giovedì 31 dicembre 2020

Un caloroso saluto al 2020 che se ne va


Come salutare signorilmente,
senza indulgere a un facile turpiloquio,
 il 2020 che se ne va?
Non con feste e musica sulla pubblica piazza,
non con un tripudio di fuochi artificiali,
non con grandiosi assembramenti.
Lo saluteremo nell'intimità, 
al massimo con qualche congiunto.
Un anno ricco di sorprese e di imprevisti, 
faticoso e complicato, 
e non saranno molti che lo rimpiangeranno.
Un anno insolito, ecco.
Decisamente insolito.
Noi che l'abbiamo vissuto
non lo dimenticheremo facilmente.
Alziamo i nostri calici,
brindiamo con chi abbiamo vicino
e aspettiamo con fiducia.
Anche questa notte passerà.

lunedì 28 dicembre 2020

Lunedì Film - Lo schiaccianoci e i quattro regni


Come ho già scritto più volte, amo follemente la musica e il balletto dello Schiaccianoci che per me rappresentano una delle vere essenze del Natale.
Uno dei miei grandi rimpianti era che nessuno ne avesse mai tratto un bel film, e fui davvero contenta quando, nell'autunno 2018 il film arrivò, e dai trailer sembrava davvero fascinoso e molto fantasy (come tutte le fiabe, del resto).
Purtroppo proprio quando uscì nelle sale* venni ricoverata per l'ennesima ma ultima volta e non mi rimase che consolarmi con le recensioni - quelle sui giornali tutte ottime, quelle degli spettatori un po' perplesse.
Il tempo passa e infine questa vigilia di Natale, in mancanza di altri festeggiamenti che quelli miei privati che avevo allestito in casa, me lo sono potuto guardare in tempo reale, cioè al momento giusto - perché, com'è noto, è una storia ambientata durante la vigilia e la notte di Natale. 
Mi è piaciuto molto, ma adesso che l'ho visto comprendo anche le perplessità di molti spettatori, specialmente quelli che non stravedono come me per lo Schiaccianoci.

Andiamo per ordine: la regia è di Lasse Hallström, regista svedese non particolarmente prolifico ma molto amante delle favole e del mondo immaginario dei bambini. Per quanto ne so non ha mai sbancato il mondo, ma i suoi film sono gradevoli, simpatici e privi di retrogusto dolciastro ma non di un certo spessore.
Il cast è di tutto rispetto e comprende perfino due nomi che conosco: Vera Knightley, a suo tempo Elizabeth Bennet e qui nel ruolo della Fata Confetta (o Confetta o Dei Confetti, non ricordo che traduzione hanno scelto nell'edizione italiana del film)  e Morgan Freeman che interpreta il padrino Drosselmeyer, più altra gente assai famosa per chi va al cinema un po' più spesso di me.
La colonna sonora... non so perché hanno scritto che la colonna sonora è in parte presa dal balletto. A me sembra che sia stata presa assolutamente tutta dal balletto, anche se la maggior parte dei pezzi è spostata, riarrangiata e infilata comunque in punti diversi da quelli previsti da Chajkovskj, e secondo me va benissimo così. In un punto, sul finale, c'è addirittura una scena del balletto ballata nel più perfetto stile del balletto classico di fine Ottocento, e che racconta appunto la storia (quella del balletto o quella del film? Mah, diciamo che in quel punto coincidono).

La storia... ufficialmente è "riadattata" dal racconto di Hoffmann, ma a dire il vero è proprio una roba diversa e qualcuno ci ha trovato da ridire. Non io, perché tanto c'è la musica di Chajkovskj e l'importante per me è quello.
Siamo ai tempi in cui è ambientato il balletto, ovvero fine Ottocento, in una ricca famiglia che comprende Clara, che non ha nove né undici anni come nella novella, ma all'incirca quattordici-quindici, una sorella, di età non molto diversa, e un fratellino minore. Poi c'è il padre, un pover'uomo affranto dal dolore (cosa di cui tutti si rendono conto benissimo tranne Clara e il fratellino) e che cerca di tirare avanti come può dopo la morte per malattia dell'amatissima moglie. La suddetta moglie, come intuiamo da un flashback, già l'anno prima sapeva di essere malata in modo irrimediabile e aveva lasciato per i suoi figli tre regali da aprire appunto alla vigilia di Natale. E il regalo per Clara era... no, non uno Schiaccianoci, ma un uovo di quelli tipo Fabergè, d'argento e senza chiave. In pratica, un uovo inapribile.
Clara è una bella ragazza, molto amante delle scienze (fisica, chimica, meccanica eccetera) che si diverte ad inventare complicati esperimenti per spiegare al fratellino le leggi delle suddette scienze. Questo grande amore l'ha ereditato proprio dalla madre, orfanella adottata a suo tempo da Drosselmayer, che la considerava la migliore inventrice di sua conoscenza. Come scopriremo più avanti Drosselmeyer non è solo un ricco signore amante pure lui delle scienze, ma qualcosina di più - i suoi topi e i suoi gufi per esempio sono particolarissimi.
Dal padrino la famigliola un po' triste e molto nostalgica va a festeggiare il Natale, in una festa grandiosa dove tra l'altro entra in scena lo Schiaccianoci di legno dipinto da soldatino, che nessuno si fila più di tanto.
Ad ogni modo, quando la festa è appena iniziata, Clara vede la chiave del suo uovo, portata via da un topo bianco che scopriremo poi chiamarsi Topolastro. Inseguendo il topo si ritrova ben presto nella Valle degli Alberi di Natale, poi davanti a un ponte che, ebbene sì, conduce a un regno incantato. A guardia del ponte un bel ragazzo vestito da soldatino-giocattolo. Un po' per volta scopriremo che si chiama Philip Hoffmann, anche se per buona parte del film sarà solo "il Capitano"

Il Soldatino la porta nel regno incantato, dove tutti la riconoscono come la figlia di sua madre, che un tempo era la loro principessa e aveva inventato una macchina che dava vita ai giocattoli (tutti loro infatti sono ex-giocattoli).
Tutto andrebbe bene tranne per il fatto che in uno dei Quattro Regni la Regina ha perso la testa e ha deciso di ribellarsi e conquistare gli altri tre.
Clara, aiutata dal Capitano ma anche dal prode Topolastro, riporta le cose a posto anche grazie alla sua conoscenza delle macchine, non senza aver scoperto che la storia non è andata esattamente come le avevano raccontato. 
In pratica, uno Schiaccianoci steampunk dove il personaggio più zuccherino si rivela di una cattiveria inaudita e che le apparenze ingannano (ma quest'ultima cosa era già evidenziata anche nella storia originale, sia quella scritta che quella musicata).
In effetti è tutt'altra storia che quella del balletto o del racconto di Hoffmann (lo scrittore, non il Capitano) ma a me sembra che funzioni benissimo. Avanzo però due piccole obbiezioni.
Primo, lo Schiaccianoci. Sia nel balletto che nel racconto è quasi sempre sulla scena e fa un sacco di cose, ad esempio rompersi nel primo atto quando è un pupazzo. Qui compare dopo la prima mezz'ora di un film di meno di novanta minuti, fa tutto sommato piuttosto poco e soprattutto: vabbé, Clara a un certo punto lo chiama Schiaccianoci, ma in tutto il film non si vede nemmeno l'ombra di una noce, lui non subisce alcuna trasformazione né è sotto alcun incantesimo e in pratica non fa niente se non aiutare l'eroina in un paio di scene. In pratica: possiamo anche credere sulla fiducia che un tempo lontano sia stato uno schiaccianoci, ma volendo anche un termosifone, un ornitorinco o un dolce alla crema. Cioè, che ci azzecca il titolo, musica a parte?
Secondo e più importante punto: lo Schiaccianoci è essenzialmente una storia d'amore: la piccola Clara trova il suo principe, e alla fine lo sposa pure (anche se in alcune versioni del balletto si ricorre all'espediente di farla risvegliare alla fine della musica per scoprire che è stato solo un sogno). Qui la storia d'amore proprio non c'è, al massimo niente impedisce allo spettatore di immaginarla in controluce  ma senza altro appiglio concreto che ci sono per protagonisti due bei ragazzi e dunque si potrebbe anche andare a finire lì.
D'accordo, ai tempi di Chajkovskj tutte le ragazze sognavano un principe da sposare, anche perché non avevano molto altro da sognare visto che carriere e studi erano loro precluse; al contrario, oggi si ama immaginare giovani eroine con un destino tutto loro da seguire che, tutto sommato, al principe azzurro non ci pensano più di tanto:

Lungi da me deprecare queste valide aspirazioni, e soprattutto è bene ricordare agli spettatori che a questo mondo c'è ben di meglio dei principi, tuttavia a me le storie d'amore piacciono, specie se in sottofondo c'è il leggendario passo a due dello Schiaccianoci

che nel film, ahimé, è usato soprattutto come musica del carillon nell'uovo, in una scena dove un aggancio sentimentale non ce lo trovi nemmeno a cercarlo col microscopio elettronico.
Così Philip accompagna la sua principessa alla frontiera col mondo reale, dove lei ballerà il passo a due... con suo padre, con cui da quel momento avrà un rapporto molto più affettuoso anche se del tutto privo di sfumature incestuose.
Lei e Philip si ritroveranno? Lei promette di ritornare, ma non precisa né come né quando né con quali intenzioni.
Resta comunque un bel film, adattissimo per la vigilia di Natale e assolutamente piacevole. Volendo, adattissimo anche per una classe delle medie se non è l'anno del Covid e quindi i giorni ti precipitano addosso senza che tu riesca a programmare quasi niente.

* strano a dirsi, in quell'epoca remota i film uscivano nelle sale e non in streaming, e sotto Natale quelle sale di solito erano assai piene

venerdì 25 dicembre 2020

Buon Natale 2020

 


E dopo aver detto 
tutto il mal che in bocca ci venìa
di questo Natale assai alternativo e insolito
tanto vale godercelo
nei limiti del possibile.
Auguri a tutti!

giovedì 24 dicembre 2020

Notte di Natale 2020

 


E' la notte magica.
Anche se sei solo, lontano dai tuoi cari triste e infreddolito,
ci sarà comunque chi pensa a te 
e ti porterà un regalo 
e un po' di speranza,
per ricordarti 
che non sei poi così solo.
Auguri a tutti!

mercoledì 23 dicembre 2020

La routine di scuola ai tempi della pandemia - Bilancio di fine trimestre


Approfitto di questo post per esprimere la massima solidarietà ai colleghi delle scuole superiori che quasi subito sono finiti a fare la Didattica A Distanza. Mi rendo perfettamente conto che al loro confronto alle medie siamo dei privilegiati.
Sono altresì riconoscente perché, grazie al fatto di lavorare in presenza, posso dare il mio piccolo contributo alla collettività: le lezioni in presenza sono preziose perché tengono occupati i ragazzi con una routine che ha una sua parvenza di normalità, gli permettono di uscire di casa e di non fondersi il cervello passando troppe ore davanti a uno schermo e trasmettono questo lieve senso di normalità alle loro stressatissime famiglie - e anche a noi, naturalmente: in certi brevi momenti pare quasi di essere a scuola a far lezione e per un po' l'Onnipresente Covid viene lasciato fuori dalla porta. Son cose, queste, che fanno bene a tutti.
Detto questo, garantisco che non sono tutte rose e fiori.
E passo qui a descrivere una normale mattinata di scuola a St. Mary Mead, al netto dei micidiali lavori in corso che ufficialmente sono finiti da tre settimane, e infatti le impalcature davanti alle finestre non ci sono più, ma ugualmente siamo perseguitati da muratori, imbianchini e trapani e gru e betoniere che continuano a ricordarci che nonostante siano finiti, i lavori imperversano tuttora. 
E andiamo a incominciare.

Ben avvolta nella mia mascherina entro a scuola, salutando i ragazzi davanti all'ingresso che da dietro le loro mascherine mi augurano il buongiorno. Perché adesso gli ingressi sono due e una parte degli alunni entra dal portone principale e non più dal grande piazzale sottostante.
Saluto la custode mascherata e l'ausiliaria di cui ignoro il nome, mascherata pure lei.
Passo in Sala Insegnanti per firmare il registro. Mi tolgo il cappotto e lo infilo nella mia custodia personalizzata con nome e cognome - questo sono una delle poche a farlo, in quanto la maggior parte degli insegnanti non si toglie proprio niente e va in classe con piumino e sciarpa, e del resto va pur riconosciuto che la situazione climatica da noi non è delle più calorose, anche perché i termosifoni emanano solo un vaghissimo tepore e in effetti nei corridoi e nei locali più grandi fa un freddo cane.
Alle otto entrano le Terze, alle 8.05 le Seconde, alle 8.10 le Prime. Almeno in parte, perché i ragazzi sui pullmini (detti "i Trasportati" in scolastichese) arrivano nei successivi dieci minuti.
A seconda della composizione geografica della classe dunque può succedere che le cosiddette risorse umane non siano al completo prima delle 8.25, e fino a quell'ora niente appello.
Accendo il computer e la LIM. Saluto i ragazzi via via che arrivano. Chiedo notizie degli eventuali ammalati. Apro il registro elettronico. Apro la piattaforma, dove ho caricato il materiale per la lezione.
Predispongo il foglio per le uscite al bagno e il foglio per gli assenti.
Di solito questa fase va abbastanza liscia ma talvolta ci sono intoppi di vario tipo, per esempio il sistema ha improvvisamente deciso di autoaggiornarsi e in quel caso non c'è verso di convincerlo a rimandare la cosa al pomeriggio. Di fatto, i nostri computer sono un po' allo stato brado: continuano a offrirci meravigliosi aggiornamenti di MacAfee, il sistema di protezione che nei computer delle mie classi ho (vanamente tentato di) cancellato, e in quel caso mi offre di autoreinstallarsi. Gli aggiornamenti arrivano alla cazzo di cane e sempre nel momento meno opportuno. Qualche volta la password è lunatica e non vuole entrare, qualche volta ad essere lunatica è la tastiera. Eccetera.
Se mi riesce avvio una musichetta di ingresso mentre gli alunni arrivano alla spicciolata: Smoke on the water se a scuola piove, l'introduzione dell'Oro del Reno se facciamo i fiumi europei, una canzoncina natalizia se siamo sotto Natale, cose così.
Avvio l'appello - una cosa piuttosto rapida, se ci si limita a contare i banchi vuoti invece di chiamare i ragazzi uno per uno come sono invece costretta a fare quando siamo in quarantena. Poi segno gli assenti anche nell'apposita tabella, dove devo suddividerli tra Assenti Per I Cazzi Loro e Assenti Forse Per Covid.
A quel punto sarei pronta per un caffè supplementare, magari con un paio di biscottini; invece la lezione deve ancora cominciare.
Qualche minuto per predisporre la lezione (andate a pagina 86, oggi si interroga, stamani ci sono le ricerche sulla Belle Epoque eccetera).
E si parte, per un po', salvo interrompersi quando qualcuno vuole uscire per segnarlo sull'apposita tabella.

E veniamo allo spinoso intervallo, di solito una pratica dolorosamente breve ma che in tempo di Covid è diventata una piovra che invade qualsiasi ora, e in ogni caso nella tua c'è sempre.
Abbiamo due intervalli di dieci minuti - che, con sei ore in classe, è veramente il minimo sindacale. Le Terze intervallano dalle 9.45 alle 9.55, le Seconde dalle 9.55 alle 10.05 (con in mezzo il cambio dell'ora) e le Prime, non sono riuscita a capire perché, dalle 10. 45 alle 10.55, cioè verso la fine della terza ora.
A suo tempo provai a dire che, a lume di logica, il primo intervallo andava fatto fare alle Prime e che è assurdo farle intervallare alla fine della terza ora. In tanti si dissero d'accordo con me, venne presentato il punto all'ordine del giorno del Collegio di Plesso... e arrivati al dunque, quegli stessi che si erano detti d'accordo con me dissero che no, non importava.
Nel frattempo, sin dal primo giorno, era stato stabilito che alle prime sarebbe stato concesso un piccolo spazio negli ultimi dieci minuti della seconda e della quarta ora per mangiare, visto che dopo due ore avevano fame.
Questo spazio della prima colazione si è misteriosamente dilatato diventando "dieci minuti alla fine della seconda ora" che poi quando arrivi per fare la terza ora i ragazzi stanno ancora mangiando e mangeranno per altri dieci minuti. Non solo, i ragazzi ci han preso gusto e han cominciato a dire che avevano fame già alla fine della prima ora.
Di conseguenza la terza ora comprende il tempo per il cibo e anche l'intervallo, il quale intervallo finisce ai cinquantacinque minuti e non è che in quegli ultimi cinque minuti si raccatti 'sto granché. 
In sintesi, la terza ora (e pure la quinta)  si trasformano in trentacinque minuti, quaranta se l'insegnante a un certo punto chiede che la piantino di mangiare; e aggiungo che, non so come se la cavino i miei colleghi, ma personalmente ho un sacco di remore a strappargli il pane di bocca perché sono fermamente convinto che lo studente deve nutrirsi, tanto e bene, ma persino io comincio ad essere stufa di questa storia.
La questione degli intervalli si ripete pari pari tra la quarta e la quinta ora, pausa supplementare per mangiare per i primini compresa.
Poi, chiaramente, con gli intervalli sfalsati c'è l'intervallo della tua classe e l'intervallo delle altre classi che ululano in corridoio - perché, abbastanza giustamente, è stato ribadito che i ragazzi han da sfogarsi visto che in classe devono star fermi come acciughe nella scatola e per giunta mascherati, però in certi casi ottenere, non dico una gran concentrazione da parte degli alunni chiusi in classe mentre fuori gli altri ululano, ma almeno un minimo di possibilità per i suddetti alunni chiusi in classe e, al limite, anche per il docente di turno, di farsi sentire, diventa spesso piuttosto difficile.
E arriviamo alla sesta ora, l'unica senza intervalli... ma con l'uscita. E i pulmini partono prima, per evitare di creare resse. 
Naturalmente i ragazzi trasportati devono fare la cartella, e pazienza quando hai tre trasportati silenziosi e discreti che raccolgono le loro cose e sgusciano via in dignitoso silenzio, ma quando i trasportati sono dieci o dodici su una classe di ventuno, ecco, la faccenda è un po' caotica.
Resta infine la Grande Domanda: nell'ultimo quarto d'ora, a ranghi ridotti, che si fa?
Poco, ovviamente. Certo non si può spiegare, e alla fine della sesta ora è difficilino anche interrogare. Nella Prima che mi è toccata in sorte rimedio mettendoli a spazzare e a ripulire la classe, che hanno la deplorevole tendenza a ridurre come uno stalletto per maiali. 
Che dire? A modo suo è anche quella una attività didatticamente valida, ma insomma...

Nei ritagli di tempo tra un intervallo e l'altro e tra un pulmino e l'altro, ecco, sì, ci sarebbe anche da fare lezione, perché c'è pur sempre una programmazione da tirare avanti. 
Ma non una programmazione normale, bensì una programmazione double face, che possa da un momento all'altro essere trasbordata nella classe in quarantena o impelagata nella tanto odiata Didattica a Distanza, e che riesca a concentrare l'essenziale in lezioni piuttosto brevi, sempre senza dimenticare che le creaturine devono esporre e fare anche qualche verifica scritta. Le interrogazioni sono affidate a una serie di escamotage e le verifiche scritte perennemente sospese all'inquietante possibilità di una quarantena, per tacere degli alunni che da un momento all'altro possono venirti scippati senza preavviso per parcheggiarli a casa nella malinconica attesa di un tampone che a volte ha pure la sfrontatezza di rivelarsi positivo. 
Per tacere poi delle Terze, che a tutt'oggi non sanno come sarà l'esame - si spera di farlo in modo normale, ma vai a sapere come sarà la situazione a Maggio, qua si naviga a vista.
I ragazzi nel complesso collaborano, ma l'insieme è davvero complicato, e in tutto questo gran frullare di precauzioni, regole e controregole, anche quando siamo in presenza di scuola se ne fa poca, e di tempi distesi per l'apprendimento si è proprio persa la memoria.
L'impressione che spesso provo è di essere una giocoliera impegnata in qualche esercizio particolarmente complesso, più che una insegnante - e alla fine di ogni spettacolo sono abbastanza stremata.

venerdì 18 dicembre 2020

Addio, e grazie per tutto il pesce - Douglas Adams


Pubblicato nel 1984, due anni dopo La vita, l'universo e tutto quanto, quarto volume di una trilogia, il romanzo che vado oggi a presentare è essenzialmente una bella storia d'amore, che contiene anche una delle migliori e più originali scene di sesso da me mai lette - e posso dire in tutta onestà e senza tema di vantarmi che ne ho lette parecchie e di vario genere, non di rado annoiandomi assai e assolutamente non perché l'argomento fosse privo di fascino ai miei occhi.
Un romanzo d'amore, dunque, e la storia di una ragazza. Un ragazza già citata nelle prime pagine del primo romanzo, che aveva appena avuto una perfetta intuizione su come sistemare tutto nel mondo, e in modo semplice e per niente aggressivo, ma che non aveva avuto tempo di comunicarlo a nessuno perché l pianeta era esploso, e lei con esso.
Ma il romanzo non comincia con lei. Comincia con Arthur Dent, il protagonista quasi principale di tutto il ciclo che, poverino, fino a questo romanzo non aveva avuto occasione di pensare molto né all'amore né al sesso, e quand'anche gli era capitato di pensarci non aveva avuto (stando alle apparenze) modo di combinare alcunché, vuoi perché lo catapultavano subito in un altro pianeta/astronave/universo spaziotemporale, vuoi perché il perfido autore lo piantava lì senza raccontare niente al lettore, che a detta dell'autore non doveva impicciarsi più di tanto in questi affari. Un po' meglio, va detto, gli andava nel film, dove Trillian sceglie lui al posto di Zaphod (da notare che la sceneggiatura del film l'ha scritta Adams ed è stata rispettata. Ma Adams non è mai stato persona che avesse paura delle contraddizioni, specie in questo ciclo).
Di fatto, l'unica cosa in tutto il ciclo in versione scritta che poteva somigliare a una storia d'amore era il legame tra Trillian, l'altra terrestre sopravvissuta all'esplosione e Zaphod Beeblebrox, l'affascinante ma a tratti insopportabile alieno a due teste nonché comandante dell'astronave Cuore d'oro. Nel romanzo precedente però ad un certo punto Trillian si stufa e lo lascia, non sappiamo se per sempre o no (lo scopriremo solo nel quinto libro, ma senza esserne davvero sicuri).

Per combinare una storia d'amore che non sia solo spirituale, è necessario che i due protagonisti si trovino l'uno in prossimità dell'altro. E così avviene. Sulla Terra.
Se qualcuno dei pazienti lettori che mi han seguito fin qui si starà domandando come fa la Terra ad essere teatro di una storia d'amore dopo essere stata polverizzata dai Vogon, ecco, questa domanda se la fanno anche i due protagonisti, fino a trovare la risposta. Ma andiamo per ordine.
Siamo sulla Terra. Sulla Terra sbarca Arthur Dent, da una astronave cui ha chiesto un passaggio in autostop, e ritrovandosi a poca distanza da casa sua resta comprensibilmente perplesso. Ma tutto è come lo ricordava, compresa casa sua, che a quanto pare non è stata distrutta per farci passare una autostrada.
Naturalmente il suo non è un ritorno felice: piove a dirotto, nessuno si ferma a dargli un passaggio... tranne un tipo che ha a bordo la sorella, ben drogata perché è un tipo strano e ha una malattia mentale non meglio definita. Ma Arthur la trova comunque molto attraente e soprattutto avverte con lei una forte risonanza perché...
Arthur la rincontrerà poco dopo, dopo qualche tempo che si è reinstallato a casa e ha ripreso una vita tutto sommato tranquilla (ma priva di delfini, perché sulla Terra i delfini sono improvvisamente scomparsi tempo addietro e nessuno sa come ciò sia accaduto).
Sono passati alcuni anni da quando Arthur Dent è scomparso. Al suo ritorno inventa un po' di storie, cui gli amici e i conoscenti credono fino a un certo punto - ma naturalmente non prova a raccontare a nessuno che in quegli anni ha viaggiato per lo spazio e la Terra su cui tutti loro stanno vivendo attualmente è esplosa. Perché, comprensibilmente, teme di non essere creduto.
Dicevo: Arthur e la ragazza, che si chiama Fenchurch, si incontrano di nuovo e Arthur si ritrova in seria difficoltà a gestire in contemporanea le conseguenze di un colpo di fulmine e il desiderio di condividere con la ragazza la sensazione che ci sia qualcosa di sbagliato in un pianeta che notoriamente è esploso anni prima, eppure c'è ancora. Questa, di fatto, è la causa della malattia mentale di Fenchurch: una sorta di scollamento spaziotemporale che deriva dalla consapevolezza di stare in un pianeta che non è il suo, perché il suo non c'è più.
Siccome l'autore era di umore felice mentre scriveva, e anche innamorato a sua volta (non è una mia illazione, è cosa nota nell'ambiente e ammessa anche dal diretto interessato), lo sfortunatissimo Arthur Dent riesce a spiegarsi con la ragazza, e i due avviano una felicissima storia d'amore che lascia talvolta perplessi i vicini (chi legge scoprirà perché. No, non si tratta di vicini particolarmente pettegoli, o meglio, anche se lo sono la cosa non c'entra con la loro perplessità).
Bene, la storia è tutta qui, salvo due piccoli particolari. Il primo è che verrà spiegato come mai la Terra c'è ancora (c'è e non c'è, per la verità. Ma sorvoliamo). Il secondo piccolo particolare è che la coppia di innamorati lascia la Terra per andare a viaggiare nello spazio, e troverà il posto dove è custodito il Messaggio Finale di Dio al Creato. Con loro ci sarà anche Marvin, il robot depresso che abbiamo incontrato nel primo libro della trilogia ma di sfuggita anche negli altri romanzi, e che alla vista del messaggio morirà, alfine sereno. Questo messaggio... beh, secondo me è molto valido e pertinente e racchiude in sé alquante spiegazioni - ma naturalmente ogni lettore è libero di pensarla a modo suo, ci mancherebbe.
Forse in virtù di questo messaggio, forse perché le storie d'amore mi sono sempre piaciute, specie quando sono a lieto fine, forse perché si tratta di un romanzo felice scritto da un autore felice (e per i libri felici e le persone felici io sempre avuto una certa inclinazione) questo per me è il libro preferito dei cinque della trilogia, e il finale che preferisco.
Sì, perché a questo punto la storia è finita. Forse. Può essere. Chissà.
A proposito, nonostante la frase del titolo sia quella con cui i delfini salutano la Terra ormai destinata alla distruzione, tutto il romanzo si segnala per una malinconica assenza di delfini.

Con questo post partecipo, temo per l'ultima volta quest'anno, al Venerdì del Libro di Homemademamma e auguro quindi felici - per quanto assai casalinghe e intimistiche - feste a chiunque passi da queste parti.

mercoledì 16 dicembre 2020

Every day I write the book (diari di ieri e di oggi)


Viene il momento, in Prima, in cui si parla di monaci e monasteri; e se l'insegnante sono io questo momento non è sempre cortissimo.
Ed eccomi dunque a parlare di scriptorium, e dei pazienti monaci che copiavano testi di teologia e Bibbie e Vangeli, ma anche i ben più frivoli testi di Ovidio.
E le pergamene, le miniature, come si faceva a fare un foglio di pergamena, quanti fogli di pergamena di tiravano fuori da una povera pecora, i formati dei fogli: un folium era il formato A2, il doppio di quelli dei quadernoni, il folium era l'A1, ovvero il doppio di un A2, con una pecora si ricavavano due doppi folii...
Qualcuno mi chiede se c'erano diari nel Medioevo: diari come i nostri, quelli che scrivi giorno per giorno.
Ci penso su ma non mi viene in mente nulla. C'erano molte memorie, c'erano gli Annali, molte abbazie tenevano i loro... ma no, il nostro diario non c'era. I diari arrivano dopo, molto dopo.
"In Giappone però già nel X secolo c'erano diari come i nostri, ne abbiamo molti". Non mi attento a dire se c'erano anche in Cina, il rischio di scodellare una colossale sciocchezza è troppo alto, ma mi sembra vagamente di ricordare di sì.
E ancor più sorvolo sul Diario di Murasaki, che tra l'altro non sono nemmeno sicura che sia effettivamente stato scritto dalla mia illustre omonima.
"Ma i diari, quelli che si tengono tutti i giorni, sono più una cosa da adolescenti" osserva Cornelia "Non credo che gli adulti tengano chissà quali diari...".
La guardo. Sorrido. Sorrido più forte, anche se da dietro la mascherina non si vede.
"E quelle pile di quaderni che ci sono nel mio baule secondo te cosa sono?" chiedo divertita.
Mi guarda come si guarda il cane di casa che improvvisamente ti accorgi che legge il giornale.
Così passo a parlargli della diaristica: ci sono un sacco di persone che nemmeno per sbaglio han mai provato a tenere un diario, ma ce ne sono di quelli che scrivono il diario tutti i giorni, ogni tanto, in occasioni particolari, in momenti particolarmente importanti... 
"Però è una cosa che si fa solo su carta, vero? Non si può tenere un diario al computer" si informa qualcuno.
"Certo che lo puoi tenere al computer. Lo puoi tenere anche su tavolette d'argilla, se così ti gira; anche se, in quel caso, potrebbe essere un problema tenerlo nascosto".
Mi guardano, sempre più pensierosi.
"Il diario non ha regole precise. Quel che voi decidete che è un diario lo sarà, anche se lo tenete una volta ogni tre anni scrivendo su foglie secche. Non è necessario tenerlo su un quaderno con la chiavetta e con su scritto "Diario". E
qualche volta, come nel mio caso, si comincia alla vostra età e si continua tutta la vita, non sempre in modo regolare".
Evito di aggiungere che negli ultimi tempi il mio diario ha avuto una nuova fioritura e viene pazientemente aggiornato quasi tutti i giorni dopo una pausa di qualche anno, all'occorrenza parlando anche di loro.
E vieppiù sorvolo sul fatto che ormai da dodici anni tengo addirittura un diario in rete, dove parlo soprattutto di scuola.
"Tenere un diario non è una questione legata all'età ma piuttosto alla propria individualità" spiego solenne.
Mi guardano vieppiù perplessi, e decido che è tempo di ritornare alle chronicae e agli annales.
Ma nel frattempo rifletto: in quanti diari si parla della nostra scuola, a parte il mio? Quanti diari che parlano della nostra scuola parlano anche di me?
Difficile dirlo: oggi ufficialmente tenere un diario nel cassetto del comodino non è  più di moda, mentre un tempo era praticamente obbligatorio. Ma chi vuole lo tiene, e non necessariamente ne parla ad altri, o al di fuori della sua più stretta cerchia. Senza contare che i nostri anni van producendo una gran messe di diari, chiamiamoli così, involontari: quelli tenuti sui social, per esempio, oppure le vastissime memorie dei telefoni, che ormai conservano memorie degne del più anziano degli elefanti. Si può parlare di diari, in questi casi, o solo di fonti di informazioni?
Il diario propriamente detto è solo quello tenuto volontariamente e consapevolmente?
(Ah, saperlo, saperlo. Ad ogni modo io, tutti i giorni, scrivo il diario)

venerdì 11 dicembre 2020

La vita, l'universo e tutto quanto - Douglas Adams


Terzo romanzo della serie della Guida Galattica, e il tema stavolta è assai vasto: nientemeno che "la vita, l'universo e tutto quanto".
Proprio questo picciol argomento era stato proposto a un grande computer per averne la risposta definitiva, tanto e tanto tempo fa; ma il tempo, abbiamo ormai imparato dopo il pranzo al ristorante al termine dell'universo, è un concetto assai scivoloso perché tutto avviene contemporaneamente, è già avvenuto e deve ancora avvenire - il tutto senza contare che la cosiddetta risposta definitiva (che era il numero 42) non appariva molto convincente perché, di fatto, la domanda era stata posta male, ma formularla meglio si era rivelato davvero problematico.
Comunque il terzo romanzo comincia dove abbiamo lasciato Arthur Dent e Ford Prefect, ovvero nella Terra preistorica, ma nel frattempo sono passati cinque anni (per lui, ma non per i lettori che si vedono arrivare il terzo romanzo nel 1982, due anni dopo il secondo). 
Senza sorprenderci troppo apprendiamo che nella Terra della preistoria la vita è scomoda, l'alimentazione tutt'altro che raffinata e procurarsi un abbigliamento elegante non è affatto facile - e del resto si sa che, davvero ,"il tempo è il posto peggiore per perdersi".
Come sempre, è inutile stare a raccontare la trama: che senso avrebbe narrare come un divano volante proveniente da una diversa dimensione passi a prendere i due protagonisti per poi riportarli nell'Inghilterra quasi contemporanea, nel bel mezzo di una partita di cricket, due giorni prima che la Terra venga distrutta?
Oppure le vicissitudini che due uomini appena piombati da un altro tempo trovano...
In realtà non ci sono particolari vicissitudini da vivere, su quel campo da cricket, in quel momento (ben diversa sarà la situazione alla fine del romanzo, quando Arthur salverà due volte l'intero universo in meno di un giorno e la partita di cricket risulterà molto più animata; ma forse non dovrei dirlo perché questo tipo di anticipazioni, dette spoiler sono molto criticate in certi ambienti). I due vengono prontamente soccorsi e teletrasportati da un progettista di pianeti che avevano già incontrato nel corso del primo romanzo, e si ritrovano così su una astronave molto particolare, arredata come... un ristorante italiano degli anni 70. No, non un raffinato ristorante italiano di quelli che han fatto la gloria del nostro paese fra i turisti di tutto il mondo e dove il jet set si contende i tavoli, ma uno di quei ristoranti di media tacca che pullulavano nella nostra penisola, veri trionfi della plastica e del pessimo gusto, pieni di tovaglie a quadretti e di "vari oggetti di ottone non bene identificabili", con colori che andavano dal verde scuro al marrone scuro. La mia età mi permette di riconoscerli e di apprezzare la descrizione, che è esatta al millimetro - e siccome ne ho frequentati parecchi, soprattutto quando andavo in vacanza con i miei genitori, garantisco che erano assolutamente come Adams li descrive;  va detto anche che in molti di questi ristoranti si mangiava bene, a volte anche molto bene, ma erano effettivamente brutti al di là del comprensibile (va aggiunto però che le case e gli uffici di quegli anni erano perfino peggio).
All'interno dell'astronave, una cabina di vetro racchiude il ristorante vero e proprio: una tavola lunga circondata da una dozzina di sedie di legno, con una tovaglia a scacchi bianchi e rossi sporca e alcune bruciature di sigarette... Vabbé, non è necessario abbondare nei dettagli, comunque ribadisco che la ricostruzione è impeccabile; e naturalmente certi aspetti dei ristoranti, come il Gran Mistero del Conto, sono intatti in tutti i ristoranti di tutti i tempi del multiverso indipendentemente dall'arredamento e dai suoi orridi colori.
Va aggiunto però che nel multiverso della Guida un ristorante non è mai un normale ristorante, e questo nello specifico è un raffinatissimo centro di calcolo che descrive (o determina? Descrive più che determina, direi) il corso dell'universo, e la nave viaggia grazie alla Propulsione Bistromatica, ovvero la nuova frontiera della matematica dopo il calcolo dell'improbabilità.
E da lì è possibile vedere la Storia dell'Universo.
E scoprire che un tempo la Galassia era un luogo felice, prospero e pacifico prima che i Krikkit, che erano sempre vissuti felici, prosperi e in pace con sé stessi e il loro mondo, scoprissero che l'universo non era limitato al loro pianeta.
Da questa scoperta, drammatica per loro ma ancor più per gli Altri, nacquero grandi affanni per la Galassia, ma ancora di peggiori stanno per sopraggiungere. E abbiamo la risposta - che non è una vera risposta, perché è difficile determinare la domanda - sul perché nascono il razzismo e la xenofobia. Dalla paura, forse? Ma no, non è così semplice; però la teoria di Adams - che non è una vera teoria - è davvero affascinante.

Al termine di questo mio lungo sproloquio sorge spontanea al lettore la domanda: "Ma in questo libro c'è una trama?".
Come sempre c'è, anche se è complicata da ricostruire; ma soprattutto c'è un Complotto, di quelli iniziatici e perseguiti per generazioni e generazioni da complesse società segretissime: uno di quei complotti dove si deve ricostruire un Oggetto mettendo insieme Tre Oggetti ognuno dei quali racchiude immenso potere, ma che riuniti insieme raccoglieranno in sé una tal strabordante quantità di potere da consentirgli di fare qualcosa di Grandioso e Tremendo, mai fatto prima - e che dopo, ovviamente, non sarà mai più possibile fare dopo perché...

La storia è divertente, a tratti anche angosciosa - soprattutto quando ti accorgi che la conosci già, che l'hai vista accadere e letta e studiata e che davvero rappresenta una delle possibili spiegazioni per la Vita, l'Universo e Tutto Quanto.
La descrizione della società e della cultura del popolo di Krikkit da sola vale il prezzo del libro. Se siete appassionati di cricket comunque avrete un bonus extra di metafore e parabole, e non solo grazie alle due partite (che in realtà sono una sola).
Se vi piacciono le Storie di Complotti, questo è il vostro libro. Se ai complotti non credete, ma ogni tanto vi domandate perché l'umanità ama tanto complicarsi la vita fino all'inverosimile, questo è altrettanto il vostro libro.
Se avete sempre desiderato imparare a volare (a volare, non a guidare un aereo o un elicottero o un deltaplano) questo è vieppiù il vostro libro e potrete scoprire la migliore delle tecniche per impadronirvi di questa complessa arte anche se la sorte vi ha privato del possesso di due ampie ali  - e se poi avete visto il film La gabbianella e il gatto avrete comunque già ricevuto una piccola infarinatura che vi renderà più facile comprendere la tecnica. 
Se siete pieni di domande sulla vita, l'universo e tutto quanto e vi interessano le domande più che le risposte, di cui dubitate per principio, questo è assolutamente il vostro libro e diventerà il vostro preferito della saga.

Quella della Guida è una trilogia, questo è il terzo volume e dunque la trilogia è finita e le ultime pagine sono quelle conclusive della storia. Arthur Dent prende definitivamente stanza su un bel pianeta pacifico, dove d'ora in poi vivrà una vita piacevole e rilassata (volando moltissimo). Le domande restano senza risposta, ma appunto per questo ci sono molte cose su cui riflettere, con la piacevole convinzione di fondo che riflettere sulle Grandi Domande è un passatempo abbastanza fine a sé stesso (e che appunto per questo utilissimo).
Ma approfitto di questa temporanea conclusione (ebbene sì, ci sono altri due volumi. No, non sono dedicati alla Next Generation, né sono finali alternativi. E  si tratta di una trilogia in cinque volumi, come non manco mai di spiegare) per una piccola considerazione.
Ufficialmente il ciclo della Guida è ascrivibile al genere della fantascienza umoristica, anzi qualcuno sostiene che proprio da Adams questo sottogenere è stato inventato. La cosa non mi convince affatto; non solo perché, pur avendo letto poca fantascienza, sono già incappata in altri testi che possono (e vengono) classificati in questo senso, e tutti precedenti al ciclo, nonostante l'autore abbia più volte dichiarato che per lui all'inizio è stato molto difficile piazzare il prodotto perché i vari editori, finanziatori eccetera sostenevano che "fantascienza" e "comico" non andavano bene insieme; ma anche e soprattutto perché, sì, si ride o si sorride, in alcuni punti, ma la colonna portante di questo ciclo non è l'umorismo. Secondo me è la filosofia.
Ce n'è un sacco, sparsa a piene mani in tutti i romanzi, di quella abbastanza complessa. Filosofia matematica, filosofia scientifica, filosofia sociologica. Davvero si parla della vita, dell'universo e di tutto quanto, in modo decisamente complesso, e in molti punti non solo il ciclo, ma lo stesso Adams per come appare in certe interviste mi riporta in mente quei testi mistici orientali che non sono né religiosi né filosofici ma pure loro parlando della vita, dell'universo e di tutto quanto.
Alla fine (alla fine di tutti i cinque romanzi) mi sono ritrovata a guardare il mondo che mi circonda con occhi diversi e una certa inquietudine, e a dubitare praticamente di tutto - una sensazione che mi spiazza parecchio perché amo molto la rassicurazione delle cose concrete e della mia amata linea cronologica sulla quale imposto rigorosamente l'insegnamento della storia.
Ci vorrà del tempo prima che riesca a calarmi di nuovo nella mia ordinaria esistenza, e anche quando riuscirò a farlo un filo di dubbio mi resterà sempre, sospetto.

Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma e dal mio salotto molto, molto natalizio auguro buone letture e un tranquillo Dicembre a tutti.

martedì 8 dicembre 2020

E' davvero indispensabile il manuale di Geografia? (post molto amletico e senza soluzioni al suo interno)

Tra le tante lacune dei libri di testo di geografia: mai uno che dedichi una bella carta geografica  al paese di Babbo Natale, quasi non esistesse!

Geografia è una nobile materia, invero, e ricca di possibilità. E da quando ho a disposizione la piattaforma mi sembra di farla molto meglio, tanto che sto seriamente pensando di abolire il manuale. 
Sarà possibile?
Tecnicamente sì, certo, basta che non lo adotti. Nessuno protesterà al Collegio Docenti, anche perché in quel modo i tetti di spesa per i libri di testo delle mie classi saranno rispettati - cosa ormai sempre più difficile, soprattutto in Seconda.
Tuttavia il salto nel buio mi spaventa.
Quando guardo i manuali che mi sono toccati in sorte, devo dire, mi spaventa un po' meno.
Ma i ragazzi, poverelli? Non gli verrà l'angoscia? E non verrà alle famiglie?
Dopo tutti gli effetti speciali in classe, video e mappe concettuali, bellissimi schemi messi sulla piattaforma, video di vulcani che spargono fiumi di lava ovunque, filmati musicali col valzer del Danubio Blu e l'introduzione dell'Oro del Reno col suo ritmo sognante e il leggendario pedale in Re  (eccellente per accogliere la classe alla prima ora, mentre prendono posto nella scuola media quasi deserta da fascia rossa), tavole lessicali sugli spartiacque eccetera, alla fine vorranno bene un testo per ripassare tutti i frammenti che ho seminato in giro sulla piattaforma.
D'accordo, gli esercizi fanno pena, e le descrizioni degli stati ancor di più.
E un po' di esercizi decenti li posso sempre fare io. Ma quei simpatici esercizi di ripasso sono lunghi da costruire, anzi non so nemmeno se ci riesco davvero. E non ho voglia di provarci.

Le pagine sulle istituzioni europee di solito sono assolutamente insulse, e mai un cane che ricordi che l'Unione Europea è un mostro singolare  perché non è una federazione né una confederazione né un insieme di stati legati da un trattato ma uno strano ibrido senza esercito ma con una moneta, senza governo ma con un governo composto dai singoli governi di una infinità di paesi,  dove se decidi di uscirne ti infili in un ginepraio senza sbocco (che è comunque sempre meglio di una guerra civile)  e se chiedi di entrare ti tengono in attesa per anni e anni - insomma, una roba istituzionalmente piuttosto strana ma che ormai da tempo ha comunque una sua consistenza, soprattutto sul piano economico.

Peggio che mai la parte dedicata all'economia- che personalmente considero importantissima, anche perché oggi le economie sono tutte collegate - e che secondo me andrebbe aggiornata con amorevole dedizione; e invece spesso siamo a malapena due gradini al di sopra delle  leggende metropolitane: ci sono economie  descritte in espansione (e che parecchi anni fa in effetti lo erano),  oppure economie che un tempo erano effettivamente depresse  ma che adesso sono lussureggianti, e ancor più spesso si trovano economie che stando ai manuali funzionano con gli stessi criteri di quando studiavo (poco) Geografia alle medie, quasi mezzo secolo fa.
I PIL pro capite, quando va bene, sono aggiornati al 2015 se non prima, risorse un tempo basilari sono ormai diventate del tutto marginali, la produzione industriale si sta (si stava?Dopo la pandemia le cose potrebbero cambiare per vari e numerosi motivi) spostando dall'Europa verso Asia e Africa, la Cina ormai da tempo non è più "la fabbrica del mondo, ma dipendente dalla tecnologia occidentale", il petrolio è molto meno determinante...
I ragazzi leggono la descrizione di un mondo organizzato secondo determinati criteri ma  quando per caso incappano in un notiziario ne trovano un altro - e non è poi così vero che i notiziari non li ascoltano, o comunque si trovano facilmente coinvolti in appelli per salvare la tigre o incappano in angosciose notizie sulla barriera corallina australiana che è giù di corda e ghiacciai che si sciolgono, letteralmente, come neve al sole, e qualcuno gli racconta perfino che il lago d'Aral si sta riprendendo (seee, magari!).

In questo momento il mondo è in trasformazione, ma i manuali di Geografia si occupano soprattutto di tematiche che andavano di moda dieci anni fa, o di tematiche contemporanee affrontate con dati di parecchio tempo fa.
Due cose mi hanno dolorosamente sorpresa quest'anno (anzi tre, ma il fatto che nessuno si preoccupi di aggiornare i PIL pro capite purtroppo non è più una novità):
- La Repubblica della Macedonia del Nord, che continua imperterrita ad essere chiamata Macedonia. L'anno scorso si poteva ben scusare, perché il cambio di nome era avvenuto a libro già stampato. Ma quest'anno? Che ci voleva a cambiare un titolo?
La questione non è del tutto marginale perché proprio il fatto che l'attuale Repubblica della Macedonia del Nord si sia continuata ostinatamente a chiamare Macedonia per quasi trent'anni è stata motivo di gran ritardo per l'ingresso della suddetta nell'Unione Europea, in quanto la Grecia si opponeva fieramente perché convinta di essere l'unica custode della Macedonia, o comunque di una sua ben consistente parte - e di sicuro non aveva torto anche se l'argomento, a guardarlo da lontano, sembra un po' di lana caprina. D'altra parte, finché la Grecia si opponeva, la domanda della Macedonia non poteva essere nemmeno considerata.
- Il Coronavirus. Non c'è un accenno che sia uno al fatto che la pandemia abbia influenzato parecchio l'economia dei paesi (il crollo del turismo, tanto per fare un esempio nemmeno marginale e che in effetti riguarda parecchio anche l'Italia; e forse anche il decentramento delle industrie che si è rivelato un aspetto molto sensibile). 
Ma diciamola tutta: non c'è un accenno che sia uno alla pandemia in generale. D'accordo che quando i libri sono usciti dalle tipografie la seconda ondata non era ancora arrivata, ma la prima aveva comunque dato moltissimo da pensare sul piano economico, un delicato accenno qua e là ci sarebbe stato bene a mio avviso. Senza contare che, in un mondo dove a colazione, pranzo e cena si parla di Covid in maniera esasperante e ossessiva, qualche parola sugli effetti del suo passaggio non ci starebbero male visto che sull'argomento i giovinetti fanno un sacco di domande.

In tempi di fotocomposizione e print on demand i libri di Geografia hanno reazioni degne di un bradipo addormentato e tutte le sezioni dedicate ai problemi ambientali (che sono parecchie, anche se non molto aggiornate) sono, appunto, sezioni staccate dal testo generale.
Ragazzi, oggi facciamo il cambiamento climatico della Terra. Seguono due o tre lezioni sui cambiamenti climatici, se hai tempo e voglia di occupartene, ma quando ci occupiamo dell'Africa subsahariana o di stati enormi come Russia, Cina, India e Brasile troviamo al massimo mezza riga di spiegazione su come quegli stati affrontano (o, più spesso, non affrontano) la questione, e raramente si tratta di mezze righe aggiornate. Il cambiamento climatico della Terra non interessa solo gli sfigatissimi orsi polari, per i quali tutti noi simpatizziamo attivamente, incide un po' dappertutto, e ogni zona reagisce (o non reagisce) a modo suo - tra l'altro spesso reagisce con una guerra e non dico che si possa star dietro a tutti i conflitti che spuntano qua e là come funghi, ma una paginetta di spiegazioni sui motivi per cui i governi trovano che la reazione a un problema del genere sia la guerra andrebbe pur fatta.

Altro tema bradipale: la scelta degli stati per il manuale di Terza. 
Mentre gli stati europei vengono fatti tutti, bene o male che sia, quando arriviamo al  più vasto Mondo extraeuropeo un elementare buon senso induce a fare una selezione; abbiamo così un gruppo di stati praticamente obbligatori (USA, Cina, India, Giappone, Sud-Africa, Canada, Israele, Argentina e Messico) e un po' di riempitivi legati alla cronaca di parecchi anni fa. A tutt'oggi ci sono manuali che continuano a rifilarci l'Afghanistan e l'Iraq, rigorosamente aggiornati ai tempi dell'invasione con cui gli abbiamo portato la democrazia; qualche volta c'è la Libia, sorvolando però pudicamente sulla sua situazione politica un po', diciamo, confusa; in qualche caso un po' di Nigeria, uno stato dell'Africa mediterranea (di solito l'Egitto, qualche volta il Marocco), rigorosamente mai le repubbliche asiatiche dell'ex-URSS, quasi mai qualcosina dell'Indocina, qualche volta il Kenya, di solito anche molto confusamente il Corno d'Africa, ma sempre molto vago e anche lì il modo con cui l'Italia è intervenuta è accennato con un pudore davvero degno di miglior causa.

In conclusione:
Geografia è una materia affascinante, varia e collegata ai più vari argomenti. 
Di più, gli insegnanti sono incoraggiati e direi anche esortati ad addentrarsi nelle tematiche contemporanee, ma i manuali di Geografia sono del tutto inadeguati a conseguire questo pur nobile scopo. In classe si può scegliere di lavorare a livello basso, medio o alto, a seconda degli alunni, degli argomenti e, soprattutto nel caso di Geografia, a seconda delle circostanze esterne e i ragazzi fanno domande e mostrano interesse a seconda di quanto l'argomento li coinvolge e ne sentono palare anche fuori; ma, a qualsiasi livello si scelga di lavorare, il materiale di base deve essere di buona qualità e soprattutto aggiornato. Fargli perdere tempo con due paginette di acqua calda sulle multinazionali o sui combustibili fossili non ha senso, tanto vale mandarli a giocare a calcio in cortile - almeno si divertono e prendono un po' d'aria.
Un libro di testo però è necessario, temo.
E dunque:
conviene che cerchi se c'è un manuale fatto meglio, magari fuori dalla cerchia degli editori che usiamo di solito;
oppure che cerchi un sostituto del manuale, qualcosa che possa fare comunque da libro di testo ma che sia meno ridondante e sciatto di quelli che ho a disposizione, magari impostato in modo diverso dai manuali standard.
Come e dove trovarlo,  soprattutto in un momento in cui vagare per librerie non è facile e non ho più a disposizione nemmeno la Mostra del Libro?
Probabilmente quel che cerco da qualche parte c'è, ma non è etichettato come "libro di scuola" e si trova da qualche parte nel vasto mare dell'editoria per ragazzi.
Mi domando dove potrei trovarlo.

venerdì 4 dicembre 2020

Ristorante al termine dell'Universo - Douglas Adams


Il secondo romanzo della trilogia in cinque volumi intitolata alla Guida galattica per gli autostoppisti comincia dove si è fermato prima, con i quattro protagonisti del ciclo che vorrebbero andare a cena al Ristorante al termine dell'Universo - facile a dirsi, ma molto, molto meno a farsi. Per esaudire questo rispettabile quanto legittimo desiderio occorreranno infatti non meno di quattordici capitoli (metà libro, in pratica), e il povero Zaphod rischierà seriamente la morte per inedia a forza di aspettare un pranzo che non arriva, anche se un occasionale compagno di avventure gli offre un po' del suo asciugamano da succhiare (e naturalmente Zaphod incappa al primo assaggio nella parte più amara).
Del resto anche ottenere una tazza di tè con i requisiti minimi della decenza si rivela complicatissimo, e quando il buon Arthur Dent cerca di convincere in tal senso la macchina megagalattica tarata per distribuire esclusivamente una sola insipida bevanda, ottiene all'inizio solo il risultato di ingolfare l'ancor più megagalattico computer dell'astronave Cuore d'Oro, rischiando seriamente il naufragio spaziale.

Dicevo del ristorante. Non si tratta, come magari si potrebbe pensare, di un ristorante posto ai lembi più esterni dell'universo, ma di qualcosa di più complicato.
O di più semplice, forse: un normale ristorante di lusso, magari un po' eccessivo nella sua esibizione di oro e gemme e oggetti preziosissimi e di squisita fattura. Il servizio svolto dai camerieri verdi è impeccabile, i tavoli hanno una bella vista sullo spazio circostante e c'è anche la musica dal vivo, di eccellente qualità.
Ti siedi, ordini i tuoi piatti preferiti e, se lo vuoi, puoi conoscere il piatto del giorno - nel caso specifico, un simpatico bovino molto disponibile che si offre decantando la sua bontà, l'accuratezza della sua dieta e la salubrità del modo con cui è cresciuto: vita sana, molto movimento eccetera.
"Non voglio mangiare una bestia che mi sta davanti agli occhi viva e che mi invita a mangiarla" dice Arthur. Ma la questione non è così semplice, e infatti Zaphod osserva che "E' sempre meglio che mangiare un animale che non vuole essere mangiato". Ma Arthur decide di pranzare con una insalata, nonostante l'animale lo rimproveri.
"Non vorrà dirmi per caso che faccio male a prendere un piatto di insalata?" si difende Arthur.
Ma il bovino ribatte che conosce "molte piante di insalata che non esiterebbero a rispondervi di sì". Perché ogni questione comprende molti punti di vista, e il fatto che Adams fosse effettivamente vegetariano rende la pagina vieppiù interessante.
Ma sto divagando.
La caratteristica saliente del ristorante non è la sua squisita cucina, ma la sua posizione temporale: un ristorante che è-sarebbe-fu-sia-sarà, racchiuso in una bolla temporale  e proiettato avanti nel tempo fino all'istante preciso della Fine dell'Universo. 
Un ristorante sospeso in mezzo a un incrocio temporale particolarmente frequentato; e anche se è piuttosto caro, pagare il conto non è un problema: giocando sui paradossi temporali basta che il cliente versi una somma minuscola nel suo tempo, e per il momento della fine dell'universo la piccolissima somma avrà maturato interessi sufficienti a pagare il salatissimo conto.
Per descrivere l'esperienza del ristorante in questione occorre una grammatica particolare, naturalmente: quella dei viaggi nel tempo, che dispone di un manuale apposito. La mia anima di insegnante si è incantata sentendo parlare dell'aoristo plagale (ovvero il passato indeterminato armonico) e del congiuntivo futuro intenzionale invertito in condizionale multiplo imperativo e mi sono anche ricopiata un bel passo relativo a questa grammatica che sarò lieta di propinare ai miei sventurati alunni nei prossimi anni, al momento di affrontare i tempi composti dei verbi.

Comunque non c'è solo il ristorante anche se gli sono dedicate molte pagine, a lui e al suo animatissimo parcheggio. C'è anche molto altro: ad esempio una piccola comparsa di dio in un ruolo minore: un simpatico vecchietto molto filosofico che vive una vita tranquilla insieme ad un grazioso micetto che ha chiamato Geova, solo soletto salvo alcune persone che vengono ogni tanto a trovarlo per fargli domande, e che nega risolutamente non solo di conoscere la realtà, ma di sapere se effettivamente un qualche tipo di realtà esiste. A quel che sembra, l'universo è in buone mani (e il fatto che Adams fosse dichiaratamente ateo rende vieppiù interessante il piccolo sipario).
Una grossa astronave, anche, carica di architetti, parrucchieri e consulenti di vario tipo che dovrebbero ripopolare un nuovo pianeta - almeno così gli è stato raccontato. E che alla fine del romanzo approderanno sul pianeta loro assegnato, insieme ad Arthur e a Ford.
E il pianeta dove atterreranno è tranquillo, grazioso, ospitale, ricco di risorse e vagamente familiare, tanto che Arthur finisce per riconoscerlo.

Meno frenetico e più riflessivo del primo, tutto sommato anche molto più strano, il secondo volume del ciclo della Guida Galattica mi ha conquistato molto più del primo. Più sostanzioso e più filosofico, contiene moltissime domande e nemmeno l'ombra di una risposta ma diverse possibilità fatte intravedere per un istante e poi tirate indietro - insomma un perfetto romanzo di fantascienza.
Purtroppo, siccome è molto scorrevole anche questo, come tutti i romanzi del ciclo, finisce molto in fretta.
Comunque si può sempre rileggerlo.

Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma e mi preparo ad un lungo ponte che passerò a riposarmi, a leggere e forse a passeggiare - ma di sicuro non a fare le compere di Natale, visto che siamo ancora in zona rossa.