martedì 28 novembre 2017

Haeretica - AVTI ovvero Associazione Vecchi Tolkieniani Iperspocchiosi

Personaggio assai spocchioso, Thranduil era interpretato da Lee Pace, attore non troppo propenso a prendersi eccessivamente sul serio

A torto o a ragione, sono sempre stata convinta di essere una tolkieniana con un curriculum molto rispettabile e soprattutto lungo: ho letto una delle prime ristampe della prima edizione integrale in italiano del Signore degli Anelli, pasticciavo con l'edizione inglese quando i librai mi chiedevano ancora "Tolkien chi?", ho in casa la primissima edizione italiana del Silmarillion, conosco i nomi dei personaggi e di molti luoghi in più lingue (lingue della Terra di Mezzo, intendo), ricordo senza difficoltà i capitoli dove si trovano le singole scene e le singole conversazioni dei due romanzi, non devo preoccuparmi se l'edizione italiana delle Lettere di Tolkien è esaurita perché tanto io ci ho quella in inglese e qui la pianto per pietà verso chi legge, anche perché a tutto ciò ho dedicato già un post.
Ma con i tolkieniani non mi sono mai trovata molto bene; non solo ora, anche quando incontrai all'università il primo tolkieniano della mia vita, che mi diede un paio di fanzine fotocopiate ai tempi in cui le fotocopie erano una roba pesantissima su carta chimica. Me le lessi con santa religione, ma non ci trovai traccia di quel che Tolkien era stato per me: era tutta roba molto seriosa sulla filosofia di Tolkien, il cristianesimo di Tolkien (un lato su cui ho sempre cercato di sorvolare, anche se in verità nelle sue lettere, quando a parlarne era lui, non mi aveva affatto infastidito), la Grazia in Tolkien... boh.
Molti anni dopo, quando ero ormai entrata in rete, aprirono un newsgroup dedicato a Tolkien. Lì non mi trovavo male, ma alla fine non postavo quasi mai: era tutta gente specializzatissima che conosceva tutte le stirpi elfiche elencate nel Silmarillion e faceva un sacco di domande su come tradurre in elfico questo e quello. Tolkien li avrebbe apprezzati molto, ma io non sono una linguista e le lingue immaginarie mi interessano il giusto anche se ho tentato di studiare un po' di quelle vere (con scarsi risultati) e due esami di filologia romanza mi permettono di leggere un po' di francese - o almeno me lo permettevano ai tempi della tesi

Poi arrivarono i film.
Chi non c'era non può nemmeno lontanamente immaginare lo starnazzìo e il gran volar di piume. Mancava questo, non c'era quello, quell'altro non andava bene... cominciarono sin dai primi trailer e non lasciarono pietra su pietra. I tolkieniani della mia età per lo più diventano idrofobi, se gli parli dei film.
Io facevo parte dell'ala moderata alcune cose mi piacquero, altre no, ma vedere quei luoghi che avevo sempre e solo immaginati trasformati in realtà (beh, diciamo in reali scenografie) mi  lasciò una impressione fortissima. Ci misi dei giorni a riprendermi dalla visione della Compagnia, nonostante tutta la mia disapprovazione per l'interminabile  lotta nei sotterranei di Moria con un insulso mostriciattolo e l'rritazione per come erano stati trattati alcuni personaggi. C'era tanto che non mi piaceva, ma anche tanto che mi aveva colpito e tuttora disapprovo che, nonostante tutte le statuine date a Jackson si siano dimenticate di dargli la più meritata, quella "Complimenti per il coraggio"; perché, oggettivamente, aveva fatto un lavoro immane, oltre che non privo di buoni risultati.
Con gli anni, ma questo non lo sapevo, crebbe la generazione che considerava la trilogia dei film come Sacra e Inviolabile. Li incrocia su Facebook e - sorpresa! - li trovai altrettanto esasperanti. Nel frattempo avevano cominciato a pubblicare libri su Tolkien, e ogni tanto riuscivo a mettere le mani su qualcosa, tramite biblioteca: gli elfi in Tolkien, la Grazia in Tolkien, il Cattolicesimo in Tolkien, morte e resurrezione in Tolkien... tutti temi molto rispettabili, ma non mi piaceva come venivano trattati. A dirla tutta, mi annoiavano.
Ammettiamolo: quando si parla di Tolkien divento un vero impiastro. 
Il problema per me era ed è che nessuno vedeva Tolkien a modo mio, e il mio è l'unico modo giusto di vederlo - e credo sia il problema di ogni drogato da Tolkien, nonché di tutti i nerd.
Poi uscì la trilogia dello Hobbit, che mi è piaciuta moltissimo. Mi dissi che, forse, nel frattempo il mio gusto era cambiato, e andai a guardarmi un po' della vecchia trilogia; ma, niente, continuavo a trovarla irritante... tranne quando mi piaceva. Così mi trovavo in completo e viscerale disaccordo sia con chi la esaltava che con chi la denigrava - e naturalmente ero ancor più in disaccordo con chi la trovava migliore della seconda. E si sa che il cuore ha le sue ragioni eccetera eccetera.
Il problema, compresi alla fine, era ancora più raffinato: c'era una intera generazione di Tolkieniani che era cresciuta con l'imprinting della prima trilogia e ormai vedeva la Terra di Mezzo e tutta la storia dell'Anello solo come Jackson gliel'aveva mostrata; ed erano perfino più impiastri di me. Il punto era che io avevo avuto un imprinting molto diverso - ma naturalmente il mio era quello giusto.
Con l'aiuto di qualche barlume di ritegno imparai a tenermi per me il mio giustissimo punto di vista. Lo trovavo qua e là espresso nei forum stranieri - ma vacci a intervenire, in un forum straniero. Proprio non ci avevo il coraggio, col mio povero inglese pasticciato (e non sanno, nei forum stranieri, che fortuna hanno avuto!).
Scoprii poi che esisteva un blog dedicato alla trilogia dello Hobbit e, pur disapprovando in cuor mio quasi tutto quello che ci trovavo scritto, non mancavo mai di visitarlo (per disapprovarlo meglio, si capisce). 
Per molto tempo mi limitai a leggerlo con profonda disapprovazione, poi cominciai a intervenire - e fu così che incrociai per la prima volta Eva e Acquaforte. Era, dobbiamo ammetterlo, un vero forum di discussione, e quanto a discutere nessuno si faceva mancare nulla. C'erano un po' di ragazzini - vabbé, arrivata a questa età per me sono quasi sempre ragazzini - e anche un po' di ragazzine che venivano costantemente massacrate per la gravissima colpa di apprezzare Fili e Kili (cosa che mi irritava perché piacevano moltissimo anche a me, e infatti intervenivo a difenderle). C'era un sacco di gente che odiava la povera Tauriel, qualcuno arrivò perfino a definirla un'elfa di facili costumi perché, molto opportunisticamente, si dedicava a Kili solo dopo che Thranduil le aveva fatto capire che non voleva che sposasse Legolas (un punto molto discusso, e anche piuttosto antitolkieniano a mio avviso: quando mai nel canone a una ragazza, per di più elfica, era importato qualcosa che papi non volesse?).

Poi c'erano quelli che si lamentavano che Lo Hobbir non fosse abbastanza epico e la carica dei Rohirrim lo era di più, ma a me la carica dei Rohirrim della prima trilogia non era piaciuta molto e soprattutto avevo un concetto più esteso del termine "epico".
Insomma, seghe su seghe che nemmeno in una falegnameria canadese che lavorasse a pieno regime.

Ogni tanto postavo. Beh, probabilmente ogni poco, anche se a me sembrava di essere assai parca e morigerata nei miei interventi (probabilmente lo ero, dal mio punto di vista, perché a volte avrei preso volentieri un bel lanciafiamme per fare pulito, specie con quelli che postavano per la settecentesima volta qualche osservazione sulla computer grafica che nella prima trilogia era fatta meglio, o su come sarebbe venuto meglio il film in due parti invece che in tre - e volevano sempre tagliare quelle parti che mi erano piaciute di più). 
Borbottavo e sobbollivo come una pentola di stufato, ogni tanto traboccavo ma ripulivo velocissimamente il piano di cottura e nessuno si accorgeva di niente. Per fortuna c'era Eva, che aveva sempre una buona parola per tutti, altrimenti quel blog sarebbe finito in autocombustione già ai tempi della Desolazione di Smaug, e non solo per colpa mia.
Finirono i film e, ahimé e doppio e triplo ahimé, finì anche il blog.
In seguito Linda mi iscrisse al gruppo tolkieniano per eccellenza su Facebook, quello gestito nientemeno che dalla Associazione  Italiana Studi Tolkieniani, dove si entra solo su invito.
Lì sono in mezzo a gente seria, preparata e informatissima: gente che fa domande profondissime sulla Grazia in Tolkien, il Cattolicesimo in Tolkien, la Spiritualità di Tolkien, il Bene, il Male, l'Amore e la Morte in Tolkien, la traduzione del sesto rigo della quinta pagina del terzo capitolo... roba seria, insomma, talvolta un po' esasperante.
Scherzano poco. Una domanda sulla possibilità di un coinvolgimento omoerotico tra Sam e Frodo provoca una pioggia di frecce che gli orchetti se la sognano, al grido di "A queste sozzerie Tolkien non ci pensava nemmeno!" (il che è anche vero, tuttavia tra i due hobbit c'è un legame che meriterebbe una analisi più accurata, perché non è dei più consueti, e non scordiamo che a tratti abbiamo perfino un triangolo dove Gollum ha la sua bella parte).
Il sesso è visto male, anche quando ne parlano altri autori. No, non altri autori che vogliono parlare di sesso riguardo ai libri di Tolkien, bensì autori che mettono i protagonisti dei loro romanzi a accoppiarsi variamente. Martin, per esempio. Oh, il cattivissimo Martin! E guai se il maledetto si azzarda a dire che nei due romanzi di Tolkien ci sono delle consistenti zone d'ombra sulla parte economica e politica. Come osa criticare, quell'infimo esserucolo?

Come dicevo, nel gruppo ci sta gente seria, che scrive testi e articoli su Tolkien, la regalità in Tolkien, le fonti norrene in Tolkien, la filosofia tomistica in Tolkien. Qualche volta qualcuno sembra anzi convinto di avere scritto parole definitive e incontestabili sulle varie questioni, ma ho notato che chi insiste troppo sul fatto che lui ha ragione e gli altri hanno torto perché lo dice lui finisce di solito per essere allontanato dal gruppo in quanto rompiballe (i moderatori si esprimono naturalmente in modo più compunto, ma il succo è questo).
Ad ogni modo, per quanto si tratti in gran parte di persone serie e preparate (e di solito anche molto cortesi) spesso mi accorgo che la mia opinione su qualsiasi tema di discussione circoli è diversissima da quella degli altri, e dunque finisco per starmene zitta.
Insomma, non mi trovo bene nemmeno lì. Ma sono tutti troppo colti e preparati perché abbia voglia di usare il lanciafiamme, o almeno di ammettere  con me stessa che a volte vorrei tanto usarlo

Qualche giorno fa sulle pagine tolkieniane di Facebook è piombata come un fulmine una Grande (o forse ferale?) Notizia: sembrava, pare, correva voce, si raccontava, che stessero per fare una serie televisiva dal Signore degli Anelli.
"Magari è la volta che riusciremo finalmente a vedere anche Tom Bombadil e gli spettri dei Tumuli" commentai giuliva & festosa; di fatto c'erano altre cose che mi sarebbe assai interessato vedere - un vero Gimli, per esempio, o un Aragorn e un Frodo che avessero qualche rapporto con i personaggi descritti nel libro; o addirittura una Eowyn che non preparava lo stufato - ma soprattutto una storia meno frenetica dove la gente all'occorrenza si mettesse anche a chiacchierare e soprattutto a riflettere sui tempi passati, con più boschi e un po' meno combattimenti con gli orchetti,  o anche dove il lato horror sia gestito in modo più inquietante e il rapporto tra Frodo e Sam sia centrato meglio e lo spettatore non sia tentato di risolvere tutto pensando che sia una storia d'amore con Gollum che fa da terzo incomodo... insomma, qualcosa fatto più a modo mio (che, come mi sembra di avere già delicatamente accennato qua e là in questo post, è l'unico valido).
Intorno a me si scatenava la furia dello scontento - non già rivolta al mio piccolo e innocuo commento, che nessuno si è filato né tanto né poco, bensì tesa a deprecare la catastrofe incombente.
Ma come, a che serviva un nuovo lavoro preso dal Signore degli Anelli? Non esisteva ormai l'Unica e Veridica Trilogia, specchio di tutte le perfezioni? Oppure, a scelta: non erano bastate quelle due infami trilogie, specchio di ogni perversione? Del resto era noto che Tolkien odiava i film tratti dalle sue opere; e c'era pure il precedente della serie di Shannara che era venuta malissimo, l'orribile Trono di Spade (quello tratto dai romanzi dell'immondo Martin), e come poteva lo spettatore ormai figurarsi un Aragorn diverso da quello della Trilogia e che diamine potevamo farcene di un lavoro fatto male e inutile? Davvero non se ne vedeva la necessità, e l'unico effetto che avrebbe sortito sarebbe stato quello di commercializzare ulteriormente Tolkien*.
Giuro che per giorni e giorni tutti gli italici tolkieniani presenti su Facebook si sono stracciati le vesti deprecando l'orrore di una nuova interpretazione del loro romanzo preferito (in seguito è emerso che può darsi che non sarà una serie televisiva, e forse nemmeno tratta dal Signore degli Anelli, o comunque non solo dal Signore degli Anelli, ma a tutto questo ho rifiutato di interessarmi in attesa di notizie più concrete).
Tutto ciò, invero, mi ha lasciata piuttosto perplessa: siamo sicuri che la prima reazione alla notizia di una nuova, ennesima, riduzione per lo schermo di Orgoglio e Pregiudizio porterebbe tanto sconforto e disperazione tra i cultori di Jane Austen? O non si aprirebbe piuttosto nel giro di trenta secondi un totoDarcy e un totoElizabeth e un totoOgniAltroPersonaggio con accanitissime discussioni?

Io con i tolkieniani non mi ci trovo molto bene. Li trovo strani.
E li guardo molto dall'alto in basso, con grandissima spocchia
Dopotutto, sono o non sono la Custode dell'Unico Valido Modo di Interpretare Tolkien?

*beh, non so se è questo l'effetto che sortirebbe questa fantomatica serie, ma sono sicura che è l'effetto che i produttori cercheranno di ottenere. Va riconosciuto onestamente però che sarebbe strano il contrario, perché raramente si fa una serie televisiva (o un film) allo scopo precipuo di rendere più ignota e meno diffusa una storia.

E per concludere, un bel poster di Jim Cauty, che lo disegnò a 19 anni, nel 1976 - il che vuol dire che due anni dopo mi misi in camera in pianta stabile un poster disegnato da un quasi coetaneo. Si possono discutere alcune cose ma... quello è Gandalf, senza alcun dubbio.

venerdì 24 novembre 2017

La via del male - Robert Galbraith

Ebbene, è la Rowling. Non potrei mai dire male di J.K. Rowling, cui devo tanta riconoscenza e che tanto apprezzo come scrittrice. Davvero, non oserei
E tuttavia, lo ammetto, se non ci fosse stata di mezzo la Sua augusta penna questo libro lo avrei scansato come la peste, e a metà della terza pagina mi stavo seriamente domandando se mi conveniva continuare.
Naturalmente è scritto bene. E quando mai J.K. Rowling scrive male? Non certo qui.
Ma, lo ammetto, i serial killer non li reggo proprio. Lo so che è un genere che va di moda e che oggi usa immedesimarsi anche nel loro punto di vista; e so anch'io che ci sono libri dedicati a serial killer che hanno venduto milioni e milioni di copie. Non grazie a me, comunque. 
E' un genere di cui mi sfugge il fascino. Che cavolo me ne frega di immedesimarmi in un serial killer? Non lavoro nella polizia, che per lavoro è tenuta ad occuparsene, e per mia fortuna non ci ho mai avuto a che fare (altrimenti non sarei qui a scrivere). So che non si dovrebbe mai dire "mai", ma, ecco, non è un tipo di personalità che riesce a far risuonare alcuna corda nel mio animo e non riesco proprio a immaginarmi in quei panni.
Terroristi? No, non è il mio genere, ma chissà, in circoostanze del tutto diverse avrei potuto ritrovarmici. Omicidi plurimi e aggravati? Oh, nella mia mente ne commetto in quantità. Ma mi serve pur sempre un motivo.
D'accordo, anche i serial killer hanno i loro motivi - il primo, par di capire, è che uccidere gli piace. Ma insomma, non so che farci, proprio non mi ci ritrovo.
Detto questo, per amore di J.K. Rowling ho letto anche il libro che qui vado a presentare, e che appunto parla di un serial killer; non solo, ma passate le prime pagine non è stato un sacrificio. 
Del resto anche quelle prime spiacevoli (per me) pagine hanno un loro perché, come anche aver scelto sì sgradevole (per me) soggetto è proprio da quelle prime pagine che impariamo subito che nel mirino del serial c'è Robin, la segretaria e assistente di Cormoran Strike. E non solo è nel mirino, ma è pure sotto stretta sorveglianza, e da parecchio tempo Stavolta l'insidia è, letteralmente, dietro l'angolo di casa. E lei non ne ha la minima idea. Cormoran ci arriva, a un certo punto, ma per un bel pezzo nemmeno lui si rende conto di quanto è effettivamente vicino il pericolo - anche perché, se se ne rendesse conto subito, il romanzo finirebbe verso pagina 40, circa a un quindicesimo del suo percorso.
Anche la scelta del tipo di assassino, ripensandoci, ha un suo perché, strettamente legato alla trama interna del romanzo, quella che riguarda i due investigatori
Del resto, cosa c'è di più apparentemente illogico e apparentemente imprevedibile di un serial killer?

Ma andiamo per ordine.
Un bel mattino Robin riceve un pacco prima di entrare in ufficio. Firma la ricevuta, entra, avvia la solita trafila di quando inizia la giornata lavorativa Poi apre il pacco.
Il pacco contiene una gamba. In pratica, un pezzo di cadavere.
Sul cadavere sono tatuati i versi di una canzone, che Cormoran conosce molto bene e che formano una delle piste dell'investigazione, quella che conduce alla sua defunta madre (il romanzo trabocca di citazioni musicali, soprattutto dalle canzoni dei Blue Oyster Cult; che sarebbe un pregio, non fosse che qui in Italia il culto dell'ostrica azzurra non è stato mai molto diffuso, pur essendo costoro un degnissimo gruppo musicale).
Ci sono altre due piste, legate pure quelle al passato di Cormoran. Del resto la gamba è stata mandata a lui, e chi spedisce gambe tagliate presumibilmente non è persona che si raccomandi per il suo perfetto equilibrio mentale. Si tratta dunque di risalire agli squilibrati più squilibrati tra i molti con cui Cormoran ha avuto a che fare nel suo complesso passato - e sono un bel campionario, scopriamo. 
Il risultato della scrematura sono tre individui, uno più sgradevole dell'altro, che non hanno assolutamente nulla che li raccomandi all'indulgenza o all'interesse del lettore. Costoro a loro volta hanno avuto una vita piuttosto movimentata, contrassegnata da cambi di identità e di indirizzo. Tanto per intendersi, si tratta di gente deprimente e depressa, e gli ambienti in cui si svolgono le indagini somiglia molto ai punti più deprimenti del Seggio Vacante - o,  per chi gradisse un paragone più potteriano, è come passare qualche centinaio di pagine in casa Marvolo, l'adorabile ramo materno della famiglia di Voldemort.
La ricerca è complicata - ancor più complicata dal fatto che la polizia, che si sta attivamente occupando del caso, non gradisce interferenze, ma che le interferenze da parte dell'agenzia sono rese necessarie non tanto da delicate questioni di onore professionale, bensì perché i clienti si stanno volatilizzando come neve al sole e l'agenzia in questione rischia la morte per inedia.
Cormoran combatte una sua battaglia privata non solo per rintracciare l'assassino, ma anche perché Robin resti il più possibile fuori dalle indagini, che stavolta possono rivelarsi molto pericolose per lei.
Robin a sua volta combatte con tutte le sue forze per non essere lasciata fuori dalle indagini per una serie di motivi che vanno chiarendosi solo molto lentamente (anche se ne abbiamo intravista qualche traccia nel romanzo precedente).
Nel frattempo il lettore viene abilmente depistato dalle intricate vicende sentimentali della ragazza, ormai a un passo dal matrimonio con il povero Matthew. Lo definisco "povero Matthew" non perché anch'io non abbia desiderato di strozzarlo più volte nel corso della lettura, in particolare verso la fine, ma perché sono convinta che il suo affetto per Robin è sincero; inoltre, non essendo un potenziale serial killer, è pur sempre un personaggio molto più gradevole della maggior parte dei personaggi che incrociamo durante la lettura.
La soluzione infine arriva e contiene anche un piccolo colpo di scena - non di quelli memorabili, da includere nella lista dei "Dieci colpi di scena che hanno cambiato la storia della letteratura", ma insomma un colpo di scena piuttosto rispettabile
Tuttavia il vero finale è un altro, di cui non conviene assolutamente parlare qui. Mi limiterò a dire che l'ultima pagina si chiude con un cliffhanger assolutamente micidiale, di quelli che ti lasciano ad uggiolare fuori dalla porta per tutta la notte. Capita, quando J. K. Rowling conclude il terzo romanzo di una serie.
In conclusione: ottimo per chi ama le storie di serial killer, e assolutamente indispensabile per chi segue la serie di Cormoran Strike.

Con questo post, un po' meno entusiastico del solito, partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma e auguro buone letture a chiunque passi di qua.

martedì 21 novembre 2017

L'insegnante e l'Analisi Logica: un racconto dell'orrore (ripensandoci era un buon post per Halloween)

Una qualsiasi seconda media dopo la restituzione del compito di analisi logica
(Henry Dunant alla battaglia di Solferino, 1860, autore ignoto)
In tale dolorosa occasione, nacque a Dumant l'idea di fondare la Croce Rossa Internazionale.
Che con l'analisi logica non ha proprio niente a che vedere.

Quel che segue è un veridico resoconto di quanto ogni insegnante di Lettere si ritrova a vivere nel corso di una tappa apparentemente innocua del suo insegnantesco percorso, ovvero l'insegnamento dell'analisi logica in seconda media.
Non importa quanti anni di insegnamento hai alle spalle, non importa quanto sia intelligente la tua classe: le tappe che vado a narrare sono quasi inevitabili. 
Si comincia dall'inizio, naturalmente. Analisi logica, è l'analisi della frase semplice.
Cos'è una frase semplice (e tutti capiscono). Cos'è una frase ellittica, una frase nominale, insomma tutto questo genere di cose. 
Nessuno ha dei problemi.
Poi si fa la frase espansa. Prima era il gatto sale sul tavolo, poi diventa il bel gatto bianco sale con eleganza sul tavolo di mogano
E, di nuovo, nessuno ha dei problemi.
Tutti inanellano frasi semplici ed espanse senza perderci il capo né farne inutili drammi: molti gatti bianchi salgono sui tavoli di mogano e molti giovani studenti di Vicenza (tra i quali Bridigala) corrono a scuola sui loro pattini a rotelle.
Poi tocca al soggetto, che tra l'altro conoscono bene perché l'hanno già fatto alle elementari. Non ci sono mai drammi col soggetto, almeno fin quando non viene spostato al di là della prima parola: Agilulfo va al corso di pallanuoto senza problemi, ma se ieri pomeriggio Agilulfo è andato in cartoleria si può scoprire, con una sorta di doloroso stupore, che improvvisamente ieri è diventato il soggetto che compie l'azione, ed è un problema che in certi casi è destinato a trascinarsi.
Viene poi il predicato verbale; lì, già quando Agilulfo ha mangiato due paste alla crema si può scoprire che ha è predicato verbale, mentre mangiato viene promosso a complemento oggetto. Un po' inquietante, visto che in teoria alle elementari hanno fatto sia il predicato verbale che il complemento oggetto. Non parliamo di quando Crodegango ha iniziato a pensare di dover oliare i pattini - ma sono frasi che di solito arrivano molto più avanti, quando il livello di entropia è ormai alto e qualsiasi pretesto è valido per trasformare una frase in un dedalo inestricabile.
Gli attributi vanno via senza troppi drammi, le apposizioni godono di minor fortuna - forse perché tutti capiscono facilmente che cos'è un attributo, ma apposizione è parola strana e repellente: "appo"che?

Viene poi l'acerba primavera del predicato nominale, facilissimo da spiegare e ancor più da capire. Infatti tutti lo capiscono, e svolgono nel migliore dei modi gli esercizi assegnati. Poi lo dimenticano. Quando se ne accorge, il Bravo Insegnante di Lettere lo rispiega con pazienza alla classe, e di nuovo tutti lo capiscono e di nuovo tutti lo dimenticano. Il predicato nominale è il trionfo del Giorno della Marmotta e l'incarnazione del mito di Sisifo.
Col tempo, tuttavia, alcuni degli alunni più diligenti lo imparano in forma stabile  e talvolta ricompare in modo assai inopportuno con i verbi composti: Liutprando soggetto è copula andato parte nominale a Fanculo moto a luogo - e nessuno capisce perché il Bravo Insegnante di Lettere a quel punto comincia a strapparsi i capelli, battersi il petto e invocare un po' di terra da zappare onde smettere di rubare soldi allo stato e fare infine un lavoro utile alla collettività.
A questo punto ci sarebbero pure da affrontare i predicativi del soggetto e dell'oggetto, che finiscono regolarmente in un bagno di sangue. Qualche insegnante reso saggio dall'esperienza li ripropone molto più avanti, ma di solito il risultato non cambia (tuttavia ho conosciuto una intera classe che lo maneggiava con assoluta disinvoltura e proprietà. Ignoro tuttavia a quale tecnica di magia nera sia ricorsa l'insegnante che avevano avuto l'anno prima né ho potuto chiederglielo perché nel frattempo era ritornata nella sua terra di origine, in fondo alla penisola).

Arrivano i complementi nuovi. Ai ragazzi piacciono un sacco, i complementi nuovi e qualcuno si diverte a distinguere complemento di materia e di denominazione e di specificazione, moto da luogo e complemento di allontanamento. Complementi di luogo e di tempo, di fine e di causa, di modo e di argomento scorrono bene. I ragazzi fanno gli esercizi sul libro, costruiscono docilmente frasi con appositi complementi, qualcosa va rispiegato. A volte ci sono problemi specifici: c'è chi va al mercato complemento di termine, c'è chi resta a casa moto a luogo, ma pian piano tutto va a posto.
Un po' più tragica può essere l'analisi delle particelle pronominali, specie se la classe ha ignorato con determinazione i pronomi personali in prima. Che e ne possono riservare un sacco di spiacevoli sorprese.
Il Bravo Insegnante fa approfondimenti e ripassi dell'analisi grammaticale, e un po' se lo filano e un po' no, ma nel complesso la situazione non sembra drammatica.
Giunge il tempo del compito di analisi logica: il Bravo Insegnante pesca un po' di frasette dove il gatto sale sul tavolo, Agilulfo va al mercato e il drago dorme sul suo letto d'oro nella caverna, gli studenti lavorano con impegno e puoi quasi vedere le punte delle lingue che sporgono tra i denti come segno di massima concentrazione. Poi consegnano. Ahimé sì, consegnano.
E giunge infine il tempo della correzione dei compiti, che è regolarmente una tragedia immane. Per l'occasione ritornano in perfetta parata militare tutti gli errori pazientemente bonificati e disboscati nel corso dei mesi precedenti.
Disastro completo e totale. I più bravi hanno fatto schifo, la fascia media ha fatto ribrezzo e pietà, mentre la fascia bassa alla fine, una volta tanto, non ha nemmeno fatto tanto peggio degli altri - del resto, sarebbe stato davvero difficile.
Il Bravo Insegnante di Lettere, che per l'occasione si proclama il Più Inetto Insegnante di Lettere che mai abbia calpestato la terra, piange, si dispera e cerca conforto dai colleghi. Chi non insegna Lettere lo guarda con blando compatimento e prova a offrirgli un caffé o un pasticcino non sapendo che altro fare, mentre i colleghi di Seconda sono troppo occupati a disperarsi a loro volta per dargli adeguata comprensione, e chi per sua buona sorte fa Italiano in Prima o in Terza ringrazia Dio o il Caso che per quell'anno tal tormento gli venga risparmiato.
Seguono dolorose sedute di autocoscienza con la classe, pianto e stridor di denti, piogge di quattro e di tre. I ragazzi non si capacitano che il loro pacioso e simpatico Insegnante di Lettere si sia trasformato in una tigre ircana e alla fine, mossi ben più dall'istinto di conservazione e dall'affetto per il poveretto che vedono così accasciato (oltre che dal legittimo desiderio di non ritrovarsi a fine anno l'insufficienza in pagella) che dall'ambizione o dall'amor proprio si danno infine un po' da fare.
Il secondo compito non andrà bene, no, ma andrà comunque talmente meglio del primo che il Bravo Insegnante di Lettere deciderà di non sfidare oltre la sorte e stabilirà in cuor suo che in fondo basta che sappiano le cose essenziali (sì, quelle che gli hanno già insegnato alle elementari).
In mezzo a tutta questa ordalìa un piccolo gruppetto di ragazzi non necessariamente brillantissimi ma provvisti di una mentalità logica e razionale hanno afferrato il meccanismo base e navigano tranquilli in mezzo alle secche più perigliose, talvolta affrontando senza paura perfino i complementi predicativi. Il resto va a tastoni e si ritiene fortunato se riesce a non infilare due errori per frase.

Sorge spontanea la domanda: perché?
Non è una di quelle domande cui sia facile trovare una risposta.
La prima cosa però che salta agli occhi è che alla classe tutta, tranne forse a un paio particolarmente interessati alle strutture grammaticali, dell'analisi logica non importa assolutamente nulla. Non abbiamo il loro consenso interiore. 
Qualcuno si applica perfino all'analisi logica per ambizione, per orgoglio o perché ha una buona memoria e a forza di inerzia i concetti principali finiscono per restargli appiccicati. I più si applicano assai malvolentieri e per puri fini di sopravvivenza - ma nessuno sembra convinto che l'analisi logica serva a qualcosa.
Il secondo motivo è che, staccata dal latino, l'analisi logica risulta più difficile. Non eccezionalmente difficile, solo un pochino più difficile. Tuttavia nel corso del triennio i ragazzi affrontano cose ben più complicate e ostiche dell'analisi logica - che alla fine è una specie di giochetto da società e nulla di più - spesso con successo; ma a queste cose più difficili riescono a trovare un senso, e finiscono per applicarcisi.
Il terzo, naturalmente, è che ci sono tante cose più divertenti da fare rispetto all'analisi logica, ma anche lì valgono le considerazioni del punto 2.

Tuttavia, pur non avendo mai amato l'analisi logica quando l'ho fatta alle medie (da insegnante mi diverto molto a farla, invece e nonostante tutto) temo di dover ammettere che se continuano a tenerla nel programma c'è il suo perché. Non è affatto inutile, soprattutto quando si affrontano le lingue straniere - e ormai tutti ne affrontano almeno due, per tacere degli stranieri che ne affrontano ben tre. Quando la faccio non mi sembra di sprecare del tempo. Certo, sfoltisco i complementi evitando quelli che chiamo "complementi di chicchera e di piattino" (ad esempio il complemento di allontanamento o di provenienza) ma trovo l'insieme piuttosto utile. Quando dico piuttosto utile intendo dire che, dopo i regolamentari bagni di sangue, quando alla fine per amore o per forza un po' di analisi logica è stata imparata, migliorano anche la produzione scritta e quella orale - in pratica, le creaturine parlano e scrivono più correttamente - che è poi l'unico risultato cui tendo qualsiasi cosa faccia o dica in classe: una corretta esposizione scritta o parlata perché nessuno rida di loro quando parlano una volta che saranno usciti dalle mie mani e dal loro primo ciclo di istruzione; e che è quel che il Ministero si aspetta da loro - giustamente, aggiungo.

E qui finisce la mia desolata autocoscienza. So che il problema è superiore non solo alle mie deboli forze, ma anche alle forze di insegnanti tanto più capaci di me. Tuttavia esiste. Non ha rimedio, ma esiste.

domenica 19 novembre 2017

Raccolgaci un'unica bandiera, una speme

Ecco una delle madri della nostra amata bandiera italiana
Come tanti, anch'io ho imparato l'inno d'Italia alle elementari (solo la prima strofa) e come tanti non lo trovavo granché entusiasmante: troppo imperialista, troppo guerrafondaio e si sperava che i tempi in cui la patria ti chiamava e dovevi esser pronto alla morte fossero passati per sempre, per tutti. Ci hanno cresciuti così, noi bambini degli anni '60, e ci credevamo sul serio, che il tempo delle guerre fosse finito e nessuno ci sarebbe cascato più, almeno non in Europa.
Poi un bel giorno, mi pare nei tardi anni 90, corse la voce che Fratelli d'Italia era diventato l'inno nazionale ufficiale, e tutti sgranammo gli occhioni: ma come, non lo era già dalla notte dei tempi?
Ebbene no, era stato adottato nel 1946 in forma provvisoria. Adesso però era l'inno ufficiale, con tanto di decreto parlamentare.
La voce corse tanto da arrivare sul sito della Presidenza della Repubblica, e tutti i giornali offrirono ampi chiarimenti sul testo, il significato e la storia della poesia di Mameli Il Canto degli Italiani in seguito musicata da Novaro. Così scoprii il testo completo, imparai un mucchio di cose sull'argomento e conservai con cura le due pagine dell'inserto.
Soltanto molti anni dopo però seppi che si era trattato di una voce falsa e tendenziosa, e che il nostro amato inno era tuttora provvisorio.
Boh?
Comunque da quando insegno l'ho sempre rifilato ai miei alunni, rigorosamente in forma completa, perché è una comoda scorciatoia per spiegare il Risorgimento e perché secondo me l'inno del proprio paese va conosciuto per diritto e per rovescio, dato che la nostra storia passa anche dai simboli istituzionali. E a seconda del tempo, ho spiegato che era l'inno definitivo oppure che ci avevano perculato alla grande dichiarandolo inno definitivo anche se non lo era.
Col tempo ho anche smesso di fare fotocopie e dettare appunti perché acdesso molti libri di storia lo riportano con tutti i chiarimenti del caso.
I ragazzi hanno sempre ascoltato con decorosa attenzione, a volte blandamente interessati, a volte rassegnati e a volte molto partecipi, ma sempre restavano colpiti dal fatto che l'autore, al contrario di tanti, oltre a dichiarare una generica intenzione a morire per la sua patria l'aveva poi fatto per davvero, a soli ventun anni.
Magari potrà non essere la più bella poesia mai scritta, ma sulla buona fede dell'autore non possiamo nutrire dubbi ricordavo sempre, e tutti annuivano mestamente perché l'idea del poverino che in nome dei suoi ideali era morto così giovane era molto triste ai loro occhi.

Quest'anno la Terza Amichevole sembrava molto ben predisposta, e soprattutto gli piaceva l'abitudine che finalmente ho potuto instaurare (grazie a una connessione piuttosto stabile) di ascoltarci una canzone ogni tanto; e oltre al Canto degli italiani ho potuto fargli ascoltare anche l'assai sanguinario coro della Norma, decisamente più guerrafondaio
e adattissimo per aprire una lezione con una classe ancora addormentata, ma anche una struggente versione di Va' pensiero di cui si sono sciroppati il testo, analizzato con cura e oggetto di doverose interrogazioni, insieme al consueto Alle fronde dei salici di Quasimodo. E' una classica accoppiata da esame, e non sono certo la prima a farlo. Tuttavia ritengo che pochi insegnanti si spingano fino a fargli leggere il Salmo 137 Presso i fiumi di Babilonia (da cui il coro e la poesia traggono ampia ispirazione)... e il rifacimento moderno dei Boney M By the rivers of Babylon - pure quello adattissimo a risvegliare una classe addormentata. In un attacco di virtuosismo melodico ho addirittura concluso con un Inno nazionale che non deve nulla al Salmo 137 ma che è sempre molto, molto attuale a più di vent'anni dalla sua uscita - e ogni volta i pannolini Pampers aprivano i video, con singolare importunità.

Concluso il tutto, mentre chiudevo i vari video e link, una voce mi informa "Lo sa, prof, che ieri Fratelli d'Italia è diventato l'inno ufficiale?".
Se non ci fosse stato il precedente di vent'anni fa avrei accolto la notizia con fiducia e un bel sorriso, plaudendo alla graziosa coincidenza. Invece mi sono voltata stizzita "Sciocchezze, è la solita bufala che circola da anni. Provvisorio è, e provvisorio resta".
In verità mi pareva davvero strano che, senza alcun preavviso e in un momento in cui la legislatura sta finendo, per di più con tante leggi ancora a mezza strada, in parlamento si fossero preoccupati proprio dell'inno d'Italia, che sta lì provvisorio ormai da settanta anni e passa senza recare disturbo ad alcuno.
"Ma l'hanno detto al telegiornale!".
"Seee, il telegiornale. Che telegiornale era?"
"Il TG5".
"BAH. Se l'ha detto il TG5 non mette neanche conto parlarne" ho tagliato corto.
Poi, in tarda serata, mi è sorto un filo di dubbio e sono andata a controllare.
Ebbene no, non era una mattana del TG5. O, se non altro, era una mattana condivisa da tutti i telegiornali nazionali e le agenzie e i giornali.

Così la mattina dopo, seguendo il principio che, quando la colpa è pubblica, deve essere pubblica anche la riparazione, prima ancora di aggiornale il registro ho fatto doverosa ammenda:
"A quanto pare ieri vi ho detto una grossa sciocchezza, e quello che abbiamo fatto è effettivamente l'inno ormai ufficiale del nostro paese". E tutti hanno annuito bonariamente, con su scritto in faccia "Sì, lo sappiamo - e te l'avevamo pure detto".

Epperò, se coi tempi che corrono uno deve anche dar retta al TG5, la vita comincia a diventare davvero complicata.

venerdì 17 novembre 2017

17 Novembre 2017 - Festa del Gatto Nero


Quest'anno la tradizionale Festa del Gatto Nero ricorre addirittura di Venerdì, attirandosi quindi gli influssi più negativi (e perciò positivi, secondo la legge degli opposti) che mai festa o ricorrenza possa attirare.
Che il gatto nero in realtà non porti affatto sfortuna è teoria abbastanza vecchia, anzi scontata per chiunque abbia il piacere di condividere la sua vita con una di queste magiche creature; ma non c'è un motivo scientificamente attestato per credere che porti più o meno fortuna di un qualsiasi soriano: dopotutto la principale caratteristica che ha un gatto nero è di essere un gatto, ma è una caratteristica abbastanza comune tra i gatti di ogni tipo, stazza e colore.
Tuttavia gli inglesi hanno addirittura stabilito che un gatto nero porta fortuna - volendo, una superstizione pure questa, ma che come tutte le superstizioni positive, non fa danno a nessuno e fa piacere credere, oltre a produrre simpatiche cartoline di auguri
E dunque auguri a tutti i gatti, neri e diversamente neri e anche diversamente gatti e auguri anche a chi passa per di qua, ché la fortuna fa sempre comodo.
Ma soprattutto una raccomandazione:
se un gatto nero vi attraversa la strada,
COCCOLATELO!

sabato 11 novembre 2017

Hortodoxa - Insegnare non è vaccinare

Nel tempo in cui infuriano le polemiche sulle vaccinazioni, il nostro amato Ministero dell'Istruzione ha deciso di indagare sul tasso di vaccinità di noi docenti.
A tal scopo ci è stato consegnato un foglio in cui, dopo aver spiegato chi siamo e donde veniamo (nel senso di dove siamo nati), dichiariamo sotto la nostra responsabilità che siamo o non siamo vaccinati per una lunga sfilata di roba, con possibilità di "non ricordare". Di tale modulo si era parlato nell'ultimo Collegio Docenti. Qualcuno che aveva già visto il modulo in questione aveva osservato che  tanti di noi, per ragioni anagrafiche, non erano stati vaccinati contro alcune malattie (morbillo e rosolia, tanto per fare due esempi) ma che avevano avuto cotali malattie e quindi suggeriva di aggiungere a mano a lato "immune" - perché il caso non era previsto dal modulo.
La Preside aveva detto che si poteva fare, perché in fondo una nota a lato non faceva male a nessuno.
Trovatami alfine il modulo davanti rimasi assai assorta a ponderare per qualche minuto. Ai miei tempi vaccinare era di moda, e non vaccinare era segno di oscurantismo e grave tendenza alla superstizione - e infatti i miei, pur appartenendo allo zoccolo dell'istruzione medio-alta (diploma delle scuole superiori, all'epoca non era comunissimo) mi avevano vaccinato senza batter ciglio per qualsiasi cosa ci fosse da vaccinare senza timore di complotti della Big Pharma o simili. Anzi, più volte mi è stato raccontato che per la poliomelite fui vaccinata due volte perché il vaccino che usava quando ero piccola non era ritenuto molto efficace* e il mio pediatra si fece venire quello nuovo direttamente dalla Svizzera. Di nuovo i miei non batterono ciglio perché il pediatra era un amico di famiglia verso cui nutrivano totale fiducia, e anche perché genericamente erano abbastanza fiduciosi verso la medicina in generale (cosa da cui non gli è poi venuto un gran male), e così feci anche la vaccinazione supplementare. Sta di fatto che la poliomelite non la presi.
Passai senza particolari problemi, a parte qualche bella febbrata, morbillo, scarlattina e rosolia e vidi mia madre prendersi gli orecchioni a quarant'anni stando malissimo. La brava donna cercò di contagiarmi in tutti i modi: bevevamo il té dallo stesso bicchiere e passammo molte ore sul suo letto a giocare a carte e a Monopoli, ma gli orecchioni non li presi. In compenso presi la pertosse, e da adulta mi sono sempre meravigliata di quei genitori che, potendo vaccinare i loro figli per cotal malattia nutrissero anche l'ombra di una esitazione: non sono morta di pertosse né ci sono andata vicino, ma accidenti se me la ricordo - e non è tra i miei ricordi più cari. Poter risparmiare a qualcuno una scocciatura del genere e non farlo per me è indizio di grave sadismo, punto e basta. Sembra invece che non abbia mai avuto la varicella - anche se la cosa è piuttosto incerta perché si può prendere in forma molto lieve. Prenderla da adulti invece è un vero strazio, ho scoperto.

Intorno a me alcuni colleghi borbottavano che davvero non ricordavano e non sapevano, e qualcuno parlò anche di cercare i libretti di vaccinazione. Quanto a me, non avevo di questi problemi: conosco l'archivio di casa e so che i miei libretti sono scomparsi nel nulla qualche decennio fa.
Ma il fatto di avere avuto il morbillo, davvero mi rende immune
Non lo so. Francamente, le mie competenze di medicina stanno larghe in un cucchiaino. Disinfetto regolarmente tagli e piccole ferite, so che esistono i globuli rossi e bianchi e in questo periodo mi sono fatta una pjccola infarinatura su le budella, queste sconosciute. Tendo a scansare gli analgesici, anche se ne ho presi in dosi industriali all'inizio dell'anno. Prendo regolarmente miele, echinacea e propoli nel tentativo di prevenire i miei non rari raffreddori, ma al primo accenno di mal di gola passo la questione in mani più competenti.
Di immunologia e di immunità proprio non so nulla.

Soprattutto: il Ministero, quando ha diffuso il modulo, dove andava a parare? Voleva qualche statistica? Cercava dati sulla sicurezza degli alunni che ci vengono affidati? Aveva un po' di carta da smaltire?
Non lo so e nessuno me l'ha spiegato. Però il Ministero è il mio datore di lavoro e la legge mi impone di non dargli informazioni false. Mai l'ho fatto e mai lo farò.
Così non mi sono proclamata immune a un bel niente e non ho millantato vaccinazioni non ricevute. Mi sono rifiutata di interpretare o completare il questionario e mi sono limitata a rispondere.
Mi schederanno?
Non per questo passerò ansiose notti in bianco.
Mi chiederanno di vaccinarmi per la pertosse?
Sosterrò la prova con la saldezza d'animo e il coraggio che da sempre mi contraddistinguono**.
Ma il falso in atto pubblico non lo dichiarerò mai, se appena posso evitarlo, serva o non serva a qualcosa. E non inquinerò i dati.

Con questo post partecipo al concorso "Dipendente d'oro 2017" fiduciosa di conquistarmi almeno un buon piazzamento.

*la leggenda narra che all'epoca il Ministero della Sanità avesse ancora ampie scorte del vecchio vaccino che decise di smaltire, e che parecchi bambini ci andarono di mezzo perché la poliomelite la presero. Ne ho conosciuti più di uno.
**ebbene sì, non ho mai pianto alle vaccinazioni, e nemmeno quando mi facevano le iniezioni. Sopportavo in silenzio e me ne facevo una ragione. Vabbé, esistono prove di coraggio più grande, lo ammetto.