ci sono gli stranieri, i dislessici e i rom e anche quei poveri bambini abbandonati a sé stessi che si arrangiano come possono perché il padre beve e la mamma batte il marciapiede e nessuno dei due ha la licenza elementare.
Io però non avevo dislessici (solo un sospetto mai confermato di disgrafia ), due dei miei tre stranieri erano arrivati in Italia rispettivamente a due e cinque mesi di vita - in effetti non scrivevano né meglio né peggio degli altri, e avevano entrambi una cadenza toscana assolutamente DOC - e di rom non c'era nemmeno l'ombra; tutti, inoltre, erano ben accuditi e ben badati da famiglie assai rispettabili con un livello di istruzione più che decoroso. Insomma, perché mi sembrava di fare un corso di alfabetizzazione?
Non parlo delle freccie e delle lancie. Quelle sono cose che capitano spesso. Non è nemmeno insolita una certa confusione per i vari ce n'è, c'è, ce l'ho. E succede che qualche h nel verbo avere venga saltata, così come succede di confondere la congiunzione e con il verbo è. Anche la confusione sui monosillabi accentati (fù, quì, pò, stò, da/dà, li/lì) è relativamente comune; e possono esserci occasionali rimorzi e prese di coscenza e di conoscienza, così come lezzioni, manzioni e colazzioni. Molto più rare sono le canzzoni, le acquile e gli aquedotti, nonché gli accuisti e le scuadre (ma anche scquadre) di calcio.
Ma la mia classe - NB, tutta la classe - sbagliava tutto questo, regolarmente, con sistematicità, senza farsene sfuggire uno che fosse uno, dando prova di una determinazione che non avevo ancora incontrato. E c'erano anche altri aspetti insoliti: per esempio la g dura - stregha, segha, righa, luogho. Un uso assolutamente minimale delle maiuscole e della punteggiatura. E una carenza di accenti sbalorditiva.
Passi per gli e/è, passi per i la confusi con là. Alla fine, si tratta di varianti grafiche relativamente recenti e non c'è dubbio che "la" articolo e "là" avverbio di luogo abbiano lo stesso identico suono all'orecchio umano; ma un pero e un però suonano in modo assai diverso, e non solo perché uno produce frutta e l'altro solo obiezioni più o meno pertinenti. E poi c'erano, ancora più sconcertanti, i lunedi, i martedi, i giovedi e tutta la serie dei passati remoti (con ando in testa) e dei futuri (andero, mangero, comprero). Naturalmente i papa, i colibri e le citta erano all'ordine del giorno, ma anche i piu e i gia.
Ora, che io sappia il Lunedi non esiste e non è mai esistito in itàliano (anche se in qualche autocertificazione dei redditi del Quattrocento ho trovato la chasa), e se qualche volta può capitare di trasformare un mangiò passato in un mangio presente, andero di solito porta il suo bell'accento e nessuno se ne fa un problema.
Non riuscivo a capacitarmi. La classe non era una raccolta di deficienti, anzi. Nelle altre materie non presentavano un livello di base infimo. Alcuni di loro, come capita in tante classi, avevano la tendenza a scansare abbastanza lo studio, ma nel complesso facevano i compiti con una certa regolarità. Il loro atteggiamento verso la scuola era decisamente positivo: non rispondevano male agli insegnanti, erano puntuali, compravano o pagavano regolarmente quel che gli veniva chiesto, avevano ottimi rapporto con i loro maestri delle elementari, si interessavano e partecipavano. Sin dal primo giorno mostrarono una spiccata simpatia nei miei confronti.
E allora perché scrivevano in quel modo patetico e in modo altrettanto patetico leggevano?
Al primo incontro con i genitori dissi senza mezzi termini che la situazione in italiano si presentava parecchio grigia. Nessuno insorse, molti si scambiarono sguardi malinconici e alcuni ammisero francamente di non essere sorpresi.
Più avanti, a pezzi e bocconi e con l'aiuto di molte chiacchiere di corridoio con gli insegnanti del luogo (intendo quelli che vivevano a St. Mary Mead, e magari ci erano anche nati e cresciuti) emerse uno strano racconto.
A quanto sembra era colpa delle insegnanti delle elementari (beh, in effetti non poteva essere colpa di nessun altro) che per insegnargli a scrivere seguivano un metodo particolarissimo, basato sulla necessità di non mortificare il bambino e di non mettere in evidenza i suoi errori. In pratica, la creatura scriveva la parola sulla lavagna e non veniva corretto, doveva arrivarci da solo, azzeccando la grafia giusta col tempo. Quanto agli accenti e alle H, erano sistematicamente evitati: semplicemente, i ragazzi non venivano informati della loro esistenza se non verso la quarta o la quinta. Nessuno mi ha spiegato cosa succedeva per le maiuscole (giudicando dal risultato, si direbbe che non succedeva un bel nulla, nel senso che la questione non veniva posta se non in modo del tutto marginale).
Questo strampalato metodo, mi hanno assicurato, gode di scarsissima diffusione (e meno male!) ma a St. Mary Mead è assai apprezzato e le sue più convinte sostenitrici sono proprio il team modulare che aveva avuto in sorte di occuparsi dei miei amati ma sgrammaticassimi alunni - le altre sembra che adottino una forma un po' più soft (o forse, come è stato ipotizzato, sono semplicemente meno cretine).
Ignoro se questa storia abbia un pur vago fondamento di verità. Non ho indagato più di tanto con i ragazzi (che erano molto affezionati alle loro insegnanti passate) né con i genitori. Comunque fosse andata la cosa, ormai era andata e indietro non si tornava.
Non sono di quelli che "Certe cose, se non le hai imparate alle elementari, non le impari più". Sono fermamente convinta che a qualsiasi età si può imparare qualsiasi cosa. Resta il fatto che l'ortografia, come la postura con il violino, è più pratico impararla subito giusta piuttosto che correggerla in corsa. Per un bambino che sta imparando a districarsi con l'alfabeto, scrivere freccie o frecce immagino sia la stessa identica cosa e non so fino a che punto il suo amor proprio soffra se gli si fa notare che freccie non va bene e la forma giusta è frecce.
Va già un po' peggio, per il suo amor proprio, se sei costretta a farglielo notare alle medie, quando in teoria avrebbe già da un pezzo imparato a scrivere - anche se dubito che il grado di autostima sia così strettamente collegato con il grado di correttezza della propria ortografia.
In tutti i casi a nessuno, per quanto poco suscettibile, può far piacere consegnare un compito di italiano e vedersi ritornare indietro una sorta di cimitero di correzioni dove non si salva una riga, e in aggiunta una buona cinquantina di frasi supplementari assegnate per correggere almeno gli errori più salienti (normalmente la mia regola è che per ogni errore vanno fatte cinque frasi con la parola giusta. Ovvio che lì ho dovuto darmi una regolata o finivo denunciata ad Amnesty International per torture inflitte a minori); inoltre, per cambiare un automatismo nella scrittura ci vuole molta fatica, appunto perché è un automatismo. Far scattare subito l'automatismo giusto dovrebbe apparire come la soluzione più pratica a livello ergonomico anche agli occhi di chi non si è fatto due lauree e un master in pedagogia e scienze dell'apprendimento. Sembrerebbe.
Il discorso è ancor più valido con gli accenti: non ha molto senso dover prima imparare a non tenerne conto, poi a tenerne conto, il tutto con un'invasata con un'ascia in mano (plur: ascie) che pretende pure che tu colleghi a sottili distinzioni di significato il fatto di accentare li, la e da e ti ricordi pure che, Dio solo sa perché, sto e fu non vanno accentate mai - senza contare che se un poveraccio ad ogni parola si domanda come deve scriverla, è già tanto se alla fine dell'ora del tema è riuscito a raccontarti che sulla strada del ritorno a casa si è fermato a comprare il latte per la colazione.
In tre anni ho corretto valanghe di esercizi supplementari e fatto un'infinità di ore di grammatica; in effetti a volte mi domando se ho fatto qualcosa, a italiano, che non fosse finalizzato alla grammatica. Ed eravamo un tempo prolungato, con tante belle ore a disposizione - tutte passate a fare grammatica. Ci sono un'infinità di cose belle e interessanti che non abbiamo fatto a storia, geografia e letteratura perché c'erano i monosillabi accentati da ripassare o i verbi irregolari da risentire (non sono una fanatica dei verbi irregolari, ma se mezza classe muorette e l'altra mezza friggette o cuocette e simili, la cosa va pure affrontata in qualche modo).
Conclusione: i moduli sono (o meglio erano, possa la Marystella assurgere al più presto al grado di costellazione e smettere di imperversare per il ministero) una bella cosa e il tempo pieno anche, e sono convinta che le nostre elementari siano le migliori del mondo e le nostre maestre tutte bravissime. Ma, forse, i pedagogisti che le formano, può essere che non siano poi questo granché?
3 commenti:
L'ipotesi 2 è terribile (anzi, teribbile, come direbbe Barbara Palombelli alla radio).
l'ipotesi 3 è che alle elementari non scrivano più - esperienza personale: ho visto il quaderno di un mio ex alunno, in 2anni (4^ e 5^ elementare) aveva usato meno di metà quaderno...
@ La Prof
Si', l'ipotesi 2 e' angosciante. Quel che non riesco a capire e' se il Folle Metodo esiste o e' una leggenda metropolitana
@ Lanoisette
Non saprei, sento sempre racconti di immani caterve di compiti scritti... puo' darsi che cambi a seconda del metodo che usa in una determinata zona geografica...
Ad ogni modo i miei avevano scritto fin troppo, considerando quanto è stato difficile levargli quegli errori.
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