venerdì 31 maggio 2013

Il libro delle storie di fantasmi - (raccolte da) Roald Dahl


Tanti anni fa Dahl ricevette e volentieri si sobbarcò l'incarico di selezionare un cospicuo gruppo di buoni racconti di fantasmi per trarne una serie televisiva. Convinto che sarebbe stato come pescare paglia da un pagliaio, scoprì che i racconti di fantasmi erano in effetti merce assai comune, ma i buoni racconti di fantasmi erano invece assai rari. Si formò comunque una vasta competenza in materia e, visto che la serie televisiva non andò mai in porto, finì per ricavare dalle sue letture un'antologia con 14 delle storie di fantasmi che più gli erano piaciute e che venne pubblicata nel 1983 (da qualche tempo c'è anche in edizione economica).

Tra i tanti generi letterari la storia di fantasmi è particolarmente scivolosa da definire, e anche se molti dei grandi nomi della letteratura non solo inglese vi si sono cimentati, spesso non sono stati loro a sortire gli effetti migliori.
Un fantasma, nel caso più consueto, è un morto che continua a interagire con i vivi perché ha ancora qualche conto in sospeso: a volte vuole vendicarsi, a volte aspetta la redenzione, a volte vuole ringraziare o proteggere qualcuno oppure non riesce ancora ad andarsene, e queste sono solo alcune delle possibilità. Una storia di fantasmi non è necessariamente paurosa, più spesso è solo molto, molto inquietante, ma può anche essere consolatoria o perfino divertente. Inoltre, come osserva Dahl nell'introduzione, spesso nelle storie di fantasmi il fantasma non c'è e, come teorizza un altra autorità in materia (M.R. James, che non è presente nell'antologia) non è bene che al lettore sia spiegato tutto; insomma si tratta di parlare di qualcosa che non compare ma c'è, raccontando una storia che deve essere capita, ma non del tutto: comprensibile che non tutti gli autori siano riusciti a venirne a capo in maniera soddisfacente.

I 14 racconti scelti da Dahl sono tutti ottimi e offrono una panoramica molto variegata del genere e un vasto campionario di fantasmi. Le omissioni non vengono spiegate (oltre a M.R. James ad esempio mancano anche il fantasma di Canterville ed Henry James) ma tra gli autori ci sono scrittori famosi la cui fama non è legata esclusivamente a questo tipo di storie. Viene coperto tutto l'arco cronologico che va dal periodo vittoriano agli anni 80 del secolo scorso e naturalmente non ci sono solo racconti inglesi. Abbiamo fantasmi al telefono, fantasmi di bambini, fantasmi di gruppo, fantasmi che sembrano persone normalissime, insomma di ogni indole e genere e con ogni tipo di retroterra.
E' un libro perfetto da tenere sul comodino per leggersi una storia ogni tanto, con l'unico difetto che purtroppo dopo quattordici di questi ognitanto il volume sarà finito.
Interessante anche l'introduzione, in cui Dahl racconta la nascita dell'antologia ma soprattutto parla di letteratura, non solo fantasmatica.
Consigliato per tutti, dai dodici anni in su (anche se un paio delle storie possono restare un po' ostiche a un adolescente).

Con questo libro partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma, con l'augurio che questo fine settimana offra qualche scorcio di primavera onde potersi dare alla lettura anche sotto gli alberi o in un parco, e non solo a casa, con accanto la solita tisana per cercare di mettere in fuga i sintomi del raffreddore che in questa primavera assai anomala perseguitano tanti di noi.



giovedì 30 maggio 2013

Pedante



-...che, se vogliamo, è un modo più pedante per dire esattamente la stessa cosa" - concludo.
Si alzano diverse mani - Prof, cosa vuol dire pedante?.
-Facciamo un esempio: c'è il Consiglio di Classe e noi diciamo ai genitori "La classe lavora bene, i ragazzi si impegnano, fanno regolarmente i compiti, il comportamento è buono, tra loro vanno d'accordo e si aiutano, siamo in pari con i programmi e i ragazzi hanno partecipato volentieri alle varie attività". I vostri genitori capiscono quel che abbiamo detto e tornano a casa contenti. Oppure diciamo: "Gli alunni stanno conseguendo con successo i vari apprendimenti, si pongono in modo assertivo verso la scuola e verso i compagni interagendo reciprocamente in un clima collaborativo e improntato ad un confronto equilibrato, il livello disciplinare risulta soddisfacente e adeguato, le consegne vengono rispettate e le integrazioni alla programmazione sono state accolte in modo propositivo conseguendo un valido ritorno didattico". Abbiamo detto esattamente la stessa cosa, ma in didattichese, e così siamo stati molto più pedanti e ai vostri genitori è venuto il mal di testa. Avete capito?
I ragazzi annuiscono.
-Volete un altro esempio?
-No, prof, basta così.

A loro non l'ho detto, ma mi sono liberamente ispirata ad un'autentica traccia suggerita da un preside di altra scuola in altra città per essere letta ai genitori in Consiglio dal coordinatore. E temo fortemente che, se fossi stata un genitore e mi avessero costretto ad ascoltare sì ignobile manfrina senza nemmeno uno spicciolo di indennizzo, avrei alzato la mano per chiedere "Ma parlare in italiano vi fa schifo?" o qualcosa di altrettanto deplorevole.

mercoledì 22 maggio 2013

Ampi margini di miglioramento

Ryoga Hibiki, uno dei miei (molti) personaggi preferiti di Ranma 1/2. Proprio come me, non sempre trova la strada giusta al primissimo tentativo, ma sia io che lui siamo in buona compagnia.

Il triplice suono della campanella, seguito da quello della sirena dei pompieri, annuncia l'inizio della seconda prova di evacuazione dell'anno scolastico in corso. Prontamente io e tutti gli alunni della Seconda Effervescente ci infiliamo sotto banchi e cattedra, contiamo fino a trenta e poi riemergiamo. E fin qui tutto bene.

Prendo il registro e una penna e mi accingo a seguire la classe. La classe guizza, si dimena, serpenteggia. Sono divisi in tre tronchi di fila. Stanno discutendio su chi debba dare la mano a chi.
"Scusate, potremmo muoverci? Il terremoto incombe" chiedo con bel garbo.
Sempre divisa in tre tronconi, la triplice fila esce fortunosamente dalla classe. Gli aprifila si staccano e corrono via.
"Dove state andando?"
"Dobbiamo controllare se qualcuno è rimasto in bagno".
Mi mordo la lingua per non chiedere "Che cazzo è 'sta storia?". I due escono subito dal bagno dei maschi e si affrettano...
"Tornate indietro!" ruggisco.
"Ma dobbiamo controllare i bagni delle ragazze!".
"Li controllerà qualcun altro. Raus! Fuori!!"
(N.B.: al momento dell'allarme nessuno della classe era in bagno né in qualsivoglia altro locale della scuola che non fosse la classe istessa medesima).
I tre spezzoni, ormai diventati quattro, escono alla rinfusa. Due anguille guizzate in avanscoperta mi annunciano che il cancello posteriore del giardino è chiuso.
(Per la cronaca: tale cancello era chiuso per precisa disposizione dell'Ingegnere che sovrintende alla nostra sicurezza; ed era chiuso anche alla prima prova di quest'anno, si capisce).
"Usciamo da quello" dico indicando l'altro cancello da cui una prima sta appunto uscendo in modo ordinato e composto.
"Ma ci hanno detto che è pericoloso!".
"Non sarà più pericoloso che per la IB, e comunque sempre meglio che farci spiaccicare dalla scuola che sta crollando per il terremoto".
Qualcuno ne conviene. La classe cola fuori dal cancello in modo tutt'altro che ordinato, e certamente molto scomposto.
Da un anno porto quella classe a mensa, e né urla, strepiti e minacce, né garbati discorsetti che facevano appello al loro buon senso né calde esortazioni o sequestri di pallone sono mai riuscite ad ottenermi un gruppo decorosamente unito (decorosamente unito, non pretendo certo una compatta fila per due).
Mi fermo sotto l'albero nel parcheggio, come previsto da regolamento e attacco con l'appello.
"Crodegango"
"Presente"
"Rosvita" 
"Presente"
"Ildebrando da Soana"
Silenzio.
"Ildebrando da Soana!"
"E' qui, prof".
"Se sei qui perché non hai risposto?"
"Ma ho risposto, ho alzato la mano".
"Ottima idea, considerando che sei alle mie spalle e non ti posso vedere. Per favore, Rudperto, andresti a chiamare quel gruppetto? In teoria dovreste essere tutti radunati intorno a me mentre faccio l'appello".
Le pecorelle smarrite vengono richiamate, l'appello viene concluso, poi attacco la doverosa predica che esordisce con "Auguriamoci tutti che non venga davvero un terremoto mentre frequentate questa scuola, perché in quel caso le vostre possibilità di sopravvivenza mi sembrano davvero minimali". Come sempre ascoltano a testa bassa, poi si giustificano.
E' che alle elementari non abbiamo mai fatto le prove di evacuazione".
"Mai?" mi sorprendo. Le elementari sono alla nostra destra, ogni anno accogliamo i loro alunni, e mai alcuno di loro ci ha dato modo di sospettare di cotal carenza nella loro educazione.
"Solo una volta o due, in tutte le elementari".
"Cioè quando facevano le prove vi tenevano a scuola? Proprio e solo voi che avreste formato la futura Seconda Effervescente? Curioso, davvero".
Un barlume di ritegno li zittisce, una buona volta.
Compilo un verbale al calor bianco sullo svolgimento della prova e rientriamo in aula, dove la Russia con le sue bianche steppe ci aspetta.

Va da sé che nessuna delle altre classi della scuola si è nemmeno lontanamente sognata di fare un casino del genere.
(Nota a parte: i tre o quattro tronconi non si sono riuniti in una sola fila per semplice distrazione, non per particolari antipatie tra i componenti delle medesime).

martedì 21 maggio 2013

Hortodoxa - 17 Maggio 2013 - Giornata mondiale contro l'omofobia

Love is love, senza dubbio. Io però un topo innamorato di un gatto non lo vedo messo benissimo. Senza pregiudizi, intendiamoci.

Passano i giorni e i mesi (se li conti anche i minuti) e col tempo è tornato il 17 Maggio, con annessa Giornata Internazionale Contro l'Omofobia. Stavolta sono stata brava e mi sono appuntata la data sul calendario.
Non che avessi in mente grandi cose. Ad avviare un progetto un po' articolato per le prime ci aveva provato la prof. Therral, ma era stata subito stoppata dalla prof. Palmina che aveva assicurato che gli psicologi raccomandano di non affrontare l'argomento negli anni delle medie, perché i ragazzi rischiano di confondersi le idee - e dal momento che gli psicologi, in tema di omosessualità, hanno davvero detto di tutto e di più, ci sta che esista il singolo psicologo che, dopo abbondanti libagioni, abbia partorito cotal strampalato parere; così come ci sta pure la possibilità che l'essere credente e molto praticante incida in parte sull'approccio che la prof. Palmina ha mostrato verso la questione. Comunque sia, il progetto è morto ben prima di nascere.
Non per questo ho rinunciato alla mia lezioncina. Siamo in prima, non importa fare grandi cose, giusto qualche parola di spiegazione, tanto per introdurre il tema. 
Ma proprio come l'anno scorso le cose sono andate un po' diversamente da come le immaginavo.

Scrivo sulla lavagna la parola OMOFOBIA, bella grande.
"Oggi è la giornata mondiale contro l'omofobia - spiego - Qualcuno di voi sa cosa vuol dire questa parola?
Celeste alza la mano, molto soddisfatto della sua competenza in materia.
"E' quel fenomeno per cui alcuni uomini hanno la malattia di provare attrazione per altri uomini".
Nessuno in classe abbozza una qualche reazione di meraviglia o scherno davanti a sì strampalata definizione.

"Molto bene" mi dico "Oggi ci si guadagna lo stipendio, fino all'ultimo centesimo. Ma chi gliele insegna, certe stupidaggini?"
E così inizia una lezione di filologia in piena regola, con le ragazze che ascoltano tranquille e i ragazzi talmente elettrici che se li avessi collegati a dei cavetti avrei potuto mandarci avanti per qualche giorno l'intera Toscana, industrie comprese. 
Prima la parola "fobia", poi la parola "omosessuale", cosa vuol dire "gay" in inglese e cosa vuol dire in italiano, da dove viene la parola "lesbica" (e tutta la classe alla carta geografica a cercare l'isola di Lesbo, felici come pasque dopo averla trovata manco non avessero mai visto un'isola su una carta geografica in tutta la loro vita), di come Saffo fosse una donna anche se il nome finiva in -o (e qui il ricordo di Benigni e della sua versione della storia di Caino e Abele si affaccia con prepotenza).
Poi è iniziato un lungo e sdruccioloso cammino verso la questione dell'orientamento sessuale: l'omosessualità non è una malattia (ma spesso è stata considerata tale), non tutte le religioni la condannano (ma le tre Religioni del Libro sì, se pure con qualche distinguo), non se ne conoscono le cause (ma un sacco di persone le hanno cercate, e qualcuno è pure convinto di averle trovate). E avevo appena spiegato che l'orientamento sessuale non si trova con la bussola quando il suono salvifico della campanella mi ha concesso una legittima fuga verso la Seconda Effervescente, che al confronto mi è risultata assai riposante e quasi soporifera, con il suo tranquillo impero napoleonico e la rilassante spedizione contro la Russia.

Domani l'argomento andrà ripreso, ché c'è ancora da affrontare tutta la questione delle parole che si possono usare per indicare i gay e di quelle che vanno maneggiate con cautela, meglio se evitate del tutto, soprattutto nei corridoi della scuola (per tacere dei pulmini).
Che è la parte più complicata da spiegare e da gestire. Chissà se c'è qualche altoforno nei dintorni cui regalare la corrente in sovrappiù?

venerdì 17 maggio 2013

La piccola Fadette - George Sand


Il romanzo si intitola alla piccola Fadette, ma è principalmente la storia di due gemelli e del loro mai completato distacco. La prima scena, anzi le primissime righe sono dedicate alla loro nascita, mentre Françoise Fadet compare a più di un quarto del libro, inquadrata di scorcio, e ci vorrà ancora un po' prima che riesca a entrare nella vicenda, ambientata nella campagna francese tra Settecento e Ottocento (ma senza che al lettore pervenga accenno alcuno della recente rivoluzione).
Due gemelli, dunque. E la levatrice, comare Sagette, insiste subito che vengano fatti crescere il più possibile separati, altrimenti dopo sarà un bel problema. I genitori per un po' ci provano, ma senza grande convinzione,  così finisce che i due bambini crescono appiccicati, amandosi alla follia, e al momento in cui un po' di separazione diventa opportuna, sarà in effetti un bel problema.

Il distacco tra i due ragazzini avvia un cambiamento: fin quando erano vissuti in simbiosi i due erano stati quasi identici anche nel carattere oltre che nell'aspetto, ma dal momento della prima separazione (che pure è piuttosto soft) iniziano a diversificarsi: Landry, il più solare, si rafforza e si apre al mondo esterno, mentre Sylvinet  scivola sempre più in una dimensione malinconica e lunare, entrando nell'ombra.
Proprio in una di queste crisi la piccola Fadette entra in scena la prima volta. E' la nipote di Nonna Fadette, la guaritrice del villaggio sospettata da sempre di una complicità del demonio che non fa nulla per smentire perché  le è assai utile per il suo lavoro. L'educazione della nipote è stata carente per molti aspetti, salvo che nell'insegnamento della medicina e dell'uso delle erbe, e la ragazzina cresce sguaiata e stracciata in mezzo alle più deplorevoli maldicenze pur essendo intelligente, operosa, assai accorta e con un cuore d'oro. Sembrerebbe un partito improponibile per il gemello più solare, figlio di una delle più prospere e benvolute famiglie del villaggio, ma Landry ha un animo positivo, capace di guardare al di là dei suoi stessi pregiudizi e delle chiacchiere del villaggio e sotto il suo influsso la piccola streghetta in erba imparerà ad apparire, oltre che ad essere, una fanciulla degna di ogni stima. Lentamente (e con qualche aiuto esterno) i pregiudizi su di lei cadranno, persino quelli di Sylvinet, che saranno i più tenaci.
Eppure, nonostante il lietissimo fine, la ferita della separazione tra i due gemelli resterà, anche se sopita all'apparenza, ed è una ferita di cui nessuno ha colpa - né i gemelli, né Fadette, solo il flusso della vita che rende impossibile la riunificazione completa.

Ho sempre adorato questo romanzo breve, nonostante la prima lettura l'abbia fatta su una versione ridotta ed adattata (che poi non so cosa ci fosse da ridurre ed adattare: la storia è perfetta così com'è). Uno dei grandi motivi di fascino ai miei occhi era che tutti erano buoni, o meglio le ragioni di tutti erano spiegate così bene che si finiva per comprenderle: anche i pregiudizi del paese, anche la gelosia che dominava Sylvinet e di cui il povero ragazzo sarebbe stato ben lieto di liberarsi, anche le opposizioni iniziali della famiglia di Landry al fidanzamento, e perfino il caratteraccio di nonna Fadet - un personaggio, in effetti, non troppo raccomandabile; e nonostante la mia anima cittadina si commuovesse molto più davanti a un bello snodo autostradale che a una veduta di campagna, non sono mai stata insensibile al fascino dei gloriosi noci della Cosse, del profumatissimo fieno della Giuncaia, del guado delle Rotelle e via sviolinando.
Ufficialmente passa per un libro per ragazzi, e infatti ne circolano numerose versioni più o meno maltrattate. In realtà mi sembra il classico romanzo in cui si può trovare qualcosa ad ogni età. Ed è una bella storia d'amore.

Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma e auguro felici letture a tutti, mentre io passerò il fine settimana a correggere (o almeno, così dovrei fare).


mercoledì 15 maggio 2013

Quei grandissimi cornuti dell'Invalsi...

Re Thranduil usa come cavalcatura un funzionario Invalsi; nessuno dei due ha l'aria molto sveglia.

Com'è universalmente noto, i dipendenti Invalsi sono, tutti, dei grandissimi cornuti, e come rivalsa di questo indiscutibile fatto non cessano di studiare sempre nuove tecniche per complicare la vita a studenti, insegnanti e personale non docente, insomma di chiunque abbia la sventura di starsene a dar prova del suo ingegno in una scuola.

Premetto che non sono visceralmente e per principio contraria alle prove Invalsi; anzi, di tendenza sarei abbastanza a favore: io lavoro tutto l'anno in una classe, valuto tenendo conto di 767 criteri diversi sì come richiede la legge, poi arriva una prova oggettiva e calcola come appare la mia classe all'esterno e come risulta la sua preparazione. E' una cosa interessante e ci sarebbe sempre da imparare (o da restare gratificati, quando i voti della prova Invalsi coincidono con i tuoi).
E nemmeno credo che l'Invalsi sia destinata a tempi brevi a diventare un indicatore per la qualità di scuole o insegnanti; e questo perché al momento i funzionari dell'Invalsi mi sembrano davvero troppo imbranati per riuscire a gestire in un qualche modo l'immane quantità di dati che riceve e che elabora in tempi geologici a quello o ad altri scopi.
E non ho mai rifiutato una modesta collaborazione, ove richiesta, alle prove Invalsi: sorvegliando senza suggerire o correggendo in modo coscientemente imparziale (all'inconscio, si sa, non si comanda. E non è affatto detto che si addormenti in fase di correzione solo perché l'Invalsi pretende di far eseguire la correzione a personale interno).

Detto questo, l'Invalsi come viene fatta al momento continua a non convincermi: perché il questionario rappresenta un grandioso spreco di carta e di tempo; perché le prove stanno diventando troppo lunghe (75 minuti per ognuna delle due prove più 30 minuti di questionario più tempi tecnici di somministrazione più intervalli vuol dire mangiarsi un'intera mattinata di scuola, che verso la fine dell'anno mi sembra una vera porcata); perché le prove non sono affatto anonime dato che noi interni sappiamo benissimo a chi diamo i codici e con quale criterio; perché chi corregge ha troppo margine discrezionale, oltre a sapere benissimo il nome dell'alunno che sta correggendo, perché alle superiori sembrano oggettivamente fatte a cazzo di cane*, e insomma perché, oggettivamente, alla fine di oggettivo non mi sembra ci sia molto. Tutti difetti ampiamente emendabili, certo. Basta volerli emendare.

Inoltre, quest'anno, quei grandissimi cornuti dell'Invalsi hanno scelto, per fare le prove in prima, proprio il giorno in cui in prima avevo tre ore, il che mi spinge vieppiù ad augurarmi che le loro corna prolifichino ulteriormente.  

Infine e soprattutto, essendo i dipendenti Invalsi, tutti quanti, dei grandissimi cornuti, ogni anno il carico di lavoro per gli insegnanti interni aumenta, pur essendo all'Invalsi prontissimi a piagnucolare sul fatto che gli insegnanti interni suggeriscono agli alunni, correggono male eccetera eccetera eccetera. Ma le correggeste voi e rompeste un po' meno? Magari risparmiandoci i processi alle intenzioni e raspandovi un po' le vostre lunghe e ramificatissime corna?

La nuova geniale pensata di quest'anno è stata la seguente: onde impedire che gli alunni copino (come se esistesse davvero un sistema capace di impedire di copiare all'alunno desideroso di farlo) le prove di matematica e di italiano sono state frullate 
in cinque diverse combinazioni. Gli insegnanti (ma che scrivo "gli insegnanti"? Il coordinatore, naturalmente) dovevano disporre i banchi e gli anonimissimi codici in maniera che nessuno avesse davanti, dietro o ai lati qualcuno con la sua stessa combinazione di domande. Lascio immaginare il potenziale casino che ne può risultatore qualora il somministratore sia una persona tendenzialmente distratta come me, che già l'anno scorso ha dato sì mirabil prova di sé in tal senso.
Così, tra controlli e doppi controlli ho sprecato un'ora nella mia prima a disporre i banchi e gli alunni in modo da rispettare le demenziali e cornutissime indicazioni dell'Invalsi (anche se la Prima d'Ogni Grazia Adorna non ha mai manifestato una sia pur larvata tendenza a copiare) e non mi avrebbe affatto schifato passarla invece a far lezione. Poi ho passato una buona mezz'ora a controllare e ricontrollare i codici nella prima dove sorvegliavo e somministravo, nel tentativo di non ripetere la demenziale performance dell'anno scorso (e anche lì non mi è sembrato che la prospettiva di copiare li avesse nemmeno sfiorati) e infine un'ora a cazzeggiare in Sala Professori perché non avevo lezioni da fare altro che nella mia amata prima che era impegnata ad invalsare.
Vivaddio, sembra che nessuno mi chiederà di recuperare quell'ora, come avviene in altre scuole. E sembra perfino che mi daranno (come l'anno scorso) qualche soldo per la correzione - che avrò l'onore di fare... sulle prove della mia prima. Perché in una scuoletta di tre sezioni, a quel che sembra, non ci sono insegnanti bastevoli per parare il conflitto di interessi, specie dopo che hai tolto dal mazzo i Compagni di Merende, i colleghi con il giorno libero e la pur disponibile collega che continua a insegnare (bene) matematica, ma che ormai ci vede solo da molto vicino e al computer non può starci.

Sempre in tema di correzione, sembra che avverrà in due mandate: un pomeriggio per correggere a mano, e un pomeriggio della settimana seguente per inserire i dati nella maschera che in Toscana non arriverà prima di una determinata data.

Il tutto augurandomi caldamente che i coniugi dei dipendenti Invalsi vieppiù cornifichino i loro consorti.

*senza offesa per l'apparato riproduttivo di questo nobile animale, è solo un modo di dire

mercoledì 8 maggio 2013

Urticante

Invero l'ortica è una nobile pianta. Molto bella, anche. Però irrita.

I lavori per la biblioteca si sono ordunque avviati: ci siamo procurate un computer arcaico (adesso ci manca solo il riduttore per la spina per attaccarlo) e dalla scuola elementare di St. Mary Mead hanno offerto un programma di catalogazione minimale fatto a suo tempo dal prof. Jorge. In quell'occasione abbiamo anche scoperto che tutti i responsabili delle varie biblioteche dell'Istituto Comprensivo sono subordinati d'ufficio alla bibliotecaria delle elementari di St. Mary Mead; immagino che dipenda dal fatto che la bilioteca delle elementari è alle elementari, che a loro volta sono l'unica scuola degna di questo nome, mentre noi siamo alle medie, la cui esistenza è a malapena tollerata all'interno dell'Istituto come un fastidio inevitabile; e Qualcosa dentro di me vorrebbe ribattere che io di biblioteconomia ne so molto più della bibliotecaria delle elementari, ma l'ho imbavagliato senza pietà perché, in una piccola biblioteca scolastica delle medie formata col Criterio del Raccatto, la biblioteconomia serve veramente il giusto. Piuttosto, magari qualcuno poteva notificarci che questo rapporto di subordinazione esisteva, invece di farcelo scoprire durante una chiacchierata informale: sono prontissima a commettere atti di insubordinazione di ogni tipo, qualora mi sembri che il caso lo richieda, ma almeno vorrei essere consapevole che li sto compiendo, invece di urtarmi senza volerlo con una persona che si è dimostrata gentile e disponibile.

L'opera di scarto e di spulciamento non è ancora completa, ma ormai qualcosa si comincia a intravedere e sarebbe dunque giunto il momento di passare all'inventariazione. Applicando la diligenza e l'economia della Buona Madre di Biblioteca mi sono detta che il registro dell'inventario non è indispensabile, visto che il numero di inventario viene riportato sulla scheda del programma, e dunque basta timbrare. Occorrono quindi:
- una chiavetta USB per tenere una copia di sicurezza dell'inventario
- un qualsiasi timbro della scuola media di St. Mary Mead (frugando nei cassetti della segreteria abbandonata ne ho trovati un paio piuttosto malridotti. Vedremo)
- un timbro autoinchiostrante e automatico per la numerazione
- un po' di etichette per le costole dei libri. Non importa che siano etichette con su scritto il nome della scuola, e nemmeno etichette di un formato specifico, basta che le misure siano "all'incirca quelle giuste per un libro"
- un paio di pennarelli neri o rossi o blu per scrivere le collocazioni sulle etichette (a scuola ci sono).
Poi è arrivata la prof. Quadrella e ha detto: alla scuola elementare dove va mio figlio quando un libro viene regalato, da un genitore, un professore o chi altro, mettono il timbro "dono di". Potremmo farlo anche noi, no?
"Buona idea" ho convenuto "Anche perché al momento ogni nuovo libro arriverà sotto forma di dono, a meno che non decidiamo di darci al taccheggio, il che non sarebbe dignitoso né educativo da parte nostra".
Così ho aggiunto la richiesta di un timbro di gomma con la scritta "dono di" (una spesa supplementare talmente minima che perfino una scuola dei tempi della Gelmini può permettersela).

La settimana successiva chiamo per avere notizie. Decidono di passarmi la Segretaria in persona perché ci sono stati problemi per uno dei timbri. E' stato trovato irrituale, mi spiegano. 
"Il materiale dovrebbe arrivare all'inizio della prossima settimana. Però volevamo chiederle, per quel timbro 'dono di'... Ci è sembrata una richiesta irrituale..."
Tramecolo. "Perché?".
"Che occasioni avreste di usarlo? Chi è che può fare un regalo alla biblioteca?"
"Genitori, ragazzi e insegnanti, direi. Forse anche qualcun altro, chissà".
"In quel caso potreste magari scriverlo a mano, non è necessario un timbro".
"No, vogliamo proprio un timbro. Qual è il problema?"
"Ecco, il concetto di "dono" ad un ente statale ha un significato particolare... Si tratta di un oggetto provvisto di valore commerciale che viene inventariato..."
"Infatti. Anche i doni alle biblioteche pubbliche vengono inventariati."
"No, vede, l'inventariazione è una cosa un po' particolare..."
Passa a spiegarmi nei dettagli cos'è l'inventariazione degli arredi e suppellettili scolastici. 
Allontano il telefono dall'orecchio e respiro profondamente, cercando di attingere alle più profonde riserve della mia spiritualità per non mandare la Segretaria a Fanculo, anche se all'inizio la prova sembra del tutto superiore alle mie forze.
Alla fine riesco a calmarmi, riaccosto il telefono e mi inserisco nel monologo tecnico sull'inventariazione (insomma, la interrompo) giusto mentre mi sta spiegando che nell'inventario della scuola elementare di libri ce n'è uno solo*.
"L'inventario della biblioteca è a parte, e riguarda proprio i libri, non le sedie e le scaffalature della biblioteca". 
"No, perché i libri non si inventariano".
"I libri di casa mia no, ma i libri delle biblioteche pubbliche sono inventariati eccome".
La Segretaria insiste "I libri non si inventariano, si catalogano".
La tentazione di mandarla a Fanculo si fa sempre più forte, e le più profonde risorse della mia spiritualità si sono ormai defilate di gran carriera.
"Si inventariano e si catalogano, ma sono due operazioni diverse. Comunque se non volete prenderci un timbro da quattro euro con scritto "dono di" discuterò la questione con la Preside e sentirò...".
La semplice evocazione della sacra figura della Dirigente basta a chiudere la questione. Non c'è problema, se davvero vogliamo quel timbro verrà ordinato...
"Allora non avete fatto ancora l'ordinazione?"
"Sì, ma non per il timbro del dono, perché non ci sembrava il caso di dargli seguito...".
"E non vi è venuto in mente di avvertirmi, se non volevate dargli seguito?"
La Segretaria risponde qualcosa di incomprensibile. Di nuovo la interrompo e chiedo un cuscinetto inchiostrato per i timbri. Mi risponde che non ce l'hanno nemmeno loro ma me lo manderanno (come fanno a mandarmelo se non ce l'hanno? E come fanno a timbrare qualcosa se non hanno un cuscinetto inchiostrato? Non lo so e non lo voglio sapere, voglio solo strozzare qualcuno, lentamente e senza pietà).

Tuttavia, per quanto urticata, mi comporto in modo esemplare: non mordo l'innocente telefono, non lo sbatto per terra per poi ballarci sopra, non prorompo in una lunga serie di inconsulte bestemmie.
In effetti non so nemmeno mettere a fuoco con esattezza cosa mi ha davvero irritato: se il fatto che abbiano deciso che la nostra era una richiesta "irrituale" (ma de che?) senza nemmeno avvisarci, o l'idea che per una biblioteca pubblica sia stravagante timbrare con specifico timbro i doni ricevuti, mentre è meno stravagante, o meglio "meno irrituale" scrivere a mano che è stato un dono, oppure l'idea che gli unici inventari esistenti su questa terra riguardino arredi e suppellettili e che qualsiasi biblioteca pubblica tenga un "inventario" del posseduto commetta in realtà un falso in atto pubblico, oppure l'amara consapevolezza che la segreteria tratta tutte le questioni con la stessa superficialità con cui ha trattato questa. La terza, credo. Sì, sono fermamente convinta che a mandarmi fuori dai gangheri sia stato veder sputare con tanta noncagance sulla foltissima schiera di bibliotecari che da due secoli a questa parte inventariano con tanta pazienza immani pile di libri.

Resta ancora da capire se il timbro per i doni arriverà con gli altri timbri o sarà necessario bussare alle porte della Dirigenza per ottenere un oggetto di sì gran pregio (no, di rinunciare non se ne parla nemmeno. Né da viva né da morta).

*e sono pure stata tentata di chiedergli quale fosse; ma poi ho deciso che non era il momento più opportuno per indagare in tal senso.

lunedì 6 maggio 2013

Edificante (il racconto del mese di Maggio)

Direttamente dal libro Cuore, ecco il Piccolo Scrivano Fiorentino

Quest'anno i previdenti e solerti insegnanti di St. Mary Mead si sono attrezzati per tempo per l'emergenza gite e, attraverso un mercatino pasquale, hanno raccolto una cifra che ci permetterà di mandare in gita anche gli alunni con famiglie squattrinate. Una delle insegnanti è passata nelle classi a spiegare che le famiglie in difficoltà potevano contattare il coordinatore nella più completa discrezione; poi, caso mai il concetto non fosse chiaro, è passata nuovamente. Ma non per questo la cosa è stata semplice, e alla fine i coordinatori hanno dovuto armarsi di telefono e chiamare una per una le famiglie che, con i più vari pretesti, stavano ritardando troppo il pagamento.
Io mi ero limitata a segnalare a suo tempo la famiglia di Ibn al-Arabi spiegando che non avrebbero pagato, all'insegna del motto "prevenire è meglio che curare". Poi era stato fatto il sondaggio sulla base del preventivo e la famiglia aveva firmato la sua intenzione a partecipare, così mi ero cullata nell'illusione che il problema si fosse risolto a monte e che avrebbero pagato (ma non per questo avevo fatto cancellare il suo nome dalla lista dei beneficiandi).
A riscuotermi era arrivato l'avviso a voce del ragazzo che "lui in gita non sarebbe venuto", senza altre spiegazioni. Visti i precedenti, non ci voleva un grande intuito per tradurlo con "I miei non hanno i soldi".
Il giorno dopo Matematica mi ha accolto al cambio dell'ora spiegando che aveva messo un rapporto sul registro a Ibn Al-Arabi perché il suddetto non le aveva risposto con adeguata cortesia quando lei si era rifiutata di mandarlo al piano di sotto durante l'intervallo, e che dovevo farglielo trascrivere sul diario perché lo facesse firmare a casa secondo come vuole la consuetudine della nostra scuola.
Siccome proprio quel pomeriggio dovevo telefonare alla famiglia per offrire la gita aggratis, che è sempre affare delicato, ho ritenuto più opportuno dimenticarmi di fargli trascrivere alcunché, almeno fin quando non fosse arrivata l'autorizzazione firmata per la gita, onde non rischiare di compromettere la delicata operazione (la famiglia è di quelle abbastanza severe per la disciplina) e d'altra parte il ragazzo era di un umore tra l'elettrico e il piangente che non mi faceva sperare di ottenere molto da lui durante la lezione se ci aggiungevo anche il carico del rapporto da firmare.
Nel pomeriggio ho poi fatto la spinosa telefonata, che con mia grande soddisfazione è filata liscia e senza intoppi.

La mattina dopo Ibn al-Arabi mi ha portato la sospirata autorizzazione e un bigliettino da parte della madre "Non so cosa ci ha scritto ma mi ha detto che è per lei" (e dal tono immagino che sapesse benissimo cosa c'era scritto)*. "Ah, e poi devo farle controllare anche la firma del rapporto".
"Firma del rapporto?" chiedo perplessa.
"Sì, ieri si è dimenticata di farmelo scrivere, allora me lo sono scritto da solo".
E mi ha portato il diario, con il rapporto corredato dalla firma materna.

Sono rimasta assolutamente edificata - anche perché, al posto di Ibn al-Arabi, credo proprio che non mi sarei posta il problema e avrei di buon grado sorvolato anch'io su ciò che l'insegnante mostrava di aver dimenticato.

*Si trattava di una specie di attestato di gratitudine, breve ma commovente, che conto naturalmente di conservare tra le mie carte più care sino alla morte.