lunedì 29 novembre 2010

La fiaccola dell'anarchia

La sera del 20 Novembre Francesco Guccini, dopo molti anni di assenza, tornava a Pistoia al Palasport. Per andare a sentirlo avrei dovuto sobbarcarmi un po' di incomodo, ma la compagnia degli amici mi avrebbe ampiamente risarcito di ciò.
Ero stata a vederlo a Firenze un anno e mezzo fa - un concerto rispettabile, allegro, quasi una rimpatriata di noi sinistri in crisi esistenziale. Lì l'atmosfera era stata festosa e familiare, e il concerto mi aveva lasciato una bella coda di entusiasmo.
A Firenze il PalaMandela era bello pieno, a Pistoia invece era stra-pieno già un'ora prima dell'inizio, ben oltre i limiti delle più lascive misure di sicurezza: qualsiasi uovo appena deposto al confronto era vuoto come un taxi con dentro l'on. Rotondi. Piene tutte le gradinate, anche le più improbabili, pieno il campetto da gioco, piene le ringhiere. Insomma, pieno. Tanto pieno che han preferito iniziare in perfetto orario, cosa da me mai vista se non a taluni concerti di gala al Comunale.
Guccini era in ottima forma vocale (molto più che a Firenze, dove pure non se l'era cavata male), gli strumentisti hanno suonato a meraviglia, la scaletta non poteva che essere eccellente... il pubblico, oltre che tanto e transgenerazionale, era inquietante. D'accordo, applaudica, cantava, rideva, faceva insomma la sua parte da pubblico di appassionati; ma era arrabbiato ai limiti dell'incandescenza. Gli applausi, le urla e soprattutto gli slogan quando Guccini infilava qualche frase sulla politica erano degni delle migliori cantine alternative degli anni 70. I più arrabbiati erano i ragazzi - una bella fetta, tra l'altro, ben al di là del prevedibile per un musicista che per radio non passa quasi più; ma anche le sezioni più stagionate non scherzavano. E giunti al gran finale con la tradizionale Locomotiva - dove il buon Francesco faticava alquanto per far sentire anche la sua voce tra tutte le altre, l'atmosfera era così carica che per la prima volta a un concerto ho avuto paura.
Io e i miei compagni siamo sgusciati fuori col primo flusso, mentre il pubblico in basso cantava a squarciagola "Bella Ciao" in totale improvvisazione.

A quanto sembra, c'è una parte di Italia che ha esaurito ogni riserva di pazienza, umorismo e distacco ed è soltanto esasperato oltre ogni limite.
Qualcuno farebbe bene a starci attento: piazzale Loreto è dietro l'angolo.

domenica 28 novembre 2010

I veri Tordi non muoiono mai

Stavo facendo serenamente lezione, con la Classe dei Tordi reduce dal primo compito di scienze, quando hanno bussato alla porta. Era l'insegnante di matematica (e scienze) in versione Tigre Ircana, con in mano un libro di testo. Di scienze.
Esordisce spiegando che in quella classe sono deficienti.
"Tordi, direi" provo a smorzare.
"No, se li chiami tordi possono offendersi. Deficiente è chi manca di qualcosa" puntualizza la collega.
A questo punto mi metto un tappo in bocca e lascio che la natura faccia il suo corso.
Il libro di testo, spiega la collega, è stato trovato in bagno da un custode pochi minuti prima. Sì, al bagno di quel piano. A quel punto lei dovrà considerare se annullare il compito o abbassare semplicemente i voti, ma né l'una né l'altra soluzione le sembrano soddisfacenti perché ci sono anche ragazzi che non sono usciti durante il compito*, solo che lei non ha pensato a farsi la lista. Poi esce, avvolta in una nuvola di comprensibile collera, dopo aver restituito il libro al suo legittimo proprietario. Lunastorta, guarda un po'.

Mi rifiuto di commentare perché mi mancano le parole, e la lezione prosegue il suo corso. Solo più avanti mi viene in mente l'aspetto più demenziale della vicenda.
Quando sono entrata il compito era appena finito, e alcuni ragazzi mi hanno chiesto di andare in bagno. Come sempre li ho mandati, anche a gruppi di due o tre, e non sono certo stata a controllare se avevano qualcosa in mano quando sono rientrati. Avrebbero potuto trascinarsi in classe la Treccani con tanto di supplementi, senza che ci facessi il minimo caso.
Ma a nessuno, a nessuno dico, è venuto in mente di andare a riprendersi il corpo del reato.

Ha ragione la collega, non sono tordi, sono deficienti.
Qualsiasi tordo avrebbe ben ragione di offendersi, se si vedesse paragonato a loro.

*Sì, lei è di quelli che mandano gli alunni in bagno durante le verifiche scritte. Anch'io.
Non smetteremo per questo. Ma temo che, sfidando apertamente il ridicolo, dovremo chiedere a qualche custode di buon cuore di ispezionare i bagni in occasione delle suddette verifiche.
Eccheppalle!

mercoledì 17 novembre 2010

17 Novembre 2010 - Festa del Gatto Nero

Sia chiaro: festeggiare i bellissimi, nagici, misteriosi e affettuosi gatti neri che allietano le nostre case non vuol dire intendere sia pure alla lontana che gli altri gatti valgano meno o dispongano di minori qualità positive - che sarebbe un assurdo, perché ogni gatto è perfetto così com'è, per definizione.
I gatti neri però hanno un quid in più che ne rende più apprezzabili le sagome su fondo arancione per i disegni dedicati ad Halloween... e che li rende oggetto di strane superstizioni e rituali.
Sì, lo so, nessuna persona sensata potrebbe mai pensare che un gatto nero porti meno fortuna di un gatto grigio e rosa; eppure la balzana superstizione sui gatti neri maligni e apportatori di malasorte esiste ancora, annidata nelle pieghe della provincia.
Perché insomma ci sono diversi gradi di provincialità, e ad Hogsmeade, che è provincia molto più degli altri paesi da me visitati nel mio scolastico peregrinare per supplenze, per la prima volta ho avuto più scolari che mi hanno - seriamente - segnalato che il gatto nero portava sfortuna e che davanti alla mia reazione compassionevole hanno insistito.

D'accordo, noi italiani siamo gente strana, ci ostiniamo a votare strani partiti e a tenerci stretti strani governi. Ma lì ad Hogsmeade, per quel che sento dire, lo strano governo attuale non l'ha votato praticamente nessuno. Si sa, qui siamo in Toscana. Siamo evoluti e illuminati, e a suo tempo siamo stati i primi in Europa a sperimentare le riforme illuministe.
Ma, forse, i Lorena dimenticarono qualche paesino un po' fuori mano.

Comunque auguri a Ninphadora, a Sybille e a tutti i bellissimi gatti neri che ci allietano benignamente con la loro presenza, portandoci sempre molta, molta fortuna.
Anche se poi, si dice, nelle notti di Halloween siamo noi a non portare gran fortuna a loro.

domenica 14 novembre 2010

I folletti sono tra noi (ordinarie cronache di informatica)


Sirius Black in versione silvana

Non ho nessuna particolare paura o reverenza della LIM che sta in classe mia: semplicemente, sono stata costretta a prendere atto che quella specifica LIM mi odia, le altre con cui ho avuto a che fare no.
A St. Mary Mead avevamo due LIM, e una era nella stanzuccia pomposamente chiamata "aula multimediale". Era di un tipo molto amichevole: un giorno i ragazzi del laboratorio di storia mi insegnarono a usarla e nel giro di pochi minuti ne avevo imparato quanto bastava - soprattutto a storia, immagini e cartine sono utilissime.
La LIM di Hogsmeade è molto più complicata (soprattutto più economica, mi vien da dire) e richiede una manutenzione regolare di cui non sono certo capace. Nelle intenzioni se ne dovrebbe occupare l'insegnante di matematica, ma entrambe le insegnanti di matematica che si sono avvicendate in questi due anni nella Classe dei Tordi si sono rivelate ahimé piuttosto inadeguate a tale compito. L'insegnante del piano terra, invece, se la cava benissimo e la sua LIM funziona d'incanto. Con la sua LIM, aggiungo, non ho mai avuto problemi ogni volta che mi è venuto in mente di usarla.

La LIM della Classe dei Tordi, dicevo, mi odia. Ha rifiutato di accendersi, ha rifiutato di spegnersi, ha rifiutato qualunque cosa da parte mia. In una classe normale sarebbe stato un problema relativo perché avrei passato la palla a uno qualunque dei ragazzi come faccio quasi sempre*, ma a quella cara classettina fare i giochi con la LIM piaceva moltissimo, anche perché creava una notevole azione di disturbo. Badare alla classe e controllare che non giocassero con la LIM mi sembrò troppo superiore alle mie forze, e lasciai perdere.

Quest'anno, vuoi perché la classe lavora con spirito diverso**, vuoi perché la LIM è ormai vista come una sorta di castigamatti in versione elettronica, nessuno prova più a fare scherzi.
Esatto, tranne la LIM.
Ieri, in un impeto di spirito autonomistico (insomma, mi sono guadagnata il pane per anni come data entry, perché non dovevo riuscire a maneggiare una modesta e innocua LIM?) ho deciso di accenderla.
E l'ho accesa, ma il problema è arrivato al momento di inserire la chiavetta. Non solo non ci sono riuscita***, ma devo aver forzato qualcosa perché dopo non solo non sono riusciti ad inserirla nemmeno i ragazzi, ma anzi la chiavetta non veniva più letta dalla perfida LIM.
Nessuno ne veniva a capo. Infine Sirius ha detto che voleva fare un ultimo tentativo. L'ho autorizzato, avendo una cieca e totale fiducia nelle sue capacità informatiche.
Ha ha eseguito qualche rituale esoterico, ha spento e ha riavviato. La chiavetta è stata letta senza problemi. L'ho ringraziato e ho infine iniziato la lezione.

All'uscita mi lamentavo con i colleghi "Tutto questo succede perché la scuola non ci ha provvisto di un buon folletto da computer in classe!".
"Ma non ti servono i folletti" ha osservato una collega "Hai Sirius, che funziona meglio di qualunque folletto".
Gli ho dato ragione e ho nominato in cuor mio Sirius Folletto Ufficiale della LIM.

*ho imparato durante le supplenze brevi che i ragazzi sanno sempre maneggiare le attrezzature della loro scuola: gli insegnanti occasionali, ovviamente, ne sanno molto meno e rischiano di fare pasticci. Insomma, lasciare il tutto in mano alle creature è la cosa più sicura.
**o meglio, semplicemente, lavora
***cioè, dico, non sono riuscita a infilare una chiavetta. Qualsiasi idiota riesce a inserire una chiavetta in un computer, dico bene?

venerdì 12 novembre 2010

La crudele Murasaki

Murasaki in versione Turandot
per gentile e inconsapevole concessione di Kinuko Craft,
olio su tempera per la Washington Opera

Allo scopo di guadagnarmi onorevolmente lo stipendio sto cercando di instradare la Terza dei Tordi alla nobile arte delle interrogazioni. L'idea è che tutti loro devono imparare a gestire con scioltezza un'interrogazione anche quando non si siano sfiniti studiando tutto a memoria, stante che a fine anno ce ne sarà una bella lunga chiamata "colloquio d'esame".
Al momento sembra trattarsi di una pretesa assurda - un po' come aspettarsi che il Colosseo prenda le sue gambe e vada a farsi un giro sul Quirinale: ma sappiamo tutti che Roma non è stata fatta in un giorno, tanto per restare in ambito classico, e dunque ci sto provando. Con qualche resistenza, devo dire.
L'anno scorso interrogavo da posto.
Per dirla tutta, io ho sempre interrogato da posto. Mi hanno interrogato da posto per tutto il ginnasio e il liceo (con sporadiche eccezioni) e non per questo mi sentivo meno interrogata. Anzi, non ricordo di avere mai fatto una particolare distinzione tra interrogazioni da posto o alla cattedra.
Da insegnante realizzai subito che l'idea di avere accanto la creatura interrogata, in piedi mentre io ero seduta, mi metteva a disagio; così ho sempre interrogato da posto, di solito pure col libro aperto sul banco "perché potessero cercare il nome o la data che eventualmente gli mancava": nel mio personale concetto l'interrogazione è un discorso, anche una chiacchierata, su un dato argomento, e il nome e la data precisa si possono sempre cercare su un'atlante o una cronologia - e soprattutto, la storia non è un insieme di date mandate a memoria e geografia non è una sciarada di nomi. D'altra parte il libro aperto trasmette un senso di sicurezza che spesso cancella lo stress da interrogazione.
In breve: la questione di "insegnare a gestire un'interrogazione" per me non è mai esistito: ci si arrivava un po' per volta senza grossi traumi, e l'unica vera barriera era data dal tempo dedicato allo studio a casa. Di solito funzionava che chi non aveva studiato rifiutava di aprire bocca, e quindi non c'erano problemi a classificarlo: chi accettava di parlare, invece, era entrato nell'ordine di idee di sobbarcarsi il lavoro a casa.
Dal mio punto di vista, l'unico problema era che alcuni si rifiutavano di fare altro che memorizzare il testo - problema duplice perché, oltre al fatto che un apprendimento mnemonico non è esattamente quel che si prefigge la scuola dell'obbligo (o comunque quel che mi prefiggo io) c'era comunque il grosso inconveniente che, appena una parola saltava o un granellino di sabbia inceppava il meccanismo, l'interrogato piombava nella più nera confusione, non riusciva più a dire nemmeno il colore del cavallo bianco di Napoleone, e rimetterlo in carreggiata non era davvero affare da poco.
Aggiungo che questo succedeva solo con alunni che erano comunque in difficoltà nelle più varie materie e, soprattutto, quando i libri di testo facevano veramente schifo: in presenza di un libro ben scritto e ben strutturato, anche coloro che non sono dotati di sovrabbondante elasticità mentale e soverchia autostima riescono a impostare un bel discorsetto filato che riesce financo a tollerare una mezza domanda di approfondimento.
Insomma, con gli anni mi ero fatta l'idea che l'interrogazione è un frutto che si sbuccia piano piano, a velocità diverse a seconda dell'alunno, ma che non ha comunque scorza così dura da non poterne venire a capo.

La Seconda dei Tordi ha demolito ogni mia certezza in merito.
Cominciamo dalle basi: a Hogsmeade sono provincia, e ne sono molto più acutamente consapevoli che a St. Mary Mead. Hanno paura di parlare. Non di chiacchierare, naturalmente, ma di parlare in un'interrogazione. Per giunta molti degli insegnanti di Hogsmeade... hanno lasciato che continuassero a non parlare.
Non voglio parlare delle terze licenziate l'anno scorso, due delle quali all'inizio dell'anno sembravano mute: non è questo il posto opportuno per affrontare simili racconti dell'orrore. Ma so per certo che le due incaricate annuali che l'anno scorso hanno cercato di far parlare quelle due classi hanno vissuto un'esperienza didatticamente assai interessante. Voglio dire, davvero interessante.
Ma sto divagando.

Quando la mia seconda era ancora una prima aveva avuto un'insegnante di storia e geografia che non interrogava a storia (o interrogava sempre gli stessi, ho avuto più versioni) e non ha fatto geografia, oltre a un'insegnante di italiano che li ha fatti scrivere molto, e con buoni risultati: infatti solo pochissimi in quella classe riuscivano a fare un'interrogazione decorosa, ma parecchi erano in grado di farmi un buon testo scritto; sì, anche di storia, se l'avevano studiata (ho detto se).
E dunque io li ho fatti scrivere molto, ho messo una bella caterva di quattro alle interrogazioni mute, ho strigliato le famiglie e ho aspettato con fiducia i risultati.
Che sono arrivati, ma molto più lentamente del previsto, e quasi solo a Geografia. A storia qualcuno studiava a memoria, qualcuno studiava a morte per l'occasionale interrogazione, qualcuno non veniva a capo nemmeno di un'interrogazione programmata su due pagine, qualcuno era definitivamente chiuso in uno sdegnoso silenzio... e qualcuno trovò infine l'uovo di Colombo: leggere dal libro.
Il quale uovo di Colombo rivelò quasi subito i suoi limiti, perché misteriosamente l'insegnante se ne accorgeva subito (ma tu guarda i casi della vita); alcuni dei Tordi più sprovveduti continuarono però ad affidarcisi con incrollabile ottimismo nonostante i risultati non proprio ottimali.
Non sapevo che fare: fargli chiudere il libro non osavo, perché alcuni lo usavano come coperta di Linus ed era chiaro che senza si sarebbero persi. Arrivati al Settecento però una soluzione si imponeva. Così passai a dettare uno schema sull'Illuminismo, su cui interrogai tutti a tappeto.
Poi ci furono uno schema sulla rivoluzione industriale e uno sulla rivoluzione americana; lì per fortuna l'anno si chiuse, prima che finissi definitivamente alla neurodeliri.
Nel frattempo qualche anima buona aveva finalmente calibrato a dovere la LIM, dove non risultavano più pallidi ectoplasmi ma vere immagini, provviste di colori.

Quest'anno ho deciso di fare una terapia a scalare. Prima ho interrogato a storia sulle mappe mentali del libro (fatte anche piuttosto benino). Come coperta di Linus funzionavano anche quelle, e in quel modo il libro era aperto solo su una determinata pagina.
Poi ho acceso la LIM.
E lì vi è stato pianto e stridor di denti.
A Geografia occorre lavorare sulle carte, giusto? Dunque bastava proiettare una bella carta geografica sulla LIM e chiamare la creatura. Addirittura, le prime interrogazioni sono state fatte sulla grande carta geografica dell'Asia appesa alla parete. Ho comprato una bella bacchetta di legno lunga e gli ho chiesto di espormi l'Asia fisica.
C'è voluto del bello e del buono per convincerli che la bacchetta dovevano usarla per indicarmi i vari fiumi e monti, e non solo per tenerla in mano. Ma alla fine ci sono riuscita: in fondo la carta era in fondo all'aula, i compagni vicini suggerivano, il libro aperto stava sul banco e con qualche contorsione si poteva vedere. Certo, leggere stava diventando difficile, ma hanno continuato a provarci.
Poi siamo passati alla Turchia.
Hanno provato a convincermi che volevano essere interrogati alla carta geografica, ma gli ho spiegato che lì la Turchia era piccola e gli ho proiettato sulla LIM una bella cartona turca. No, da posto non interrogavo più. Eravamo in terza, in terza si chiedono cose diverse rispetto alla seconda. No, da posto non interrogavo più. No. C'era il colloquio a fine anno, dovevano abituarsi a parlare senza scialuppe di salvataggio. No, da posto non interrogavo più.

Ora, io sono perfettamente consapevole che se non hai studiato la Turchia avrai dei problemi a ripeterla. Ma se l'hai studiata?
La prima tragedia avvenne verso la metà di Ottobre. Ben tre fanciulle (due delle quali piuttosto studiose) davanti alla carta proiettata sulla LIM sono andate nel panico più completo e totale, tanto da non riuscire a dirmi nemmeno i confini della Turchia - che, se vogliamo, è un'impresa alla portata anche di chi non si è consumato gli occhi a studiare la Turchia per giorni e giorni di fila.
Immobili, terrorizzate, mute, mi guardavano come il coniglio guarda il serpente che sta per inghiottirlo. La buona e brava e adattabile e comprensiva prof. Murasaki era improvvisamente diventata un crudele drago assetato di sangue. Con l'unico filo di voce di cui disponevano imploravano di andare a posto e di parlare lì, perché "da posto la sapevano". Compagni e compagne giuravano che la sapevano davvero. Ed è vero che dal posto sapevano: molti infatti, tornati al loro amato banco, erano in grado di parlare. La classe si stava facendo studiosa. Ma non riusciva a parlare senza coperta di Linus.

L'unica cosa che mi era chiara era che non potevo tornare indietro, a nessun costo. Ho quindi dovuto sopprimere nel mio cuore ogni umano moto di pietà e compassione, resistere ai richiami che Amnesty International continuava a mandarmi e ignorare i più elementari diritti dell'uomo e del cittadino: ho proseguito nella mia crudelissima tortura, sfoderando una crudeltà di cui non mi sarei mai creduta capace.
Alla lezione successiva le creature sono tornate (per la più impaurita sono ricorsa senza remore alla promessa di un cambio di posto per una settimana accanto all'amica del cuore); piano piano, con il loro filino di voce che via via diventava più deciso, mi hanno spiegato le caratteristiche di quel non difficilissimo stato che è la Turchia. Col passare delle settimane il coraggio è aumentato e adesso anche le più timide e i meno loquaci fanno una lettura decente di una carta o discettano su deserti e monsoni.
Ma, per loro, Geografia è sempre stata la parte più facile. E se anche quella ha dato problemi, Storia si è rivelata un vero bagno di sangue.

Dopo la rivoluzione americana, si sa, arrivano la rivoluzione francese e Napoleone - argomenti tutt'altro che drammatici se si riesce a non sperdersi nella selva di date del 1789.
Così partorisco una delle mie molte idee geniali*: una piccola cronologia da proiettare alla lavagna. Con la cronologia davanti, nessuno avrà problemi ad infilare una perfetta rivoluzione francese, e tutti potranno così agevolmente esercitarsi nella nobile arte di infilare un discorso filato.
In un lampo di entusiasmo di cronologie ne preparo tre: una small, una medium e una comprensiva di Napoleone. E attacco fiduciosa a interrogare.

Non è andata proprio liscia come credevo, ecco; anzi, visto che siamo in tema napoleonico, un bel riferimento a Waterloo ci sta d'incanto. Tanto per cominciare, ci volle un sacco di tempo perché si decidessero a vederle, quelle date, non parliamo di ricamarci su. La semplice domanda "Chi era Napoleone?" riuscì a mandare in tilt un numero allarmante di persone.
"Scusa, hai appena detto che Napoleone fu mandato dalla Francia a combattere con l'Italia per dividere l'Austria**. Chi era Napoleone? Da che parte combatteva?".
"Dalla parte dell'Austria".
"E quindi era venuto a dividere l'Austria?".
"Ah no, cioè, era francese".
"Bene. E che lavoro faceva questo francese?".
A me sembrava che anche a occhio la risposta fosse piuttosto intuibile. Ma la sapevano solo da posto. Perché, notoriamente, quando uno è terrorizzato è terrorizzato, punto e basta. E se poi chiamavi la persona che da posto ti aveva risposto, non si ricordava più nemmeno il suo nome.
"Ragazzi, è una LIM, non è un Tyrannosaurus Rex. Non morde e non vi mangia" ho provato a dirgli.
"Ma è cattiva!"
"Ci guarda male!"
"Come fa a guardarvi male una LIM?"
"Prof, non ci riusciamo!"
Poi un giorno ho chiamato Leprotta - una brava e dolce e cara ragazza, molto diligente e che mi ha sempre fatto delle rispettabili interrogazioni da 7 senza farsi mai pregare. Lei mi guarda terrorizzata. Balbetta. Chiede di essere chiamata la volta prossima. Supplica di essere chiamata la volta prossima. Quasi mi abbraccia le ginocchia. Si dice sicura di non riuscire a parlare. Il suo sguardo è colmo di Addolorato Rimprovero. "Io sono sempre stata brava e corretta con te, non ho mai sgarrato e tu mi infliggi questo maltrattamento? Come potrò mai più avere fiducia in un professore, se anche tu mi tradisci così? Io mi fidavo di te!".
I rimorsi mi divorano. Rischio forse di traumatizzarla in modo irreversibile? Questa cosa può farle davvero del male?
Qualcosa, però, mi spinge a insistere. In un anno e passa non l'ho mai trovata impreparata e non mi ha mai consegnato i compiti in ritardo. Possibile che si sia presa un giorno di vacanza proprio ai tempi del Terrore? A ben guardare non ha detto che non ha studiato, ha detto che non sa ripeterla...
Tremante e rimproverosa come nemmeno le mie gatte se tardo a farle rientrare in casa quando piove, Leprotta arriva davanti alla perfida LIM.
"La prima data, quella del 1791, si riferisce alle elezioni. Di che si tratta?"
Con un pallido raggio di speranza noto l'eroica lotta dell'Istinto di Conservazione. Flebilmente Leprotta comincia a mormorare qualcosa sulla nuova costituzione, l'assemblea legislativa e le elezioni. Con voce più decisa parla dei tre schieramenti eletti e di come si distribuiscono in parlamento, per poi inanellarmi un'interrogazione come tutte le sue, né meglio né peggio, ma seguendo tutte le date e non nell'ordine preciso del libro.
E' stata la prima, sottile crepa nel muro. Un inizio, insomma.

Altri sono venuti. Qualcuno ha fatto meraviglie, qualcuno ha fatto decentemente.
Qualcuno è ancora piantato come un mulo, si capisce. Anche Parigi non è stata fatta in un sol giorno.

*della serie "pietà se ce n'è"
**sì, lo so: a qualche perfezionista potrà sembrare una decrizione non proprio perfetta della discesa di Napoleone in Italia. Anche a me faceva venire il voltastomaco, in effetti. Comunque c'è anche chi ha esordito in modo più sensato e pertinente.

mercoledì 10 novembre 2010

Metti un finocchio a cena - (Buon appetito, mr. B!)

Foeniculum vulgare - ovvero una nobile pianta che in questo caso
rappresenta un nobile messaggio

Questo non è un blog di cucina né di erboristeria. Lascerò dunque che altri cantino le lodi del finocchio - una bella e nobile pianta dalle indubbie virtù estetiche, curative, alimentari ed aromatiche, che per noi toscani richiama subito in mente uno squisito salume dal gusto raffinato e consistente - e mi limiterò a poche parole su un triste argomento che tocca tutti noi cittadini italiani.
Negli ultimi venti anni il dibattito politico è andato via via scadendo. Va detto che non era granché entusiasmante nemmeno prima, ma, certo, rispetto ai gloriosi (?) tempi delle convergenze parallele, della non sfiducia e dei patti di desistenza, vedere muoversi l'intera opinione pubblica sull'avvincente tema "E' meglio per un politico essere gay o pagare per ottenere prestazioni sessuali da donne?" è davvero deprimente.
Già ci sarebbe alquanto da ridire sul fatto che la parola "gay", nata per indicare la preferenza sessuale e affettiva che alcuni individui hanno per altri individui del proprio sesso, in italiano sembra riguardare solo i maschi - ma sospetto che anche le lesbiche più desiderose di difendere il loro diritto all'affettività preferiscano non essere coinvolte nel deprimente dibattito di cui sopra e quindi sorvolo.

E dunque, la quaestio sopra accennata è strettamente maschile, e si preoccupa di stilare una classifica dei maschi in base all'orientamento sessuale. A seconda della posizione riportata in questa classifica, si dovrebbe essere poi valutati come più o meno adatti a rappresentare i cittadini (donne comprese, che in effetti non sono senza colpe perché qualche signora deve pure aver contribuito con il suo voto a mandare questa gabbia di matti in parlamento).

Lo sconforto, davanti a un simile dibattito, non può che cogliere qualsivoglia elettore, indipendentemente dall'orientamento sessuale e politico - perché alla fine lo stipendio di questi strani esseri viene pagato con le nostre tasse - intendo, con le tasse di tutti: etero, gay, bisex, transgender e quant'altri. A me sembra che pagare uno stipendio a qualcuno perché disquisisca su questi temi di scarso o nullo interesse - senza nemmeno sognarsi di approfittarne per fare delle buone leggi che semplifichino la vita delle coppie gay oprogrammare degli interventi che combattano il tristissimo fenomeno del racket della prostituzione - sia un vero e completo spreco.

D'altra parte, occorre pur ricordarlo, un elettorato che tollera che il dibattito politico si occupi seriamente di questi temi e ci partecipa pure, dimostra in fondo di avere la classe politica che si merita. Così vediamo fiorire e rifiorire l'avvincente questione del "matrimonio naturale" (come se ci fosse mai stato qualcosa di naturale nel matrimonio, istituzione umana per eccellenza) , della "devianza" e dei "rapporti contro natura" - perché, certo, possiamo squartare le foreste, cementificare le spiagge, avvelenare terreni e falde acquifere, ma la nostra delicata sensibilità naturalistica non può tollerare lo spettacolo contronatura di due uomini o due donne che si piacciono, perché, si sa, la Natura è sacra e da qualche parte e in qualche momento la Natura deve aver detto che le scorie atomiche in libertà vanno benissimo, le armi chimiche pure ma due uomini o due donne che si piacciono devono per forza fare scandalo e costituire un tema delicato.

E dunque, solidarietà con tutti i gay; solidarietà con tutte le donne (compresa me stessa medesima) che l'attuale presidente del consiglio offende tutti i giorni con atti, pensieri e parole senza nemmeno trovare la forza d'animo per istituire un servizio decente di asili nido - ma anche un invito, tra uno sformato di finocchi e un panino con la finocchiona, per tutti gli elettori, a valutare i nostri rappresentanti non in base a quel che fanno a letto, ma a quello che fanno e soprattutto non fanno nei vari parlamenti, consigli e assemblee, e alla quantità di tempo ed energie che dedicano a questi dibattiti idioti.
Ricordando magari che, in barba alla nostra delicata sensibilità naturale, i gay pagano le tasse come tutti e hanno dunque diritto a vedere tutelati i loro interessi e affrontati i loro problemi con un minimo di serietà e di decenza.