Nel 1973, quando ancora facevo le medie ed ero assai amante dei gialli (come ora, del resto) vidi spuntare nella rastrelliera del giornalaio accanto alla scuola un volumetto giallo intitolato Il poliziotto che ride, con una fascetta che inneggiava al primo poliziesco scandinavo che era pure Premio Gran Giallo Città di Cattolica. In un colpo solo appresi così
- che esisteva un luogo, in Italia, chiamato Città di Cattolica (e che razza di nome era?)
- che in quel luogo dallo strano nome avevano un premio letterario per romanzi gialli
- e infine che, volendo, avrei potuto comprarmi con poca spesa un giallo svedese (sì, ignoravo l'esistenza di Città di Cattolica ma la Svezia sapevo benissimo cos'era: la patria di Pippi Calzelunghe).
Apprezzavo molto la collana dei Gialli Garzanti, che conteneva libri un po' diversi dai Grandi Classici Mondadori - più internazionali, spesso più moderni. Tra l'altro avevo un grande amore per i tascabili Garzanti in generale, anche perché avevano un formato molto più comodo di quelli Mondadori, che erano un pelo troppo alti per buona parte degli scaffali della mia libreria componibile e che con la loro presenza mi obbligavano a sacrificare un palchetto.
Insomma guardai il libro, il libro mi guardò di rimando, e qualche giorno dopo lo comprai.
Mi piacque moltissimo. Funzionava in modo diverso da quelli della Christie: non c'era l'Investigatore, ma una squadra di polizia ben descritta, un sacco di piste morte, un sacco di tasselli più o meno significativi. E poi c'era la Svezia, che mi si aprì davanti in tutta la sua modernità: un mondo diverso, che non se la tirava troppo ma era ben organizzato e dove tutti sembravano molto più ricchi e assai meglio assistiti che da noi e c'era molta meno retorica e molti meno pregiudizi.
senza grandi pretese e con molti meno pregiudizi. E tutta quella gente così spettacolarmente libera di andare e venire come gli pareva, anche le donne, anche i ragazzi (due categorie che, comprensibilmente, mi stavano molto a cuore). In una pagina Martin Beck riflette in tono critico che sua figlia, a sedici anni, ha un orario per rientrare (mezzanotte) anche se ha sempre mostrato di sapersi badare benissimo, mentre nessuno si è mai sognato di darne uno al figlio minore, assai più stordito "ma lui era un maschio" - in pratica criticando la mentalità retrograda in cui viveva immerso e che andava avanti per forza d'inerzia. Pur cresciuta in una famiglia abbastanza liberale, mi sembrava che Ingrid ricevesse comunque un trattamento di lusso anche se, certo, era un peccato che fosse un po' meno lussuoso di quello ricevuto dal fratello.
Adorai la Svezia, in blocco, senza remore. La adoro tuttora. Non oso pensare a quanto avrebbero scosso la testa gli autori, se avessero saputo quel che mi passava per la testa mentre leggevo quei libri che loro avevano scritto per denunciare l'inqualificabile grado di corruzione e disordine in cui vivevano laggiù.
C'era anche una bella trama gialla: una notte qualcuno sale su un autobus (in un orario in cui da noi gli autobus non si sognavano nemmeno di circolare) e ammazza tutti i passeggeri per poi andarsene tranquillo per i fatti suoi perché la Svezia era un paese moderno e brulicante di vita ma alle undici e un quarto parecchi se ne stanno a casa a dormire e quindi il posto era piuttosto deserto.
E tutti a studiare le stragi americane, a ricostruire i complessi meccanismi psicologici che possono aver portato qualcuno a fare una cosa del genere... fin quando Martin Beck osserva che di solito gli autori di stragi non studiano il modo di svignarsela.
Da lì si passa a cercare di capire se il Qualcuno magari voleva uccidere uno dei passeggeri in particolare, indagando sulle vittime. Interrogatori di amici, parenti, conoscenti e vicini degli sfortunati passeggeri. La Squadra Omicidi arriva alla soluzione un pochino alla volta, entrando nelle case dei testimoni, portandoli a pranzo, ascoltando una serie di chiacchiere più o meno inconcludenti. E pezzo a pezzo impariamo anche un sacco di cose sulla vita privata degli investigatori della Squadra Omicidi, che son gente normalissima che spesso tiene famiglia e vive la vita di tutti i giorni.
Siccome non era piaciuto soltanto a me Garzanti continuò a pubblicare i libri della serie (Il poliziotto che ride era il quarto): quelli pubblicati prima, quelli pubblicati dopo...
Poi la collana si fermò e io me ne dimenticai, salvo rileggerli ogni tanto. Anni dopo scoprii che in Italia non ne erano arrivati tre, e li presi in inglese. Li lessi, più o meno, ma trovai la cosa piuttosto complicata - d'altra parte, era sempre meglio che niente.
Passarono molti altri anni; dalla Scandinavia arrivarono un sacco di altri gialli. Provai a leggere qualcosa ma mi annoiavano, ed erano così deprimenti... Nel frattempo Andrea Camilleri, che a suo tempo come me li aveva letti e apprezzati, suggerì a Sellerio di ripubblicarli.
Sellerio fece un lavoro di fino: prima di tutto tradusse non dalla versione inglese, come avevano fatto alla Garzanti, ma dallo svedese. E poi li tradusse tutti, e in versione integrale. Perché nell'edizione Garzanti mancava un buon terzo del testo, principalmente le osservazioni politiche di cui il testo era ben farcito e una grande quantità di dettagli legati alla vita svedese. E io che mi ero tanto infervorata con solo quel poco che avevano lasciato! Troppo facile prendere in giro una povera ragazzina inesperta delle medie, che oltretutto all'epoca nemmeno sospettava che avrebbe percorso le impervie strade della filologia né avrebbe saputo a che porte bussare per controllare se in un libro mancasse qualcosa.
Accidenti agli editori (ma non all'editore Sellerio, naturalmente).
Passarono anni prima che mi accorgessi che la Squadra Omicidi di Stoccolma era tornata in Italia e, convinta com'ero di averne già sette aspettai con pazienza che arrivassero anche quelli che non avevo. Poi un giorno trovai il primo, Roseanna, in biblioteca, e rimasi sorpresa dell'altezza del volume. Scoprii che era una nuova traduzione e decisi di assaggiarlo. E mi accorsi, con il disgustato orrore che provo sempre in questi casi, di averne letta una versione ridotta.
Come per i libri di Agatha Christie. Come per Piccole donne.
Abominio e perversione! Scandalo! Depravazione!
E accidenti agli editori italiani, una volta di più (ma non a Sellerio, Adelphi e Einaudi).
Rallegriamoci; almeno Orgoglio e pregiudizio l'ho letto in edizione completa sin da bambina. E non è poi così scontato. Ma, davvero, questa vita è una giungla e non sai mai se puoi fidarti di qualcuno.
Naturalmente li ho ricomprati tutti. Più esattamente, ho acquistato i tre volumi della foto. I primi casi di Martin Beck contiene i primi tre: Roseanna, L'uomo al balcone, L'uomo che andò in fumo. Il secondo volume Martin Beck indaga a Stoccolma contiene Il poliziotto che ride, L'autopompa fantasma, Omicidio al Savoy. Il terzo Ultimi casi per Martin Beck contiene L'uomo sul tetto, La camera chiusa, Un assassino di troppo, Terroristi.
Ognuno dei romanzi è corredato da una introduzione fatta da nomi illustri: Camilleri, per esempio, che ci racconta appunto di come gli era piaciuto leggere quei gialli della Garzanti e come gli fosse venuto in mente di farli riproporre al pubblico italiane, oppure Anne Holt, giallista di gran rinomanza.
Da queste introduzioni scoprii un sacco di cose; per esempio che ognuno dei romanzi ha il sottotitolo originale Romanzo di un crimine. Infatti questa serie nacque (oppure diventò col tempo, non saprei dire) come un unico romanzo diviso in dieci parti, uno per anno, dal 1965 al 1975, che aveva lo scopo di descrivere la società svedese, con le sue molte ombre (?), i suoi orribili difetti (??) nonché gli orribili sfaceli che andava generando per colpa della corruzione interna e dell'autoritarismo del regime (???). I due autori erano sposati, e il marito morì proprio dopo l'ultimo dei capitoli del Romanzo, il che è molto triste. Il progetto venne condiviso punto per punto e i due scrivevano un capitolo per uno dopo aver fissato la scaletta.
Insomma, un Lungo Romanzo in dieci capitoli figlio punto per punto di quei magici anni rivoluzionari, molto occupato a criticare il regime: un romanzo a tesi, insomma. Di cui qualcuno, nelle varie introduzioni, osserva come quelle critiche al giorno d'oggi sembrassero magari un po' estremizzate, ma che all'epoca erano perfettamente intonate allo spirito dei tempi. I romanzi di Martin Beck non erano soltanto dei libri da leggere sotto l'ombrellone, ma, come dire, "portavano avanti il discorso" ed erano assai stimati dalla critica.
Beh, anch'io come lettrice li stimavo moltissimo, non c'è dubbio; anche se i miei occhi italiani vedevano la questione sotto una luce un po' diversa. Certamente il paese era il loro, i due lo conoscevano bene e se gli sembrava il caso di criticarlo facevano benissimo: Ma io ero italiana e vivevo negli anni di piombo, in mezzo a un continuo alternarsi di terrorismo di destra e di sinistra dove le spiegazioni ufficiali sembravano talmente improbabili da rendere complottista anche il più fiducioso degli individui, e per quanto radicale e pure un pochino rivoluzionaria leggendo la versione addomesticata di Garzanti la critica spietata e radicale non la colsi affatto; e se ogni tanto qualche componente della Squadra Omicidi si immergeva in cupe riflessioni esistenziali sul mestiere di poliziotto, l'eccesso di autoritarismo del mondo che lo circondava eccetera lo trovavo molto bello e raffinato da parte sua, e del resto dove stava scritto che un poliziotto non potesse interrogarsi sul Bene, il Male, il Potere e l'Autorità, come qualsiasi altro essere umano di questa terra? Ma, appunto, le vedevo come riflessioni esistenziali, non legate a problemi reali. Siamo seri, da noi c'era una legge che prescriveva che autorizzava all'arresto, in nome dell'ordine pubblico, di chiunque si aggirasse con fare sospetto in un qualsivoglia luogo!
Ma è pur vero, come ho scoperto col tempo, che le sue zone d'ombra anche la Svezia le ha e le ha avute, e per tutte le pagine dell'ultimo romanzo (quello dove la critica al regime è più aperta e dichiarata) la lettrice contemporanea ha rievocato ad oltranza l'assassinio del premier Olaf Palme avvenuto nel 1985 in pubblico e solo molto di recente, sembra, risolto (quando già l'assassino era da tempo morto e sepolto - roba da far invidia perfino all'Italia, dove quanto a indagini interminabili e mai completate non ci siamo davvero fatti mancar niente).
In questi dieci romanzi c'è di tutto: serial killer, delitti per cause privatissime, omicidi a sfondo sessuale, delitti incastrati uno dentro l'altro, cold case, storie di spionaggio, omicidi per cause sociali, omicidi per vendetta, intrighi internazionali e perfino un classico dei classici, ovvero un delitto della camera chiusa. Indagini lentissime e indagini fulminee, indagini contorte e indagini che girano a vuoto, indagini bloccate finché arriva un piccolissimo aiuto del caso, molto più spesso indagini condotte sobriamente seguendo le piste più logiche che prima o poi da qualche parte arrivano.
Nel corso dei dieci anni e dei dieci volumi la Squadra Omicidi si fa una sua reputazione, cambia alcuni uomini e alla fine viene (forse) smantellata. Il gruppo degli investigatori cambia un po' nella sua composizione e i singoli ispettori si sposano, divorziano, si riproducono, traslocano, cambiano reparto, cambiano lavoro - insomma vivono. E indagano, ognuno col suo metodo e le sue caratteristiche.
I singoli capitoli del romanzo sono costruiti con la tecnica a mosaico e i punti di vista di vittime, assassini, delinquenti, testimoni casuali, uomini politici e investigatori si sommano e si sovrappongono. Vediamo un sacco di case e di abitazioni (non sempre le due cose coincidono) che regolarmente descrivono gli abitanti. Conosciamo anche le città: non soltanto Stoccolma, ma anche Malmö - dove prima o poi una capatina viene quasi sempre fatta e dove sta un abile poliziotto che è in un certo senso un componente esterno della Sezione - più un po' di Copenhagen e qualche paesello più o meno sperduto. Ci si sposta in aereo, in aliscafo, in battello, in macchina, in taxi, in metropolitana e spesso anche a piedi, si consumano pasti sontuosi e pasti rabberciati, si raccattano indizi e prove grazie alla Scientifica, ai sopralluoghi e alle segnalazioni di più vari tipi, si consultano registri automobilistici ed elenchi telefonici - mirabile il momento in cui si scopre che il cognome di un testimone assolutamente indispensabile da rintracciare al più presto è... Andersson, ovvero uno dei cognomi più comuni di tutta la Svezia.
Martin Beck è quello che tiene insieme tutte le fila e di solito finisce per trovare la soluzione. Non è una persona particolarmente carismatica e brillante e non tende a mettersi in mostra, pur finendo per accumulare suo malgrado una certa fama che considera alla stregua di una grande scocciatura e un notevole credito tra i colleghi di cui si rende conto a malapena ma riesce a sviluppare una certa empatia con tutti, compresi gli assassini e i lettori. Non si può nemmeno definire un poliziotto anomalo, perché non ha niente di particolarmente anomalo, al massimo qualche caratteristica personale - ma chi è che non ne ha? Oggi i poliziotti un po' scialbi e in perenne crisi esistenziale sono piuttosto comuni, ma lui è stato il primo e secondo me il migliore.
La Squadra Omicidi di Stoccolma invece non è stata la prima squadra di poliziotti della storia del giallo (credo che la capostipite sia stata l'87° Distretto di Ed McBain che non so perché le uniche volte che l'ho assaggiata mi ha annoiata a morte, ma molte altre sono venute dopo) ma è sempre stata la mia preferita.
In Italia questi libri sono rimasti un fenomeno di nicchia, e sono molto meno conosciuti dei gialli nordici moderni. Nonostante una certa impronta ideologica però io li ho sempre trovati una lettura fresca e molto vitale e sono molto contenta di averli letti (e riletti).