venerdì 25 ottobre 2019

Chiamate la levatrice - Jennifer Worth

Di questa lettura sono debitrice al Venerdì del libro di Homemademamma, cui partecipo col presente post: tanto e tanto tempo fa infatti una delle partecipanti presentò questo libro spiegando che era una lettura divertente e gradevole dedicata al mestiere della levatrice. 
I libri di vita vissuta raccontati con brio mi sono sempre piaciuti e il soggetto prometteva bene: i parti al giorno d'oggi vanno quasi sempre a buon fine, ma da sempre i bambini sono specializzati nel venire al mondo nelle circostanze più strane - tutti hanno nel carnet qualche storia divertente legata a un parto, compresa la sottoscritta.
Del resto anche la fascetta parla della "fresca verve" dell'autrice (anche se ammette che la materia è "cruda") e la stessa autrice racconta nella rapida prefazione che il libro è nato in risposta a una sfida di un tale che si chiedeva se mai ci sarebbe stata una ostetrica che avrebbe fatto per il suo pregevole mestiere quel che James Herriot aveva fatto per la veterinaria. E tutti abbiamo letto qualche romanzo di James Herriot con gran divertimento. 
Per l'appunto cercavo una lettura fresca e allegra e quindi con fiducia sono andata in biblioteca e la sera stessa ho aperto con fiduciosa attesa questo libro tanto lodato  per la sua verve - e mi sono ritrovata invece in un vero romanzo dell'orrore; perciò, dopo essere doverosamente inorridita, lo presento in questo Venerdì che apre la settimana di Halloween.
Sia chiaro che quel che sto scrivendo non è uno sconsiglio, anzi. Ho letto il libro con estremo interesse e l'ho trovato una lettura assai avvincente - e del resto l'autrice scrive bene e il tutto è assai scorrevole e ben scritto. Ma, ripeto, è un vero romanzo dell'orrore.
Siamo a Londra, negli anni Cinquanta del secolo scorso. Quasi ieri, e in uno dei paesi più ricchi del mondo, a due passi da casa nostra. La gloriosa Inghilterra, quella che ha 
inventato la democrazia parlamentare e l'industria, la letteratura rosa, quella poliziesca, quella fantastica e quella dell'orrore (sì, appunto).
In effetti, è anche il paese che ha inventato lo sfruttamento operaio, oltre che l'industria; e il lavoro minorile, gli slums e lo smog. Anche la tratta degli schiavi, ora che ci penso. 
Poplar è il sobborgo dove ha lavorato l'autrice: un quartiere in una condizione molto particolare in quegli anni, per buona parte distrutto dai bombardamenti e sulla via non tanto del risanamento ma del trasloco generale: gli appartamenti erano piccoli, miserabili, affollatissimi, sprovvisti di servizi igienici e a volte anche di acqua corrente fredda, e per quella calda si doveva comunque provvedere in proprio. In compenso, visto che ormai era stato dichiarato inabitabile, mancavano molti dei servizi più importanti; era stato dichiarato inabitabile ergo non ci abitava nessuno, e il fatto che in realtà continuasse notoriamente ad abitarci un sacco di gente era considerato un dettaglio del tutto trascurabile.
Si partoriva in casa. Niente di male fin qui, anche le mie nonne hanno partorito in casa, come tutte le loro vicine. Quindi quando partorivano andava chiamata la levatrice. Che era un'istituzione assai nuova e moderna, perché prima si partoriva aiutate alla meno peggio da parenti e, come dire, da cultrici della materia provviste sì di grande esperienza ma assai digiune di scienza medica. Al lettore contemporaneo si rizzano i capelli ad ogni pagina. È l'Inghilterra di Dickens e di Gaskell, solo che nel frattempo è passato un secolo. È, possiamo anche aggiungere, l'Inghilterra dei filantropi, dove solo con difficoltà si raccattano un po' di soldi per fornire di un minimo di assistenza prenatale alle partorienti - e si raccattano, questi soldi, solo quando arriva la mutua pubblica per tutti. Come dire, ci si occupa delle gravidanze solo in ultimo, quando ormai si è pensato davvero a tutto. Gli ultimi spiccioli del fondo cassa sono per le gestanti: se proprio non è rimasto altro a cui provvedere...

Oh sì, qua e là ci sono anche storie divertenti: il parto di Natale, col resto della famiglia che canta a squarciagola gli inni natalizi; il parto nella nebbia giallastra londinese, quando Londra si blocca e non circolano più né auto né mezzi pubblici perché non saprebbero dove andare visto che non si vede a un passo, e così la levatrice va in bicicletta, preceduta e scortata da due poliziotti a piedi che illuminano la strada con una grossa torcia elettrica perché la sventurata possa vedere dove va; i tre parti multietnici a sorpresa, ognuno con un finale diverso. 
Ma la maggior parte dei racconti è agghiacciante, a partire dal breve e sobrio capitolo sul rachitismo (e sui motivi per cui colpiva soprattutto le bambine) per culminare nella terrificante storia della vagabonda che incrociamo di striscio nei primi capitoli  e nella straziante vicenda della prostituta irlandese - un racconto quasi fuori dal tempo, quello, ma anche curiosamente moderno, che ricorda davvero molto certi racconti dell'orrore fatti da talune prostitute straniere assai presenti nel nostro civilissimo paese e che i nostri civilissimi occhi hanno imparato a non vedere. Leggendola, mi sono trovata per la prima volta a nutrire sentimenti non eccessivamente ostili verso le nostre "case chiuse", che al confronto appaiono alberghi di lusso muniti di tutti i confort.
L'autrice racconta senza troppo commentare, e del resto quel che racconta di solito si commenta benissimo da solo. L'elemento davvero straniante però è che quel che racconta non è successo in qualche baraccopoli in uno di quei paesi dove il reddito pro capite è di due dollari al giorno, ma a poche centinaia di metri dal tran tran quotidiano  di una delle più sfarzose metropoli del pianeta.
Prima ancora dell'indignazione arrivano lo sbalordimento e un senso di ghiaccio. Ma davvero un paese ricco e prospero poteva far questo ai suoi concittadini? E alle sue concittadine?
Evidentemente sì. E siamo d'accordo che anche noi abbiamo il nostro bel campionario di racconti dell'orrore, ma va pur detto che siamo sempre stati fino agli anni Sessanta un paese notoriamente povero, e dal nostro impero mignon, nel brevissimo tempo in cui ne abbiamo avuto uno, abbiamo ricavato poco più di qualche voragine nei conti pubblici dell'epoca. 

Consigliato a tutto in qualsiasi momento perché davvero c'è molto da imparare, ma non se state cercando una lettura leggera per rilassarvi. E credo che possa funzionare anche come cura per la depressione, secondo il principio del chiodo scaccia chiodo.
Il libro è stato pubblicato in Inghilterra nel 2002 e, dopo che ne hanno tratto una serie televisiva di gran successo (più volte tramessa da noi su vari circuiti, a partire da Netflix) tradotto per Sellerio nel 2014. E' il primo di una serie di tre libri che l'autrice ha dedicato alla sua esperienza professionale negli anni Cinquanta. Sono stati pubblicati anche gli altri due che si intitolano rispettivamente Tra le vie di Londra e Le ultime levatrici dell'East End. Li leggerò non appena mi sarò rimessa dal trauma del primo.

3 commenti:

  1. Mai arrivata da noi (la serie di successo)?!
    Eresia!! E' stata trasmessa da Rete 4 e poi da Tv2000 (dove credo sia ancora in programmazione). Per un po' c'è stata anche su Netflix e mi aspettano che prima o poi escano lì anche le ultime stagioni, ancora inedite.

    La serie, forse, ha atmosfere un po' meno cupe riguardo a quelle che descrivi riferendoti al libro (che, pur avendo amato molto la serie, non ho ancora letto). Ma confermo che anche il telefilm è abbastanza... pesante, per le storie che tratta.

    Una mia amica aveva iniziato a guardarlo in TV con le sue figlie ancora piccole, convinta che fosse una serie in costume a modino piena di bimbi che nascono e di mamme felici, ma dopo un paio di puntate ha interrotto la visione sentendosi pure in forte imbarazzo, perché i temi trattati erano decisamente troppo complessi e/o pesanti per le ragazzine, all'età che avevano.

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  2. Vero, anche a me i libri – ma anche i film – tratti da storie vere sono quelli che mi appassionano di più: è diverso leggere (o guardare) sapendo che è pura funzione piuttosto che realtà davvero accaduta.
    Mia madre mi raccontava che anche io ero nato in casa, sul tavolo della cucina esattamente, ma col passare del tempo mi sono chiesto se non si confondesse con il mio fratello più grande (di cinque anni). Purtroppo non ho più modo di chiederglielo, per cui restero’ sempre con questo dubbio. In ogni caso credo che sia stato uno degli ultimi casi in Italia, erano gli anni ’60.

    Il libro deve essere, anche per quanto scritto sopra – cioé la realtà sul quale si basa, molto interessante, certamente una lettura che ti fa porre diverse domande, come è successo a te. Noi rimaniamo stupiti da paesi dove esistono ancora le caste, separazioni enormi tra ricchi e “gli altri”, ma in fondo fino a ieri eravamo così... e un po’ lo siamo ancora e possiamo sempre tornarci in pieno (non è una previsione troppo azzardata, purtroppo).

    Sì, comunque sono d'accordo: lascia passare un po’ di tempo prima dei prossimi "capitoli", va’! :-D

    www.wolfghost.com

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  3. @ Una Penna Spuntata:
    Grazie della precisazione, ho corretto il post! E sì, credo che la tua amica abbia fatto gran bene: c'è una denuncia sociale molto precisa, in quei racconti, ma piuttosto complessa. Diciamo che lo sconsiglierei senz'paltro per una biblioteca scolastica delle scuole medie.

    @ Wolf:
    Sì, certo, è pieno di paesi dove ci sono le caste, gli schiavi, i soldati bambini e via dicendo. Ma lì scuotiamo la testa dicendo che sì, certo, molto dipende dal fatto che non hanno la democrazia. Gli inglesi la democrazia come la conosciamo l'hanno inventata. Da noi ce n'era meno (anzi, in certi periodi non c'era proprio!) ma, per dire, Mussolini inventò le colonie estive ambosex per i bambini poveri, e con quello il discorso del rachitismo deve avere avuto una bella botta e la salute dei bambini certamente ci guadagnò parecchio. Nemmeno il libro Cuore racconta certe storie! E comunque lì almeno possiamo consolarci diucendo che "in fondo è solo un romanzo".
    Comunque per una toscana è un racconto agghiacciante.

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