venerdì 4 dicembre 2020

Ristorante al termine dell'Universo - Douglas Adams


Il secondo romanzo della trilogia in cinque volumi intitolata alla Guida galattica per gli autostoppisti comincia dove si è fermato prima, con i quattro protagonisti del ciclo che vorrebbero andare a cena al Ristorante al termine dell'Universo - facile a dirsi, ma molto, molto meno a farsi. Per esaudire questo rispettabile quanto legittimo desiderio occorreranno infatti non meno di quattordici capitoli (metà libro, in pratica), e il povero Zaphod rischierà seriamente la morte per inedia a forza di aspettare un pranzo che non arriva, anche se un occasionale compagno di avventure gli offre un po' del suo asciugamano da succhiare (e naturalmente Zaphod incappa al primo assaggio nella parte più amara).
Del resto anche ottenere una tazza di tè con i requisiti minimi della decenza si rivela complicatissimo, e quando il buon Arthur Dent cerca di convincere in tal senso la macchina megagalattica tarata per distribuire esclusivamente una sola insipida bevanda, ottiene all'inizio solo il risultato di ingolfare l'ancor più megagalattico computer dell'astronave Cuore d'Oro, rischiando seriamente il naufragio spaziale.

Dicevo del ristorante. Non si tratta, come magari si potrebbe pensare, di un ristorante posto ai lembi più esterni dell'universo, ma di qualcosa di più complicato.
O di più semplice, forse: un normale ristorante di lusso, magari un po' eccessivo nella sua esibizione di oro e gemme e oggetti preziosissimi e di squisita fattura. Il servizio svolto dai camerieri verdi è impeccabile, i tavoli hanno una bella vista sullo spazio circostante e c'è anche la musica dal vivo, di eccellente qualità.
Ti siedi, ordini i tuoi piatti preferiti e, se lo vuoi, puoi conoscere il piatto del giorno - nel caso specifico, un simpatico bovino molto disponibile che si offre decantando la sua bontà, l'accuratezza della sua dieta e la salubrità del modo con cui è cresciuto: vita sana, molto movimento eccetera.
"Non voglio mangiare una bestia che mi sta davanti agli occhi viva e che mi invita a mangiarla" dice Arthur. Ma la questione non è così semplice, e infatti Zaphod osserva che "E' sempre meglio che mangiare un animale che non vuole essere mangiato". Ma Arthur decide di pranzare con una insalata, nonostante l'animale lo rimproveri.
"Non vorrà dirmi per caso che faccio male a prendere un piatto di insalata?" si difende Arthur.
Ma il bovino ribatte che conosce "molte piante di insalata che non esiterebbero a rispondervi di sì". Perché ogni questione comprende molti punti di vista, e il fatto che Adams fosse effettivamente vegetariano rende la pagina vieppiù interessante.
Ma sto divagando.
La caratteristica saliente del ristorante non è la sua squisita cucina, ma la sua posizione temporale: un ristorante che è-sarebbe-fu-sia-sarà, racchiuso in una bolla temporale  e proiettato avanti nel tempo fino all'istante preciso della Fine dell'Universo. 
Un ristorante sospeso in mezzo a un incrocio temporale particolarmente frequentato; e anche se è piuttosto caro, pagare il conto non è un problema: giocando sui paradossi temporali basta che il cliente versi una somma minuscola nel suo tempo, e per il momento della fine dell'universo la piccolissima somma avrà maturato interessi sufficienti a pagare il salatissimo conto.
Per descrivere l'esperienza del ristorante in questione occorre una grammatica particolare, naturalmente: quella dei viaggi nel tempo, che dispone di un manuale apposito. La mia anima di insegnante si è incantata sentendo parlare dell'aoristo plagale (ovvero il passato indeterminato armonico) e del congiuntivo futuro intenzionale invertito in condizionale multiplo imperativo e mi sono anche ricopiata un bel passo relativo a questa grammatica che sarò lieta di propinare ai miei sventurati alunni nei prossimi anni, al momento di affrontare i tempi composti dei verbi.

Comunque non c'è solo il ristorante anche se gli sono dedicate molte pagine, a lui e al suo animatissimo parcheggio. C'è anche molto altro: ad esempio una piccola comparsa di dio in un ruolo minore: un simpatico vecchietto molto filosofico che vive una vita tranquilla insieme ad un grazioso micetto che ha chiamato Geova, solo soletto salvo alcune persone che vengono ogni tanto a trovarlo per fargli domande, e che nega risolutamente non solo di conoscere la realtà, ma di sapere se effettivamente un qualche tipo di realtà esiste. A quel che sembra, l'universo è in buone mani (e il fatto che Adams fosse dichiaratamente ateo rende vieppiù interessante il piccolo sipario).
Una grossa astronave, anche, carica di architetti, parrucchieri e consulenti di vario tipo che dovrebbero ripopolare un nuovo pianeta - almeno così gli è stato raccontato. E che alla fine del romanzo approderanno sul pianeta loro assegnato, insieme ad Arthur e a Ford.
E il pianeta dove atterreranno è tranquillo, grazioso, ospitale, ricco di risorse e vagamente familiare, tanto che Arthur finisce per riconoscerlo.

Meno frenetico e più riflessivo del primo, tutto sommato anche molto più strano, il secondo volume del ciclo della Guida Galattica mi ha conquistato molto più del primo. Più sostanzioso e più filosofico, contiene moltissime domande e nemmeno l'ombra di una risposta ma diverse possibilità fatte intravedere per un istante e poi tirate indietro - insomma un perfetto romanzo di fantascienza.
Purtroppo, siccome è molto scorrevole anche questo, come tutti i romanzi del ciclo, finisce molto in fretta.
Comunque si può sempre rileggerlo.

Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma e mi preparo ad un lungo ponte che passerò a riposarmi, a leggere e forse a passeggiare - ma di sicuro non a fare le compere di Natale, visto che siamo ancora in zona rossa.

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