lunedì 29 novembre 2010

La fiaccola dell'anarchia

La sera del 20 Novembre Francesco Guccini, dopo molti anni di assenza, tornava a Pistoia al Palasport. Per andare a sentirlo avrei dovuto sobbarcarmi un po' di incomodo, ma la compagnia degli amici mi avrebbe ampiamente risarcito di ciò.
Ero stata a vederlo a Firenze un anno e mezzo fa - un concerto rispettabile, allegro, quasi una rimpatriata di noi sinistri in crisi esistenziale. Lì l'atmosfera era stata festosa e familiare, e il concerto mi aveva lasciato una bella coda di entusiasmo.
A Firenze il PalaMandela era bello pieno, a Pistoia invece era stra-pieno già un'ora prima dell'inizio, ben oltre i limiti delle più lascive misure di sicurezza: qualsiasi uovo appena deposto al confronto era vuoto come un taxi con dentro l'on. Rotondi. Piene tutte le gradinate, anche le più improbabili, pieno il campetto da gioco, piene le ringhiere. Insomma, pieno. Tanto pieno che han preferito iniziare in perfetto orario, cosa da me mai vista se non a taluni concerti di gala al Comunale.
Guccini era in ottima forma vocale (molto più che a Firenze, dove pure non se l'era cavata male), gli strumentisti hanno suonato a meraviglia, la scaletta non poteva che essere eccellente... il pubblico, oltre che tanto e transgenerazionale, era inquietante. D'accordo, applaudica, cantava, rideva, faceva insomma la sua parte da pubblico di appassionati; ma era arrabbiato ai limiti dell'incandescenza. Gli applausi, le urla e soprattutto gli slogan quando Guccini infilava qualche frase sulla politica erano degni delle migliori cantine alternative degli anni 70. I più arrabbiati erano i ragazzi - una bella fetta, tra l'altro, ben al di là del prevedibile per un musicista che per radio non passa quasi più; ma anche le sezioni più stagionate non scherzavano. E giunti al gran finale con la tradizionale Locomotiva - dove il buon Francesco faticava alquanto per far sentire anche la sua voce tra tutte le altre, l'atmosfera era così carica che per la prima volta a un concerto ho avuto paura.
Io e i miei compagni siamo sgusciati fuori col primo flusso, mentre il pubblico in basso cantava a squarciagola "Bella Ciao" in totale improvvisazione.

A quanto sembra, c'è una parte di Italia che ha esaurito ogni riserva di pazienza, umorismo e distacco ed è soltanto esasperato oltre ogni limite.
Qualcuno farebbe bene a starci attento: piazzale Loreto è dietro l'angolo.

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