domenica 28 febbraio 2021

Palle illegali e insegnanti incoerenti

I nostri alunni non giocano con palle di pelliccia (e nemmeno di pelle di pollo)

Com'è ampiamente noto a chiunque sia stato in cattedra per più di dieci minuti, gli italici alunni, soprattutto se afferenti al sesso maschile, nutrono un amore assoluto e totale per le palle da gioco. E com'è parimenti noto a chiunque abbia avuto la ventura di frequentare un Collegio Docenti a St. Mary Mead per più di dieci minuti, scrivere nel regolamento della scuola che gli alunni non devono giocare a palla - no, no e ancora no! - sembra essere l'unico collante didattico che salda i docenti tutti.
Tuttavia, al momento di rapportarsi con i ragazzi in questione, l'atteggiamento dei suddetti insegnanti si fa decisamente lasco, a parte qualche generico "Non si può giocare a calcio in corridoio" detto nemmeno a voce troppo alta, e che suscita più o meno gli stessi effetti di un indigeno dell'Amazzonia che dica "Sono contrario alla pioggia": la pioggia continua a cadere, senza filarselo nimmanco di striscio.
In questa condizione a poco serve l'intervento del singolo insegnante: quand'anche costui o costei decidesse di intervenire, basta che si allontani di mezzo metro dall'area incriminata perché il gioco riprenda con rinnovato vigore, per tacere del fatto che vedendo l'altra classe che a due metri di distanza gioca a calcio sotto lo sguardo benevolo del docente di turno, uno si sente pure leggerissimamente ridicolo a insistere nel vietare la stessa cosa alla classe che in quel momento ha in sorveglianza.
E dunque, cosa può fare il singolo insegnante (o, se per questo, il singolo custode)?
Le alternative a disposizione sono 1) fare finta di nulla e diventare improvvisamente ciechi e sordi e 2) partire in crociata contro i mulini a vento, ed entrambe hanno i loro inconvenienti: nel primo caso ci si rivela incoerenti e si toglie credibilità ai regolamenti scolastici, ma nel secondo... ah, scegliendo la seconda strada non solo il nostro indice di gradimento presso gli alunni cala vertiginosamente, ma in più ci ritroviamo guardati dall'utenza con un misto di disprezzo e di delusione e, ah, come sopportare lo Sguardo Deluso dell'Innocenza Tradita?

La vicenda affonda le sue radici lontano nel tempo, quando ancora c'era l'intervallo lungo del Tempo Prolungato. All'epoca gli alunni potevano giocare, sì, ma solo con palle morbide e solo con le mani - e già la questione delle palle morbide presupponeva nell'insegnante adibito alla sorveglianza dei giovinetti una comoetenza che spesso era ben lungi dal possedere: palle morbide, ma non solo quelle di spugna o di pelouche (mai usate, del resto) ma anche palloni dal calcio di un certo tipo, e quale fosse esattamente questo tipo non mi è stato mai dato sapere. Di fatto, i ragazzi giocavano con le mani, con i piedi e con qualsiasi altra parte della loro pregiata anatomia, sotto lo sguardo distaccato dei docenti addetti in quel momento alla sorveglianza.

Che succede se non li fai giocare?
Essi vengono così privati del Giusto Sfogo dell'Energia Compressa datagli da sei ore trascorse fermi come salacche al banco. Oltre ad essere deprivati e frustrati, sono comprensibilmente più elettrici e irrequieti e difficili da gestire.
Che succede se li fai giocare?
Essi sfogano l'energia accumulata, e siccome detta energia è davvero molta, specie con le Terze, il rischio di una gamba rotta si presenta spesso drammaticamente concreto (ma mai realizzato nella mia scuola, a quanto ne so. Non perché gli estremi per una gamba rotta manchino, ma perché San Culo finoira ci ha protetti con le sue benevoli mele).
Siccome in corridoio le palle di tutti i tipi sono vietate, vengono confezionate ad hoc delle palle, diciamo così, alternative, che spesso chiamare "palle" risulta decisamente incongruo.
Le due soluzioni più praticate sono: leggerissime palle formate con fogli accartocciati e tenute in una forma vagamente sferica con lo schotch, oppure palline o semplicemente gettoni da polo confezionati usando la carta stagnola che avvolge le merende. Non rischiano certo di far male a nessuno, loro - il problema è la vitalità selvaggia dei ragazzi che sulla diversamente palla si scatenano con una foga degna davvero di miglior causa, e invero piuttosto rischiosa per sé e per gli altri.
L'altro problema, dal mio punto di vista, è questo desiderio imprescindibile di giocare a palla a tutti i costi, a costo di contentarsi di una palla simbolica, una palla virtuale, una palla piatta eccetera. Trovo questa fissazione vagamente malsana, ma è un problema mio, e non impedirei mai un gioco solo perché a me sembra insulso. Se il Sacro Valore della SimilPalla mi sfugge, lo catalogo tra i miei molti limiti e ci convivo con serenità, perché ritengo che le preferenze personali siano sacre e inviolabili: le mie come quelle degli altri.

Ad ogni modo, ad ogni intervallo spuntano le NonPalle e ad ogni intervallo i ragazzi giocano come se non ci fosse un domani e solo molto occasionalmente qualcuno cerca di impedirglielo, peraltro senza grossi risultati. Ogni tanto, inevitabilmente, qualche VicePreside in vena di Sfoggio d'Autorità fa una sfuriata sul fatto che non si dovrebbe giocare a palla (per poi far giocare con le SimilPalle le sue classi come prima e più di prima, senza vedere ombra di contraddizione in ciò).
La mia delicata coscienza di dama hejan mi porta a vivere la situazione in grande conflitto interiore. Il problema non è la mia opinione personale - cioè che durante gli intervalli i ragazzi dovrebbero essere lasciati liberi di giocare a quel che gli pare e sia quel che sia: sono perfettamente in grado di far applicare una regola che non mi convince, perché in fine sono una fedele e disciplinata servitrice dello stato e  dunque pago regolarmente anche le tasse che non mi convincono e adempio coscienziosamente  a formalità burocratiche a mio avviso perfettamente inutili senza nemmeno pormi il problema; ma qui la questione è più sottile perché c'è una regola e quasi nessuno la applica quasi mai ma tutti si lamentano che non viene applicata; e non serve nemmeno dire "Spiegatemi se va applicata o no, a me va bene tutto" perché tutti, come un sol* docente e custode mi rispondono che sì, va applicata, ma poi loro per primi non la applicano (talvolta me la spiegano proprio così) e il giorno dopo li ritrovi che fanno una sfuriata ai ragazzi che giocano a palla mentre in fondo al corridoio c'è una classe che gioca a palla, arrivando all'estremo della VicePreside di cui sopra che dice "No, non si dovrebbe, ma come si fa?" (che è un punto di vista che capisco anche) salvo poi, appunto, fare una occasionale sfuriata a chi gioca a palla (e qui fatico seriamente a capire).

D'accordo, la mia delicata sensibilità e le questioni di lana caprina e non sarà questo a rovinare una generazione eccetera. 
Ma, non so come mai, nessuno sembra rendersi conto che i ragazzi tutto questa serie di contraddizioni incrociate e carpiate le capiscono benissimo, approfittano delle maglie larghe per fare ciò che sanno essere vietato ma che di fatto quasi nessuno ostacola quasi mai e in cuor loro ci giudicano incoerenti, ipocriti e inaffidabili.
Giustamente, aggiungo.

(magari non è la mia canzone preferita, ma a modo suo è un simbolo)

giovedì 25 febbraio 2021

"Tanto gentili e tanto onesti paion" parte terza (e, si spera, ultima)

                              


Durante le due settimane della Misteriosa Scomparsa della prof. Plusdress infiniti insegnanti, di ventidue che siamo, sono mancati per i più validi motivi, e dunque  la Terza Brillante si è ritrovata ad andare avanti parecchio a sostituzioni con lezioni più o meno improvvisate. Non le mie, naturalmente, ché anzi ho approfittato della situazione per intensificare i lavori soprattutto a Storia, e particolarmente con quella parte interminabile del programma che riguarda il periodo tra le due guerre mondiali.
Quel Venerdì avevo deciso di sbrogliare il Fascismo - o meglio, l'arrivo del Fascismo fino al 1929. A tal scopo mi ero ben studiata le sedici pagine che il manuale gli dedicava e avevo riassunto il tutto in una rapida lezioncina, senza perdermi troppo nei dettagli e nelle cause perché, infine, la causa principale è riconducibile secondo me alla paura che le classi dirigenti avevano del Malefico Contagio Russo. E dunque, una oretta di spiegazione, due chiacchiere, qualche esercizio di ripasso dal libro e poi via verso la crisi del 29.
Armata di queste buone intenzioni entro in classe alla quinta ora e scopro che quel giorno c'erano sette alunni sette.
Chiamasi forca di gruppo, è antica e nobile istituzione, serve (tra l'altro) anche a mandare sulle furie l'insegnante di turno ed è praticata anche dalle classi più integerrime.
Che fare?
Ho fatto un bel sorriso, ho aperto il libro e ho spiegato ai sette presenti che lo spettacolo doveva andare avanti e che quindi avrebbero goduto della mia lezione sintetizzata ma che gli assenti, ohimé, non avendo potuto beneficiare di tanta beatitudine, si sarebbero visti costretti a studiarsi le sedici pagine, e nella lezione seguente avrei interrogato solo loro, gli assenti, anche se nelle mie intenzioni non c'era inizialmente quella di interrogare alcuno, fiduciosa che il rifrullo di What'sUp avrebbe provveduto a riferire tutto ciò.
E' seguita la lezione, l'assegnazione dei compiti (che i presenti non erano tenuti a fare) eccetera.
Si chiama Ritorsione, e di solito si risolve in una pioggia di quattro, in molti sguardi stupiti e in una selva di dichiarazioni che loro non sapevano, che non avevano capito, che non avevano potuto perché erano a Parigi, a salvare il mondo, a intavolare trattative per la pace in Medio Oriente per ordine dell'ONU eccetera.
Così non è stato.
Il Lunedì seguente i due terzi forcaioli della Terza Brillante si sono presentati con gran copia di giustificazioni che li volevano assenti per banali "questioni famigliari" non meglio definite, e mi hanno scodellato sei ottime interrogazioni sulla nascita del fascismo, dove il voto più basso è stato 7+ e il più alto 9.
Poi una ragazza ha detto casualmente che un giorno di vacanza ha fatto loro bene perché così si erano riposati, e gli altri hanno convenuto.
E nessuno ha mostrato la benché minima traccia di Pentimento, o Contrizione - che mi sembra più che giusto.
La Terza Brillante è così, sempre molto edificante (tranne quando smonta banchi).

martedì 23 febbraio 2021

Fecit mihi magna, ovvero il misterioso caso dell'insegnante scomparsa

Il quadro da cui è tratto il particolare riprodotto a sinistra ha una sua certa diffusione e notorietà perciò, a rischio di violare le leggi sul copyright, non starò a raccontare qui chi lo ha dipinto, quando e cosa rappresenta. 
L'ho messo solo come delicato accenno per introdurre un tema assai fertile e collegato con, appunto, la Primavera.

E' noto che i lockdown periodici cui siamo sottoposti ormai da quasi un anno hanno spinto molti a recuperare una concezione più intimistica e casalinga della vita, e corre infatti voce che le nascite siano in aumento. 
D'altro canto, la scuola media di St. Mary Mead da tempo vanta un notevole tasso di fertilità, e in particolar modo la capacità direi taumaturgica di far riprodurre senza problemi anche donne che in precedenza avevano incontrato fatiche e difficoltà, vuoi ad avviare una gravidanza, vuoi a portarla a termine con successo.
Dunque che la poco più che trentenne insegnante di matematica Plusdress sia entrata di recente nello stuolo delle potenziali future madri non è stato per noi motivo di gran stupore di per sé. Tuttavia alcuni elementi han fatto sì che questo lieto evento si sia risolto in gran complicanze.

Tanto per cominciare infatti siamo in tempo di Covid, e dunque alle gestanti viene imposto dai medici di mettersi immediatamente in congedo per maternità, anche se si sentono piene di energie e disponibilissime a proseguire il loro lavoro. Tale prescrizione è a mio avviso assai sennata ma non è stata scevra di complicanze per la scuola, perché andava preso un nuovo docente da una graduatoria notoriamente sguarnita e le convocazioni non potevano partire fin quando non fossero arrivate in Segreteria apposite scartoffie che (sorpresa!) sono andate  un po' per le lunghe.
Il vero problema però era che sulla gravidanza appena avviata la prof. Plusdress, per comprensibile quanto inutile scaramanzia, aveva posto il sacro sigillo del silenzio. 
Insomma, da un giorno all'altro la professoressa Plusdress era sparita e al suo posto era comparsa la prof. Murasaki affiancata da altri colleghi, e tutti, alle comprensibili domande degli alunni, avevano rassicurato le classi che la professoressa era in malattia (che, di fatto, non era neanche vero) assicurando però che non si trattava di Covid - cosa per altro facilmente deducibile perché non era scattata alcuna quarantena per alcuna classe, e tutti ci siamo trincerati dietro alla solita selva di "Non so, non ho idea, non ho chiesto, non c'entro, ero a Parigi, adesso vogliamo parlare un po' delle proposizioni relative?" e simili frasi.
La prof.Plusdress lasciava scoperte tre classi: due Terze e una Prima, assai incline quest'ultima al pettegolezzo.
E dunque da chi sono arrivate le domande più insistenti? No, non dalle Terze che pure, avendo in vista un esame di cui ancora non si sa quasi nulla su come si svolgerà, avrebbero pur i loro motivi per interrogarsi ma che si sono limitati a godersi la parziale vacanza; bensì dalla Prima per la quale, tutto sommato, non cambiava poi granché.
Com'è noto, St. Mary Mead è un paese piccolo e la gente è assai incline a mormorare, alcuni più di altri. E se la Terza Brillante, che si distingue per un certo garbo di fondo, aveva osservato un discreto silenzio dopo due domande di circostanza, mentre la Terza Invasata non ha mostrato alcun interesse per le vicissitudini mediche della loro insegnante, i genitori della Prima si sono slanciati in una ridda di  ipotesi che hanno intasato i gruppi di What'sUp - e naturalmente sono ben presto addivenuti all'ipotesi più probabile per l'improvvisa sparizione, vuoi per elementare buon senso, vuoi perché i segreti a St. Mary Mead è davvero difficile mantenerli dato che quasi tutti hanno un confidente discretissimo cui possono raccontare assolutamente tutto senza preoccuparsi che vada a dirlo in giro - e in un piccolo paese tutti sono il discretissimo confidente di qualcun altro.

La prof. Therral, coordinatrice, si è così ritrovata a fare un annuncio pubblico, con tanto di trombe e tamburi, della gravidanza in corso, aggiungendo che il supplente (che, in barba a tutte le pessimistiche previsioni, è arrivato nel giro di 48 ore scarse) era ancora inesperto e quindi era dovere di tutti aiutarlo - un avviso secondo me piuttosto incauto in una classe che sin dall'inizio dell'anno ha mostrato una singolare tendenza ad insegnare a ogni singolo docente come doveva fare il suo mestiere.
Nel frattempo, al suo arrivo il giovinetto si è visto catapultato nell'età della pietra: da qualche giorno le medie di St. Mary Mead si sono viste tranciare il cavo della connessione in rete. Niente registro elettronico, dunque, quasi niente LIM...  e niente piattaforma, quando una volta tanto la Segreteria era riuscita a compiere il miracolo e a fornirgli mail, credenziali e accessi a tutto quanto in un tempo davvero dignitoso.

Auguri a chi va, dunque, ma anche a chi viene:

    Sì, è un tradizionale gatto giapponese di buon augurio: si dice che porti fortuna e prosperità 
(e anche una connessione in rete a tempi rapidi, si spera)

domenica 21 febbraio 2021

"Tanto gentili e tanto onesti paion" parte seconda, ovvero I Misteri del Cuore Umano


Sala Insegnanti, al cambio dell'ora. Murasaki prepara le domande per il compito di storia.
Entra Inglese.
"Sapete cosa ho sequestrato oggi nella Terza Brillante?"
"Non lo so e non sono affatto sicura di volerlo sapere" rispondo.
"Un bel taglierino". Inglese lo mostra, trionfante "Ce l'aveva in mano Gawain. Gli ho detto di rimetterlo nell'astuccio e lui ha fatto la faccia sconsolata e mi ha pregato 'No, prof, lo prenda lei, è meglio'". 
La guardiamo, perplessi, e lei aggiunge "Vorrei tanto capire perché queste cose le fanno solo con me".
"Probabilmente le fanno anche con me, ma magari non me ne accorgo" provo a consolarla. Di solito, quando vedo manovre strane tendo a lasciar fare in base al principio che la gente va un po' lasciata in pace; meglio ancora, di solito quando vedo manovre strane mi censuro e mi convinco di non vederle. Insomma, devono essere parecchio strane perché mi venga in mente di chiedere chiarimenti.
"E allora dovrebbero farle solo con te e starsene fermini quando sono nelle mie ore. Secondo me vogliono essere beccati".
"Magari non pensino che tu li becchi" suggerisco.
"Magari non pensano proprio" suggerisce una collega.
"Io li ho beccati una volta, mentre svitavano i banchi. Se non volessero essere beccati certe cose non dovrebbero farle con me" osserva sennatamente Inglese "Secondo me vogliono essere beccati".
Ci guardiamo, un po' sconsolate.
Non c'è che dire, il ragionamento fila.
E il cuore umano, invero, è un groviglio assai misterioso.

venerdì 19 febbraio 2021

I Beati Paoli - Luigi Natoli


Probabilmente non avrei mai conosciuto questo libro se non fossi entrata su Facebook, perché solo lì l'ho sentito nominare e quando ho provato a chiedere a qualche amico assai più addentro di me nell'italica letteratura degli ultimi due secoli ho ottenuto solo sguardi assolutamente vuoti. 
In Sicilia invece è molto famoso - probabilmente si tratta, come Il regalo del Mandrogno o La valle dell'orcodi una specie di cult locale conosciuto solo in una regione.

Due o tre anni fa, in quel periodo in cui sui social passavo molto tempo, in uno scambio di commenti politici qualcuno addivenne a parlare di romanzi storici italiani, e qualcun altro disse che il miglior romanzo storico italiano era, senza dubbio, I Beati Paoli
Sgranai gli occhioni, feci una piccola ricerca in rete e mi presi un appunto per quando sarei tornata a girare per biblioteche: se davvero era il migliore romanzo storico italiano, almeno una guardata potevo dargliela.
Qualche mese fa, sempre su Facebook, trovai invece una lunga dissertazione di Dolcezze per la quale è uno di quei libri molto amati su cui ogni tanto si ritorna volentieri; così mi convinsi che davvero era tempo di metterci su le mani, e durante le vacanze di Natale me lo sono letto assai volentieri. Non so se davvero è il miglior romanzo storico italiano, ma di sicuro è un gran bel polpettone e si lascia leggere con gran  piacere e soprattutto molto coinvolgimento - il tipo di romanzo che fa piacere sapere che ti aspetta sul comodino alla fine della giornata.

La storia si snoda su una trentina scarsa di anni, tra il 1798 e il 1718, quasi esclusivamente a Palermo e dintorni. Sotto Palermo, anche, molto spesso. Sembra in effetti che questa bella e stimabile città abbia avuto una intensa vita sotterranea, da fare invidia alle catacombe cristiane. 
Da buon romanzo storico abbonda di personaggi storici, ma non di quelli troppo famosi, anche se il gruppetto dei protagonisti principali è rigorosamente apocrifo. C'è un lungo prologo e poi quattro libri, per un totale di pagine che va intorno alle ottocento-novecento a seconda delle edizioni (ce ne sono state parecchie, ma per lo più di editori locali. Solo di recente sono entrati in scena Sellerio, che è comunque siciliano, e Feltrinelli).
Il prologo, che di pagine ne occupa 75, ci racconta la triste storia di una fanciulla benmaritata ma purtroppo il marito è morto. Peggio che mai, il fratello del marito è vivo. Peggio che peggio, il marito defunto ha fatto in tempo ad elargire alla sposa affranta un bambino, che nasce nelle prime pagine.
Questa dovrebbe essere una bella cosa, in teoria - ma il povero bambino è destinato ad ereditare il patrimonio, mentre il fratello del defunto verso il patrimonio ha ben altre intenzioni, e insomma la povera vedova ha le sue notevoli difficoltà a mantenere in vita sé e il piccolo, e la storia si chiude con una drammatica fuga nella notte e financo con un terremoto - perché I Beati Paoli è quel tipo di libro che non risparmia gli effetti speciali e i colpi di scena.
Inizia così il primo dei quattro libri, dove troviamo un personaggio che non sembra avere niente a che fare  con la vicenda precedente e che si presenta con una scena che ricorda irresistibilmente la prima apparizione di D'Artagnan ne I tre moschettieri. Costui si ritrova impelagato in una serie di avventure alquanto turbinose, e arrivato a pagina cento il lettore, che fino a quel momento non ha visto apparire né Beati né Paoli si domanda perché il sia pur avvincente romanzo ha questo strano titolo - il lettore toscano, o friulano o sardo, certo: il lettore siciliano sa benissimo chi sono i Beati Paoli e si limita ad aspettare con pazienza che entrino in scena, cosa che avviene appunto a pagina 101 dell'edizione che ho letto. Ma da quel momento, di Beati Paoli ci sarà una notevole abbondanza.
E dunque, cosa sono questi Beati Paoli?
Una Presenza, all'inizio impalpabile - una voce, una leggenda, un ricordo del passato. Qualcuno crede che non esistano più da tempo, qualcuno addirittura che non siano mai esistiti e che si tratti solo di un prodotto dell'immaginario collettivo: una misteriosa setta di giustizieri.
Matteo Lo Vecchio, abile investigatore che, almeno all'inizio, ricorda molto Sherlock Holmes (dopo no, diventa davvero troppo antipatico) invece sa benissimo che sono assai reali anche se è davvero molto difficile individuarli. In effetti la trama principale del romanzo è data proprio dal duello sotterraneo tra l'implacabile sbirro e i Beati Paoli. Lo sbirro è abilissimo nel travestirsi, spiare con incrollabile pazienza e interpretare i più piccoli segnali, e più volte arriva quasi a prevalere - ma c'è sempre un quasi che lo frega e che trasforma ogni volta le sue abilissime imboscate in fiaschi colossali. Ogni due-trecento pagine lo sbirro è dato per morto - in un caso ce lo vediamo letteralmente morire sotto gli occhi... quasi - ma poi ce lo ritroviamo, vivo e sempre più incattivito, diverse pagine dopo. Comunque anche i Beati Paoli passano i loro guai.
Ma infine, cosa sono i Beati Paoli?
Una setta segretissima, che si riunisce nei sotterranei di Palermo con rituali vagamente carbonari e vestiti assai simili a quelli del Ku Klux Klan, ma che conta affiliati e alleati tra gli Invisibili, ovvero il popolo minuto, che è sempre disposto ad aiutarli e a collaborare, senza fare troppe domande e spesso abbastanza ignaro di quel che sta succedendo; e tutti collaborano volentieri perché i Beati Paoli sono buoni e amici del popolo e della giustizia. A dire il vero, nel corso del romanzo la giustizia sembra occuparsi soprattutto delle questioni di successione del povero orfanello che abbiamo conosciuto nel prologo - una roba aristocratica, in effetti, e a ben guardare anche il capo dei Beati Paoli è un aristocratico, e trova gravissimo quel che ha fatto il fratello cattivo. Non che abbia torto, in effetti, e va pur aggiunto che il fratello cattivo di cose gravissime continua a farne a carrettate fin quando l'autore decide che è davvero il momento di sopprimerlo (sarà una roba lunga, comunque).
Se siano o no davvero esistiti è cosa incerta, come ci spiega una ricca introduzione storica (che comunque conviene leggere solo dopo aver terminato la lettura). Si tratta comunque di una leggenda/vicenda saldamente radicata nel folklore siciliano ed esistono svariati studi sull'argomento, anche piuttosto recenti e ognuno con la sua teoria. Visto che non esistono fonti scritte, e visto che nessuna società segreta pubblica gli atti delle sue vicende, la questione sembra destinata a restare aperta ma chissà.

Il romanzo si snoda tra imboscate, agguati, duelli, assalti a tradimento, tradimenti di tutti i tipi, parenti decisamente serpenti, ma anche agnizioni, amori contrastati e avventurosi, figli illegittimi, figlie perseguitate eccetera, e c'è pure la figura semiufficiale del bastardo riconosciuto, che nel diritto siciliano in mancanza di altri eredi legittimi poteva ereditare financo il titolo oltre che il patrimonio; fino ad arrivare al finale dove i pochissimi protagonisti sopravvissuti si sistemano e c'è anche un matrimonio che corona finalmente una storia d'amore che sembrava destinata a finale ben più malinconico. Da notare che sia i Beati Paoli, sia l'abile sbirro, sia il Perfido Fratello sia il resto dei personaggi operano, fanno, disfano e si complicano la vita sotto gli occhi di una polizia e di un governo assolutamente ignari di tutta la vicenda, che pure ogni tanto emerge in superficie in modo davvero appariscente ma viene sempre sistemata con poche e blande parolette (o molte e consistenti monete) che il protagonista di turno ritiene opportuno rifilare per placare ogni ombra di sospetto o di interventismo - e sotto questo aspetto, sì, è senz'altro un eccellente romanzo storico italiano.

E' una lettura  avvincente e interessante, ma anche istruttiva. Sul piano storico, prima di tutto (non è che siano in molti a conoscere nei dettagli le vicende della dominazione sabauda in Sicilia, men che meno l'entusiasmo iniziale che suscitò in certi ambienti), ma anche cittadino: Palermo recita benissimo ed è descritta con gran cura (pare anzi che la ricostruzione storica sia estremamente precisa. Naturalmente con me si vince comunque facile perché non conosco né la Palermo moderna né quella dell'epoca in cui fu pubblicato il romanzo né tantomeno la Palermo settecentesca) e la ricostruzione della vita quotidiana è dettagliata e molto persuasiva. 
I personaggi sono un po' strani (e chi di noi non lo è?) ma va pur riconosciuto che, avviluppati come sono in una trama del genere, qualche stranezza di carattere è inevitabile che salti fuori. 
Non è esattamente una lettura briosa, anche se in qualche punto le scene sono divertenti - si tratta però, di solito, di un umorismo un po' noir. Ecco, l'atmosfera di fondo è piuttosto cupa, e anche il lieto fine non è poi incredibilmente lieto; la quasi totalità dei personaggi passa le ottocento pagine a soffrire, i buoni come i cattivi, ma al contrario di quel che succede negli altri romanzi storici, quasi nessuno riesce a trarre il benché minimo conforto nella fede e quindi soffrono vieppiù.
La vicenda è interessante e movimentata, e davvero non si corre il rischio di annoiarsi. Nel complesso, come ho già detto, è un magnifico polpettone, e mi sento di consigliarlo soprattutto per le lunghe serate d'inverno.

Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homedemamma e auguro buone letture a tutti quelli che sono finiti questa settimana in zona arancione o rossa, con la speranza che la primavera ci porti consiglio.

mercoledì 17 febbraio 2021

17 Febbraio 2021 - Giornata Nazionale del Gatto


Ed ecco di nuovo il giorno della Festa Nazionale del Gatto, in cui tutti noi gattari onoriamo doverosamente queste belle e amabili creature che tanto allietano le nostre vite con il loro affetto e la loro compagnia. 
Stavolta voglio dedicarla ai gatti che decorano la mia magione, o più esattamente alle gatte, presentando le nuove arrivate.

Chi segue regolarmente questo blog sa che casa mia poteva già da tempo contare sulla piacevolissima presenza di ben tre gatte: le splendide Ninphadora e Astrifiammante, entrambe nere, e la pregiatissima Azzurra (che nonostante il nome è bianca e nera). Di recente però una persona a me molto cara ci ha lasciato, affidandomi le sue due gatte: Griselda 


e Fiammetta


due sorelle di ormai tredici anni dal nome di purissima ispirazione boccaccesca.
Le poverine si sono trovate nel giro di pochi giorni non solo a perdere il loro umano di riferimento, cui erano molto affezionate, non solo in convivenza forzata con tre gatte, ma anche a lasciare la loro lussuosa villa di campagna per approdare... no, il mio non è un piccolo appartamento senza sbocchi sul verde, ma va detto che da quando le nuove arrivate sono qui (due settimane scarse) non solo non sono uscite, ma nemmeno si sono pur lontanamente accostate a una porta o una finestra - e del resto va pur riconosciuto che il tempo, in verità, non è dei più invitanti per darsi alle esplorazioni: do comunque per scontato che la primavera chiamerà presto tutti fuori col suo invitante richiamo a base di fiori, farfalle, prati in fiore e alberi che aspettano di adempiere al loro ruolo di Graffiatoi Verdi e Palestre Ecologiche.

A tutte e cinque quindi vanno i miei migliori auguri, estesi a tutti i gatti nazionali e internazionali. Purtroppo i gatti (come gli umani) non sono per sempre, al contrario dei diamanti, ma ognuno di loro sa come lasciare impronte profonde nei nostri cuori.

lunedì 15 febbraio 2021

Lunedì film - 1917 (film per le medie)


 Addentata la prima guerra mondiale, è arrivata l'inevitabile richiesta "Prof, ci fa vedere un film?". 
Ho promesso che sì, certamente, si trattava però di trovare il tempo e l'occasione perché quest'anno si sa che viviamo come color che son sospesi, e per vedere un film servono almeno due ore.
Il vero problema però era un altro: quale film? 
Come tutti gli insegnanti di storia ho un piccolo carniere di film da selezionare per l'occasione ma ero incerta.
La grande guerra è un ottimo film, ma lo vedevo troppo accentrato sull'Italia e negli ultimi anni sono più portata a considerare la storia da un punto di vista internazionale: la prima guerra mondiale è stata un suicidio collettivo dove tutte le classi dirigenti d'Europa si infilarono con grande stoltezza e rimasero con deplorevole ostinazione, accettando che una intera generazione fosse massacrata e torturata per anni per poi tornare in un paese ben più povero di prima, indipendentemente dal fatto di avere vinto o perso. Dal mio punto di vista, l'unico politico raziocinante in quel disastro fu Lenin, che appena ne ebbe la possibilità tirò il suo paese fuori da quell'orrore e anzi proprio per quello fece la rivoluzione.
Allora Orizzonti di gloria?
Non mi convinceva troppo nemmeno quello, anche se ha delle ottime sequenze sulla guerra. Volevo qualcosa di meno concettoso.
Così mi sono rivolta alle colleghe, e la prof. Ghirlandai mi ha suggerito 1917, garantendomi che i ragazzi lo avrebbero apprezzato anche se era un po' lento, perché "Sì, è un po' lento ma non te ne accorgi".
C'era poi un piccolo gadget supplementare: era un film nuovo, nuovissimo. Come si vede dalla locandina è arrivato in sala il 23 Gennaio. Del 2020. Ovvero uno degli ultimissimi film che si sono potuti vedere in sala, anche se con qualche preoccupazione, dopo le prime due settimane.
In pratica, quasi una prima visione.

La trama è piuttosto esile: due giovani soldati vengono spediti in tutta fretta in un altro punto del fronte dove sta per verificarsi un attacco all'apparenza di sicuro successo: infatti i tedeschi si sono ritirati lasciando libero il campo... beh, facendo finta di lasciare libero il campo, in realtà si tratta di una tagliola ben organizzata. Scoperto il trucco, i due soldati devono impedire l'attacco mediante apposita lettera di contrordine di un generale - portata a mano perché le linee telefoniche sono interrotte.
I due giovinetti accettano, soprattutto quello che ha il fratello nelle truppe destinate all'attacco; l'altro, a dire il vero, ne farebbe anche a meno ma ormai non può tirarsi indietro.
Il viaggio va fatto di notte, attraversando la Terra di Nessuno, e si presenta come una missione decisamente pericolosa. 
Il film racconta appunto la storia di questo viaggio, quasi in tempo reale. Prima il percorso nelle trincee inglesi, poi l'attraversamento della Terra di Nessuno con un paio di incontri del tutto imprevisti (tra i quali un bunker che esplode), l'incontro con delle truppe inglesi dirette al nuovo fronte che danno un passaggio, l'attraversamento di un villaggio francese completamente distrutto dalle bombe dove allo spettatore italiano viene subito in mente San Martino del Carso di Ungaretti, l'incontro-scontro con una pattuglia tedesca e finalmente l'arrivo al fronte inglese, dove ahimè la prima ondata dell'attacco è già partita ma almeno si riesce a bloccare la seconda. Ovviamente partono in due ma ne arriva uno solo, e sempre più ovviamente quello che arriva non è il più motivato (va di moda così, nelle sceneggiature, non solo negli ultimi anni).

Come ha osservato giustamente la collega di Inglese che ce lo ha fornito, la struttura è molto simile a quella di un videogioco, dove i protagonisti affrontano una serie di difficoltà prefissate collezionando punteggi e penalità. Ma io l'ho visto piuttosto come un documentario, di quelli fatti molto bene e con le scene cucite insieme da un po' di trama. Dopo averlo visto si sa perfettamente com'era fatta una trincea, come funzionava la distribuzione del rancio, o l'infermeria militare, cos'era la Terra di Nessuno, cosa ti poteva succedere se guidavi un aereo da combattimento... c'è veramente un po' di tutto, con moltissime esplosioni, edifici e corpi sventrati, vita quotidiana dei soldati, terreni sconvolti dalle bombe, cadaveri cadaveri e ancora cadaveri (compresi quelli dei cavalli), naturalmente in decomposizione ma talvolta anche freschi, camion bloccati dal fango, piastrine di riconoscimento, e perfino qualche civile.
Eccellente fotografia, dialoghi molto credibili (alla base ci sono una serie di ricordi di guerra di reduci), scenari assai ben ricostruiti e perfino il classico, immancabile ufficiale che vorrebbe condurre comunque l'attacco nonostante tutto, preannunciato dalla raccomandazione fatta da un sergente ai due soldati di porgere la lettera solo in presenza di testimoni, perché con gli ufficiali non si sa mai - insomma una ottima ricostruzione di quella che è stata una colossale follia molto mal organizzata.

Assolutamente perfetto per una scolaresca di terza media che con le descrizioni scritte certe cose mai e poi mai arriverebbe a immaginarsele (perché per fortuna sono cresciuti in quello che non è certo il migliore dei mondi possibili, ma almeno in trincea non li hanno ancora mandati, né loro né i loro fratelli maggiori).
Ma anche l'insegnante ha avuto occasione di imparare parecchie cose.

venerdì 5 febbraio 2021

Le ultime levatrici dell'East End - Jennifer Worth

 


Nel 2009, quattro anni dopo Tra le vite di Londra arriva il terzo e ultimo frutto di questo interessante studio in tre volumi sul rapporto tra il cittadino delle classi basse e lo stato inglese, tra la fine dell'Ottocento e gli anni 50 del secolo scorso iniziato con Chiamate la levatrice.
Ci sono tutti gli ingredienti dei due libri precedenti: le suore di Nonnanton House, un po' di autobiografia, i racconti di parti decisamente avventurosi, il colore locale e la ricerca storica.
Parti gemellari e financo trigemini non previsti; la Gran Questione dell'espulsione della placenta (un momento, dal punto di vista medico, importante quanto l'uscita alla luce del nuovo nato ma molto più critico se intorno non c'è una persona preparata a gestire questa particolare fase del parto, importante quanto misconosciuta dai non addetti ai lavori e che, se non ben gestita, rischia di lasciare il nuovo nato orfano o a forte rischio di diventarlo;  la sorpresa di ritrovarsi a gestire un parto su una nave mercantile, ovvero un posto dove in teoria non è ammessa la presenza di donne - ma evidentemente se c'è un parto allora c'è anche almeno una donna; e tante altre sorprese inevitabili in un lavoro come quello della levatrice, dove il bambino quando arriva arriva e non importa se non te ne sei accorta, se non è il momento giusto, se la situazione non è adeguata o semplicemente se quel bambino lì non dovrebbe proprio esserci.
La presenza della levatrice forza la situazione verso l'ufficialità, che ai tempi del parto in casa era tutt'altro che scontata - e ai bambini non registrati all'anagrafe è dedicato un capitolo che va dal fascinoso al terrificante, ma che dovrebbe portare gli storici al riflettere sulle lacune inevitabili in una storia ricostruita con fonti i redatte quasi esclusivamente al maschile.
Come nel primo libro Chiamate la levatrice ci sono sezioni storiche dedicate a tematiche mediche di vario tipo, ma stavolta sono più approfondite, e soprattutto vanno più indietro nel tempo aiutandoci a comprendere meglio l'Inghilterra della seconda metà dell'Ottocento.

Prima di tutto la tubercolosi - un argomento di cui tutti sappiamo qualcosa, non fosse che per avere visto un qualche adattamento della Signora delle camelie o di un qualche romanzo ottocentesco dove  assai spesso si moriva per consunzione (magari in apparenza innestata da qualche dispiacere, di solito sentimentale) ma che difficilmente abbiamo presente con chiarezza in tutta la sua portata. Una pandemia, volendo - ma mai davvero registrata come tale, che ha covato sottotraccia in tutta Europa per molti e molti decenni, fin quando il vaccino è riuscito ad eliminarla in un paio di generazioni, e così bene che la scompoarsa della malattia ha a sua volta fatto sparire la vaccinazione.
Oppure le lavorazioni pericolose in fabbrica - per esempio la mandibola del fosforo. Vogliamo parlare della durata media della vita di un operaio o, peggio ancora, di una operaia?
E, di nuovo, la prostituzione e le malattie veneree - nonché la legge inglese ben oltre i limiti del sadismo che serviva, in teoria, a limitarne la diffusione; e qui di nuovo rientra in scena sorella Monica Joan che, forte di una esperienza che parte dalla fine dell'Ottocento, racconta molte cose all'autrice, che poi in seguito deciderà di approfondirle.
E anche, trattato molto diffusamente, un argomento che sembrerebbe agli antipodi per una levatrice: l'aborto volontario.
Ho così scoperto che l'Inghilterra sempre tanto all'avanguardia non lo era poi tanto: l'aborto lì divenne una pratica legale solo nel 1967 (da noi nel 1978, non molto tempo dopo a ben guardare) e fino a quel momento anche le donne inglesi dovevano arrangiarsi sui tavoli da cucina con i ferri da calza, i cucchiai e altre piacevolezze ma solo quelle povere, perché per quelle ricche c'erano da tempo medici ben attrezzati a disposizione).
Descritti dal punto di vista medico questi aborti erano non soltanto spaventosamente pericolosi, ma talvolta, addirittura inefficaci - e questa per me è stata una sorpresa, ma dopo la descrizione medica mi sono resa conto che in effetti la possibilità c'era, ed era tutt'altro che remota. Certo, quando ero ragazzina e i cortei femministi infuriavano la tragica realtà degli aborti clandestini era descritta per sommi capi in tanti articoli di giornale (molto, molto meno nelle trasmissioni televisive) ma sempre da gente che di medicina ci capiva il giusto e si concentrava soprattutto su cupe descrizioni della cruenta pratica dall'esterno. Ma di nuovo viene da domandarsi con che coraggio i vari parlamenti tollerassero (e ahimé, tuttora tollerino in tanti paesi) che le cittadine del loro paese si ritrovassero così sole e abbandonate in momenti così difficili - perché, esattamente come il parto e anzi ancor più a lungo, l'aborto è sempre stato considerato un affare che riguardava solo e soltanto le donne anche se il figlio è, per antica tradizione, qualcosa di cui si avvia la produzione in due.

Come annunciato dal titolo, il volume si chiude con la descrizione della fine di questa eroica avventura: la morte di Sorella Monica Jean, l'arrivo della pillola che indirizzerà le suore di Nonnantus House verso nuove missioni, risolvendo molti problemi alla radice, e le diverse scelte di vita delle varie infermiere, ognuna con la sua storia - a volte, invero, assai complicata, perché complicata è la vita, e non soltanto per le levatrici.

Lettura assai consigliata, dunque; e mi ha fatto davvero molto piacere scoprire dai commenti che,  dal mio piccolo blog di periferia, anch'io ho contribuito in minima parte a diffonderne la lettura.

Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma, in tono un po' minore perché, dopo diverse settimane tranquille, oggi la scuola media di St. Mary Mead festeggia l'entrata in classifica di ben due positivi in un giorno solo. E dunque, insieme ai soliti auguri di buona lettura, aggiungo per chiunque passasse di qua un caldo invito a  mantenersi negativo e la solerte raccomandazione di usare sempre adeguati dispositivi di protezione e curare il distanziamento sociale.

mercoledì 3 febbraio 2021

Scrutini - L'amore per la simmetria

 

Durante gli scorsi scrutini di fine anno, in un gran rutilare di otto, nove e financo qualche dieci per la Terza Brillante, nel bel mezzo della pagella particolarmente brillante di una brava Corvonero, il mio otto a storia risultava il voto più basso.
A dire il vero in quell'occasione e con quella classe mi ero decisamente sdata, vuoi perché durante la Didattica a Distanza la classe aveva molto collaborato, ma anche perché i risultati erano stati ottimi. La Corvonero però aveva riportato una media leggermente sotto all'otto e nel complesso, anche se aveva fatto cose assai belle, ne aveva fatte un po' meno di altri. Nel suo otto però dal mio punto di vista non c'era nulla di punitivo: aveva lavorato da otto, e otto le davo.
La Preside Caramell però, davanti alla fila di nove dove il mio otto risultava il voto più basso, disse "Direi che possiamo alzare quest'otto a nove".
Il collegamento non era dei migliori, così chi non parlava teneva il microfono spento, e siccome il collegamento non era dei migliori quando lo si riapriva ci metteva qualche secondo a funzionare. Quando mi ripartì l'audio Jorge stava già diligentemente alzando il voto.
"E' d'accordo, Murasaki?" insisté la Preside.
"No" dissi io, ribollendo in cuor mio di indignazione. Non diedi argomenti né tantomeno mi scusai, in base al principio che quel che non dici difficilmente può essere manipolato in presenza di testimoni, ma ero prontissima a tirare fuori un discorsetto sul fatto che se il Consiglio votava per cambiare il voto, allora il voto sarebbe cambiato ma chiedevo la messa a verbale della cosa. Comunque, vuoi la fretta che c'è sempre in questi casi perché la Preside Caramell adora darci tempi strettissimi per gli scrutini per poi tirare via perché non c'è tempo davanti a un qualsiasi accenno non dico di discussione ma di riflessione collettiva, vuoi perché la mia risposta non conteneva ombra di esitazione, l'otto rimase.
L'episodio mi lasciò sgradevolmente sorpresa. Veniva in coda a un tentativo degli scrutini precedenti  da parte della prof. Therral di farmi alzare un voto discordante dagli altri (più basso, guarda caso), ma un collega che interviene per cambiare un voto mi sembrava cosa meno grave e l'avevo liquidato nell'ambito delle stravaganze - e poi non avevo nessuna voglia di litigare con l'ottima prof. Therral cui mi lega una salda stima e la comune esperienza in trincea di un anno con Cristaccecami. 
Che una Dirigente cercasse di manovrare i voti, era cosa a cui avevo assistito molto raramente, ma di solito era per aggirare possibili bocciature. Il Gran Problema dell'Otto che non è Nove, ecco, davvero mi sfuggiva. La Corvonero era brava, era ben possibile che il suo rapporto con Storia (tutt'altro che critico, visto che aveva otto) migliorasse, ma alfine, se Storia più di tanto non la entusiasmava e non si era profusa in effetti speciali come altri, non erano un po' affari suoi? Non ha l'alunno il diritto di accentrare i suoi sforzi verso le materie che più lo interessano, una volta raggiunto un livello ben più che rispettabile? 

Quest'anno, stessa situazione per la Prima Manipolatrice: una filata di otto dove i miei due sette spiccavano.... spiccavano? Boh, a me non sembrava ci fosse niente di strano in un diligente alunno che, in una collezione di otto, ci aveva pure due sette, tanto più che in quella classe di sette ne avevo dati una pioggia: dal mio punto di vista sono attestati quasi tutti sul un livello più che dignitoso ma non tanto alto da arrivare all'otto. Niente di male, per carità: una scheda dove il voto più basso è sette non mi sembra proprio motivo valido di rammarico per alcuno.
Di nuovo però la Preside Caramell è intervenuta chiedendo se potevo alzare i due sette. Stavolta i microfoni erano aperti e il collegamento ottimo, perciò il mio "No" è risuonato chiaramente già alla prima richiesta.
Chiaramente, se richiesta mi sarei profusa in argomentazioni e pezze d'appoggio senza far problemi: il tempo in cui esporre le mie motivazioni davanti a un pubblico ristretto mi costava un po' di sforzo per me è finito intorno ai quindici anni. Comunque, la Preside non ci ha provato. Non ci prova con nessuno, lascia solo che la gente si perda in discorsi e giustificazioni riuscendo ad apparire confusa e fallace anche quando il voto è stato assegnato con la più impeccabile delle procedure e motivazioni.

Premesso che disapprovo sempre e comunque e per principio il Dirigente che chiede di cambiare i voti, mentre al massimo dovrebbe invitare il Consiglio a un attimo di riflessione esponendo qualche cazzo di motivo per la richiesta, mi rendo conto però che in questo specifico caso, con la Preside Caramell non è giusto irritarsi: ella infatti non interviene per il piacere di intromettersi o per evitare bocciature, lo fa principalmente per rispettare il nobile principio di simmetria e di ordine, e ha avuto la fortuna di trovare insegnanti amanti della simmetria come lei.
Hai quasi tutti otto? Meglio se sono tutti, così la media viene rotonda.
Hai quasi tutti nove? Meglio se togliamo il bruscolino dalla media. Eccetera.
Perché un buono scrutinio è anche e soprattutto una raffinata opera di design.
In effetti, da brava dama hejan, dovrei apprezzare questo raffinato senso delle sfumature.
Di fatto, lo trovo piuttosto offensivo verso l'alunno, che in questo modo mi sembra privato del diritto di avere interessi specifici e forzato in uno stampo.
(Perché la Preside è un po' strana, ma anch'io non scherzo)