mercoledì 31 agosto 2016
De Bello Intestino (ovvero sulla bellezza interiore)
E' davvero così bello, l'intestino?
Impossibile sciropparsi cinque anni di liceo classico (più due di latino alle medie, uno dei quali obbligatorio) e non porsi questa viscerale domanda almeno una quindicina di volte, visto che nelle frasi da tradurre il bellum intestinum, che sarebbe poi la "guerra intestina" ma che viene spontaneo chiamare "bell'intestino" va assai di moda. Per conto mio preferivo trovare il bellum civicum, alias "guerra civile" che offriva assai minor spazio a demenziali giochi di parole, ma purtroppo nessun autore di grammatiche latine ha mai chiesto il mio consiglio per comporre le frasi degli esercizi.
Comunque, se tutti stan lì ammirati a decantare la bellezza e l'interiore armonia del corpo umano, non resta che concluderne che sì, l'intestino ha una sua grazia; di sicuro è parecchio utile.
Le guerre intestine invece, oltre a mancare completamente di bellezza e di armonia, non lo sono affatto; e se è vero che la guerra è quel gioco da cui tutti escono perdenti, che l'unica mossa vincente è non giocare eccetera eccetera, tutto ciò è doppiamente valido per le guerre intestine perché esse sono particolarmente laceranti, seminando ovunque odio e dividendo il padre dal figlio, la moglie dal marito, i fratelli dalle le sorelle e pure i compagni di banco e gli amici del cuore, sempre con risultati disastrosi.
BLEAH!
Attualmente, in Toscana, siamo in piena guerra civile - o forse ci illudiamo di essere in piena guerra civile, e magari il peggio deve ancora venire.
Da diversi anni la Toscana è quella regione dove tutti votano a sinistra, e questo ci ha lasciato relativamente immuni a livello locale dall'ondata berlusconiana. Poi è arrivato il PD, e in molti siamo andati in crisi perché, nonostante le varie componenti dell'ineffabile Destra italiana si ostinino a chiamarlo un partito di comunisti, anche il più moderato tra gli elettori di sinistra non riesce a trovarci dentro un granché riconducibile in qualche modo alla sinistra, e tutto ciò ci sconforta molto. Qualcuno è emigrato verso la cosiddetta sinistra più radicale ma, anche lì, ammettiamolo, Lotta Continua era un altra cosa. Insomma, ci sentiamo un po' orfani.
Ciò nonostante, con santa pazienza, in tanti han continuato a votare PD, pur sentendosi parecchio pirla e citando proverbi del tipo cavarsi la sete col prosciutto.
Poi il PD ha cominciato a fare cose piuttosto strane, tipo sfiduciare a grande maggioranza (non in parlamento, bensì in una riunione del partito) un governo dove uno di loro aveva la presidenza, il tutto al nobile scopo di avere Renzi come Presidente del Consiglio.
Ma forse, una volta conseguito questo risultato, si sono dati una calmata?
No, son lì che si azzuffano vieppiù, e con loro han cominciato ad azzuffarsi tutti i circoli, le associazioni, le formazioni e i cazzi vari che compongono il cosiddetto tessuto sociale della Toscana. I fratelli e le sorelle, appunto. Si azzuffano nei comuni grandi, in quelli medi e in quelli piccoli, e non si campa più, soprattutto se non hai nessuna voglia di azzuffarti senza un motivo ben definito.
In mezzo a tutto questo c'è la riforma della costituzione o, per meglio dire, al momento il pretesto più usato è quello.
Ora, la riforma della costituzione al momento in attesa di referendum confermativo può piacere o non piacere, e ci ha i suoi pro e i suoi contro; ma siccome sono pro e contro abbastanza tecnici è stato deciso (scioccamente, direi. Ma forse non si aspettavano che ci fosse tanta tensione interna?) di non parlare della riforma in sé ma di... boh?
Di cosa stanno parlando in realtà è difficile capire, sono soprattutto slogan e frasi fatte: "Abbiamo eliminato un sacco di poltrone!" "Giù le mani dalla Costituzione!" "Volete un paese retrogrado e mummificato!" "Volete che l'Italia diventi una dittatura!" nella miglior tradizione berlusconiana - solo che i berlusconiani insultavano i loro avversari, di solito, e non i compagni di partito o di associazione.
L'Associazione Nazionale Partigiani ha mandato a dire che la riforma gli rivolta le budella e voterà contro, e perciò è stata coperta di insinuazioni e cattiverie che francamente fanno impressione. Hanno perfino detto che non li vogliono alla Festa dell'Unità. Poi hanno detto che forse. Poi hanno detto che sì, ma non vogliono fare con loro un dibattito sulla riforma, perché essi sono contrari alla riforma in questione (e qui si potrebbe aprire un dibattito sul concetto di dibattito inteso come "conversazione dove tutti sono d'accordo su una determinata cosa").
Adesso nel PD c'è una fazione che strilla che non voterà per la riforma al referendum perché i partigiani sono contrari - che mi sembra un argomento piuttosto cretino, almeno fin quando i partigiani non spiegano nel dettaglio e fuor di slogan perché sono così contrari; ma, comunque la si rigiri, non invitare i partigiani alla Festa dell'Unità è una pura follia e non ci vuole un fine esperto di politica per capire che la base la prenderà molto, molto male.
Poi ci sono quelli - compresi parlamentari che la riforma l'hanno votata - che dicono che voteranno contro la riforma per mandare a casa il governo Renzi - e non si capisce perché non si limitano a sfiduciarlo, il governo Renzi, come han fatto con quello di Letta, che sarebbe un modo rapido e inappuntabile per mandarlo a casa.
E ci sono anche quelli non vogliono la riforma costituzionale perché non vogliono l'inceneritore e la pista allungata all'aeroporto o cose del genere, e gli viene risposto, da gente che ha sempre odiato l'aeroporto e pure l'inceneritore, che invece l'aeroporto è bello, bravo e buono e l'inceneritore lo mettono anche nelle spa perché è tonificante.
Chi sta fuori dalla Toscana vede bene che nel partito stanno litigando, ma chi vive in Toscana sa che non stanno litigando, bensì si stanno divorando vivi: abbiamo vecchi amici che non si salutano più, clienti che disertano librerie dove si sono serviti con piacere per decenni, compagni di bevute che si insultano sui social, biblioteche pubbliche che cominciano a selezionare le conferenze in base all'appartenenza del relatore a questa o quella associazione a seconda di come l'associazione si è schierata o di come loro pensano si sia schierata in cuor suo pur non dicendolo apertamente.
Ora, se non passa la riforma costituzionale il mondo andrà avanti e l'Italia pure: faranno un altra riforma o non ne faranno affatto, e ciò potrà essere un bene oppure un male, ma non un problema irrimediabile.
Se il governo Renzi andrà a casa ne faranno un altro. Abbiamo cambiato più di cento governi, da quando è iniziata la repubblica, e abbiamo imparato con i fatti che un governo di cui dir male nessuno ce lo negherà.
Ma se la Toscana diventa un campo minato rispolverando la buona vecchia tradizione delle lotte tra guelfi e ghibellini e, una volta eliminati i ghibellini, tra guelfi bianchi e guelfi neri (e più avanti, eliminati i guelfi neri, tra guelfi bianchi a righe rosa e guelfi bianchi a quadretti verdi) le conseguenze rischiano di essere a lungo termine, e molto più laceranti di qualsiasi crisi di governo o riforma costituzionale.
Ce la possiamo fare?
giovedì 25 agosto 2016
In attesa di ricominciare
Strana stagione, l'estate. Arriva Ferragosto e sono talmente immersa nella felice dimensione extrascolastica, senza obblighi e senza orari, spengendo la luce alle quattro del mattino e risvegliandomi alle undici, caffé in mano per la prima, tranquillissima navigata del risveglio con giochino di caccia al tesoro annesso, da domandarmi ogni anno come diavolo farà a rientrare in quello stranissimo mondo dove tutto è incredibilmente scolastico e dove il calendario e l'orologio hanno una parte tanto importante nella costruzione della giornata. Mettere la sveglia, ripassare la spedizione dei Mille, preparare il compito di grammatica sui complementi di tempo, trascrivere i voti delle comprensioni del testo... Ma davvero è esistita una vita in cui lo facevo?
Eppure, già nella tardissima mattinata del 16 Agosto (perché nella prima e seconda mattinata dormo, e se il telefono squilla lo lascio fare, guardandolo con benevola indulgenza prima di voltarmi dall'altra parte e riprendere qualche improbabile sogno) qualcosa comincia a strisciare dalle fessure.
E pigramente si riaffacciano strani interrogativi.
Che si fa con l'Europa, quest'anno? La mia futura seconda non è classe da interessarsi più di tanto ai problemi dell'Unione Europea. Se cominciassi con un bel giretto di assaggio sugli stati piccolissimi, tutti insieme?
Già, ma avrò ancora quella classe? E l'avrò per tre ore o per quattro?
Quest'anno è rimasta una sola classe a tempo prolungato, dunque Lettere ha perso cinque ore e vanno ristrutturate le cattedre. Inoltre, per nostra grande perversione (di cui sono innocentissima perché quell'anno non ero a St. Mary Mead) nelle classi a tempo normale finora abbiamo, anzi hanno, avuto tre ore per fare storia e geografia - che è un idiozia completa e totale. Tutte le scuole sennate hanno da tempo accorpato la demenziale ora di Approfondimento a Storia e Geografia, noi ancora no. Finora avevo ottenuto di fare tutte le dieci ore in una classe, più Storia e Geografia per sei ore al Prolungato (ma un ora era di mensa) più due Approfondimenti dove facevo quel che voleva la titolare senza intromettermi. Quest'anno non si sa. Ma se davvero mi ritrovo a fare Storia e Geografia in tre ore dovrò arrangiarmi in qualche modo.
L'unica cosa che sembrerebbe sicura è che riavrò la Nuova Arrivata (non più tanto nuova, ormai) come partner per la ex-Prima ormai diventata Seconda, e al sol pensiero sento il latte scorrere possente verso le ginocchia e anche più in basso, e mi assale anche una gran voglia di litigarci (con la collega, non col latte); ma certo occasioni non ne mancheranno.
Dovrei scegliere i film da vedere, almeno quelli di apertura dell'anno. Per due classi o per tre?
E poi c'è la Gran Riforma Costituzionale, che se passa al referendum dovrò ben spiegargli nel dettaglio, ma per spiegargliela io per prima dovrò saperla per benino. Vabbe' che per votarla dovrò ben imparare di che si tratta, ma la futura Terza, se non è parecchio cambiata durante l'estate, spaccherà il capello in quattro e le palle in sedici.
Il Senato... ah, l'incubo del Senato. Com'è, come sarà, come dovrebbe essere? E che dire del malefico Titolo Quinto?
Se quelle bestiacce inconcludenti avessero tenuto fede alla prima idea, cioè votare a Settembre, avrei avuto subito il risultato e quindi saputo come regolarmi, mentre così rischio di ritrovarmi sotto l'albero, col nastro argentato in una mano e il nuovo testo della Costituzione nell'altra.
Che palle, davvero. Magari appendo anche quelle all'albero.
Seguire le discussioni sul referendum non tanto prossimo venturo su Facebook è un vero strazio, solo frasi fatte e luoghi comuni, e nessuno che si preoccupi di spiegare in modo semplice, chiaro e gradevole la questione del titolo quinto.
Proprio vero, gli insegnanti sono trascurati e nessuno si occupa di loro.
Che faccio, salto lo Statuto Albertino? Perché se parlo dello Statuto Albertino certe cose sulla Costituzione devo dirle... a fine Settembre.
Uffa.
Non so che classi avrò, non so su che libri devo prepararmi (salvo che per la Terza) e non so come fare ad arrivare alla Seconda Guerra Mondiale prima di Maggio.
Speriamo almeno che le classi me le dicano il primo Settembre, e non il 14 come l'anno scorso.
E poi chi ce le dovrebbe dire?
Non solo non abbiamo le classi, non sappiamo nemmeno che preside avremo.
Quindi avrei tutto il diritto di continuare col mio beato letargo estivo.
Perché il mio subconscio è così refrattario a capirlo?
venerdì 19 agosto 2016
La contessa segreta - Olga Ibbotson
Olga Ibbotson è famosa soprattutto come autrice per ragazzi, ma questo libro non ha un target di età preciso - anche se ogni ragazzina o giovinetta ne può trarre gran piacere.
La copertina è azzeccatissima (evento molto raro nell'editoria italiana), il rigo scritto sotto il titolo per presentare la storia molto meno: si tratta senz'altro di una storia d'amore, ma descriverla come "la storia di un grande amore, una sfida a tutte le convenzioni sociali" la fa più drammatica del necessario; cioè, drammi volendo ce ne sono, ma sono raccontati in modo assai felpato e il tutto si legge con gran piacere e godimento.
E' senza dubbio una bella storia d'amore, comunque.
Andiamo per ordine: la prima guerra mondiale è appena finita, e in Russia c'è stata la rivoluzione. Inoltre in Inghilterra, dove si svolge quasi tutta la vicenda, c'è una discreta crisi economica che incide a tutti i livelli.
E così la bellissima e lussuosa... beh, diciamo ex-lussuosa tenuta di Marsham, dove vivono i conti di Westerholme, è in piena decadenza. Il giovane conte Rupert però ha trovato per puro caso un eccellente soluzione, fidanzandosi con una ricchissima ereditiera di grande bellezza e fascino, che ha conosciuto all'ospedale militare dove la fanciulla, infermiera volontaria, lo ha amorevolmente curato.
Adesso è tempo che la bella ereditiera vada a Marsham, per celebrare il matrimonio ed essere presentata a famiglia e vicinato con tutte le cerimonie del caso.
Nello stesso periodo a Marsham approderà anche una giovane e adorabile cameriera, Anna, che si è rifugiata in Inghilterra dalla Russia, dove fino a poco tempo prima lei e la sua famiglia erano ricchi oltre ogni immaginazione.
Con grande sollievo della lettrice di turno (io) il conte inglese e la contessa russa in incognito non passeranno trecento pagine e passa a becchettarsi e insultarsi, com'è ormai d'uso nella stragrande maggioranza dei romanzi d'amore: infatti il conte Rupert è uno squisito gentiluomo, molto attento a non urtare i sentimenti altrui, mentre Anna, oltre che bella e gran lavoratrice, ha un carattere solare e gentile e una gran comprensione dell'animo umano.
E la fidanzata?
La fidanzata è un tipo particolare, molto particolare, con una grande passione per l'eugenetica - per esempio non le piacciono gli ebrei e nemmeno gli storpi o i mentecatti. In compenso quasi tutti gli altri personaggi non hanno niente contro le bambine afflitte da qualche leggera malformazione fisica, mostrano un buon grado di comprensione verso le persone un po' confuse mentalmente e la ricca famiglia ebrea approdata di recente nelle vicinanze è assai ben vista da tutti. L'arrivo della fidanzata sarà dunque destinato a creare parecchi attriti, e non certo per colpa di Anna.
E' un romanzo storico costruito con molto garbo e accuratezza: ci sono i problemi con la servitù (la servitù ha una parte molto importante nell'intreccio), le complicazioni con i vicini, i traumi da bombardamenti, il vecchio zio un po' suonato, l'ombra delle problematiche di razza che comincia lentamente a incombere, l'antisemitismo nemmeno troppo strisciante, i musicisti dell'epoca, un corpo di ballo russo assai vivace, le ragazze a caccia di marito, i giri di compere e il tema, sempre molto serio, delle Prove dei Vestiti e della Scelta delle Damigelle - perché c'è un Grande Matrimonio da allestire e non te la puoi cavare con un aperitivo servito agli ospiti in terrazza.
Le rose, anche. Un sacco di rose. Un cigno di meringa. Una bellissima cavalla bianca (il dono dello Sposo alla Sposa).
E ci sono anche molti dei topi letterari ricorrenti nei romanzi dell'epoca in cui è ambientato: gli aristocratici russi in esilio, allegri e di buon cuore, il Grandioso Ballo verso cui punta tutta la vicenda, un bel po' di questioni sociali e anche il ritrovamento finale di un tesoro scomparso che risolverà parecchi problemi.
C'è poi una villa inglese assolutamente incantevole che qualsiasi amante del genere adorerà, e un sacco di informazioni sulla vita della servitù all'epoca.
E' una lettura piacevole, luminosa, rilassante e che fa bene all'anima, nonché una bella storia d'amore, anzi due (volendo, anche tre). Di amore in effetti si parla parecchio, senza limitarsi alle coppie da formare. Per esempio anche la villa è molto amata, e ama molto i suoi abitanti.
E' una lettura che va bene in spiaggia, naturalmente, ma la vedrei molto bene anche in parchi e giardini, sotto gli alberi, all'aperto. Rende bene soprattutto in un clima di mezza estate o tarda primavera, secondo me.
Con questo post idilliaco partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma e auguro buone letture e una felice chiusa d'estate a chiunque passi di qua.
La copertina è azzeccatissima (evento molto raro nell'editoria italiana), il rigo scritto sotto il titolo per presentare la storia molto meno: si tratta senz'altro di una storia d'amore, ma descriverla come "la storia di un grande amore, una sfida a tutte le convenzioni sociali" la fa più drammatica del necessario; cioè, drammi volendo ce ne sono, ma sono raccontati in modo assai felpato e il tutto si legge con gran piacere e godimento.
E' senza dubbio una bella storia d'amore, comunque.
Andiamo per ordine: la prima guerra mondiale è appena finita, e in Russia c'è stata la rivoluzione. Inoltre in Inghilterra, dove si svolge quasi tutta la vicenda, c'è una discreta crisi economica che incide a tutti i livelli.
E così la bellissima e lussuosa... beh, diciamo ex-lussuosa tenuta di Marsham, dove vivono i conti di Westerholme, è in piena decadenza. Il giovane conte Rupert però ha trovato per puro caso un eccellente soluzione, fidanzandosi con una ricchissima ereditiera di grande bellezza e fascino, che ha conosciuto all'ospedale militare dove la fanciulla, infermiera volontaria, lo ha amorevolmente curato.
Adesso è tempo che la bella ereditiera vada a Marsham, per celebrare il matrimonio ed essere presentata a famiglia e vicinato con tutte le cerimonie del caso.
Nello stesso periodo a Marsham approderà anche una giovane e adorabile cameriera, Anna, che si è rifugiata in Inghilterra dalla Russia, dove fino a poco tempo prima lei e la sua famiglia erano ricchi oltre ogni immaginazione.
Con grande sollievo della lettrice di turno (io) il conte inglese e la contessa russa in incognito non passeranno trecento pagine e passa a becchettarsi e insultarsi, com'è ormai d'uso nella stragrande maggioranza dei romanzi d'amore: infatti il conte Rupert è uno squisito gentiluomo, molto attento a non urtare i sentimenti altrui, mentre Anna, oltre che bella e gran lavoratrice, ha un carattere solare e gentile e una gran comprensione dell'animo umano.
E la fidanzata?
La fidanzata è un tipo particolare, molto particolare, con una grande passione per l'eugenetica - per esempio non le piacciono gli ebrei e nemmeno gli storpi o i mentecatti. In compenso quasi tutti gli altri personaggi non hanno niente contro le bambine afflitte da qualche leggera malformazione fisica, mostrano un buon grado di comprensione verso le persone un po' confuse mentalmente e la ricca famiglia ebrea approdata di recente nelle vicinanze è assai ben vista da tutti. L'arrivo della fidanzata sarà dunque destinato a creare parecchi attriti, e non certo per colpa di Anna.
E' un romanzo storico costruito con molto garbo e accuratezza: ci sono i problemi con la servitù (la servitù ha una parte molto importante nell'intreccio), le complicazioni con i vicini, i traumi da bombardamenti, il vecchio zio un po' suonato, l'ombra delle problematiche di razza che comincia lentamente a incombere, l'antisemitismo nemmeno troppo strisciante, i musicisti dell'epoca, un corpo di ballo russo assai vivace, le ragazze a caccia di marito, i giri di compere e il tema, sempre molto serio, delle Prove dei Vestiti e della Scelta delle Damigelle - perché c'è un Grande Matrimonio da allestire e non te la puoi cavare con un aperitivo servito agli ospiti in terrazza.
Le rose, anche. Un sacco di rose. Un cigno di meringa. Una bellissima cavalla bianca (il dono dello Sposo alla Sposa).
E ci sono anche molti dei topi letterari ricorrenti nei romanzi dell'epoca in cui è ambientato: gli aristocratici russi in esilio, allegri e di buon cuore, il Grandioso Ballo verso cui punta tutta la vicenda, un bel po' di questioni sociali e anche il ritrovamento finale di un tesoro scomparso che risolverà parecchi problemi.
C'è poi una villa inglese assolutamente incantevole che qualsiasi amante del genere adorerà, e un sacco di informazioni sulla vita della servitù all'epoca.
E' una lettura piacevole, luminosa, rilassante e che fa bene all'anima, nonché una bella storia d'amore, anzi due (volendo, anche tre). Di amore in effetti si parla parecchio, senza limitarsi alle coppie da formare. Per esempio anche la villa è molto amata, e ama molto i suoi abitanti.
E' una lettura che va bene in spiaggia, naturalmente, ma la vedrei molto bene anche in parchi e giardini, sotto gli alberi, all'aperto. Rende bene soprattutto in un clima di mezza estate o tarda primavera, secondo me.
Con questo post idilliaco partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma e auguro buone letture e una felice chiusa d'estate a chiunque passi di qua.
mercoledì 17 agosto 2016
17 Agosto 2016 - Giornata della valorizzazione del Gatto Nero (ma non solo dei gatti, e non solo di quelli neri)
Com'è noto, qualsiasi persona provvista di un minimo di logica sa che un gatto nero non porta con sé alcun influsso malefico, ma solo il piacere che ogni bel micio è in grado di elargire.
E infatti nessun micio si sognerebbe mai di discriminare un gatto nero in quanto nero, come ben dimostrano queste foto, fornite per gentile concessione da Acquaforte:
La deliziosa, piccola gattina quasinera chiamata Magò è stata accolta con amichevole ospitalità dal più grande gatto quasibianco Benjamin, già ospitato su questo blog qualche tempo fa.
I due ci offrono una piacevole e affettuosa simmetria molto miciosa e non priva di possibili raffronti con la classica raffigurazione yin-yang:
Un altro esempio di simmetria miciosa bianco-nero ci è offerto da Eva*, che mi ha inviato la foto di due gatti (o gatte?) della sua amica Chiara: (osservate il delicato gioco di rimandi tra cravatte, mascherine eccetera):
I gatti sono consapevoli che esiste una sola razza, quella felina, indipendentemente dal colore e dalla taglia, e non si perdono in assurde discriminazioni.
Nella speranza che l'umanità prenda esempio da loro, dedico ai gatti neri e diversamente neri (o anche diversamente gatti) una bella canzone che giocava appunto sulla simmetria dei colori, estesa financo ai cantanti:
* (in questi giorni in lutto stretto per la dipartita del bel Fred, stroncato da infausta malattia e che, pur non essendo affatto nero, era un gatto molto bello e ricco di pregi)
E infatti nessun micio si sognerebbe mai di discriminare un gatto nero in quanto nero, come ben dimostrano queste foto, fornite per gentile concessione da Acquaforte:
La deliziosa, piccola gattina quasinera chiamata Magò è stata accolta con amichevole ospitalità dal più grande gatto quasibianco Benjamin, già ospitato su questo blog qualche tempo fa.
I due ci offrono una piacevole e affettuosa simmetria molto miciosa e non priva di possibili raffronti con la classica raffigurazione yin-yang:
Un altro esempio di simmetria miciosa bianco-nero ci è offerto da Eva*, che mi ha inviato la foto di due gatti (o gatte?) della sua amica Chiara: (osservate il delicato gioco di rimandi tra cravatte, mascherine eccetera):
I gatti sono consapevoli che esiste una sola razza, quella felina, indipendentemente dal colore e dalla taglia, e non si perdono in assurde discriminazioni.
Nella speranza che l'umanità prenda esempio da loro, dedico ai gatti neri e diversamente neri (o anche diversamente gatti) una bella canzone che giocava appunto sulla simmetria dei colori, estesa financo ai cantanti:
* (in questi giorni in lutto stretto per la dipartita del bel Fred, stroncato da infausta malattia e che, pur non essendo affatto nero, era un gatto molto bello e ricco di pregi)
domenica 14 agosto 2016
Haeretica - La Disciplina - 5 - Il rapporto tra pari
Tra le mie molte stravaganze insegnantesche ce n'è una che è talmente stravagante che a malapena per molti anni ho osato confidarla in privato a carissimi colleghi amici con cui non ho mai lavorato e assai difficilmente avrò occasione di lavorare. La loro reazione unanime mi ha convinto di aver agito con molta accortezza evitando con cura di espormi sull'argomento a scuola.
Col tempo le cose sono un po' cambiate, anche perché sono alla media di St. Mary Mead - e forse sono cambiate anche fuori da St. Mary Mead. Ma insomma la stravaganza di cui vado adesso a parlare continua a godere della generale disapprovazione nel corpo insegnantesco e solo raramente può essere apertamente esposta a piccolissimi gruppi di docente selezionati con cura senza scatenare la generale e totale disapprovazione.
Così, ben nascosta dietro il mio paravento, mi confiderò con il mio blog, in estiva e tranquilla solitudine, cercando di esporre i motivi morali, culturali, temperamentali, sociali e bocciofili per i quali codesta stravagante idea si è radicata nel mio animo perverso - perché è proprio radicata, e il massimo di compromesso che riesco ad accettare è tacerla, regolandomi su di essa ma parlandone il meno possibile.
Ed eccomi che esco allo scoperto: valutando la condotta, trovo molto più grave la mancanza di garbo e/o rispetto verso i compagni che quelle verso un insegnante.
Passo ora a spiegarne i motivi.
Il primo e basilare motivo è che, se io sono lì dove sono, in quella classe con l'alunno che mi cencia, è perché ho firmato un contratto in merito. Certamente nel contratto non era scritto che avrei trovato alunni che mi cenciavano, ma in fondo sono lì in una classe a insegnare per mia libera scelta. Potevo fare un altro lavoro, o scegliermi un'altra scuola. E poi a fine mese mi pagano, e in fondo nel contratto non era nemmeno scritto che avrei trovato solo angeli rispettosi. Inoltre a fine quadrimestre e a fine anno io darò il voto a chi mi cencia, lui no. Non è un rapporto alla pari, ho modo di rivalermi (che scelga o no di farlo è un'altra questione) e l'alunno che mi cencia lo sa.
Un alunno che cencia un insegnante può avere le sue ragioni. Attenzione, non sto parlando di garbate rimostranze o di un opposizione motivata basata su torti più o meno reali da me inflitti, sto parlando di autentici sgarbi o male parole. Il problema, tanto avvertito e così spesso tirato in ballo nei Consigli di Classe che l'alunno Tale o Talaltro "è polemico" e "mi guarda dall'alto in basso" e insomma "non è rispettoso" o critica certe mie scelte o comportamenti non lo ritengo tale: se mi guarda dall'alto in basso penso che a questo mondo ognuno guarda gli altri come gli pare, se è polemico cerco di rispondergli spiegando come e perché faccio quel che faccio e lo ascolto - e se alla fine mi sembra che abbia ragione mi regolo di conseguenza. Lavoriamo insieme, ed è mio dovere fare quel che posso per creargli un ambiente di lavoro confortevole.
Sto parlando di dispetti, scherzi del cavolo, offese, aperti tentativi di sabotare la lezione. Certe volte sono comportamenti dettati da estrema leggerezza, ma c'è sempre sotto qualche problema del ragazzo - e quando l'alunno ti rende sistematicamente impossibile la lezione i problemi sono decisamente seri.
Ma, per quel che mi risulta, non si dà mai il caso in cui l'alunno che rende impossibile la lezione si comporti correttamente con i compagni, per cui si ritorna al discorso di prima: tanto vale intervenire soprattutto sul secondo aspetto, perché il primo a quel punto risulta marginale.
Tralasciamo dunque il caso dell'alunno con scompensi neurologici che, poniamo, sputa addosso all'insegnante; perché lì non è questione solo del voto di condotta - e sono quei casi in cui gli insegnanti si ritrovano abbastanza disarmati e i compagni pure (perché di solito sputa anche addosso a loro, e con molta più frequenza di quel che fa con l'insegnante).
Un alunno che manca di rispetto a un insegnante ed è compiutamente in grado di intendere e di volere fa una scelta e sceglie di opporsi all'elemento più forte della classe. Corre consapevolmente un rischio e si prende le sue responsabilità - anche nel peggiore dei casi, quando è convinto di godere di una certa impunità, sa che qualche conseguenza potrebbe comunque esserci.
Un alunno che prende in giro i compagni o li sottopone a prepotenze varie (di solito facendo ben attenzione a non farsi notare dall'insegnante) fa anche lui una scelta, e prende di mira un elemento debole. Di solito, anzi, ha cura di scegliere l'elemento più debole: lo straniero, quello in posizione sociale più bassa, quello malvisto dai compagni, quello che i compagni non si preoccupano di difendere, quello che non è capace di difendersi da solo. Oggi lo chiamano bullismo, quando a farlo sono ragazzi minorenni, ma di fatto si tratta di prepotenza pura e semplice compiuta su qualcuno che per i più vari motivi non reagisce, ed è una prepotenza fatta con la beata convinzione (spesso, ahimé, assai fondata) che la cosa resterà senza conseguenze disciplinari, vuoi perché gli insegnanti non se accorgono, vuoi perché fanno conto di non accorgersene, vuoi perché stabiliscono che "non è grave" e che "sono cose tra ragazzi e non è bene interferire".
Lo spettro delle possibilità è molto ampio: si va dal singolo alunno che prende di mira un compagno o due e li offende nei modi più classici, fino a gran parte della classe che prende di mira uno o più elementi che vengono usati come punching ball, ideali quando uno si sente un po' giù e vuole scaricarsi i nervi. Oh sì, anche in questo caso ci sono delicate motivazioni psicologiche legate al disagio interiore del molestatore ma, siamo seri: quale adolescente su questa terra non è a disagio? Anzi, quale essere umano su questa terra non è a disagio? E una volta sfogato il disagio sul malcapitato di turno, quale adolescente (o essere umano) ne trae un concreto e duraturo beneficio?
La risposta a tutte e tre le domande mi sembra una sola: NESSUNO.
Usare dunque i compagni di classe come punching ball è una pratica inutile nel migliore dei casi per chi la fa, piuttosto dannosa nel migliore dei casi per chi la subisce e del tutto deleteria per l'ambiente di classe. E' dunque opportuno sanzionarla con grande decisione, senza farsi troppe seghe e senza perdersi nell'autocoscienza collettiva per portare avanti il discorso.
Anche perché c'è un altro fattore da considerare, e ogni tanto lo ripeto in classe: Gli adulti sono per voi un incidente di percorso, ma i coetanei sono quelli con cui avrete a che fare per tutta la vita. Dovete imparare a trattarli correttamente e a evitare gli attriti non necessari, e soprattutto prima imparerete a lavorarci insieme e meglio sarà, perché per tutta la vostra vita lavorativa avrete a fianco i coetanei, e se non saprete lavorarci la vostra carriera ne risentirà.
Per difendere questo mio eretico punto di vista sono perciò entrata nella sottocommissione POF addetta alla preparazione della tabella delle motivazioni del voto di condotta. E siccome là dentro non ero del tutto sola in cotal eresia, dopo qualche discussione, un po' di lamentele e un accorto uso del metodo panzer, la fazione eretica ha infine prevalso, non senza qualche merito da parte mia, e adesso all'Istituto Comprensivo di St. Mary Mead, almeno sulla carta, il comportamento con i pari è uno dei principali indicatori di cui tenere conto nell'assegnazione del voto in condotta.
E di ciò sono molto fiera
anche se evito di vantarmene in pubblico.
mercoledì 10 agosto 2016
Boschi della Terra di Mezzo - 5 - Le Entesse
Anche se tendenzialmente gli Ent possono vivere all'infinito, sono una razza in via di estinzione. Qualcuno si sta alberizzando, sì, e qualcuno è morto per gli accidenti della vita. Ma il vero problema è che non hanno germogli ent: ne hanno avuti alcuni, in epoche molto lontane, ma poi perdettero le entesse.
"Quando il mondo era giovane, e i boschi vasti e selvaggi, gli Ent e le Entesse camminavano e vivevano insieme. Ma i nostri cuori non svilupparono i medesimi sentimenti"
racconta Barbalbero "gli Ent si erano affezionati ai grandi boschi selvaggi. Ma le Entesse si occuparono delle piante più piccole, dei prati illuminati dal sole ai margini delle foreste; videro le prugnole sugli alberi, i meli ed i ciliegi selvatici fiorire in primavera, l'erba verde crescere in estate nelle terre irrigue, ed i semi germogliare nei campi in autunno.
Entwife - Natalia Nikitin
Esse non desideravano parlare con queste cose, ma volevano essere ascoltate e obbedite. Le Entesse ordinarono loro di crescere secondo i propri desideri, e di produrre frutti e di portare foglie a volontà; le Entesse infatti volevano ordine, abbondanza e pace, e ciò per loro significava che ogni cosa doveva restare al posto che esse avevano stabilito. E crearono giardini, per abitarli. Molti uomini appresero l'arte delle Entesse e furono estremamente riconoscenti".
Insomma, mentre gli Ent si concentrarono sulla loro alberità, le Entesse inventarono l'agricoltura e la insegnarono agli uomini, mettendo le piante più piccole al loro servizio. Si potrebbe dire che, per amore di dominio, domarono le piante e le legarono alla catena della produzione agroalimentare, oppure che cercarono di produrre qualcosa che fosse utile anche alle altre specie - quelle che camminavano liberamente su due gambe, verso cui non provavano alcun rancore e a cui anzi elargirono un dono senza prezzo: prima dei loro utili insegnamenti, infatti, uomini (e hobbit, si suppone) vivevano allo stato di cacciatori e raccoglitori, insomma carne arrosto o bollita e bacche, radici e funghi (come si alimentassero gli elfi, che da millenni imperversavano per il mondo, non è dato sapere).
Quello dell'agricoltura è il più antico mestiere del mondo, nella nostra storiografia: caccia, raccolta di bacche e perfino allevamento sono infatti praticati anche dagli animali, mentre l'agricoltura è una caratteristica esclusivamente umana. I campi biondeggianti di grano e i frutteti carichi di pesche e susine segnano l'inizio della civiltà umana, ma portano con sé la fine della libertà delle piante, rinchiuse in giardini e condannate a produrre, produrre e ancora produrre. Ordine, pace e abbondanza: piatti pieni su tutte le tavole, frutteti e orti ben strutturati e curati, bellezza e rigoglio ovunque.
Chi aveva ragione?
Dal punto di vista umano le Entesse, senz'altro. Dal punto di vista vegetale non so, ci sarebbe parecchio da discutere e sarebbe interessante sentire cosa ne pensavano gli Ucorni.
Quel che è certo è che la separazione degli Ent maschi dalle Ent femmine si rivelò un disastro per la razza degli Ent nel momento in cui le Entesse... scomparvero.
Gli Ent maschi erano rimasti nelle foreste, ma andavano ogni tanto a trovare le loro Entesse. Non risulta che le Entesse facessero altrettanto, perché erano assolutamente soddisfatte della loro scelta. Coltivare la terra le aveva cambiate anche fisicamente: erano diventate più curve e brune "avevano i capelli riarsi dal sole e del colore del grano maturo, e le guance rosse come mele. Eppure gli occhi erano ancora come i nostri".
Fimbrethil, consorte di Barbalbero
Ad ogni modo i giardini delle Entesse cambiarono più volte locazione, dopo ognuna delle venute dell'Oscurità, rifiorendo ogni volta più belli e fertili. Eppure ci fu un triste giorno in cui gli Ent trovarono solo terre bruciate: "era tutto un deserto, ogni cosa bruciata e sradicata dalla guerra devastatrice" e niente più tracce delle Entesse. Gli Ent le cercarono, e chiesero loro notizie. Seppero solo vagamente che erano andate a sud, oppure a est, oppure... insomma, le cercarono e non le trovarono mai più.
Per confortarli, gli Elfi scrissero delle canzoni. Che altro potevano fare?
Barbalbero ne canta una, una specie di contrasto dove nell'ultima strofa i due rami della razza si riuniscono dopo aver perso entrambi le loro dimore:
Insieme allora nella bufera fianco a fianco ad ovest ce ne andremo
Ed una terra dove i nostri cuori riposar potranno troveremo.
Tuttavia niente di tutto ciò è avvenuto nel tempo in cui Barbalbero incontra gli hobbit, e l'Ent sospira che le canzoni, come gli alberi, portano frutti solo a tempo giusto e a modo loro; e a volte appassiscono anzi tempo".
Dove erano finite le Entesse? Esistevano ancora, nella Terra di Mezzo?
Un affascinante teoria sostiene che, almeno per un certo tempo, hanno avuto cura dell'Ithilien, che non a caso veniva chiamato il giardino di Gondor, e trova le loro tracce... in una ciotola di pietra piena d'acqua, simile a quelle che c'erano nella casa di Barbalbero visitata dagli hobbit. In tutti i casi Tolkien non ha lasciato tracce molto esplicite - ma va pur considerato che il Signore degli Anelli pullula di leggeri accenni abilmente nascosti nelle pieghe del testo.
La storia ha un tono squisitamente vittoriano, a partire dalla teoria (nata, mi sembra, proprio in quegli anni) che vuole le donne come inventrici dell'agricoltura: senz'altro un bel titolo di vanto per il nostro sesso, e tuttavia mi sono sempre chiesta se esiste un qualche elemento oggettivo su cui basarla, al di là dell'opinione che gli uomini avevano in quell'epoca sulla natura femminile: i maschi rincorrono l'infinito, i misteri, studiano la natura alberesca, mentre le femmine sono portate verso le piante più piccole e produttive, vogliono un piccolo regno dove comandare ed essere obbedite, cercano la regola, la pace, l'abbondanza e si occupano di ciò che ha un utilizzo pratico. Una volta passato l'entusiasmo della giovinezza, quando i sogni e i sentimenti sono gli stessi, i cuori di maschi e femmine prendono direzioni diverse, anche se l'affetto nella coppia permane immutato.
E' la crisi della coppia, un tema molto presente nella letteratura degli anni di Tolkien: non la coppia che si separa per contrasti o perché nuovi interessi sentimentali han preso il posto dell'antico amore - tutte cose cui un divorzio potrebbe porre rimedio - ma la coppia che si continua ad amare ma che ha interessi in gran parte separati perché maschi e femmine, maturando, sviluppano interessi diversi essendo diversi per natura (Tolkien stesso visse un matrimonio assai felice dove però i coniugi, pur continuandosi sempre ad amare, avevano interessi in larga parte divergenti. Per coltivare i suoi, del resto, Tolkien preferì sempre la compagnia maschile).
La separazione degli Ent dalle Entesse non avviene per leggerezza, motivi futili o scarsità di sentimento, ma perché i due rami della razza sono intrinsecamente diversi, e davanti a questa differenza naturale l'autore non riesce a trovare altro che la possibilità di una riunione "dopo" che la vita ha seguito il suo corso.
Resta un ultima osservazione da fare: in questa storia le Entesse sono mute, come spesso le controparti femminili delle razze di Tolkien. Pochissimo sappiamo delle signore hobbit, poco delle donne, le Entesse appaiono solo di riflesso nel racconto di un Ent malinconico, quasi nulla viene detto delle nane, nulla del tutto delle orchette. Solo la voce delle Elfe risuona con una certa chiarezza.
venerdì 5 agosto 2016
Boy, Snow, Bird - Helen Oyeyemi
Di questo libro avevo sentito come parlare come di una riscrittura della favola di Biancaneve ambientata nell'America degli anni 50. Siccome le favole mi piacciono molto me lo sono procurata quanto prima, iniziando tosto a leggerlo con blando interesse.
L'interesse si è presto evoluto in un saldo apprezzamento e poi in un entusiasmo travolgente fino a farmi guaiolare di piacere sulla conclusione - che per alcuni è il punto debole di un romanzo altrimenti piuttosto valido, ma che io personalmente considero la conclusione più appropriata verso cui tutta la vicenda tendeva fin dalla prima pagina.
Il mio giudizio quindi è di totale e completo apprezzamento, e questa recensione sarà ancora più emotiva del solito.
Sarà però il caso di piantarla di parlare per enigmi, anche se questo è un romanzo molto difficile da riassumere senza spiattellare i due colpi di scena che sono parte integrante della storia. Personalmente non ho nulla contro gli spoiler, ma credo che in questo caso andrebbero proprio evitati.
Prima di tutto: nonostante la copertina balorda dell'edizione italiana e quella più gradevole ma piuttosto gratuita dell'edizione americana questo non è un romanzo fantasy, e nemmeno di genere fantastico. E' invece un romanzo che tiene conto del fatto che "ci sono più cose in cielo e in terra di quanto sogni la nostra filosofia". Niente prodigi, niente magia e niente miracoli, ma piuttosto qualcosina qua e là che ci ricorda che il mondo non è fatto solo di apparenze concrete.
Non è un romanzo sugli specchi, anche se la linea genetica della protagonista principale, Boy, ha con gli specchi un rapporto particolare. Suggestioni? Messaggi dall'inconscio? Segnali da un mondo parallelo? Tenderei verso la seconda possibilità. Ma gli specchi hanno da sempre valenze piuttosto simboliche in letteratura, senza dover necessariamente scomodare Biancaneve o Alice che va nel paese delle meraviglie.
Biancaneve c'entra il giusto, e anzi non mi sembra venga mai nemmeno apertamente nominata. C'è una matrigna, in effetti, ma la storia parla principalmente del rapporto madre-figlia: ci sono molte madri (anche più di quel che sembrerebbe a prima vista) e anche un buon numero di figlie, ma pure nonne, sorelle e financo zie, oltre a qualche amica. E', questo sì, un romanzo a forte prevalenza femminile, ma non per questo i personaggi maschili stanno lì a fare da decorazione, inerti e passivi.
Il titolo è dedicato alle tre protagoniste: Boy, Snow e Bird sono infatti tre femmine. Sì, anche Boy. Non sono soprannomi, sono i nomi registrati all'anagrafe, quelli che compaiono sui loro documenti. Perché Boy è stata chiamata così risulta abbastanza chiaro nel corso del romanzo, e lo stesso vale per Snow. Quando a Bird, il nome è scelto dalla sorellastra Snow: Si deve chiamare Bird sia se è un maschio che se è una femmina. Bird come un uccello che canta e che vola. E Bird si mostrerà infatti una creatura piuttosto difficile da tenere in gabbia, e con un rapporto particolare col canto (anche se nel libro c'era già una cantante, ed era la madre di Snow) e anche col mondo "altro", quello al di fuori della realtà fenomenica. Parlando della fiaba di Cenerentola chiede Ma è una storia vera? Non dico il fatto della fata buona e del vestito che a mezzanotte ridiventa di stracci; questo lo so che è vero. No, dico di Cenerentola che spazza tutti i giorni la cenere e non la mette mai nel mangiare della matrigna o cose così... possibile che questo sia vero?
Il rancore infatti è un altro dei temi portanti del romanzo: il rancore, la sua forza e i vari modi per sfogarlo e/o superarlo. Come si esce da un incantesimo, chiede Boy, stremata ma non doma, verso la fine della storia. La saggia donna cui ha fatto la domanda risponde Un incantesimo dura solo finché la persona che lo subisce non è sinceramente e profondamente stufa di essere sotto quell'influsso. L'incantesimo svanisce appena la prospettiva che continui diventa agghiacciante. Qualsiasi psicoterapeuta le darebbe ragione, e altrettanto farebbero Gandalf e Silente, entrambi grandi sostenitori del libero arbitrio.
La chiave del romanzo infatti è che nessuno è inchiodato al suo destino, per quanto sembri senza via d'uscita e per quanto forti siano i traumi da cui questo destino ha preso forma: nel momento in cui ti stufi davvero di una situazione, riacquisti la possibilità di scelta e puoi cambiare la tua storia.
Dopo tanto straparlare provo a dare qualche elemento più terra terra.
La vicenda è ambientata negli Stati Uniti, tra gli anni 50 e gli anni 60. Boy è una ragazza che, dopo molti anni di maltrattamenti, scappa di casa, approdando in una cittadina del Massachusetts dove potrà costruirsi una nuova vita che la porterà tra l'altro a sposare un vedovo, il padre di Snow. La nascita della loro figlia Bird porterà però non pochi cambiamenti negli equilibri familiari e costringerà qualche scheletro a uscire dagli armadi per prendere aria.
Lettura piacevole e interessante, va bene per tutte le stagioni, tutte le circostanze e tutte le età sopra i quattordici anni (prima potrebbe risultare di difficile lettura, ma non necessariamente di difficile comprensione).
Ai miei occhi però il libro ha il difetto di essere corto (sotto le 300 pagine) perché ne avrei preso volentieri qualche altra dose.
Con questo post sono particolarmente lieta di partecipare al Venerdì del Libro di Homemademamma e auguro felici vacanze a tutti gli altri partecipanti e a chiunque passi da qui.
mercoledì 3 agosto 2016
Considerazioni sul Premio Bancarellino (e sull'editoria per ragazzi in generale)
Alcune bancarelle sono estremamente curate, altre meno
Il premio, nato nel 1957, funziona così: all'inizio dell'anno solare una commissione sceglie a proprio insindacabile giudizio tenendo conto degli argomenti trattati e della qualità letterario una ventina di opere tra quelle inviate dalle case editrici specializzate nel settore, uscite nell'anno precedente e rivolte a un pubblico tra gli 11 e i 13 anni.
Le classi che ne fanno richiesta ricevono i libri a prezzo di favore, li leggono a piacer loro e assegnano un voto ai libri letti. Ad una certa data le scuole inviano alla direzione del premio l'elenco delle opere con relativa votazione, ottenuta facendo la media dei singoli voti assegnati dagli alunni ad ogni libro.
I primi cinque classificati entrano in finale. Poi c'è la Gran Giornata della Premiazione, a Pontremoli - graziosissima cittadina che si trova nel punto più estremo a nord della Toscana e quindi per noi è piuttosto lontana - dove partecipano anche le scolaresche: in tarda mattinata c'è un confronto con gli autori dei libri finalisti, che raccontano come gli è venuto in mente di scrivere proprio quel libro lì, di cosa parla eccetera, e poi rispondono alle domande dei ragazzi. Dopo pranzo i ragazzi passano a votare il libro che preferiscono tra i finalisti, verso le cinque c'è la premiazione e le classi si divertono assai*.
Quest'anno avevo una prima e, come dire, mi è toccato. Ho affrontato il caso con fronte serena e apparente consenso, anche se in cuor mio nutro serie riserve. Non verso il meccanismo, che è studiato con notevole abilità per incitare i ragazzi a leggere il maggior numero di libri possibili - e per un insegnante di Lettere è sempre un piacere vedere i suoi alunni che leggono a gara - ma per alter questioni, principalmente di ordine letterario.
Qualche riserva si potrebbe avanzare sul meccanismo delle date: chiaramente la commissione si prende il suo tempo per selezionarli, quindi i libri arrivano alle scuole a fine Marzo, e la data in cui dobbiamo inviare i voti è intorno al 20 di Maggio - insomma, a conti fatti non c'è molto tempo per leggere, e ce ne sarebbe di più se l'anno considerato andasse, poniamo, dal 1 Ottobre al 30 Settembre o qualcosa del genere e i libri ci potessero arrivare subito dopo Natale.
Con tempi così ristretti l'insegnante non ha molta possibilità di intervento - e questa la trovo un ottima cosa. Tuttavia l'insegnante di Lettere delle medie normalmente ha una certa conoscenza della letteratura per giovinetti, e se poi è il bibliotecario della scuola e magari tutti gli anni segue minuto per minuto una mostra del libro finisce per imparare anche qualcosina sull'editoria per giovinetti e sulle preferenze dei medesimi. Quando poi da quattro anni cataloga i libri del Bancarellino è portato per forza di cose a fare in cuor suo alcune considerazioni del tipo "come mai certe case editrici di risonanza davvero minima partecipano tutti gli anni, magari con due o tre libri, mentre altre che gestiscono prestigiosi cataloghi assai curati a malapena si intravedono ogni tre o quattro anni?" oppure "Perché diavolo autori assai scarsamente gettonati dalla studentesca platea ogni santo anno hanno il loro libro nella rosa dei venti, e ogni anno detto libro riguarda il tema più trendy dell'anno?" o anche "Se lo scopo del premio è di diffondere la pratica della lettura tra i giovinetti perché non c'è quasi nulla di quello che, lasciati a loro stessi, i giovinetti leggono?" e soprattutto "Per quale accidente di motivo spesso tra libri selezionati non ce n'è manco uno straniero?" (il premio non è riservato ai soli libri italiani, e quando per avventura capita che venga introdotto qualche libro straniero - che non avviene tutti gli anni, oh no - detto libro di solito vince).
Ma la domanda che più si impone al bibliotecario di turno è "Come mai almeno due terzi di questi libri hanno in tutto e per tutto le caratteristiche almeno esterne del ciarpame?".
A questo magari si potrà rispondere che buona parte dell'editoria per ragazzi ciarpameggia assai - copertine orripilanti, copertine e rilegature destinate a logorarsi già alla seconda lettura, riassunti sul retro di copertina o nei risvolti che fanno veramente pena e non sempre aiutano a farsi un idea del libro ma che non di rado si preoccupano di indicare i temi trattati e cosa il giovane lettore ne deve pensare, stampa poco curata, refusi a sfare, formato di lettura scomodo, illustrazioni brutte che più brutte non si può. Questo però non vale per tutte le case editrici, solo per la maggior parte - guarda caso, quelle che partecipano sempre.
L'assente più notevole è la Salani, che spesso e volentieri non c'è proprio (anche se quest'anno partecipava con Olga di carta di Elisabetta Gnone, che onestamente è un bel libro e ha una confezione grafica eccellente) e che incrociamo solo due volte nell'albo d'oro: con Le streghe di Roald Dahl nel 1988 e con L'ultimo elfo di Silvana De Mari nel 2005.
Qualcuno qua ha mai sentito nominare, magari anche dai ragazzi, Roald Dahl e Silvana De Mari? Oso dire di sì. Ma scorrendo l'albo d'oro negli ultimi 30 anni ci ho trovato una bella collezione di sconosciuti e di libri di cui non mi è mai giunta notizia, assieme a qualche nome noto e a qualche titolo che effettivamente mi risulta che i ragazzi abbiano apprezzato.
Visto che i ragazzi gradiscono il meccanismo della gara, non sarebbe magari il caso di utilizzare il premio Bancarellino per promuovere una rosa più interessante, che avrebbe il risultato di alzare anche le vendite? D'accordo che l'editoria per ragazzi è in effetti un settore che funziona abbastanza, ma spesso ho avuto l'impressione che si potrebbe fare meglio e di più, magari incentivando quegli editori che stanno facendo il lavoro migliore.
Un aspetto positivo della selezione invece era che c'erano libri di molte taglie, e quindi anche i lettori meno appassionati potevano scegliersi qualcosa che andasse giù in poche ore.
Siccome uno dei miei principi cardine è che i ragazzi devono imparare a scegliersi i libri da soli mi sono limitata a squadernarglieli davanti, distribuendoli su due banchi attaccati per l'occasione e dicendo "Prendete quello che vi ispira".
Le uniche regole che ho messo erano che il libro andava riportato in tempi ragionevoli, e se vedevano che un libro non andava avanti dovevano riportarlo, invece di tenerlo in casa ad annoiarsi sul loro comodino. Se lo riportavano senza averlo finito, allora un giudizio se l'erano fatto comunque e avevano diritto a darlo. Naturalmente nessuno era obbligato a prendere alcunché, se non ne aveva voglia.
Ogni giorno prendevo i libri restituiti e li distribuivo a chi li voleva purché non avessero altri libri del Bancarellino a casa. Se c'erano più aspiranti allo stesso libro valeva l'ordine della lista d'attesa, e se non c'era lista di attesa facevano la conta o la morra cinese o pari e dispari, e volendo potevano pure tirare in aria una moneta.
Alcuni libri sono finiti nel tritacarne, nel senso che molti li hanno presi per constatare di persona se davvero facevano così schifo come dicevano quelli che li avevano letti (di solito poi riportandoli ammettevano che sì, è vero, facevano davvero pena. Ma ci sono stati casi di libri le cui quotazioni sono improvvisamente salite quando qualcuno a sorpresa gli dava nove o dieci, e improvvisamente diventavano oggetto di una lunga lista d'attesa). Certi libri sono stati oggetto di valutazioni diversissime, altri hanno goduto di generale consenso, altri sono stati cenciati all'unanimità.
Il nostro vincitore morale è stato Le fiabe dei motociclisti volume II, che non solo non è finito tra i cinque finalisti, ma che nemmeno le altre due prime avevano tenuto in grande considerazione - anzi, tutta la nostra classifica è risultata molto diversa da quella delle altre due classi (e da quella generale di tutti i partecipanti della regione).
Il meccanismo della distribuzione quasi quotidiana si è mangiato una gran quantità delle mie ore, e a tutt'oggi non so se è stato tempo ben utilizzato. Credo di sì, perché la classe si è divertita molto (e anch'io) e, comunque sia, sul piano della socializzazione è stato un successo.
Penso anche che riprenderò l'argomento all'inizio dell'anno, perché sono curiosa di vedere come funziona la loro memoria di lettura. E' un esperimento che non ho mai provato.
*gli insegnanti un po' meno, ma questi son dettagli