mercoledì 30 giugno 2021

Cronache degli Esami che quest'anno son di nuovo Esami - Osanna, trionfi, onori ad oltranza / ai bimbi di Terza offerse Fiorenza

Luca Giordano - Apoteosi della dinastia dei Medici (1682-1685)

Dopo tre anni passati a miracol mostrare, dopo aver studiato regolarmente in presenza, in assenza e nel pensiero nonché dopo aver assistito e incoraggiato il suo corpo docente nei momenti più bui, la Terza Brillante non si è certo smentita al momento dell'esame.
Gli elaborati erano belli e ben impostate, le tematiche sviluppate in modo accorto e originale, il valore aggiunto assai notevole, i collegamenti con Educazione Civica tutt'altro che stirati; le esposizioni sono state in gran parte assai brillanti o comunque più che dignitose (anche quelle degli alunni chiaramente terrorizzati), le esposizioni nelle lingue straniere in gran parte assai onorevoli (del resto quasi mezza classe aveva fatto anche, nei ritagli di tempo, la certificazione per il Trinity) e insomma alla faccia di tutte le circostanze avverse i ragazzi hanno fatto un gran bell'esame. Il voto più basso è stato 7, e abbiamo assegnato sei 10 e due lodi oltre a una gran quantità di complimenti; qualcuno dei professori sosteneva che una roba del genere non l'aveva mai vista - il che, mi tocca ammettere a malincuore, era un pochino esagerato.
Le altre due Terze in compenso non è che abbiano proprio brillato in modo tale da rischiare di accecare le loro sottocommissioni.

C'è un collegamento tra le due cose?
Forse meno di quel che sembra. Per quanto, negli ultimi anni, la Dirigenza di St. Mary Mead abbia preso la pessima abitudine di impicciarsi ogni tanto nella composizione delle classi, seguendo le richieste dei genitori più che le indicazioni degli insegnanti delle elementari (con risultati abbastanza deleteri) in quell'anno sembra che non fosse intervenuta, e dopotutto, in quella classe scesa in terra a miracol mostrare c'erano pur sempre un certificato, tre dislessici e pure due BES linguistici, arrivati in Italia assai digiuni della lingua italiana ma da noi alfabetizzati con gran cura, più un paio di elementi con problemi esistenziali abbastanza seri.
Avendo insegnato l'anno scorso anche nella ex-Seconda Invasata, quest'anno Terza Vieppiù Invasata, posso testimoniare che anche gli Invasati, sulla carta, disponevano tutti di notevoli potenzialità e avrebbero potuto diventare una Terza altrettanto Brillante.

Dove sta allora la differenza?
Difficile a dirsi, ma alla cena di classe i genitori della Terza Brillante ci hanno spiegato "Si sono sempre trovati bene insieme, sin dall'inizio, anche se non si conoscevano molto".
Potrei aggiungere, per quel che ho visto, che al contrario nella Terza Invasata "si sono sempre trovati bene insieme, sin dall'inizio, anche se non si conoscevano molto".
Questione di carattere, certo; ma, soprattutto a quell'età, il carattere è dato anche dalle esperienze che stai vivendo.
Nella Terza Brillante cosiddetto gruppo-classe si è formato quasi subito e si è autocoltivato anche nei mesi del lockdown. Non avendo particolari dinamiche negative interne, la classe non ha mai rifiutato lo studio per partito preso. Qualcuno ha studiato sin dall'inizio (non tanto per fare contenti i genitori quanto per ambizione e interesse personale) e non è stato criticato dai suoi pari per questo. Nessuno ha mai rifiutato un po' di aiuto a nessuno, ognuno è stato accettato per quel che era dai compagni (e qualcuno, in partenza, era alquanto spinosetto e per certi versi lo è rimasto). Nessuno spengeva il cervello entrando in classe, e di conseguenza anche chi non si ammazzava di studio ricavava comunque qualche frutto dalle lezioni che sentiva. Col tempo anche i più irriducibili hanno cominciato a dare una scorsa distratta ai libri, e han finito col prenderci gusto.
Certo, i genitori non ci hanno messo del loro né hanno scatenato faide. Ma i genitori tendono a starsene buonini, ho notato, quando i risultati sono decenti. Non sempre, ma spesso sì.
C'è stato un momento, durante l'inizio della Seconda, in cui la classe ha incominciato a ingranare sul serio e ha fatto il salto di qualità passando da "una buona classe, che non dà problemi" a "una buona classe" - poco prima del lockdown.
Succede, a volte. Come succede che una classe passi da "una buona classe che si impegna" a "una classe disastrosa, davvero non li reggo" "Neanch'io" "Io nemmeno".
Non c'è modo di prevederlo, e nessuno di noi insegnanti ha strumenti adeguati per intervenire, salvo pochi Docenti Eletti capaci di trasformare l'acqua in vino, moltiplicare pani e pesci e ridare la vista ai ciechi.
La Seconda Invasata è quindi passata da "una classe molto critica ma con delle potenzialità" a un Disastro Totale. Il gruppo classe non si è mai formato, e la loro occupazione preferita sembrava essere quella di insultarsi a vicenda. Ma se dedichi tutta la tua energia emotiva a una lotta senza quartiere con i compagni di classe, non ti resta molto spazio da dedicare allo studio - soprattutto se quando studi ti offendono pure. 
E i genitori hanno imperversato assai, spesso mostrando perfino meno criterio della loro Invasata Prole.
Qualcuno di noi ha sbagliato? 
Può darsi, ma con certe classi è praticamente impossibile non sbagliare, a volte: come fai, fai male.

Ad ogni modo la Terza Brillante è uscita dall'esame ben pasciuta e soddisfatta, e noi con loro. La Terza Invasata invece è uscita assai meno pasciuta, ma molto soddisfatta di essere finalmente fuori da quell'incubo di trenta ore a settimana.
L'ultima delle terze invece ha fatto un onesto percorso e un onesto esame, tutto abbastanza nella norma. 

L'Esame è finito, evviva l'esame (sperando che ritorni presto quello normale, con gli scritti).

martedì 29 giugno 2021

Cronache dagli Esami che quest'anno son di nuovo Esami - The Art of the Elaborato


Gli insegnanti di St. Mary Mead incombono minacciosi sull'Elaborato del povero alunno indifeso.
L'immagine è di Monokubo.

Ordunque, andava preparato l'Elaborato - oggetto abbastanza misterioso agli occhi di tutti noi, ma in realtà non troppo diverso dal percorso-su-slide che già da diversi anni alcuni esaminandi ci ammanivano al momento del colloquio orale.
Inoltre, dopo un anno e mezzo di didattica mista e a distanza, il rapporto dei nostri amati alunni con i mezzi informatici si era fatto decisamente più confidenziale (e quello di noi docenti anche).
Quanto a me, sin dall'anno scorso avevo allenato la Seconda Brillante - diventata poi Terza ancor più Brillante - a cercare immagini significative su vari temi corredandole di didascalie che dovevano sempre comprendere data e luogo, nonché ad eseguire piccole ricerche da esporre che venivano sempre più spesso scodellate alla classe sotto forma di presentazioni. I concetti su cui avevo insistito erano soprattutto
- non mettere troppe parole nelle slide e non sovraccaricarle
- scegliere con cura le immagini
- lavorare senza ritegno di effetti speciali, che solleticano lo spettatore: dissolvenze, animazioni eccetera.
Più di tanto non potevo dire perché più di tanto non so. Ma la piattaforma GoogleMeet ha un ottimo programma di presentazioni e su quello ho imparato a lavorare, sgrezzandomi con l'esercizio, ché fino a 18 mesi fa non avevo mai fatto una singola presentazione né avevo sentito alcun desiderio di farne.
Così ci eravamo tutti allenati presentando la Belle Epoque, i punti più salienti di geografia fisica dell'Africa, qualche stato sparso eccetera.
Altri colleghi, ben più qualificati ed esperti di me sul piano informatico, avevano lavorato a loro volta. Ai ragazzi era stata spiegata l'importanza di mettere le fonti - un aspetto, va detto a mio disonore, che non mi aveva nemmeno sfiorato - come caricare il quadro da analizzare per Arte (con apposite freccette o box dove inserire i punti essenziali dell'analisi in questione), come svolgere l'analisi testuale per Italiano eccetera. Tecnologia aveva anche speso qualche lezione per spiegare come comporre le slide, evitare di deformare le immagini o di sovrapporle al testo e altre utilissime cose.
Col tempo i risultati erano arrivati: a metà dell'anno avevo spezzato tre stati dell'Africa assegnandone un pezzetto a ognuno ed erano venuti fuori dei lavori abbastanza diseguali - a volte troppo lunghi, a volte pasticciati, a volte buoni. Quando ci ho riprovato a fine anno con il Brasile, con la scusa (neanche troppo campata in aria) che tanto io del Brasile sapevo solo quel che c'era sul libro, il risultato è stato addirittura sontuoso: due ore sono scivolate via come acqua di fonte ammirando fascinose presentazioni delle principali città del Brasile, del Rio delle Amazzoni, della danza e della musica brasiliane, delle favelas e non parliamo dello sport in Brasile: loro han lavorato come ciuchi e io sono stata piacevolmente intrattenuta imparando un sacco di cose (l'aggiornamento di un docente si fa in tanti modi, si sa).

E' sorta poi tra noi insegnanti la Gran Questione della Lunghezza del mitico Elaborato: che, come suggerisce il buon senso, non avrebbe dovuto essere troppo lungo né troppo corto: e dunque noi coordinatrici avremmo dovuto stabilire dei limiti in un senso e nell'altro e indicarli sulla Classroom "come era stato fatto l'anno scorso".
Io per la verità non mi ricordavo niente del genere per l'anno scorso, e nel corso degli anni ho sviluppato una certa qual allergia a questi tentativi di uniformità che poi nessuno si fila - senza contare che l'Elaborato Troppo Lungo lo avrebbero fatto solo quelli che puntavano al 10 e che secondo me avevano tutti i diritti di esibire ogni loro virtù a costo di stressarci con un elaborato "troppo lungo" - e si dava il caso che nella Terza Brillante i potenziali 10 fossero un buon numero. Così ho  tagliato corto ricordando ai colleghi che la circolare d'istituto non indicava limiti di lunghezza ma che ogni insegnante era libero di dare tutti i limiti che voleva per la sua materia, mentre io non avrei  indicato un bel nulla sulle dimensioni richieste per l'elaborato. E che sarebbe stata mai, qualche slide in più da guardare?
(Su questo ho avuto poi svariate occasioni di riflettere, mentre appunto guardavo gli elaborati della Terza Brillante, che certo non si sono segnalati per eccesso di brevità).

Perché, una volta arrivati, gli Elaborati andavano valutati. E qui va pur riconosciuto che ci siamo fatti fregare per eccesso di zelo: in effetti non stava scritto da nessuna parte che gli elaborati andassero valutati prima dell'esposizione, anche se va pur detto che una guardatina era comunque opportuno dargliela: in un colloquio orale dell'esame dei vecchi tempi andava benissimo che i docenti arrivassero ignari e  godessero (o sopportassero, a seconda dei casi) l'esposizione della creaturina, per poi valutarne l'effetto complessivo; ma in quel tipo di esame il colloquio era solo una delle tante prove, mentre stavolta comprendeva tutto l'esame. Del resto, l'anno scorso avevamo valutato gli elaborati prima del colloquio, giusto? (Ma l'anno scorso, a ben guardare, non si era trattato di un vero e proprio colloquio, bensì soprattutto di un affascinante dialogo tra sordi e di fatto gli elaborati, belli o brutti che fossero, erano l'esame).
Soprattutto, non ci eravamo posti 'sti gran problemi: le vicepresidi avevano mandato a dire "valutate gli elaborati", poi ci avevano caricato una bella griglia di valutazione - che era poi quella dell'anno scorso - dove dovevamo scrivere un votarello per l'originalità, uno per la coerenza con la tematica assegnata e uno per la chiarezza e correttezza; e d'accordo che si trattava di voci abbastanza generiche, ma insomma in qualche modo ci saremmo arrangiati, esattamente come avevamo fatto l'anno scorso.
C'era da valutare? E noi avremmo valutato.
Così gli insegnanti di St. Mary Mead, reduci da una settimana assai ardua a base di scrutini con tutti gli annessi e connessi del caso (compresa la correzione al volo delle ultimissimissime verifiche che non so perché tutti ci ostiniamo a fare negli ultimissimi giorni, nemmeno ce lo avesse ordinato il medico, semplicemente perché ci viene in mente che lo spazio per una ultimissimissima verifica materialmente c'è, e pazienza se gli alunni stramazzano sul campo), hanno passato un fine settimana incollati al computer, ché gli esami partivano da Lunedì e quanto a me, non sapendo come meglio passare il tempo, ho perfino messo su una specie di diario di bordo con le mie considerazioni personali su ogni singolo elaborato, al quale altri colleghi, come me afflitti dalla stessa cronica mancanza di occupazioni per passare in qualsivoglia modo le giornate, hanno aggiunto a loro volta commenti e considerazioni. Insomma, quando è arrivato il nostro turno avevamo fatto con grande diligenza i compiti e dunque eravamo assai onorevolmente preparati. Con un paio di perplessità.
La prima riguardava alcuni dei Bravi, che avevano presentato un elaborato piuttosto scarno (spiegazione: essi si erano limitati a seguire le nostre raccomandazioni, presentando l'ossatura dell'elaborato di cui poi hanno avuto cura di fornire abbondante polpa al momento dell'orale).
La seconda riguardava altri due dei Bravi, che invece avevano presentato un elaborato alquanto copiato dalla rete - no, non si trattava di un paio di concetti pescati qua e là, ma di testi infilati di peso, riconoscibilissimi perché lo stile cambiava bruscamente. Ma se è vero, come non ho mancato di ricordare ai colleghi, che era normalissimo che attingessero dalla rete le loro informazioni, specie quando trattavano argomenti che sui libri di testo erano svolti in modo troppo sintetico o non erano svolti affatto, altrettanto vero era che un copia&incolla di due pagine di fila e ben farcito di svolazzi retorici, specie per la parte nelle lingue straniere, non era particolarmente gradito. A questo proposito aggiungo che tuttora non so che tarantola abbia morso quei due, visto che erano perfettamente in grado di produrre una brillante sintesi degli articoli citati, almeno di quelli in italiano, e che purtroppo così facendo si sono automaticamente abbassati il voto (che anche così non era comunque molto basso). In pratica, uno si è giocato il 10 e l'altro il 9, in base al nobile principio "chi vuol esser scemo sia".

In compenso, mancavano totalmente quelli che la prof. Casini aveva definito gli orrori, ovvero dei lavori che si segnalassero per manifesta inadeguatezza; tutti, anche quelli più difettosi, erano ampiamente sopra la sufficienza. Così, da Brava Coordinatrice, ho spedito un messaggetto collettivo di auguri per tutti, mi sono adeguatamente curata gli occhi doloranti con un buon collirio sfiammante e ho atteso scalpitando il D-Day  con la stessa ansia che se l'esame l'avessi dovuto fare io, esattamente come mi succede sempre sin dal primo anno che insegno.

venerdì 25 giugno 2021

Piccoli uomini - Louise May Alcott



In tutta onestà, se dovessi fare un elenco dei miei libri preferiti questo non ci sarebbe. Tuttavia leggerlo è stato interessante sotto diversi aspetti, primo fra tutti per la sua notevole modernità didattica. Inoltre, facendo parte del  ciclo di Piccole donne è un classico per luce riflessa, senza contare che ha la sua brava parte di fan (alcuni lo ritengono anzi superiore al primo), anche se in rete non si trova molto in italiano, e persino la voce di  Wikipedia è piuttosto stringata.

Primo punto: più che un romanzo è un trattato sull'educazione, per ammissione della stessa autrice che dichiara che "questo libro non segue una vera e propria trama ed è, più che un romanzo, il resoconto di quel che succede nella scuola di Plumfield".  
E allora cominciamo spiegando cos'è la scuola di Plumfield, che magari non è mai esistita esattamente in quei termini, ma ha basi più reali di molte delle scuole narrate in letteratura.
Louise Alcott non ha mai gestito una scuola, ma era figlia di un insegnante decisamente molto avanti rispetto ai suoi tempi (e che per questo motivo passò la sua brava parte di guai) e frequentava gran copia di educatori e filosofi decisamente all'avanguardia.
La scuola gestita da Jo March e dal suo consorte, il professor Baher, non poteva quindi essere una scuola ordinaria.
Si tratta prima di tutto di una scuola altamente inclusiva: nel carnet di presentazione dei primi alunni troviamo un ragazzo che, a causa di quelle che un tempo venivano chiamate "febbri cerebrali" da intelligente è diventato idiota e un altro con una malformazione alla spina dorsale (di quelli che un tempo erano chiamati "gobbi"), e il nuovo alunno, introdotto nel primo capitolo, è disperatamente povero e viene da quello che oggi nelle relazioni scolastiche definiamo "un contesto socio-culturale degradato": in pratica, un trovatello che vive (male) suonando il violino per strada e dormendo in una cantina umida e fredda, dove si è ammalato di una brutta tosse che la malnutrizione ha contribuito a peggiorare. Più avanti, a rimorchio del trovatello, che se non altro nei primi anni della sua vita ha ricevuto un po' di educazione, anche se ben poca istruzione a parte quella musicale, arriva un altro trovatello, con alle spalle una infanzia ancor più disastrata. Per entrambi paga Laurie Lawrence, promosso per l'occasione da Reagente a Mecenate. Più avanti ancora arriverà una ulteriore orfanella dotata di un carattere piuttosto irruento, nota nella zona come "Nan la monella". Ma naturalmente i problemi possono arrivare anche con alunni all'apparenza normalissimi - e del resto, già intendersi sul concetto di normalità, in particolare se applicato a un ragazzino in età scolare, non è affatto semplice.
Che dire della disciplina? In realtà c'è, ma è una disciplina à la March, basata soprattutto sull'autocontrollo e la condivisione dei valori - il sogno della didattica moderna, insomma.
Cioè no, non del tutto: ad esempio sono previste anche zone franche, dove i ragazzi hanno l'esplicito permesso di scatenarsi - un accorgimento prezioso che vorrei tanto fosse a nostra disposizione anche nella moderna scuola, che vive nel terrore di incidenti, traumi (fisici), incidenti mortali e simili e per la quale, ahimé, il nobile principio improntato al migliore buon senso e citato nelle prime pagine risulta del tutto improponibile:
"Insomma come si fa a non concedere un po' di tempo libero in cui possano gridare, scatenarsi e combinarne di cotte e di crude come pare a loro?" osserva saviamente Jo durante una di queste zone franche, mentre intorno a lei i ragazzi si prendono festosamente a cuscinate e cavalcano i corrimano delle scale facendo un baccano fuor dall'umano.
Giusto, come si fa? Purtroppo sembra che oggi ci si riesca benissimo - ma non per questo scansiamo incidenti e traumi (fisici) vari; in compenso ci lamentiamo molto per le classi che, chissà perché, risultano spesso piuttosto irrequiete.

Quindi, una scuola che rientra nel ramo permissivo, dove fruste e bacchette sono del tutto fuor di questione: l'unica volta che infatti viene presa in mano la frusta si ha cura di notare come fosse coperta da uno spesso strato di polvere - e detta frusta non viene usata dall'insegnante sull'alunno bensì...dall'alunno sull'insegnante, in un passo didatticamente davvero geniale. Le sanzioni sono quindi del tutto non-violente (per gli alunni) e accuratamente motivate al diretto interessato.
E' poi una scuola con programmazione individuale: al momento del saggio di fine anno infatti chi sa scrivere scrive, in modo assolutamente personalizzato, ma chi non sa ancora scrivere perché è troppo piccolo se la sbriga in altra maniera, per esempio con una esposizione orale.
Una scuola molto laboratoriale: nel corso del romanzo assistiamo all'allestimento di un museo di scienze naturali con ampia scelta di animali vivi e morti; gli alunni tengono i loro pet (no, non solo cani, gatti, tartarughe e topolame vario, ma anche vermi, cavalli, polli e quant'altro) e hanno ognuno un orto a disposizione da coltivare a loro piacimento - e qualcuno ci riesce e qualcuno no, e allora gli viene spiegato alla fine dell'anno dove e come abbia sbagliato, acciocché possa migliorare nell'anno successivo. C'è anche un corso di cucina (se ne occupano le ragazze. Evvabbé). Inoltre viene incoraggiato lo spirito imprenditoriale, consentendo ai ragazzi di organizzare piccoli commerci di animali, piante, uova e altro.
Oltre alle ordinarie lezioni, ha grande importanza anche l'apprendimento tra pari in varie forme, e all'insegnamento partecipano anche giardiniere, cuoca e personale domestico in generale.
E si fa molto esercizio fisico, di tutti i tipi: non solo Scivolata sul Corrimano, Arrampicata sugli Alberi e Lotta con i Cuscini, ma anche tante altre tipi di sport.
Scuole di quel tipo esistevano e sono esistite anche in seguito, e sono sempre state scuole di nicchia - ma gli alunni che le hanno frequentate e le frequentano di solito le apprezzano assai e ne ricevono una preparazione assai completa. Naturalmente sono molto complicate da gestire, ed è per questo che sono piuttosto rare. Piazzare tutti i ragazzi in una stanza fornita di banchi e limitarsi a interrogarli è senz'altro più pratico per chi ci lavora, anche se meno stimolante. Inoltre, funzionano solo con numeri piuttosto ridotti, e va pur riconosciuto che le Grandi Scuole hanno qualcosa di rassicurante per molti, se non per tutti.

Sul piano educativo dunque è un libro molto interessante. Come romanzo però mi attento a dire che si è visto di molto meglio, anche nel resto della produzione della Alcott.
Abbiamo un ottimo primo capitolo, quando arriva il Violinista Randagio, e un eccellente capitolo intitolato "Damone e Pizia" (ma pare che il vero nome dei protagonisti della leggenda  fosse Damone e Finzia) sul valore dell'amicizia, che ripercorre molto bene le dinamiche interne di un gruppo di ragazzi in quelle circostanze. Poi c'è un bel gruppetto di storie e storielline che l'autrice assicura essere prese di peso dalla vita reale, e non vi è motivo di dubitarne. Tuttavia la narrazione nel suo insieme non è delle più avvincenti e anche se una trama in qualche modo c'è, o meglio anche se alcun i dei protagonisti seguono un loro percorso, non è una di quelle letture che mi ha spinto a tenere la luce accesa più del dovuto per andare avanti. E va anche detto che quella bellissima cosa che si chiama sintesi non sempre brilla per la sua presenza e insomma il brodo a tratti non è dei più sostanziosi.
Insomma, in certi punti mi sono proprio annoiata.
Alla fine del libro comunque, oltre ad avere individuato alcuni commercianti in erba, sappiamo che tre dei protagonisti hanno già individuato chiaramente la loro strada: il Violinista Randagio è, appunto, vocato al violino; il suo amico ancor più randagio è decisamente vocato allo studio delle scienze naturali, cui è stato instradato da tale Mr. Hyde (che immagino sia un alter ego di Henry Thoreau); e infine la monella Nan, fermamente decisa a studiare medicina (con l'appoggio di Jo).

In ultimo, una curiosità letteraria: verso la fine del libro spunta dal nulla un capitolo intitolato "John Brooke". Niente di strano, all'apparenza, visto che John Brooke è il marito della sorella maggiore di Jo, e anche il padre di due dei bambini di Plumfield. In questo capitolo John Brooke muore, dopo brevissima malattia, e ne viene tessuto un lunghissimo elogio funebre (che è anche una delle parti più scialbe del romanzo) dove, tra le altre cose, si racconta come il signor Baher aveva perduto con John Brooke un amico e un fratello insostituibili anche se nelle uniche due occasioni in cui li abbiamo visti insieme, i due non scambiano una parola che sia una.
Molto perplessa, dal momento che tale morte non incide minimamente sulla trama, sono andata a controllare; e ho scoperto che il vero John Brooke è morto nel 1870, dopo dieci anni di matrimonio - un dettaglio che viene ripetuto più volte durante quel micidiale capitolo. Sembra anzi che l'intero romanzo sia stato scritto proprio per provvedere alla sorella ormai vedova e con figli a carico.
In tutti i casi, oltre che di una noia mortale, quel capitolo contraddice il romanzo precedente: dove dieci anni dopo il matrimonio con Meg, John Brook gode ancora ottima salute, e anzi  ben due anni dopo la sua morte se ne stava a Plumfield a giocare a cricket con i ragazzi senza mostrare alcun segno di malessere fisico, nel capitolo finale.

Come ci ricorda Wikipedia, il romanzo ha avuto ben due adattamenti cinematografici e pure una serie televisiva di 26 puntate, ma anche un anime in 26 puntate che da noi è stato titolato Una classe di monelli per Jo ma l cui titolo originale era La piccola donna Nan e l'insegnante Jo dove la vicenda è incentrata appunto su Nan e su quella specie di passaggio di testimone tra lei e Jo accennato anche nei libri.

Con questo post partecipo in pectore al Venerdì del Libro di Homemademamma che da un paio di settimane latita e, come sempre, auguro piacevoli letture a tutti.

giovedì 17 giugno 2021

Cronache dagli Esami che quest'anno son di nuovo Esami - La consegna dell'Elaborato

la prof. Murasaki davanti al computer, in ansiosa attesa dell'arrivo degli Elaborati
(Il disegno è di Monokubo)

Quest'anno il Ministero dell'Istruzione, pace all'anima sua, si è mosso con un certo anticipo rispetto all'anno scorso e, stabilito che a fine inverno eravamo ancora in mezzo al guado e nessuno poteva ragionevolmente prevedere di che morte si sarebbe andati a morire (non solo in senso metaforico) di lì a Giugno, ha fatto una Ordinanza Ministeriale che prevedeva sì un esame in presenza (con possibilità di trasformarlo in esame da remoto qualora le circostanze lo consigliassero) ma senza scritti e col solito tormentone dell'elaborato, che se non altro quest'anno è stato definito con un po' più di precisione rispetto all'anno scorso.  
E dunque niente scritti.
E sì, d'accordo, adesso siamo buoni tutti a dire che gli scritti si potevano benissimo fare perché la scuola era vuota e quindi gli alunni di ogni classe avrebbero potuto agevolmente occupare due e financo tre aule in totale sicurezza (specie dopo che per tutto l'anno ne avevano occupata una sola, e ufficialmente sempre in perfette condizioni di sicurezza)- ma posso anche capire che nessuno se la sia sentita di rischiare. Resta il fatto che, in assenza di una prova scritta, talune classi e taluni alunni corre voce si siano alquanto rilassati a Matematica e a Lingue, e pure a Grammatica Italiana.
Che ci vuoi fare? Sono i casi della vita.
Comunque, due giorni dopo l'arrivo dell'Ordinanza la scuola ha partorito la circolare, che in sintesi riproponeva ampi passi scelti dell'Ordinanza, e ce l'ha trasmessa.
E nella Circolare era scritto chiaramente che la Tematica dell'elaborato consentiva l'impiego di conoscenze, abilità e competenze acquisite sia nell'ambito del percorso di studi, sia in contesti di vita personale, in una logica di integrazione tra gli apprendimenti ovvero la possibilità per gli alunni di trattare nell'Elaborato della loro vita e dei loro interessi, come del resto si è sempre fatto, almeno da quando insegno.
Dopo di che si sono visti insegnanti lamentarsi perché "Ahimé, Eriberto vuol portare il ciclismo e non c'è niente in letteratura italiana che parli di ciclismo, e la Preside ai Consigli di Classe è stata tassativa nel dire che negli elaborati possono portare solo cose fatte in classe" e "Hedwig porta il Calcio come tematica ma le ho detto che per Scienze Motorie non può parlarne perché non lo facciamo in classe, e allora dice che parlerà dello stretching", il tutto non solo rendendo grande onore alla flessibilità mentale della nostra categoria, ma dimostrando pure di non saper leggere quel che gli viene scritto né ascoltare quel che gli viene detto, visto che l'attuale DS ci avrà anche i suoi limiti, come tutti, ma non l'abbiamo mai vista contraddire le sue medesime circolari, e quanto al tema dell'inclusività certo non ha fallato per mancanza di disponibilità, vuoi con pensieri e parole e vuoi con atti.

E dunque, stabilito che nell'Elaborato i ragazzi possono occuparsi di quel che più gli interessa e infilarci tutto ciò di cui li punge vaghezza, ed essendo noi stati esortati apertamente a suggerirgli, caso mai gliene venissero a mancare, soluzioni creative e spregiudicate per infilare nella tematica le varie materie, la palla passava a loro.
Da brava coordinatrice ho dunque aperto una classroom dedicata agli esami della Terza Brillante, con brani scelti della circolare, uno spazio sia per le Tematiche, con tanto di scadenza di consegna (il 7 Maggio) sia per gli elaborati, anche lì con scadenza di consegna (il 7 Giugno). E le scadenze non me le sono cavate dalla testa, bensì erano prese pari pari dall'Ordinanza.
E qui sono cominciati i problemi: come ho più volte sviolinato, la Terza Brillante è una classe seria, brava, industriosa, con tanto di aureola sulla testa. Però, alla fine, è una classe di esseri umani. E quale Essere Umano a scuola va in anticipo sulle consegne?
Sì, qualcuno c'è. Non all'esame, per quanto mi risulta. E comunque son casi piuttosto rari.
Passavano le settimane e tutte le volte che li vedevo chiedevo "Come va con le vostre tematiche?" ma non è che ne veniva fuori granché. 
Così un bel giorno li ho presi (metaforicamente) per le orecchie e ho detto "Sputa fuori la tua tematica, caro, ché davvero è tempo di farlo" e tutti hanno cominciato a farfugliare qualcosa di indistinto, e insomma pian piano le tematiche sono arrivate. Non proprio per il 7 Maggio, ma insomma verso il 10 tutti avevano almeno spedito un titolo, e due terzi mi avevano anche mandato quel che chiamo "l'albero", ovvero i collegamenti con le varie materie.
Ai tempi dell'esame normale, quello in presenza, cosa dire al colloquio dell'esame per me era una questione che riguardava principalmente loro, e non me. Ci sono coordinatori molto pressanti che insistono per sapere tutto prima, ma io mi sono sempre limitata a qualche domanda distratta e a dire che se volevano che dessi un occhiata a eventuali testi ero lì disponibilissima. Qualcuno me li mandava, qualcuno no, e per me non era un problema. Altri insistevano per sapere tutto, e ho avuto notizia anche di chi faceva incontri pomeridiani per risentire i percorsi e addirittura i colloqui, che era un bel lavoraccio. Io ho sempre preferito non immischiarmi, non intervenire, non interferire, non condizionare, non influenzare, limitandomi a rispondere se interrogata. Altrettanto facevo con gli insegnanti della classe che coordinavo: ognuno gestisse la sua materia come meglio credeva.
"E se poi facevano male?".
Gli servirà come utile insegnamento per il futuro, sostenevo.
"E se poi non viene un lavoro coordinato?".
"La legge non ci chiede un lavoro coordinato, per il colloquio. La legge dice che anche argomenti collegati in modo estemporaneo, ad esempio dal fatto che interessano all'alunno, vanno benissimo, rispondevo io.
Arrivata all'esame, non mi preoccupavo tanto della mia reputazione ma del loro risultato: per la prima volta potevano lavorare in autonomia, e io mi limitavo a guardare il risultato, col sacchetto di pop corn in mano da sgranocchiare.
Tra l'altro, gli esami delle medie sono senza rete: una volta ammessi, gli alunni passano quasi in automatico, e caso mai non passassero sarebbe perché han dimostrato di non aver cavato un ragno dal buco in tre anni, non certo perché il colloquio orale non era ben coordinato.

Quest'anno però mi sono dovuta impicciare ben di più, e pure assistere in diretta alle risposte dei colleghi sulla classroom. Era le Legge che me lo chiedeva, e alla Legge si deve obbedire. Inoltre, per quanto i ragazzi fossero vieppiù senza rete, stavano facendo da cavie a qualcosa di abbastanza nuovo.
E il problema, infatti era  che, essendo il tutto abbastanza nuovo, noi stessi insegnanti ci si orizzontava alla meno peggio. E che sarà del cieco se si piglia per guida un altro cieco? Il capitombolo nel burrone era dietro l'angolo ma in qualche modo tutti dovevamo attivamente coniugare il verbo "arrangiarci".
Comunque diciamo che a metà Giugno, dopo una risciacquata in piena regola, gli alberi c'erano tutti al gran completo.
Mi aspettavo, a quel punto, un lento stillicidio di elaborati, frammenti di elaborato, pezzetti di elaborato. Certo, ogni tanto qualche alunno mi scriveva chiedendo se mi andava bene questo o quest'altro e sottoponendomi testi, ma solo per le mie materie.
Arrivata al 3 Giugno ho cominciato a guardare male la classroom. Nel pomeriggio ho scritto un avviso ricordando che la scadenza del 7 Giugno non se l'era inventata la scuola, ma era proprio scritta nell'ordinanza ministeriale. Insomma, dura lex sed lex.
La mattina del 4 Giugno ho detto (più o meno) che si sbrigassero a mandare quei cazzi di elaborati una volta per tutte. Ed era Venerdì.
Sabato mattina ho mandato un garbato avviso. 
E poi sono rimasta col computer aperto e la classroom in bella vista, e ogni poco passavo a controllare.
E hanno cominciato ad arrivare gli elaborati. Uno, due, tre... Domenica sera (6 Giugno) erano un bel gruppetto. La mattina del 7 ho guardato la posta e ce n'erano altri. Nel pomeriggio, stessa trafila. Alle undici, quando ho spento il computer, ne mancavano però DUE.
A tutti, via via che arrivava l'elaborato, mandavo una letterina di ricevuta con le iconcine dello champagne stappato, del brindisi, dei fuochi artificiali e dei festeggiamenti, dopo aver controllato se c'era tutto. Perché durante l'anno, a volte, era capitato che spedissero ma che non arrivasse niente, o arrivasse metà roba.
E infatti  anche stavolta una povera fanciulla durante il trasferimento ha visto le sue belle slide preparate con gran cura arrivare completamente scomposte, finché qualcuno non le ha suggerito di spedire con un altro dispositivo. Dopodiché ho potuto mandare anche a lei debita ricevuta, insieme all'invito a mangiarsi una grossa fetta di torta perché esperienze di quel tipo sono sempre molto stressanti.

La mattina dell'8 ho visto che erano arrivati anche gli ultimi due elaborati MA che l'ultimissimo, spedito alle due e mezzo di notte (!) era composto da... quattro slide.
Panico, telefonata alla responsabile digitale, mail all'infelice alunno... che mi ha scritto affranto che aveva fatto l'elaborato sul computer di suo padre ma che adesso la piattaforma non lo voleva.
Il poverino ha quindi passato una giornata infernale a tentare e ritentare, finché alla fine la piattaforma si è decisa ad accettare il suo lavoro dopo una serie di manovre piuttosto complicate.

Ecco, questa parte dell'esame non mi è proprio piaciuta, perché qualche problema è inevitabile che salti fuori quando più di venti esseri umani devono inderogabilmente spedire qualcosa: quasi sempre la piattaforma, il registro, la casella postale, il collegamento o la banda fanno i capricci, e qualche sfigato che finisce invocando un trapianto di fegato perché il suo suo ormai se l'è mangiato tutto c'è sempre - e la povera coordinatrice soffre con lui/lei (e le famiglie pure, immagino).
E quando l'ultimo allegato dell'ultimo alunno è infine arrivato, seppur diviso in quattordici piccoli file, mi sono sentita molto sollevata e mi è parso di aver concluso un lavoro assai faticoso - anche se io, in effetti, non avevo fatto altro che guardare il computer con gli occhi ansiosi come il gattone del bel disegno di Monokubo che apre questo post.
Ah, da non credere quanto è faticoso preoccuparsi senza costrutto.

domenica 13 giugno 2021

Che belle le vacanze! (ultimo giorno di scuola)


 


Quest'anno l'Istituto Comprensivo di St. Mary Mead, in un occasionale soprassalto di buon senso, ha optato per una lectio brevis, ovvero alle medie usciamo alle undici e alle elementari alle dodici.
Il mio orario dunque prevede soltanto due ore con la Terza Brillante, e per tacito accordo, una volta fatto l'ultimo appello dell'anno e controllate le eventuali ultime giustificazioni e risposto alle eventualissime ultime domande sull'esame, sapevamo tutti che dopo saremmo andati in cortile dove chi voleva avrebbe giocato a palla e chi non voleva avrebbe fatto quel che altrimenti meglio gli sembrava, salvo l'osservanza dovuta al codice civile e penale.
Non devo essere stata l'unica a stabilire cotal silenzioso contratto con la scolaresca, perché mentre veleggio in corridoio intravedo un fanciullo coronato, una strega e pure un unicorno.
Il quale unicorno è di tipo moderno: non un lussuoso equino dalle movenze aggraziate e rigorosamente bianco, bensì una roba molto arcobalenata con un sacco di fiorellini. Anche se, a ben guardare, qualche fiorellino non mancava nemmeno nei bei tempi andati:


La nostra unicorna, per la precisione, aveva un mantello bianco, un corno arcobaleno e una ghirlandetta di fiori colorati; e naturalmente camminava su due gambe e non su quattro.
In classe faccio l'appello: una roba decisamente più lunga del solito perché gli alunni vanno e vengono, chiacchierano tra loro e insomma non è facile capire chi c'è e chi non c'è senza scorrere la lista uno per uno, e tuttavia qualcuno manca e l'appello dunque va in qualche modo fatto; e appena l'appello è faticosamente  terminato, ecco che arrivano anche i due assenti. Barrata l'ultima giustificazione - che in verità era stata portata due giorni fa, ma c'è sempre qualche collega che incassa le giustificazioni, le firma ma non le inserisce nel registro - ci avviamo schiamazzando lungo il corridoio verso l'uscita. Cioè, loro schiamazzano, e io non faccio nulla per dissuaderli.
In corridoio ritrovo il re -  diventato nel frattempo regina con un rapido passaggio di corona - l'unicorna col mantello e la strega, oltre a uno strano individuo vestito di pizzo nero con boa di struzzo (che detta così sembra una roba molto trasgressiva, ma tenendo conto che l'individuo portava cotal mise sopra jeans e maglietta bianca, la trasgressione era piuttosto annacquata). Grandi saluti, qualcuno mi chiede di restare con unicorni e reali. "Ma certo, ci raggiungerete più tardi" rispondo fregandomene del dovere di sorveglianza. Siamo a classi aperte, qualcuno sorveglierà.
Il cortile è relativamente tranquillo, solo una classe che gioca a pallavolo. Solita caccia alle palle, qualcuno chiacchiera all'ombra, un gruppo di ragazze colora non so che cosa e faccio un po' di salottino con loro.
Arriva la classe dei travestiti, che scopro contare anche un paio di fatine, un gatto con tanto di coda, un diavoletto, qualche ragazz* con pizzi e  paillettes, e se non ho capito male c'è pure un marziano, anzi una marziana. Nel frattempo la regina è tornato re.
"Ma non è Carnevale" prova a prenderle in giro qualcuno.
"E perché mai? Carnevale è uno stato d'animo" ribatto io, per il puro piacere di contraddirlo, pur consapevole che lui ha detto una cosa vera e io una stupidaggine.
Dopo un po' l'Unicorna lascia perdere il mantello bianco, che è di pile e le fa caldo; niente di strano, visto che la temperatura comincia a salire. I gruppi che giocano a palla sotto il sole non mostrano invece il minimo segno di cedimento. 
Alla terza ora si cominciano a temere i mitici Gavettoni di Fine Anno, e chi suggerisce di chiudere l'acqua, chi blocca i ragazzi che arrivano esibendo con fierezza grandi bottiglie d'acqua, chi assicura di avere dato rigorose istruzioni per fermare l'orribile scempio... tutto ciò comunque non mi riguarda, perché il mio orario della mattina è terminato. Saluto unicorni, colleghi, streghe, alunni e quant'altro e rientro dentro la scuola...
...dove passo due ore a stilare i compiti per l'estate della Prima Rabbiosa. Perché io per principio non do mai compiti per le vacanze, tranne nei rari casi in cui decido di darne.
Un po' di firme ai verbali degli scrutini, un po' di ripulitura del cassetto, un saluto ai custodi (che rivedrò comunque già il giorno seguente) ed eccomi pronta per il più sacro dei rituali di Fine Anno Scolastico, ovvero la gita in biblioteca a ritirare i libri prenotati: le mie prime letture vacanziere.
Perché sono in vacanza, finalmente: il più lunatico e irascibile anno scolastico della mia vita è ormai ufficialmente terminato e davanti a me si snoda la striscia dell'estate, lunga e riposante. Il sole mi accarezza la pelle, una piacevole brezza mi rinfresca.
Vacanze, che belle le vacanze. Quest'anno mi sento perfino più vacanziera del solito. Un bel falafel per festeggiare e finalmente a casa!

...dove alle tre e venti accendo il computer ed entro nella piattaforma, ché c'è la plenaria che apre l'esame. E dopo la plenaria ci sono ventun elaborati caldi caldi da valutare durante il fine settimana.

Quest'anno scolastico è finito, finalmente. Ma non del tutto, e non per tutti.

venerdì 11 giugno 2021

Le piccole donne crescono - Louisa May Alcott

Com'è noto il successo di Piccole donne fu enorme sin da subito e quasi subito le lettrici cominciarono a scalpitare per avere un seguito. Posso capirlo perché anch'io, quando vidi quella robaccia raffigurata a sinistra e lessi sul retro che era il seguito di Piccole donne mi precipitai a comprarlo, nonostante in famiglia mi avessero cresciuto con una certa diffidenza verso quella strana roba ibrida che sono spesso i seguiti. Per giunta, la copertina avrebbe fatto cascare i denti a un elefante, zuccherosa com'era, e anche le illustrazioni all'interno non erano certo da meno - senza contare che l'essere umano addetto a cotali illustrazioni aveva un solo personaggio maschile e un solo personaggio femminile (e, aggiungo, un solo vestito per ognuno dei due) al suo arco, cui all'occorrenza cambiava colore dei capelli - ma sempre mantenendo la stessa pettinatura, quella che vedete raffigurata in questa non memorabile opera grafica. Anzi no, per il professor Bhaer dovette cambiare qualcosa, e in effetti era l'unico che sembrava un essere umano.
Alcott era brava, operosa e prolifica e il seguito fu pronto nel giro di un anno; in seguito, venne considerato la seconda parte del primo. 
Ora che ci penso, il pubblico avrebbe probabilmente gradito una serie di romanzi uno per ogni anno della vita delle sorelle March senza che la scena cambiasse granché e con nuovi personaggi introdotti gradualmente. Alcott comunque vedeva la cosa in modo diverso e l'arco di tempo coperto dal secondo romanzo è di sei anni, più un quadro finale che si svolge sei anni dopo. A tutto ciò occorre aggiungere che il romanzo si apre con il matrimonio di Meg che, come annunciato sul finire del primo romanzo, si svolge tre anni dopo il suo fidanzamento. Le piccole donne quindi crescono assai, e in effetti alla fine della storia sono ampiamente adulte.
Dunque sedici anni, ma il cuore della vicenda ne copre sei. Meg si sposa, e godrà in seguito una vita coniugale tranquilla e soddisfacente, anche se con qualche inevitabile contrattempo. Anche Amy si sposa, ma dietro le quinte. Jo si limita a fidanzarsi (per poi sposarsi un anno dopo, come raccontato nell'ultimo capitolo) e Beth... Beth muore, come sanno assolutamente tutti su questo pianeta.
Perché Beth muore? Perché in un romanzo vittoriano (e in fondo, Piccole donne quello è) c'è sempre l'eroina angelica che muore in odore di santità, si pensa di solito. La questione però è più complessa.
Come sanno anche i sassi, le quattro ragazze March sono (quasi) esattamente le sorelle Alcott e anche i signori March riprendono parecchio dai genitori dell'autrice. La quale si prese, con le sue sorelle, le sue buone libertà ma con Beth non riuscì ad andare oltre al fatto, appunto, che Beth morì molto giovane. Aveva preso la scarlattina, era guarita... ma non del tutto, e dopo un lento declinare era morta di consunzione. Classica morte da Eroina Buona e Innocente, morte molto edificante... ma non era stata letteratura, era andata proprio così, e al di là di quello Louise non riuscì ad andare. Anni prima Charlotte Bronte si era tolta la soddisfazione di far vivere felice sua sorella, carattere indomabile ma poi domato dall'amore, un matrimonio assai felice e per giunta l'aveva trasformata in una ricca ereditiera che gestiva in prima persona un grandioso patrimonio. Louise non ci riuscì, o meglio non ci provò nemmeno. In qualche modo la morte di Beth era intrinseca al personaggio. E la morte di Beth, serenamente accettata dalla povera ragazza, si svolge in un lento smorzarsi, con grande edificazione della famiglia. Chi ci è passato sa che a volte succede proprio così, e in casa Alcott appunto così erano andate le cose. 

E per le altre tre?
Ci sono invece dei bei cambiamenti. Louise Alcott non si sposò mai e per quanto ne sappiamo la cosa non le dispiacque. Nel romanzo però non poteva andare così - non so se l'editore disse qualcosa in proposito, ma l'autrice non viveva sulla Luna e ne era quindi assai consapevole. Non per questo accettò la soluzione più ovvia, quella che i lettori si aspettavano: Jo non sposa Laurie, con grandissima e generale disapprovazione (anche nel libro, dove nessuno si capacita e solo i genitori, sospirando, se ne fanno una ragione, ben consapevoli che il marito ha da piacere a chi si sposa e l'affetto non sempre basta a garantire la felicità coniugale. Invece avvia una fiorente attività di scrittrice, con i suoi inevitabili alti e bassi, e alla fine si sposa, sì, ma non col giovane, ricco bello e di onesti principi che da sempre è il suo migliore amico, bensì con il vecchio (beh, non troppo vecchio, ma certamente non adatto a entusiasmare le ragazzine innamorate di Laurie) professore tedesco, povero, immigrato e con un sacco di idee strane sul mondo e sull'educazione. Molti hanno visto in questo una scelta punitiva dell'autrice verso sé stessa - quasi che non si fosse mai visto il caso di una ragazza che, a dispetto dell'universo mondo, si sposa un uomo con parecchi anni più di lei; e qualcuno ha pure evocato il fantasma di un padre troppo amato. Eppure, secondo me, il punto è che Alcott voleva far sposare al suo alter ego una persona che le piacesse; e Laurie è sì un carissimo ragazzo, ma ripensandoci non solo ha un carattere piuttosto vago e indistinto, ma, in un certo senso, non esiste. Nel primo romanzo serve soprattutto come reagente - fa da voce della coscienza a Meg quando la trova alla fiera delle vanità, fa da fratello maggiore ad Amy quando è abbandonata dalla zia March per isolarla dalla scarlattina di Beth, fa da paraninfo più o meno inconsapevole tra Meg e John Brooke, aiuta Jo a tirare fuori Amy da sotto il ghiaccio - anzi, par di capire che senza Laurie la povera Amy sotto il ghiaccio sarebbe rimasta, perché Jo in quel momento ha perso completamente la testa - fornisce all'occorrenza la famiglia March di beni di conforto in varie occasioni, assiste moralmente Jo quando va a consegnare un paio di racconti a un editore, ma per tutto il primo libro non vive mai di vita propria e, al contrario delle ragazze, non attraversa alcun tipo di crisi, evoluzione o rinnovamento - del resto, perché mai un reagente dovrebbe vivere di vita propria?
Nel secondo romanzo, che dire - Laurie non fa in sintesi un bel niente a parte essere tenuto a distanza da Jo che lo vede troppo innamorato, diplomarsi e chiedere di sposarla. Sotto l'effetto del trauma da rifiuto si abbandona a una vita di modeste sregolatezze e a una certa inattività. Amy si prende l'incarico di fargli da voce della coscienza, lo risveglia e Laurie decide così di sposare lei. Non ho mai visto questa cosa come un ripiego, ma in effetti non si può non convenire che si tratti di una storia d'amore abbastanza smorta, e nei due romanzi successivi siamo sì abbondantemente informati che il loro matrimonio è felice, ma quando se ne parla il lettore si annoia, senza se e senza ma.  Anche perché - sorpresa! - non è un rapporto dei più dinamici e i due non sembrano mai interagire tra loro.
Altro piccolo dettaglio su Amy: nel corso di Piccole donne crescono anche lei prova a coltivare il suo talento per le belle arti, ma ben presto, guidata da un notevole senso critico che non le ha mai fatto difetto, finisce per rendersi conto che il talento, per quanto coltivato con cura e dedizione, non può evolversi in genio, e finisce per limitarsi a qualche garbata produzione privata (anche se a fine romanzo accenna di non aver ancora abbandonato le sue aspirazioni artistiche, in effetti). Una scelta curiosa perché, ho scoperto con una certa sorpresa, la sua controparte Abigail May Alcott diventò invece una pittrice di una certa rilevanza, anche se ebbe l'incauta pensata di morire prima di compiere quarant'anni. Ma in effetti per una ragazzina bionda, bella e di raffinati interessi artistici in un romanzo la fine giusta è sposarsi un eroe di tipo classico, giovane, bello e ricco - e d'altra parte Laurie aveva ben diritto a non sposarsi fuori dalla cerchia delle sorelle March, dopo avergli fatto da reagente in tante e diverse occasioni. Tra ,l'altro, quale lettrice avrebbe apprezzato di vederlo sposato alla simpaticissima signorina XY sbucata a metà libro dal nulla e del tutto estranea alla prima vicenda?

Cosa fare invece con Meg?
Meg all'inizio del romanzo si sposa, e conosce così il suo momento di gloria. Poi vivrà la sua serena vita coniugale nella casetta vicina a quella della sua famiglia, ma senza più interagire veramente con loro - con una sola eccezione. Le vengono riservati due cammei. Nel primo, a parte un quadretto di maniera su una drammatica vicenda a base di marmellate (e quale donna non ha provato almeno una volta in vita sua il disappunto della brodaglia che non ne vuol sapere di trasformarsi in marmellata? Solo le poche, savie creature che la marmellata la lasciano fare agli altri, e possibilmente agli addetti ai lavori) abbiamo una specie di seguito del viaggio di Meg alla fiera delle vanità - che culmina, sembra di capire, con una guarigione definitiva da certe tentazioni. 
Nel secondo è invece affrontato un tema decisamente serio, ovvero come impedire che il primo figlio rischi di scardinarti il matrimonio - e viene affrontato à la March, ovvero con teorie assai sennate ma che faticano tuttora ad affermarsi, e che possono essere riassunte nei due principi cardine "coinvolgi il padre nella gestione dei figli, e coltiva la tua vita perché stare solo con i figli ti svuota", principi che la saggia madre scodella alla figlia dall'alto di una considerevole esperienza - dopotutto, lei di figli ne ha avuti quattro - ma che gli editori italiani hanno sempre falciato con gran disinvoltura mentre sforbiciavano i romanzi destinati alle bambine, anche quando lasciavano l'unica scena d'amore tra Laurie e Amy (e su questa curiosa tendenza degli editori di libri per ragazzi negli anni 60 e 70 di rimuovere le scene d'amore anche e soprattutto dai romanzi che principalmente d'amore trattavano sarebbe forse interessante indagare, chissà).

Alla fine del romanzo, nell'ultima scena, abbiamo tre coppie felici, ognuna delle quali benedetta da qualche figlio - nazi quattro, contando i genitori delle protagoniste, e uno strano college che magari non farà mai tendenza, ma dove tutti stanno a meraviglia e si divertono un mondo e gli alunni sono allevati con criteri rivoluzionari che comprendono - orrore! - una considerevole dose di autonomia per tutti i giovinetti; e, come viene ripetuto più volte, non diventeranno mai ricchi.
Un lieto fine per tutti, dunque, e un'atmosfera rasserenante nonostante le traversie e traversine che non sono mancate nel corso del romanzo. 
Una lettura gradevole, carica di vitalità e che, vista nella prospettiva di un secolo e mezzo dopo non manca di ispirare riflessioni di vario tipo.

Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma e auguro come sempre felici letture a chiunque passi da queste parti.

mercoledì 9 giugno 2021

La deboscia della fine dell'anno


Incredibile ma vero, il più complicato, imprevedibile e faticoso anno scolastico della storia della scuola italiana si sta avviando alla fine. Nessuno di noi ci avrebbe sperato, quando riemergevamo dai collegi docenti a distanza dove appositi esperti rispondevano alle nostre tremolanti domande:
"Posso fare questo?"
"NO"
"E quest'altro?"
"E' altamente sconsigliabile"
"Ma non è che forse potremmo...?"
"NO"
E ci guardavamo spaventati domandandoci che cavolo di anno scolastico sarebbe stato.
E infatti è stato, appunto, un vero anno scolastico del cavolo

dove ogni settimana spuntava fuori un nuovo decreto, una nuova circolare, un nuovo positivo, una nuova quarantena.
Ma adesso sta finendo, e lo si vede da una generale tendenza alla deboscia.
Sì, certo, tutti gli anni nell'ultima settimana la disciplina si allenta assai, ma quest'anno è diverso. Un po' di sole dopo infinita pioggia è infine arrivato a scaldarci, una nuova speranza arriva dai nuovi decreti, i numeri sono in netto calo. 
Dopo un anno passato a ripetere come registratori rotti "Alzate la mascherina, ché deve coprire anche il naso, allontanatevi e non fate assembramenti, non accostatevi troppo, non toccatevi, non passatevi penne, fogli, merendine, evitate financo di guardarvi con troppa intensità" sentendosi ogni volta più noiosi, pedanti e puritani, c'è una certa voluttà nel consentire a cose normalissime soprattutto in questo periodo dell'anno.
Pare quasi, a tratti, che l'anno del cavolo finisca con una qualche parvenza di normalità.
"Prof, ci porta fuori?"
"".
"Prof, posso usare il cellulare per fare una foto ai compagni?"
"".
"Prof, ci lascia quest'ora per lavorare alle tesine?"
""
"Prof, e se invece di lavorare alle tesine prendessimo i giuochi dell'aula di Sostegno e..."
"Ottima idea, vai".
Piacevoli notizie arrivano da ogni dove.
"Ragazzi, da stasera il coprifuoco finisce a mezzanotte. Ricordatevi tutti di mettere le scarpette di vetro quando uscite"
"Non mancheremo, prof"
"Ma che ci faccio io, con le scarpe di vetro?"
"Non ti preoccupare, corre voce che le scarpette di vetro nascessero da un errore di trascrizione e che in realtà fossero di vitello".
I corridoi sono popolati di torme di ragazzi urlanti e nessuno esce più a rimproverarli. Il cortile di scuola si riempie di classi. Stiamo sfiorando l'assembramento.
"Prof, possiamo andare a cercare una palla?"
"Ma certo"
Il Bravo Insegnante deve essere assertivo, giusto? E noi asseriamo, con forza e convinzione.
"Ma non era vietato giocare a palla?" prova a intervenire una collega.
"Forse. Me ne sono dimenticata. Non lo so"
"Giusto, non lo so neanch'io".
"Prof, possiamo andare a prendere i banchi nel ripostiglio e fare lezione fuori?"
"Ottima idea, andiamo tutti a prenderli".
Deboscia, deboscia completa.
"Ricordate che per ogni professore colpito dai palloni sono due punti, a cinque punti si rientra in classe".
Una palla vola in mezzo a due insegnanti che chiacchierano.
"Ops, scusateci. Quanti punti sono?"
"Niente punti per stavolta, non ci avete colpite. Anzi, è stato un tiro molto elegante".

L'anno scolastico sta finendo. Evviva l'anno scolastico.
Ma il prossimo, per favore, lo vorremmo meno tormentato.

venerdì 4 giugno 2021

Piccole donne - Louisa May Alcott



Da Natale a Natale, Piccole donne racconta le vicende di una famiglia tutta al femminile durante un anno della Guerra di Secessione. L'uomo di casa, ovvero il padre di famiglia, è al fronte a fare il cappellano militare, e della guerra non si parla altro che come grave e dolorosa circostanza che, appunto, costringe gli uomini al fronte per obbedire al richiamo della Patria. Di solito chi legge sa che la guerra in corso è una guerra civile, dove americani combattono contro altri americani e che verrà vinta dalla parte cui la famiglia March appartiene, ma anche se non lo sa la lettura non ne risente: nessuno legge bollettini di guerra, e nessuno commenta l'andamento del conflitto, papà è  al fronte perché c'è la guerra e questo è quanto. Per sostenere la guerra al fronte, la famiglia decide per solidarietà di devolvere all'esercito i soldi destinati ai regali di Natale. Poi, siccome Natale non sarebbe Natale senza regali, come proclama Jo in apertura del romanzo, concordano di tenersi qualche spicciolo per scambiarsi comunque dei piccoli regali simbolici.
La famiglia è composta dalla madre, donna saggia e misurata quant'altre mai ma che soffre acutamente la mancanza del suo amato marito (e dei suoi saggi consigli) più quattro figlie a scalare, che all'inizio del romanzo hanno rispettivamente sedici, quindici, tredici e dodici anni - quattro ragazze con caratteri molto diversi tra loro. Poi c'è Hannah, la fedele cameriera che è rimasta a servizio della famiglia senza stipendio ed è pure lei una personificazione del buon senso oltre che della fedeltà, fonte di aiuto concreto ma anche di consigli per le ragazze.
A tutt'oggi è un libro molto letto tra le giovinette, le quattro ragazze March sono rimaste nell'immaginario collettivo e nel corso di un secolo e mezzo dal libro sono stati tratti in continuazione film, cartoni animati, serie a fumetti e, almeno in Italia, una serie di versioni ridotte di cui secondo me potevamo fare benissimo a meno. Una di queste versioni ridotte mi fu regalata per Natale dai miei genitori - che erano del tutto inconsapevoli che fosse ridotta, altrimenti me ne avrebbero cercata una integrale. 
Siccome le ragazze sono quattro caratteri a tutto tondo è difficile riassumerle in una parola, per cui non ci provo nemmeno. Durante l'anno comunque ognuna di loro attraversa prove di vario tipo e momenti drammatici, uscendone cambiata perché a quell'età in un anno si cambia moltissimo. A fine anno, durante il secondo Natale, il padre ritorna, ancora debole dopo una lunga malattia, ed elargisce a tutte e quattro molti complimenti e un attestato di buona condotta.
La trama è tutta qui, e del resto la conoscono tutti. Posso aggiungere che è un libro interessante da rileggere nelle varie stagioni della vita, perché ogni volta ci si trovano dei nuovi spunti di riflessione - specialmente quando la versione integrale la leggi per la prima volta a trent'anni, com'è successo a me.
Qualcuno si dichiara seccato dal tono moralistico che pervade tutto il libro. Per me è invece uno dei tratti più affascinanti, perché è molto sentito e anche piuttosto originale. Di fatto, i valori della famiglia March sono abbastanza insoliti, e la base culturale anche. Qua e là le ragazze parlando lasciano scivolare (soprattutto Jo) citazioni abbastanza insolite di autori che normalmente nei libri per ragazzi non compaiono nemmeno di striscio. Si tratta insomma di una famiglia di intellettuali. Squattrinati.
Un tempo (qualche anno prima) la famiglia era piuttosto benestante, ma "il padre aveva perso i suoi soldi per aiutare un amico in difficoltà" - cosa su cui nessuna delle protagoniste trova da ridire, nemmeno col pensiero. Cresciute in una iniziale situazione di ricchezza le ragazze sono quindi state sbalzate in una situazione di relativa povertà, mantenendo comunque un giro di amicizie piuttosto ricche che frequentano senza farsi particolari problemi. Le due figlie maggiori lavorano a mezza giornata, con classici lavori da ragazze squattrinate di buona famiglia: rispettivamente istitutrice e dama di compagnia - e lo fanno al preciso scopo di aiutare in casa, ma la casa a quanto sembra non è poi messa così male.
La famiglia abita in una graziosa villetta con giardino, pratica un po' di beneficenza (che rischierà di pagare a caro prezzo, quando l'angelica Beth verrà contagiata proprio dalla famiglia da loro assistita), risparmiano soprattutto sui vestiti che sono piuttosto semplici  (e sulla servitù) e i problemi principali sono la mancanza di abiti da sera, stivaletti alla moda e un pianoforte professionale per la musicista di casa - e siamo d'accordo che non sono mancanze da poco, ma la tavola è comunque ben fornita e il carbone per il riscaldamento non manca, il bilancio di casa quadra senza troppi problemi e non ci sono fornitori insoddisfatti che vagano minacciosi intorno alla villetta. Una dignitosa povertà, insomma, che non ha niente da spartire con la miseria.
Il problema salta fuori principalmente per la presenza degli amici ricchi - non i vicini di casa Lawrence, da cui si accetta tutto o quasi senza difficoltà, anche perché sanno offrire con molto garbo, ma le compagne di scuola di Amy e soprattutto le amiche di Meg.
Uno dei miei capitoli preferiti, anche quando leggevo il romanzo in versione sforbiciata, è stato proprio quello dove Meg va alla Fiera delle Vanità: gli ospiti sono brave persone a modo loro, accolgono la ragazza con grande affetto e la coprono di cortesie ma per tutto il tempo la giovanissima lettrice fiorentina degli anni 60 sentiva che c'era qualcosa che non andava, anche se lo champagne era stato implacabilmente tagliato via dall'adattatore, insieme a buona parte dei commenti e dei sospiri legati all'abito di tarlatana, che gli ospiti trovano assolutamente inadatto pur sforzandosi di non farlo capire; e quando Meg si fa vestire all'ultima moda  dalle amiche assolutamente ben intenzionate (e lo fa sapendo di sbagliare e paga il suo errore con un lungo pentimento) la lettrice si rendeva conto che c'era qualcosa di sbagliato, ma non riusciva a capire con precisione di cosa esattamente si trattasse: in fondo era tutto molto rispettabile, la madre ospite non faceva nulla per impedirlo e quindi dov'era il problema?
Il problema, e alla fine ci arriva anche la lettrice sprovveduta, era che Meg viene infiocchettata per essere messa sul mercato della buona società - che è una cosa che il rigido codice morale dei March disapprova, e avrebbe con tutta probabilità disapprovato assai anche se la famiglia avesse mantenuto il trascorso benessere: lo champagne non andava bene, il busto stretto nemmeno, gli orecchini men che mai; e infatti anche il ricchissimo Laurie Lawrence disapprova. Il problema non è solo nella falsità dell'insieme, ma anche negli occhi di chi guarda interpretando il tutto con la mentalità di chi, su quel mercato, ci vive e ci mette anche le sue figlie senza farsi problemi. Meg scopre la verità ascoltando le chiacchiere degli invitati sulle mire matrimoniali attribuite a sua madre - e dopo aver "goduto" le gioie del bel mondo finisce per fidanzarsi senza ombra di rimpianto con un istitutore squattrinato, che le darà una vita dignitosa ma che certo ricco non diventerà mai - ma sarà un buon marito e soprattutto le piace (che è sempre il criterio più valido per scegliersi un consorte).

In casa March vige una ferrea disciplina: si obbedisce ai genitori, punto (nel caso in cui ci sia solo la madre, chiaramente, si obbedisce alla madre). Si può cautamente provare a insistere, allora la madre spiega pacatamente le sue ragioni, che non sempre convincono appieno le ragazze, almeno all'inizio - ma la possibilità della disobbedienza, aperta o nascosta, non è nemmeno presa in considerazione. "Mamma non vuole" e "Mamma ha detto di no" sono due argomenti definitivi, che non ammettono replica. Tutto ciò non per evitare una punizione (non ci sono punizioni in casa March; o almeno, non ci sono punizioni elargite dai genitori, che si fanno un punto d'onore di guidare le ragazze esclusivamente attraverso l'amore e la libera discussione), ma talvolta è la vita stessa ad elargirle, senza alcun intervento genitoriale. Molto spesso, addirittura, non ci sono nemmeno rimproveri, ma solo amorevoli segnalazioni di dove si è sbagliato. A rendere obbedienti le ragazze non è la paura di una sanzione o di un rimprovero, ma la paura del dispiacere che proverebbero per avere in qualche modo addolorato i loro genitori. Quando ci sono stati errori però questi vengono accuratamente analizzati nelle motivazioni e a quel punto le esortazioni a fare meglio e i buoni consigli non mancano. In tutti i casi le ragazze sono consapevoli che l'amore dei genitori è garantito, qualsiasi cosa succeda - quello che non è invece garantita proprio per niente è l'approvazione o l'aiuto a perseverare nell'errore o a scansare le conseguenze dell'errore. Di violenza fisica, naturalmente, manco a parlarne, anzi la madre disapprova fortissimamente le bacchettate ricevute da Amy a scuola per una disobbedienza - ma senza scusare in nessun modo la disobbedienza; solo, le bacchettate proprio no, in ogni caso. Nella scuola della fine del secolo scorso era un ragionamento addirittura rivoluzionario, e faticò non poco a diventare legge (da noi le percosse agli alunni sono state ufficialmente vietate solo verso la fine degli anni 60, anche se già mia nonna, durante la guerra, andò a rampognare l'insegnante che aveva bacchettato la figlia minore in una scuoletta di campagna, ai tempi dello sfollamento, e per quanto ne so a Firenze negli anni 30 non si vedevano né bacchettate né i tradizionali ceci secchi dietro la lavagna su cui tenere in ginocchio gli alunni rei di qualche errore, pure molto spesso citati nei modi di dire).

Le regole saldamente interiorizzate consentono alle ragazze March una notevole libertà: al contrario delle ragazze italiane dell'epoca e ben più delle ragazze vittoriane loro contemporanee, le sorelle March coltivano i loro interessi, vanno a teatro, pattinano, organizzano un circolo più o meno culturale e recite casalinghe e in più dispongono di  un solido e amorevole punto di riferimento cui confidare dubbi e difficoltà (due punti di riferimento, alla fine del romanzo, quando il padre ritorna) - che non è una fortuna che capita a tutti i ragazzi. Come ho già scritto, le sedute di autocoscienza in casa March abbondano, e perfino quando la famiglia sarà quasi dispersa, nel momento più critico del romanzo, quando sia il padre che una delle sorelle sono in punto di morte, anche la piccola Amy approfitterà del forzato soggiorno dalla zia per dedicarsi all'introspezione e meditare sui suoi difetti proponendosi di emendarli.
A questo proposito vorrei aggiungere che Amy, giovane aspirante arrampicatrice sociale e assai dedita alle frivolezze (ma sempre in modo molto compito, assistita com'è da un buon gusto che nel resto della famiglia sembra scarseggiare) ai miei occhi di lettrice adulta è risultata il personaggio più interessante proprio perché è quella che per natura più si discosta dai valori morali che predominano in famiglia e che dunque si ritrova con il cammino più difficile da percorrere; il fatto che la sorella più vicina a lei per età sia universalmente riconosciuta come un angelo incarnato - stato che raggiunge senza grandi difficoltà perché invece assai predisposta a questo appunto dalla sua natura completamente diversa da quella della sorella -  non le semplifica certo le cose.
Una delle tesi di fondo del romanzo potrebbe dunque essere "E' possibile essere persone autentiche in un mondo che sembra dare importanza soprattutto alle apparenze? Sì (segue dibattito)". Tesi affascinante, e affrontata con incrollabile ottimismo. Alla fine del romanzo il fondo di originalità dei March è rimasto intatto, e i fatti e la buona sorte gli han dato ragione: padre e figlia sono sopravvissuti alle malattie, Jo ha pubblicato il suo primo racconto, Meg si è fidanzata (fidanzamento assai deprecato dal Bel Mondo, per l'occasione impersonato dalla zia) e Amy... beh, per il momento Amy ha rimediato solo un paio di graziosi anellini, ma è anche definitivamente uscita dall'infanzia dopo qualche esperienza piuttosto brusca.
Nel romanzo ci sono infine anche alcuni graziosi gattini che allietano il quadro.

Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma e auguro a chiunque passi da qui buone letture all'aperto, ché l'estate alla fine è arrivata davvero.