Guidare la navicella (ma forse, considerando le dimensioni del tutto, sarebbe più pertinente definirla una petroliera) dell'adattamento cinematografico dello Hobbit nel suo legittimo porto d'arrivo si è rivelato affare invero assai lungo e complesso, e in più di un momento anche i più ottimisti tra fan e produttori avevano visto scemare le loro speranze in proposito fin quasi alla totale scomparsa.
Eppure, in un groviglio inenarrabile di compagnie di produzione sciolte e riformate, diritti d'autore comprati e rivenduti, progetti abortiti ma mantenuti in vita con l'incubatrice, registi (Guillermo Del Toro) e attori (Martin Freeman) che infine si rassegnavano e a malincuore salutavano dopo anni di lavoro e/o di attesa, alla fine le cose si sono incamminate (perché alla fine bisogna pur che si incamminino); e siccome nella vita le cose a volte si perdono, a volte si trovano e in certi casi si finisce per ritrovare perfino più di quel che si pensava di aver perso, ecco che gli spettatori si sono trovati tre film invece di due - che è una specie di primato, considerando che alla base di tutto c'è un romanzo di 350 pagine, più corto di ognuna delle tre parti che compongono il Signore degli Anelli; più un regista che è l'unico esperto di hobbit umani davanti alle telecamere (Peter Jackson); più Martin Freeman, che il regista è riuscito a tenere nonostante tutto, ricomponendo sulla base dei suoi impegni la complessa tabella di marcia della produzione dei film.
Insomma, finalmente il primo film Un viaggio inaspettato è approdato sugli schermi e in tanti ci siamo precipitati a vederlo, con le più varie speranze e aspettative.
Tralasciando quei comuni mortali, soprattutto giovanissimi, che sono andati al cinema mossi principalmente da spontanea curiosità e senza particolari prevenzioni e han giudicato in base al loro personale capriccio, il film è stato tampinato anche da due pericolosissime quanto vaste categorie: gli Orfani della Trilogia del Signore degli Anelli e i Fan Implacabili di Tolkien.
I primi sono una nera categoria di bieche creature che conoscono pochissimo i libri di Tolkien ma in compenso si sono mandati a memoria la trilogia dei film. Noi Fan Implacabili li guardiamo moooolto dall'alto in basso e ci schifiamo assai quando ci accorgiamo che non conoscono nemmeno nozioni elementari come i quattro nomi di Gandalf o quelli dei padri dei quattro hobbit, dimostrando così un'ignoranza davvero inconcepibile; sono quelli che si lamentano che nello Hobbit Gran Burrone appare troppo illuminato (sorvolando sul fatto che a Gran Burrone le stagioni passano e anche lì d'estate c'è più luce che in inverno) e che certi nani non hanno abbastanza barba.
I secondi... sì, appunto, sono quelli che si ricordano a memoria i re di Rohan delle due linee di tumuli, i padri dei padri dei padri dei protagonisti, i nomi di tutti i luoghi della Terra di Mezzo in non meno di due lingue e che cosa dice Gimli nel terzo capitolo del secondo libro della Compagnia dell'Anello quando commenta con Aragorn il tempo sulle montagne. Sono quelli che sanno che Legolas dovrebbe avere i capelli neri (forse) e che Thorin è più vecchio di Balin. Una razza perfino peggiore di quella degli Orfani, se devo essere sincera; implacabile quanto incline alla mormorazione, pronta a deplorare sia le insalatine di Gran Burrone (gli elfi non sono affatto vegetariani, tanto meno vegani) sia la contrarietà del Bianco Consiglio davanti alla spedizione di Thorin (ma quando mai?!).
A tutti gli effetti io rientro nella seconda categoria: possiedo una solida conoscenza del corpus tolkieniano che mi permette di stabilire quando nel film una data frase è stata spostata da un punto all'altro della vicenda e ho guardato abbastanza dall'alto in basso la trilogia (per quel poco che l'ho guardata) pur ammettendo che è senz'altro degno della massima meraviglia e ammirazione il fatto che qualcuno si sia imbarcato in un'impresa epica come quella di filmare il Signore degli Anelli e addirittura sia stato capace di portare a termine l'immane cimento, per giunta uscendone vivo e traendone perfino qualcosa di accettabile.
Il mio legame col romanzo Lo Hobbit è comunque molto più leggero, e insomma sono entrata al cinema con animo aperto e disponibile, pronta a prendere le cose come venivano.
La prima cosa che ho dovuto prendere, in effetti, sono stati gli occhiali da 3D, per la prima volta in vita mia - e solo il mio sconfinato amore per Tolkien mi ha potuto indurre a un passo simile. Siccome ho visto il film per tre volte, ma sempre in 3D, non ho idea se in 2D è meglio (l'avrò, immagino, al momento dell'acquisto dei DVD, perché mi rifiuto di contemplare l'ipotesi di acquisto di uno schermo apposito per il 3D) e nemmeno sono in grado di dire se la nuova tecnica a 48 fotogrammi al secondo cambi davvero le cose: ho infilato gli occhiali e mi sono tuffata nella storia e questo è quanto. A tratti, lo ammetto, le figure mi davano la strana impressione di stare in una di quelle palline di vetro con il paesaggio e la neve dentro, ma è stata una sensazione di pochi istanti qua e là. Il film mi ha avvolto nella sua nuvola magica per depositarmi, stanca, del tutto soddisfatta e un po' scossa, due ore e quaranta minuti dopo. Non ci ho trovato nulla di noioso, sia nella prima parte più lenta che nella seconda più movimentata. Così come l'ha fatta Jackson, la storia mi è andata benissimo.
Come sempre nel Tolkien di Jackson i paesaggi recitano benissimo, direi in modo spettacolare: Casa Baggins non la saprei immaginare diversa, la Contea è incredibilmente conteeggiante, il regno dei nani squisitamente nanesco, i paesaggi molto tolkieniani e Bosco Atro atreggia nel migliore dei modi.
Tutti si sono commossi in modo indicibile davanti al raccordo con la trilogia, ovvero la scena introduttiva tra il Vecchio Bilbo e Frodo. Io no. Di Frodo, al momento, non mi importava un accidente, e il Vecchio Bilbo è ai miei occhi una contraddizione in termini: i Grandi Anelli fermano l'invecchiamento, dunque Bilbo dovrebbe essere uno solo, ovvero quello ampiamente adulto ma niente affatto vecchio che partecipa all'avventura - all'incirca di 35 anni su scala umana e 50 per l'anagrafe hobbitiana; e adesso rimpiango molto che la scena dove Bilbo racconta a Gandalf che si sente osservato dall'Anello e gli pare di essere del burro spalmato su una fetta di pane troppo grande non sia stata fatta da Martin Freeman. Sì, lo so, Ian Holm è un grandissimo attore e ha fatto bene la sua parte - ma Martin Freeman è Bilbo e non dovrebbe esistere alcun Bilbo all'infuori di lui. Inoltre l'idea che proprio il giorno prima della Grande Festa Bilbo si decida a iniziare a scrivere il celebre Libro Rosso mi sembra abbastanza fuori dal mondo, ma se tutti gli altri son contenti, allora sono contenta anch'io per loro - e poi mi ha fatto piacere vedere Frodo che sorrideva, visto che nella trilogia non ha molte occasione per farlo.
Jackson ha detto che gli riusciva difficile immaginare i film dello Hobbit senza Martin Freeman, e lo capisco perfettamente. Ho letto quattro volte il romanzo, ho perso il conto delle letture del Signore degli Anelli (dove non mi ero mai ben spiegata, in verità, perché i quattro hobbit facessero tanto conto di Bilbo Baggins) e mai avevo compreso davvero il personaggio fin quando Freeman non l'ha portato sullo schermo.
In principio era Bilbo Baggins. Tutta la storia nasce da lui e, per via secondaria, dal fatto che non volle colpire senza necessità una creatura piagnucolosa e insopportabile che fino a pochi minuti prima meditava apertamente di mangiarselo intero e crudo. Bilbo deciderà più volte il destino della Terra di Mezzo, senza averne l'aria, spesso senza saperlo, ma sempre in base a scelte rigorosamente etiche e consapevoli.
Un personaggio così minimale e borghese e sorridente può stroncare un attore peggio di un Grande Ruolo Shakespeariano, oppure può calzare come un guanto, senza sforzo apparente, e allora diventano perfettamente in carattere perfino certi improbabili proclami sull'opportunità di aiutare chi ha perso la sua casa a ritrovarne una.
Bilbo Baggins non è solo un educato gentilhobbit di campagna attratto suo malgrado dalle avventure - che pure sono cose scomode che fanno fare tardi a cena: dietro la sua gentilezza quasi inalterabile vive un personaggio molto diverso dai nani, ma anche completamente estraneo dai meccanismi consueti che vincolano gli eroi, gli antieroi e gli eroi-loro-malgrado che riempiono la maggior parte dei film e dei romanzi non solo contemporanei.
Bilbo Baggins non è solo uno dei tanti hobbit, è lo hobbit per eccellenza. Qualcuno si è lamentato che il personaggio sia stato costruito assemblando un po' di caratteristiche da ognuno dei quattro hobbit della trilogia, ma in realtà è vero l'opposto: i quattro hobbit nascono per diffrazione da Bilbo, pur vivendo di vita propria nel romanzo più lungo. E con tutto ciò Bilbo contiene ancora delle caratteristiche sue personali, che il film ha mantenuto (e del resto, la trasposizione degli hobbit è stata piuttosto fedele anche nella trilogia).
Esempio veloce: quando Gandalf gli offre la spada la trova bella, ma gliela rende subito indietro dicendo che "non può prenderla". Per invogliarlo, Gandalf gli spiega che la lama diventa azzurra in prossimità di orchetti e goblin. Bilbo prova a tagliar corto spiegando che non ha mai usato una spada in vita sua - a bassa voce, che non arrivi qualche nano a spiegargli quant'è importante girare ben armati per le Terre Selvagge. Galdalf allora sposta la questione: ma certo, speriamo tu non debba usarla mai... ma qualora il disgraziato caso si presentasse, ricorda che il vero coraggio non è nel sapere quando prendere una vita, ma quando risparmiarla. Bilbo annuisce, pensieroso, poi guarda per la prima volta la spada con vero interesse, come se avesse avviato una riflessione completamente nuova. E la tiene.
Per la cronaca la spada è Sting (all'epoca della pubblicazione del romanzo non ancora un rinomato quanto eccellente musicista) ovvero il tagliacarte più utile, più versatile e più affidabile di tutta la storia della letteratura occidentale; ma ci sarà occasione di parlarne meglio nel secondo film.
Tre film da spremere da un romanzetto sono veramente troppi, era stato il lamento universale. Ma, a conti fatti, tre film sembrano proprio la lunghezza giusta, soprattutto se si decide di fare qualcosa di diverso da una trascrizione un po' affrettata (che del resto era già stata fatta anni fa a cartoni animati e non era nemmeno venuta troppo male).
Lo Hobbit era nato come romanzo per bambini, ma da quando ne aveva iniziato a scrivere il seguito Tolkien aveva cominciato a guardarlo con occhi diversi e a porsi un sacco di domande. Ne erano nati una revisione piuttosto radicale dell'incontro con Gollum, una corposa appendice del Signore degli Anelli dedicata ai nani, con particolare riferimento alla stirpe di Thorin, e qualche scritto rimasto a lungo inedito dove Gandalf raccontava la cerca di Erebor dal suo punto di vista. Il romanzo per bambini era così diventato sempre più il prequel della Guerra dell'Anello. La saldatura però non era mai stata completata e per molti di noi lettori, soprattutto quelli che avevano iniziato leggendo il Signore degli Anelli, lo Hobbit risultava in qualche modo stonato.
Cercando di riavvicinare i due romanzi nell'atmosfera, Jackson ha fatto secondo me un'opera meritoria, tanto più che per il momento sembra pure essergli riuscita. Di fatto è proprio qui che cominciano le infinite lamentele dei critici, dei tolkieniani e pure dei fan della prima trilogia. Intendiamoci: la maggior parte degli spettatori ha apprezzato il film e molti hanno aperto bocca solo per chiedere un secondo e un terzo biglietto onde rivederselo più volte e meglio apprezzarlo; e costoro non hanno sciorinato lunghe liste di lamentele. Ma siccome è notoriamente impossibile contentare tutti, e stante che i critici, se non criticassero, li chiamerebbero plaudenti o probanti o qualcosa del genere, ci sono state un'infinità di lamentele sulle più svariate questioni, a torto o a ragione (ma anche qualche occasionale recensore che ha apprezzato).
Punto primo: il film non è abbastanza epico: non c'è più la Terra di Mezzo da salvare, ma solo un regno da riconquistare e un drago da uccidere (no, capite, solo un drago. Mica è materiale epico, un drago. D'accordo, per il momento il drago non si è ancora visto, tuttavia qua e là qualche spunto epico a me è sembrato di intravederlo. Possibile che, al giorno d'oggi, se non scomodi come minimo il Bene e il Male e il Futuro del Mondo non ti lascino più nemmeno scrivere una commedia d'amore?).
Punto secondo: il film è troppo comico, con tutti quei nani così fuori dalle righe. Perché andava benissimo perculare per tre film a fila l'assai stimabile Gimli (uno dei miei molti personaggi preferiti del Signore degli Anelli) onde conferire un tocco di "comicità" alla trilogia, ma se hai a disposizione tredici nani tredici allora no, devono essere tutti e tredici seri, solenni e immusoniti.
Inutile provare a ribattere che, se proprio vogliono un nano serio e solenne, c'è Thorin Scudodiquercia che se la tira nel più filologico dei modi dall'inizio alla fine del film (e si suppone lo farà anche nei prossimi due), ed essendo interpretato pure lui da un eccellente attore (Richard Armitage) riesce nella miracolosa impresa di tirarsela in modo incredibile, sì, ma fermandosi sempre un capellesimo di millimetro al di qua del ridicolo.
Nossignori, neanche Thorin Scudodiquercia va bene: intanto è troppo presente e oscura Bilbo, poi non ha abbastanza barba e infine assomiglia troppo ad Aragorn.
Per la poca barba, col tempo è stata presa per buona la spiegazione del regista, stando al quale Thorin è un re in esilio e non si sente all'altezza di avere una gran barba (una cosa che Jackson si è cavato dalla testa, perché nel romanzo Thorin la barba ce l'ha, e anche bella lunga). Ma c'era il problema che anche i due giovani nipoti di Thorin, i carinissimi Fili e Kili, avevano poca barba, anzi Kili ne era praticamente privo - e, peggio di tutto, sembrava un cantante da boy band. Insomma, orrore degli orrori: nella compagnia di Thorin Scudodiquercia c'erano un Nano Carinissimo, che avrebbe fornito il fan service per le spettatrici più giovani, e un Nano Carismatico, ovvero Thorin in persona, dai languidi occhi bistrati e per di più dotato di una spettacolare voce da basso (che usa senza ritegno per corteggiare lo hobbit) che avrebbe fornito il fan service per le spettatrici più cresciute - e anche per qualche spettatore, volendo). In più c'era Fili, anche lui tutt'altro che inguardabile.
Insomma, dove andremo a finire? Un nano deve essere un cesso, no? E' stabilito per contratto, giusto? E soprattutto: deve essere un cesso con molta barba.
Qualcuno è arrivato perfino al punto di criticare il fatto che Kili usi l'arco, che non è un'arma da nani - prontamente smentito da chiunque avesse letto lo Hobbit almeno una volta in vita sua: i nani tirano d'arco, eccome, e non solo i due giovinetti della compagnia.
Poi c'è il lamento di chi sostiene che i nani restano una massa indistinta sullo sfondo, a parte Thorin, nonostante l'impegno profuso nel dare ad ognuno di loro un'acconciatura particolare. Tuttavia, facendo un po' di conti, alla fine del film qualche nome dovrebbe restare impresso, a parte Thorin: ci sono Fili e Kili che cantano nella boy band, Balin (figlio di Fundin e futuro signore di Moria, per un breve periodo)
che fa il Vecchio Saggio della compagnia e che anche nel libro emerge, nella terza parte; Gloin che ha la stessa immane quantità di pelame rosso che
caratterizzava Gimli nella trilogia, più Bombur che si riconosce bene per la stazza (proprio come nel libro).
Gli sceneggiatori si sono dati da fare, anche se non (ancora) per tutti: e abbiamo Ori, il nano terribilmente educato
("Scusate, mi dispiace interrompervi, ma dove dovrei mettere il mio piatto?") a parte quando si ripromette di infilzare Smaug dalla parte posteriore - proposito invero assai più facile da esprimere che da realizzare nel concreto; e Bofur, caratterizzato da un demenziale cappello in pelliccia con le alette:
un nano piuttosto pragmatico ma gentile d'animo, che spiega a Bilbo nei dettagli cosa è un drago ("Pensa a una fornace con le ali") e che fin dall'inizio si affeziona a quella specie di mascotte che per volontà di Gandalf la compagnia si porta dietro. Siccome è l'unico che con Bilbo avvia un discorso serio, è anche quello che si becca l'unica frase sgarbata che il gentilhobbit rivolge a un nano in tutto il film "Voi non potete capire perché siete nani e per voi vivere come vagabondi è normale" - ma invece di mandare al diavolo Bilbo dopo quell'uscita, lo comprende e gli augura pure buona fortuna in una delle scene più struggenti.
Sette nani su tredici individuati al primo film mi sembrano una percentuale accettabile. Naturalmente chi è stato attento e diligente e si è ben documentato in rete li riconosce a colpo sicuro tutti e tredici, mentre chi si è limitato a seguire il film senza farne una questione di stato (ovvero il 95% degli spettatori) ha individuato solo i tre nani carini e ha memorizzato a livello inconscio quello con la barba bianca biforcuta e quello con lo strano cappello di pellliccia con le ali che augura buona fortuna a Bilbo. Di fatto basta e avanza, perché la maggior parte dei nani svolge la funzione di coro: non siamo nella Compagnia dell'Anello, dove ognuno ha la sua storia, è la compagnia di Thorin Scudodiquercia, che i nani non si azzardano mai a contraddire, nemmeno quando pensano (o penseranno) che abbia torto.
Qualcun altro si è poi lamentato che i nani cantassero troppo, trasformando il film in un musical.
Il punto è che le cosiddette canzoni del musical le aveva scritte Tolkien in persona, insieme a svariate altre decine che pullulano per ogni dove sia nell'Hobbit che nel Signore degli Anelli. Evidentemente il professore non trovava niente di scandaloso nel canto di per sé, né lo trovava contrario allo spirito dell'epica (il tutto anche tralasciando l'infinitesimale dettaglio che la letteratura epica nasce appunto come poesia cantata un po' in tutte le culture). In italiano, o meglio nelle attuali traduzioni italiane, le canzoni di Tolkien sono quasi tutte orribili. Lette in inglese, anche appoggiandole ad una semplicissima base ritmica, fanno già un effetto completamente diverso. Ai tempi della trilogia venne deciso di non giocare quella carta, con mio grande dispiacere - e così ogni film di 007 dalla notte dei tempi ha avuto la sua canzone in testa alle classifiche, ma nella trilogia dal Signore degli Anelli le canzoni sono ben poche, e quasi tutte rimpiattate al momento dei titoli di coda.
Nel film dello Hobbit le canzoni sono tre - o meglio, tre frammenti. Il primo è una specie di danza irlandese che accompagna i nani mentre rimettono in ordine la casa di Bilbo, minacciando nel contempo di fare grandissimi disastri. Dura meno di un minuto, copre solo due strofe e purtroppo non ne esiste al momento una versione completa, nemmeno nel CD della colonna sonora. La sincronia tra la musica e i movimenti dei nani è squisita - la classica scena che non ci si stanca mai di vedere.
La seconda canzone, dedicata al perduto regno di Erebor, è avviata a cappella da Thorin, con gli altri nani che si uniscono via via. Viene eseguita nella penombra del corridoio di casa Baggins ed è solo l'ultimo atto della lunga manovra di seduzione con cui il povero hobbit viene sistematicamente intrappolato. Dalla stanza da letto dove si è rifugiato Bilbo ascolta, con l'aria sofferente e lo sguardo affamato della piccola fiammiferaia che ammira la vetrina della pasticceria la vigilia di Natale (chi mai può resistere a tredici nani che nella notte ti promettono fiamme, morte e distruzione in alternativa alla tua comodissima tana hobbit? Non Bilbo, di sicuro).
Si tratta insomma di un pezzo che svolge una precisa funzione nell'impianto narrativo: quando le parole hanno fatto il loro lavoro si passa al linguaggio della musica, perché spieghi quel che non è stato possibile dire. In un'intervista, Armitage ha detto che si è servito di quella canzone per trovare la voce di Thorin; per quel che mi riguarda, avrebbe dovuto servirsi di quella canzone anche per cantarla tutta, fino all'ultima strofa.
...la terza canzone la canta il capo dei goblin. Sì, sono d'accordo, anche senza è ben possibile che il mondo sarebbe riuscito ad andare avanti in qualche modo, e il film pure. Anzi, dal canto mio mi sarei rassegnata di buon grado a fare a meno di quasi tutta la parte del combattimento nella montagna - Jackson ci va pazzo, per queste interminabili scene di combattimento nelle viscere dei monti, ma io no.
E veniamo alla Grande Critica, ovvero la Critica delle Critiche: perché pensate che c'è stato perfino qualcuno così sconsigliato e malfidato da osare dire che...
...ebbene sì, che gli intrecci del Signore degli Anelli e dello Hobbit si somigliano. Il peggio è che questi Qualcuni che hanno osato dirlo han pure ragione: esiste addirittura una scuola di pensiero che sostiene che Tolkien si è limitato a scrivere due volte lo stesso romanzo - e, in tutta onestà, non è nemmeno una scuola di pensiero con cui mi trovi in particolare disaccordo.
Inutile negarlo: si parte dalla Contea, incontro con i troll, tappa a Gran Burrone, poi un sacco di scomodissime montagne ti inghiottono e ti risputano fuori dopo avertene fatte di tutte e per giunta ci incroci Gollum, che non è mai il massimo come compagnia, un po' di elfi, un po' di ragni, qualche lupastro, un viaggio sul fiume, aquile che arrivano alla fine della battaglia, la rinuncia a Qualcosa di Prezioso, un re in cerca di corona...
E infatti arrivati al re in cerca di corona molti si sono lamentati della mancanza di originalità... di Peter Jackson - il che mi sembra un tantino ingiusto; senza contare che, anche se Tolkien su questa storia del re senza corona che la rivuole indietro si era un po' fissato (in fondo anche Sauron vuole solo riprendersi il suo regno, povera stella) di sicuro i suoi re senza corona sono diversi tra loro e per trovare delle somiglianze tra Thorin e Aragorn - che sia l'Aragorn di Tolkien o quello di Jackson non importa - ci vuole, secondo me, una certa tendenza ad appiattire intrecci e personaggi.
E dunque un vago senso di deja-vu qualcuno l'ha lamentato. A ragione. E infatti buona parte dei luoghi sono quelli, le storie si somigliano... e alcuni personaggi sono proprio gli stessi. Gandalf, per esempio. Differenza di atmosfera o meno, nessun lettore rischia di perdersi, con Gandalf: come lo lasci nell'Hobbit, così lo ritrovi nel Signore degli Anelli - stesso vestito, stesse sopracciglia, stesso cappello a punta... stesso attore, naturalmente, e nonostante i dodici anni di età in più che si ritrova sulle spalle Ian McKellen sembra perfino più energico e più squisitamente misterioso. C'è anche un Gollum in forma smagliante (per quanto Gollum possa essere in forma smagliante, certo: un mucchietto di ossa lamentose e uno sguardo molto affamato) mirabilmente interpretato dallo stesso attore della trilogia, o almeno così ci hanno garantito, ma per quel che se ne vede, al posto di Andy Serkis potrebbero averci messo anche Brad Pitt. E poi a Gran Burrone c'è Elrond, che per fortuna è molto meno antipatico e aggressivo che nella trilogia.
Anche una parte della colonna sonora della trilogia è sopravvissuta: il tema delle aquile, della Contea, di Gran Burrone... e che colpa ne ha Howard Shore se anche nello Hobbit ci sono la Contea, le aquile eccetera eccetera eccetera? Sta di fatto che nella trilogia la colonna sonora (a suo tempo universalmente apprezzata) mi aveva lasciato del tutto indifferente, mentre stavolta ne ho goduta e apprezzata ogni nota.
Anche se la sceneggiatura è stata ritenuta all'unanimità molto fedele, ci sono stati degli ampliamenti, qua e là, delle modifiche e perfino dei tagli, oltre a delle integrazioni. Queste ultime sono state tratte esclusivamente dalle Appendici del Signore degli Anelli, e in particolare da quella dedicata ai nani "Il popolo di Durin" (anche se gli inesperti e gli incolti straparlano di aggiunte prese dal Silmarillion, da dove in verità non sarebbe possibile estrarre una sola riga su Erebor nemmeno mettendoci il massimo dell'impegno); si è molto dibattuto e criticato sul fatto che Azog dovrebbe essere morto da un bel po' di anni e sul perché sia stato inserito nel film, ma non è questione cui riesca ad appassionarmi: nel film Azog è solo il solito, insulso e cattivissimo orco che fa onestamente il suo mestiere di insulso e cattivissimo orco, e avere lui o un altro in tale insulso ruolo è per me del tutto indifferente. E' probabile però che avremo ampie spiegazioni a riguardo nel secondo film, così come darei per sicuri anche cospicui flashback sullo sventurato Thrain (padre di Thorin) e sulla sua tragica storia - insomma Gandalf racconterà nei dettagli come ha avuto la mappa e la chiave. Quanto ai brani dei Racconti Ritrovati, al momento non sono stati citati, si presume che mai lo saranno, ma hanno lasciato un'impronta piuttosto visibile nella sceneggiatura. Per chi è in grado di vederla, certo.
Il ruolo delle aquile è stato piuttosto ridimensionato, anche se i pochi minuti che vengono loro dedicati sono davvero spettacolari; qualcuno ha deprecato, non del tutto a torto, come, una volta di più, siano state ridotte ad aerotaxi (le famose Gwaihir Airlines) e mi rimane un certo rimpianto per non avere assistito al soggiorno della compagnia nei nidi della aquile, con tanto di barbecue offerto agli ospiti. Mi rendo conto che la trama era stata incastrata in un modo che rendeva difficile infilarci anche quello, però il Signore delle Aquile era comunque un personaggio interessante. Tuttavia è possibile che la scena venga recuperata in futuro, perché il romanzo prevede un'altra comparsa di queste maestose e alate creature.
La scena del combattimento dei giganti di pietra (assai più drammatica che nel libro, visto che i due personaggi principali rischiano seriamente di lasciarci la pelle) è stata per molti una sorpresa: le poche righe dedicatele sfuggono facilmente - io stessa l'ho notata per la prima volta nella lettura fatta in classe quest'anno. Molti si sono quindi scagliati lancia in resta contro cotal inutile aggiunta... per poi scoprire che nell'angolino ben nascosto di un capitolo c'era qualche riga d'appoggio che non la rendeva affatto un'aggiunta.
La maggior parte delle modifiche riguardano l'apprendistato da eroe di Bilbo e il suo rapporto con Thorin; il quale Thorin è un po' diverso rispetto al romanzo, ma abbastanza simile a come viene descritto nelle Appendici. Averlo ringiovanito e reso meno pedante è stata una scelta felice: le caratteristiche di base sono state mantenute ma lo spettatore (o la spettatrice) è molto più disponibile a simpatizzare con lui, e questo nel terzo film potrebbe fare una certa differenza.
Tolkien riscrisse solo il quinto capitolo, lasciando il resto del romanzo così com'era. Pare che ci fossero stati dei fraintendimenti con l'editore, e che davanti ai suoi tentativi di riscrittura chi era intorno a lui si fosse lamentato che quello non era più lo Hobbit - ma insomma resta il fatto che venne riscritto solo il quinto capitolo. Infatti nel romanzo, dopo essersi mirabilmente ri-partorito, Bilbo riprende il suo cammino con la compagnia animato dal solito spirito di partecipazione da pacco postale che lo caratterizzava anche prima, limitando i suoi interventi all'avere una gran paura nei momenti più indicati a ciò.
Eppure, in un groviglio inenarrabile di compagnie di produzione sciolte e riformate, diritti d'autore comprati e rivenduti, progetti abortiti ma mantenuti in vita con l'incubatrice, registi (Guillermo Del Toro) e attori (Martin Freeman) che infine si rassegnavano e a malincuore salutavano dopo anni di lavoro e/o di attesa, alla fine le cose si sono incamminate (perché alla fine bisogna pur che si incamminino); e siccome nella vita le cose a volte si perdono, a volte si trovano e in certi casi si finisce per ritrovare perfino più di quel che si pensava di aver perso, ecco che gli spettatori si sono trovati tre film invece di due - che è una specie di primato, considerando che alla base di tutto c'è un romanzo di 350 pagine, più corto di ognuna delle tre parti che compongono il Signore degli Anelli; più un regista che è l'unico esperto di hobbit umani davanti alle telecamere (Peter Jackson); più Martin Freeman, che il regista è riuscito a tenere nonostante tutto, ricomponendo sulla base dei suoi impegni la complessa tabella di marcia della produzione dei film.
Insomma, finalmente il primo film Un viaggio inaspettato è approdato sugli schermi e in tanti ci siamo precipitati a vederlo, con le più varie speranze e aspettative.
Tralasciando quei comuni mortali, soprattutto giovanissimi, che sono andati al cinema mossi principalmente da spontanea curiosità e senza particolari prevenzioni e han giudicato in base al loro personale capriccio, il film è stato tampinato anche da due pericolosissime quanto vaste categorie: gli Orfani della Trilogia del Signore degli Anelli e i Fan Implacabili di Tolkien.
I primi sono una nera categoria di bieche creature che conoscono pochissimo i libri di Tolkien ma in compenso si sono mandati a memoria la trilogia dei film. Noi Fan Implacabili li guardiamo moooolto dall'alto in basso e ci schifiamo assai quando ci accorgiamo che non conoscono nemmeno nozioni elementari come i quattro nomi di Gandalf o quelli dei padri dei quattro hobbit, dimostrando così un'ignoranza davvero inconcepibile; sono quelli che si lamentano che nello Hobbit Gran Burrone appare troppo illuminato (sorvolando sul fatto che a Gran Burrone le stagioni passano e anche lì d'estate c'è più luce che in inverno) e che certi nani non hanno abbastanza barba.
I secondi... sì, appunto, sono quelli che si ricordano a memoria i re di Rohan delle due linee di tumuli, i padri dei padri dei padri dei protagonisti, i nomi di tutti i luoghi della Terra di Mezzo in non meno di due lingue e che cosa dice Gimli nel terzo capitolo del secondo libro della Compagnia dell'Anello quando commenta con Aragorn il tempo sulle montagne. Sono quelli che sanno che Legolas dovrebbe avere i capelli neri (forse) e che Thorin è più vecchio di Balin. Una razza perfino peggiore di quella degli Orfani, se devo essere sincera; implacabile quanto incline alla mormorazione, pronta a deplorare sia le insalatine di Gran Burrone (gli elfi non sono affatto vegetariani, tanto meno vegani) sia la contrarietà del Bianco Consiglio davanti alla spedizione di Thorin (ma quando mai?!).
A tutti gli effetti io rientro nella seconda categoria: possiedo una solida conoscenza del corpus tolkieniano che mi permette di stabilire quando nel film una data frase è stata spostata da un punto all'altro della vicenda e ho guardato abbastanza dall'alto in basso la trilogia (per quel poco che l'ho guardata) pur ammettendo che è senz'altro degno della massima meraviglia e ammirazione il fatto che qualcuno si sia imbarcato in un'impresa epica come quella di filmare il Signore degli Anelli e addirittura sia stato capace di portare a termine l'immane cimento, per giunta uscendone vivo e traendone perfino qualcosa di accettabile.
Il mio legame col romanzo Lo Hobbit è comunque molto più leggero, e insomma sono entrata al cinema con animo aperto e disponibile, pronta a prendere le cose come venivano.
La prima cosa che ho dovuto prendere, in effetti, sono stati gli occhiali da 3D, per la prima volta in vita mia - e solo il mio sconfinato amore per Tolkien mi ha potuto indurre a un passo simile. Siccome ho visto il film per tre volte, ma sempre in 3D, non ho idea se in 2D è meglio (l'avrò, immagino, al momento dell'acquisto dei DVD, perché mi rifiuto di contemplare l'ipotesi di acquisto di uno schermo apposito per il 3D) e nemmeno sono in grado di dire se la nuova tecnica a 48 fotogrammi al secondo cambi davvero le cose: ho infilato gli occhiali e mi sono tuffata nella storia e questo è quanto. A tratti, lo ammetto, le figure mi davano la strana impressione di stare in una di quelle palline di vetro con il paesaggio e la neve dentro, ma è stata una sensazione di pochi istanti qua e là. Il film mi ha avvolto nella sua nuvola magica per depositarmi, stanca, del tutto soddisfatta e un po' scossa, due ore e quaranta minuti dopo. Non ci ho trovato nulla di noioso, sia nella prima parte più lenta che nella seconda più movimentata. Così come l'ha fatta Jackson, la storia mi è andata benissimo.
Come sempre nel Tolkien di Jackson i paesaggi recitano benissimo, direi in modo spettacolare: Casa Baggins non la saprei immaginare diversa, la Contea è incredibilmente conteeggiante, il regno dei nani squisitamente nanesco, i paesaggi molto tolkieniani e Bosco Atro atreggia nel migliore dei modi.
Tutti si sono commossi in modo indicibile davanti al raccordo con la trilogia, ovvero la scena introduttiva tra il Vecchio Bilbo e Frodo. Io no. Di Frodo, al momento, non mi importava un accidente, e il Vecchio Bilbo è ai miei occhi una contraddizione in termini: i Grandi Anelli fermano l'invecchiamento, dunque Bilbo dovrebbe essere uno solo, ovvero quello ampiamente adulto ma niente affatto vecchio che partecipa all'avventura - all'incirca di 35 anni su scala umana e 50 per l'anagrafe hobbitiana; e adesso rimpiango molto che la scena dove Bilbo racconta a Gandalf che si sente osservato dall'Anello e gli pare di essere del burro spalmato su una fetta di pane troppo grande non sia stata fatta da Martin Freeman. Sì, lo so, Ian Holm è un grandissimo attore e ha fatto bene la sua parte - ma Martin Freeman è Bilbo e non dovrebbe esistere alcun Bilbo all'infuori di lui. Inoltre l'idea che proprio il giorno prima della Grande Festa Bilbo si decida a iniziare a scrivere il celebre Libro Rosso mi sembra abbastanza fuori dal mondo, ma se tutti gli altri son contenti, allora sono contenta anch'io per loro - e poi mi ha fatto piacere vedere Frodo che sorrideva, visto che nella trilogia non ha molte occasione per farlo.
Jackson ha detto che gli riusciva difficile immaginare i film dello Hobbit senza Martin Freeman, e lo capisco perfettamente. Ho letto quattro volte il romanzo, ho perso il conto delle letture del Signore degli Anelli (dove non mi ero mai ben spiegata, in verità, perché i quattro hobbit facessero tanto conto di Bilbo Baggins) e mai avevo compreso davvero il personaggio fin quando Freeman non l'ha portato sullo schermo.
In principio era Bilbo Baggins. Tutta la storia nasce da lui e, per via secondaria, dal fatto che non volle colpire senza necessità una creatura piagnucolosa e insopportabile che fino a pochi minuti prima meditava apertamente di mangiarselo intero e crudo. Bilbo deciderà più volte il destino della Terra di Mezzo, senza averne l'aria, spesso senza saperlo, ma sempre in base a scelte rigorosamente etiche e consapevoli.
Un personaggio così minimale e borghese e sorridente può stroncare un attore peggio di un Grande Ruolo Shakespeariano, oppure può calzare come un guanto, senza sforzo apparente, e allora diventano perfettamente in carattere perfino certi improbabili proclami sull'opportunità di aiutare chi ha perso la sua casa a ritrovarne una.
Bilbo Baggins non è solo un educato gentilhobbit di campagna attratto suo malgrado dalle avventure - che pure sono cose scomode che fanno fare tardi a cena: dietro la sua gentilezza quasi inalterabile vive un personaggio molto diverso dai nani, ma anche completamente estraneo dai meccanismi consueti che vincolano gli eroi, gli antieroi e gli eroi-loro-malgrado che riempiono la maggior parte dei film e dei romanzi non solo contemporanei.
Bilbo Baggins non è solo uno dei tanti hobbit, è lo hobbit per eccellenza. Qualcuno si è lamentato che il personaggio sia stato costruito assemblando un po' di caratteristiche da ognuno dei quattro hobbit della trilogia, ma in realtà è vero l'opposto: i quattro hobbit nascono per diffrazione da Bilbo, pur vivendo di vita propria nel romanzo più lungo. E con tutto ciò Bilbo contiene ancora delle caratteristiche sue personali, che il film ha mantenuto (e del resto, la trasposizione degli hobbit è stata piuttosto fedele anche nella trilogia).
Esempio veloce: quando Gandalf gli offre la spada la trova bella, ma gliela rende subito indietro dicendo che "non può prenderla". Per invogliarlo, Gandalf gli spiega che la lama diventa azzurra in prossimità di orchetti e goblin. Bilbo prova a tagliar corto spiegando che non ha mai usato una spada in vita sua - a bassa voce, che non arrivi qualche nano a spiegargli quant'è importante girare ben armati per le Terre Selvagge. Galdalf allora sposta la questione: ma certo, speriamo tu non debba usarla mai... ma qualora il disgraziato caso si presentasse, ricorda che il vero coraggio non è nel sapere quando prendere una vita, ma quando risparmiarla. Bilbo annuisce, pensieroso, poi guarda per la prima volta la spada con vero interesse, come se avesse avviato una riflessione completamente nuova. E la tiene.
Per la cronaca la spada è Sting (all'epoca della pubblicazione del romanzo non ancora un rinomato quanto eccellente musicista) ovvero il tagliacarte più utile, più versatile e più affidabile di tutta la storia della letteratura occidentale; ma ci sarà occasione di parlarne meglio nel secondo film.
Tre film da spremere da un romanzetto sono veramente troppi, era stato il lamento universale. Ma, a conti fatti, tre film sembrano proprio la lunghezza giusta, soprattutto se si decide di fare qualcosa di diverso da una trascrizione un po' affrettata (che del resto era già stata fatta anni fa a cartoni animati e non era nemmeno venuta troppo male).
Lo Hobbit era nato come romanzo per bambini, ma da quando ne aveva iniziato a scrivere il seguito Tolkien aveva cominciato a guardarlo con occhi diversi e a porsi un sacco di domande. Ne erano nati una revisione piuttosto radicale dell'incontro con Gollum, una corposa appendice del Signore degli Anelli dedicata ai nani, con particolare riferimento alla stirpe di Thorin, e qualche scritto rimasto a lungo inedito dove Gandalf raccontava la cerca di Erebor dal suo punto di vista. Il romanzo per bambini era così diventato sempre più il prequel della Guerra dell'Anello. La saldatura però non era mai stata completata e per molti di noi lettori, soprattutto quelli che avevano iniziato leggendo il Signore degli Anelli, lo Hobbit risultava in qualche modo stonato.
Cercando di riavvicinare i due romanzi nell'atmosfera, Jackson ha fatto secondo me un'opera meritoria, tanto più che per il momento sembra pure essergli riuscita. Di fatto è proprio qui che cominciano le infinite lamentele dei critici, dei tolkieniani e pure dei fan della prima trilogia. Intendiamoci: la maggior parte degli spettatori ha apprezzato il film e molti hanno aperto bocca solo per chiedere un secondo e un terzo biglietto onde rivederselo più volte e meglio apprezzarlo; e costoro non hanno sciorinato lunghe liste di lamentele. Ma siccome è notoriamente impossibile contentare tutti, e stante che i critici, se non criticassero, li chiamerebbero plaudenti o probanti o qualcosa del genere, ci sono state un'infinità di lamentele sulle più svariate questioni, a torto o a ragione (ma anche qualche occasionale recensore che ha apprezzato).
Punto primo: il film non è abbastanza epico: non c'è più la Terra di Mezzo da salvare, ma solo un regno da riconquistare e un drago da uccidere (no, capite, solo un drago. Mica è materiale epico, un drago. D'accordo, per il momento il drago non si è ancora visto, tuttavia qua e là qualche spunto epico a me è sembrato di intravederlo. Possibile che, al giorno d'oggi, se non scomodi come minimo il Bene e il Male e il Futuro del Mondo non ti lascino più nemmeno scrivere una commedia d'amore?).
Punto secondo: il film è troppo comico, con tutti quei nani così fuori dalle righe. Perché andava benissimo perculare per tre film a fila l'assai stimabile Gimli (uno dei miei molti personaggi preferiti del Signore degli Anelli) onde conferire un tocco di "comicità" alla trilogia, ma se hai a disposizione tredici nani tredici allora no, devono essere tutti e tredici seri, solenni e immusoniti.
Inutile provare a ribattere che, se proprio vogliono un nano serio e solenne, c'è Thorin Scudodiquercia che se la tira nel più filologico dei modi dall'inizio alla fine del film (e si suppone lo farà anche nei prossimi due), ed essendo interpretato pure lui da un eccellente attore (Richard Armitage) riesce nella miracolosa impresa di tirarsela in modo incredibile, sì, ma fermandosi sempre un capellesimo di millimetro al di qua del ridicolo.
Una delle pietre dello scandalo: il nobile Thorin Scudodiquercia - spesso inquadrato dal basso verso l'alto, così se la tira meglio
Nossignori, neanche Thorin Scudodiquercia va bene: intanto è troppo presente e oscura Bilbo, poi non ha abbastanza barba e infine assomiglia troppo ad Aragorn.
Per la poca barba, col tempo è stata presa per buona la spiegazione del regista, stando al quale Thorin è un re in esilio e non si sente all'altezza di avere una gran barba (una cosa che Jackson si è cavato dalla testa, perché nel romanzo Thorin la barba ce l'ha, e anche bella lunga). Ma c'era il problema che anche i due giovani nipoti di Thorin, i carinissimi Fili e Kili, avevano poca barba, anzi Kili ne era praticamente privo - e, peggio di tutto, sembrava un cantante da boy band. Insomma, orrore degli orrori: nella compagnia di Thorin Scudodiquercia c'erano un Nano Carinissimo, che avrebbe fornito il fan service per le spettatrici più giovani, e un Nano Carismatico, ovvero Thorin in persona, dai languidi occhi bistrati e per di più dotato di una spettacolare voce da basso (che usa senza ritegno per corteggiare lo hobbit) che avrebbe fornito il fan service per le spettatrici più cresciute - e anche per qualche spettatore, volendo). In più c'era Fili, anche lui tutt'altro che inguardabile.
Insomma, dove andremo a finire? Un nano deve essere un cesso, no? E' stabilito per contratto, giusto? E soprattutto: deve essere un cesso con molta barba.
ed ecco le altre due pietre (preziose) dello scandalo, ovvero Fili e Kili
Qualcuno è arrivato perfino al punto di criticare il fatto che Kili usi l'arco, che non è un'arma da nani - prontamente smentito da chiunque avesse letto lo Hobbit almeno una volta in vita sua: i nani tirano d'arco, eccome, e non solo i due giovinetti della compagnia.
Poi c'è il lamento di chi sostiene che i nani restano una massa indistinta sullo sfondo, a parte Thorin, nonostante l'impegno profuso nel dare ad ognuno di loro un'acconciatura particolare. Tuttavia, facendo un po' di conti, alla fine del film qualche nome dovrebbe restare impresso, a parte Thorin: ci sono Fili e Kili che cantano nella boy band, Balin (figlio di Fundin e futuro signore di Moria, per un breve periodo)
che fa il Vecchio Saggio della compagnia e che anche nel libro emerge, nella terza parte; Gloin che ha la stessa immane quantità di pelame rosso che
caratterizzava Gimli nella trilogia, più Bombur che si riconosce bene per la stazza (proprio come nel libro).
Gli sceneggiatori si sono dati da fare, anche se non (ancora) per tutti: e abbiamo Ori, il nano terribilmente educato
("Scusate, mi dispiace interrompervi, ma dove dovrei mettere il mio piatto?") a parte quando si ripromette di infilzare Smaug dalla parte posteriore - proposito invero assai più facile da esprimere che da realizzare nel concreto; e Bofur, caratterizzato da un demenziale cappello in pelliccia con le alette:
un nano piuttosto pragmatico ma gentile d'animo, che spiega a Bilbo nei dettagli cosa è un drago ("Pensa a una fornace con le ali") e che fin dall'inizio si affeziona a quella specie di mascotte che per volontà di Gandalf la compagnia si porta dietro. Siccome è l'unico che con Bilbo avvia un discorso serio, è anche quello che si becca l'unica frase sgarbata che il gentilhobbit rivolge a un nano in tutto il film "Voi non potete capire perché siete nani e per voi vivere come vagabondi è normale" - ma invece di mandare al diavolo Bilbo dopo quell'uscita, lo comprende e gli augura pure buona fortuna in una delle scene più struggenti.
Sette nani su tredici individuati al primo film mi sembrano una percentuale accettabile. Naturalmente chi è stato attento e diligente e si è ben documentato in rete li riconosce a colpo sicuro tutti e tredici, mentre chi si è limitato a seguire il film senza farne una questione di stato (ovvero il 95% degli spettatori) ha individuato solo i tre nani carini e ha memorizzato a livello inconscio quello con la barba bianca biforcuta e quello con lo strano cappello di pellliccia con le ali che augura buona fortuna a Bilbo. Di fatto basta e avanza, perché la maggior parte dei nani svolge la funzione di coro: non siamo nella Compagnia dell'Anello, dove ognuno ha la sua storia, è la compagnia di Thorin Scudodiquercia, che i nani non si azzardano mai a contraddire, nemmeno quando pensano (o penseranno) che abbia torto.
Qualcun altro si è poi lamentato che i nani cantassero troppo, trasformando il film in un musical.
Il punto è che le cosiddette canzoni del musical le aveva scritte Tolkien in persona, insieme a svariate altre decine che pullulano per ogni dove sia nell'Hobbit che nel Signore degli Anelli. Evidentemente il professore non trovava niente di scandaloso nel canto di per sé, né lo trovava contrario allo spirito dell'epica (il tutto anche tralasciando l'infinitesimale dettaglio che la letteratura epica nasce appunto come poesia cantata un po' in tutte le culture). In italiano, o meglio nelle attuali traduzioni italiane, le canzoni di Tolkien sono quasi tutte orribili. Lette in inglese, anche appoggiandole ad una semplicissima base ritmica, fanno già un effetto completamente diverso. Ai tempi della trilogia venne deciso di non giocare quella carta, con mio grande dispiacere - e così ogni film di 007 dalla notte dei tempi ha avuto la sua canzone in testa alle classifiche, ma nella trilogia dal Signore degli Anelli le canzoni sono ben poche, e quasi tutte rimpiattate al momento dei titoli di coda.
Nel film dello Hobbit le canzoni sono tre - o meglio, tre frammenti. Il primo è una specie di danza irlandese che accompagna i nani mentre rimettono in ordine la casa di Bilbo, minacciando nel contempo di fare grandissimi disastri. Dura meno di un minuto, copre solo due strofe e purtroppo non ne esiste al momento una versione completa, nemmeno nel CD della colonna sonora. La sincronia tra la musica e i movimenti dei nani è squisita - la classica scena che non ci si stanca mai di vedere.
La seconda canzone, dedicata al perduto regno di Erebor, è avviata a cappella da Thorin, con gli altri nani che si uniscono via via. Viene eseguita nella penombra del corridoio di casa Baggins ed è solo l'ultimo atto della lunga manovra di seduzione con cui il povero hobbit viene sistematicamente intrappolato. Dalla stanza da letto dove si è rifugiato Bilbo ascolta, con l'aria sofferente e lo sguardo affamato della piccola fiammiferaia che ammira la vetrina della pasticceria la vigilia di Natale (chi mai può resistere a tredici nani che nella notte ti promettono fiamme, morte e distruzione in alternativa alla tua comodissima tana hobbit? Non Bilbo, di sicuro).
Si tratta insomma di un pezzo che svolge una precisa funzione nell'impianto narrativo: quando le parole hanno fatto il loro lavoro si passa al linguaggio della musica, perché spieghi quel che non è stato possibile dire. In un'intervista, Armitage ha detto che si è servito di quella canzone per trovare la voce di Thorin; per quel che mi riguarda, avrebbe dovuto servirsi di quella canzone anche per cantarla tutta, fino all'ultima strofa.
...la terza canzone la canta il capo dei goblin. Sì, sono d'accordo, anche senza è ben possibile che il mondo sarebbe riuscito ad andare avanti in qualche modo, e il film pure. Anzi, dal canto mio mi sarei rassegnata di buon grado a fare a meno di quasi tutta la parte del combattimento nella montagna - Jackson ci va pazzo, per queste interminabili scene di combattimento nelle viscere dei monti, ma io no.
E veniamo alla Grande Critica, ovvero la Critica delle Critiche: perché pensate che c'è stato perfino qualcuno così sconsigliato e malfidato da osare dire che...
...ebbene sì, che gli intrecci del Signore degli Anelli e dello Hobbit si somigliano. Il peggio è che questi Qualcuni che hanno osato dirlo han pure ragione: esiste addirittura una scuola di pensiero che sostiene che Tolkien si è limitato a scrivere due volte lo stesso romanzo - e, in tutta onestà, non è nemmeno una scuola di pensiero con cui mi trovi in particolare disaccordo.
Inutile negarlo: si parte dalla Contea, incontro con i troll, tappa a Gran Burrone, poi un sacco di scomodissime montagne ti inghiottono e ti risputano fuori dopo avertene fatte di tutte e per giunta ci incroci Gollum, che non è mai il massimo come compagnia, un po' di elfi, un po' di ragni, qualche lupastro, un viaggio sul fiume, aquile che arrivano alla fine della battaglia, la rinuncia a Qualcosa di Prezioso, un re in cerca di corona...
E infatti arrivati al re in cerca di corona molti si sono lamentati della mancanza di originalità... di Peter Jackson - il che mi sembra un tantino ingiusto; senza contare che, anche se Tolkien su questa storia del re senza corona che la rivuole indietro si era un po' fissato (in fondo anche Sauron vuole solo riprendersi il suo regno, povera stella) di sicuro i suoi re senza corona sono diversi tra loro e per trovare delle somiglianze tra Thorin e Aragorn - che sia l'Aragorn di Tolkien o quello di Jackson non importa - ci vuole, secondo me, una certa tendenza ad appiattire intrecci e personaggi.
E dunque un vago senso di deja-vu qualcuno l'ha lamentato. A ragione. E infatti buona parte dei luoghi sono quelli, le storie si somigliano... e alcuni personaggi sono proprio gli stessi. Gandalf, per esempio. Differenza di atmosfera o meno, nessun lettore rischia di perdersi, con Gandalf: come lo lasci nell'Hobbit, così lo ritrovi nel Signore degli Anelli - stesso vestito, stesse sopracciglia, stesso cappello a punta... stesso attore, naturalmente, e nonostante i dodici anni di età in più che si ritrova sulle spalle Ian McKellen sembra perfino più energico e più squisitamente misterioso. C'è anche un Gollum in forma smagliante (per quanto Gollum possa essere in forma smagliante, certo: un mucchietto di ossa lamentose e uno sguardo molto affamato) mirabilmente interpretato dallo stesso attore della trilogia, o almeno così ci hanno garantito, ma per quel che se ne vede, al posto di Andy Serkis potrebbero averci messo anche Brad Pitt. E poi a Gran Burrone c'è Elrond, che per fortuna è molto meno antipatico e aggressivo che nella trilogia.
Anche una parte della colonna sonora della trilogia è sopravvissuta: il tema delle aquile, della Contea, di Gran Burrone... e che colpa ne ha Howard Shore se anche nello Hobbit ci sono la Contea, le aquile eccetera eccetera eccetera? Sta di fatto che nella trilogia la colonna sonora (a suo tempo universalmente apprezzata) mi aveva lasciato del tutto indifferente, mentre stavolta ne ho goduta e apprezzata ogni nota.
Anche se la sceneggiatura è stata ritenuta all'unanimità molto fedele, ci sono stati degli ampliamenti, qua e là, delle modifiche e perfino dei tagli, oltre a delle integrazioni. Queste ultime sono state tratte esclusivamente dalle Appendici del Signore degli Anelli, e in particolare da quella dedicata ai nani "Il popolo di Durin" (anche se gli inesperti e gli incolti straparlano di aggiunte prese dal Silmarillion, da dove in verità non sarebbe possibile estrarre una sola riga su Erebor nemmeno mettendoci il massimo dell'impegno); si è molto dibattuto e criticato sul fatto che Azog dovrebbe essere morto da un bel po' di anni e sul perché sia stato inserito nel film, ma non è questione cui riesca ad appassionarmi: nel film Azog è solo il solito, insulso e cattivissimo orco che fa onestamente il suo mestiere di insulso e cattivissimo orco, e avere lui o un altro in tale insulso ruolo è per me del tutto indifferente. E' probabile però che avremo ampie spiegazioni a riguardo nel secondo film, così come darei per sicuri anche cospicui flashback sullo sventurato Thrain (padre di Thorin) e sulla sua tragica storia - insomma Gandalf racconterà nei dettagli come ha avuto la mappa e la chiave. Quanto ai brani dei Racconti Ritrovati, al momento non sono stati citati, si presume che mai lo saranno, ma hanno lasciato un'impronta piuttosto visibile nella sceneggiatura. Per chi è in grado di vederla, certo.
Il ruolo delle aquile è stato piuttosto ridimensionato, anche se i pochi minuti che vengono loro dedicati sono davvero spettacolari; qualcuno ha deprecato, non del tutto a torto, come, una volta di più, siano state ridotte ad aerotaxi (le famose Gwaihir Airlines) e mi rimane un certo rimpianto per non avere assistito al soggiorno della compagnia nei nidi della aquile, con tanto di barbecue offerto agli ospiti. Mi rendo conto che la trama era stata incastrata in un modo che rendeva difficile infilarci anche quello, però il Signore delle Aquile era comunque un personaggio interessante. Tuttavia è possibile che la scena venga recuperata in futuro, perché il romanzo prevede un'altra comparsa di queste maestose e alate creature.
La scena del combattimento dei giganti di pietra (assai più drammatica che nel libro, visto che i due personaggi principali rischiano seriamente di lasciarci la pelle) è stata per molti una sorpresa: le poche righe dedicatele sfuggono facilmente - io stessa l'ho notata per la prima volta nella lettura fatta in classe quest'anno. Molti si sono quindi scagliati lancia in resta contro cotal inutile aggiunta... per poi scoprire che nell'angolino ben nascosto di un capitolo c'era qualche riga d'appoggio che non la rendeva affatto un'aggiunta.
Sullo stregone Radagast, presentato assai di striscio come piuttosto stravagante nel Signore degli Anelli e nominato ancor più di striscio nell'Hobbit, si è aperto un accanito dibattito. Gli sceneggiatori ne hanno fatto un personaggio decisamente insolito, tutt'altro che tolkieniano e con un tocco new age abbastanza surreale, e il risultato è una larga schiera di imbestialiti detrattori e una altrettanto vasta schiera di apprezzamenti. A me è sembrato che si incastrasse molto bene nell'insieme, lui e la sua slitta trainata dagli intrepidi conigli di Rhosgobel, e che fosse il custode più adatto per Bosco Atro. La sua sintonia col mondo animale ne fa un personaggio dall'apparenza ridicola e dalla sostanza molto profonda, quasi mistica, che mi ha ricordato certe storie di santi orientali che accettano di trasformarsi e immobilizzarsi con le mani in forma di nido d'uccello per non disturbare i loro piccoli ospiti. Il fatto che Gandalf lo prenda molto sul serio, al contrario del pedantissimo (e forse già corrotto) Saruman, è un tratto, questo sì, assolutamente e filologicamente tolkieniano. E poi l'inseguimento dei lupi mannari che cercano invano di raggiungere i velocissimi conigli battendo delle grandiose craniate nella roccia mi ha divertito molto, e checché se ne possa dire è una scena molto epica (perché non sta scritto da nessuna parte che una scena epica non possa essere anche molto buffa).
La prima avventura della compagnia, ovvero l'episodio dei troll, è stato ritoccato (assai opportunamente, a mio avviso) in modo da 1) evitare che Thorin e Bilbo si comportino da assoluti mentecatti e 2) mostrare per la prima volta, in netto anticipo sui tempi del libro, che lo hobbit non è solo una simpatica creaturina amante della buona tavola e totalmente indifesa, ma al contrario dispone di un eccellente istinto di conservazione che si risveglia nei momenti più opportuni.
La maggior parte delle modifiche riguardano l'apprendistato da eroe di Bilbo e il suo rapporto con Thorin; il quale Thorin è un po' diverso rispetto al romanzo, ma abbastanza simile a come viene descritto nelle Appendici. Averlo ringiovanito e reso meno pedante è stata una scelta felice: le caratteristiche di base sono state mantenute ma lo spettatore (o la spettatrice) è molto più disponibile a simpatizzare con lui, e questo nel terzo film potrebbe fare una certa differenza.
L'evoluzione di Bilbo, hanno spiegato in parecchi, nel film cambia, nel senso che lo hobbit diventa eroe molto prima di quanto avviene nel libro - dove il punto di svolta viene normalmente individuato a Bosco Atro, con i ragni.
Ora, non c'è dubbio che nella prima metà del romanzo Bilbo dimostri lo stesso spirito di iniziativa di un pacco postale e si limiti a fare quel che gli dicono di fare fin quando, rimasto da solo a Bosco Atro e trovandosi circondato da enormi ragnacci animati da pessime intenzioni, è infine costretto a sbrigarsela da solo.
Se però guardiamo la storia da una prospettiva diversa, dopo avere letto (o scritto buona parte de) il Signore degli Anelli (e ricordando che oggi leggiamo lo Hobbit con l'incontro con Gollum riscritto da Tolkien nel 1951) il vero punto di svolta è appunto l'incontro di Bilbo con Gollum e con l'Anello, quando lo hobbit riesce non solo a salvarsi da una situazione decisamente critica, ma dimostra di possedere il "vero coraggio" di cui gli ha parlato Gandalf, riconoscendo il momento di risparmiare una vita invece di prenderla. Di fatto, aver risparmiato la vita di Gollum, ovvero non aver voluto colpire senza necessità, è la prima azione eroica compiuta da Bilbo.
Lo hobbit che entra nelle montagne è diverso da quello che ne esce, e quell'uscita arrischiata in cui perde tutti i bottoni è, a tutti gli effetti, una rinascita. Alla questione dei bottoni Jackson deve aver dato il giusto peso, perché guardando la scena improvvisamente è riemerso nei miei ricordi un saggio di Matthews letto più di venti anni fa e da allora del tutto dimenticato, dove tra l'altro si spiega come l'uscita fuori dalle montagne sia una specie di nuovo parto che Bilbo attraversa. All'epoca l'analisi mi sembrò forzata, ma adesso sono convinta che Matthews avesse perfettamente ragione.Tolkien riscrisse solo il quinto capitolo, lasciando il resto del romanzo così com'era. Pare che ci fossero stati dei fraintendimenti con l'editore, e che davanti ai suoi tentativi di riscrittura chi era intorno a lui si fosse lamentato che quello non era più lo Hobbit - ma insomma resta il fatto che venne riscritto solo il quinto capitolo. Infatti nel romanzo, dopo essersi mirabilmente ri-partorito, Bilbo riprende il suo cammino con la compagnia animato dal solito spirito di partecipazione da pacco postale che lo caratterizzava anche prima, limitando i suoi interventi all'avere una gran paura nei momenti più indicati a ciò.
Nel film c'è un cambiamento piuttosto visibile: anche se la sequenza della trentina di ore che intercorrono tra la battaglia dei giganti di pietra e lo scalo delle Gwaihir Airlines è piuttosto compatta e non lascia allo spettatore molto tempo per delicate analisi psicologiche resta il fatto che, uscito dalla caverna, Bilbo affronta Thorin vincendolo di cortesia, inaugura il tagliacarte uccidendo il suo primo lupo mannaro, salva Thorin con un balzo acrobatico che possiamo tranquillamente definire molto arrischiato e infine uccide un paio di orchi prima di essere assai opportunamente salvato dalle aquile.
Insomma, dentro le montagne lo hobbit si è guadagnato lo status di eroe e come tale comincia a comportarsi quando gli sembra che le circostanze lo richiedano; quindi forse non è esatto dire che Jackson ha anticipato le trasformazioni dello hobbit, quanto piuttosto che ha riscritto in parte la storia basandosi sulle direttive implicite di Tolkien (e secondo me ha fatto benissimo).
Sempre sulla questione dell'eroismo di Bilbo, molto è stato scritto e detto per criticare la scena in cui salva Thorin, che è stata giudicata innopportuna e fuori carattere, perché Bilbo nel romanzo usa spesso il suo tagliacarte, ma quasi mai in veri e propri combattimenti (al contrario di quel che faranno Frodo e Sam nel Signore degli Anelli) e le sue prove di coraggio si svolgono (quasi) sempre in solitudine. Tuttavia, al di là delle questioni legate al gusto per le americanate o alle concessioni al pubblico meno raffinato, il coraggio degli hobbit ha come caratteristica quello di risvegliarsi all'improvviso nelle situazioni più disperate (ad esempio quando Merry attacca il Re degli Stregoni per difendere Eowyn) e la presenza o assenza di testimoni non è di per sé rilevante: quando Frodo usa per la prima volta Sting la Compagnia è nelle fauci della Camera di Mazarbul, e testimoni (e lodi) non ne mancano. Diciamo che gli hobbit usano la spada (e/o diventano eroici) quando la situazione si presenta talmente critica da rendere il loro intervento una follia - altrimenti sono ben lieti di lasciare l'uso delle armi e l'eroismo a chi è più competente e capace di loro. L'intervento di Bilbo è senz'altro rischioso fino all'incoscienza, e d'altra parte in quel momento la situazione di Thorin sembra disperata: le premesse per una tipica dimostrazione di coraggio hobbit ci sarebbero tutte, dunque, senza contare che la scena mi è molto piaciuta e quindi sono portata a difenderla.
Il rapporto tra Thorin e Bilbo è complesso e occupa una buona parte del film, diventandone uno dei temi portanti. Qualcuno ci ha visto da parte di Bilbo il desiderio di ottenere l'approvazione di una figura paterna, facendo un parallelo tra Faramir e Theoden, dove Thorin sarebbe la parte paterna. L'ho trovata un'interpretazione piuttosto sorprendente, anche perché nel film entrambi sono presentati come adulti e la differenza di età tra loro è stata piuttosto ridotta rispetto al romanzo (secondo le Appendici Thorin avrebbe 195 anni, che ne fanno un nano in piena maturità ma ormai a pochi passi dalla vecchiaia) né l'attaccamento tra i due mi è sembrato particolarmente paterno o filiale. E non mi sembra esatto nemmeno dire che i due non si capiscono: Bilbo capisce benissimo Thorin (che lo approvi completamente è un'altra storia), mentre Thorin ha delle notevoli difficoltà strutturali a capire Bilbo proprio perché la weltanschaung nanica non è delle più flessibili, mentre quella di un hobbit è flessibilissima per natura. Di fatto questo non impedisce ai due di amarsi, ma in un modo che non è (e, si presume, non sarà) né semplice né indolore. La mia impressione è che il tutto sia stato costruito dagli sceneggiatori in funzione di quello che nel libro è il penultimo capitolo. Ci sarà comunque tempo per riparlarne.
Il film si chiude con un colpo d'occhio (mai definizione fu più esatta) di Smaug il Terribile sul suo grandioso letto d'oro; anzi, più esattamente, nel suo grandioso letto d'oro. Dal momento che, giusto in questi giorni, l'incasso ha superato il miliardo di dollari mi sembra una scelta davvero azzeccata.
Eccolo, finalmente (mentre io latito ancora). Per ora ho letto tutto. Poi devo rileggerti. Poi ti commento a modo.
RispondiEliminaPer ora, anticipo solo che:
1) Chi ha criticato l'epica si dimentica che l'epica e le fiabe (e il mito) hanno la stessa origine (è esattamente il senso di quanto dirò agli Anatri domani, nella scheda sullo Hobbit che ho preparato per loro). E non ha ben chiara la differenza/somiglianza/gemmazione tra queste due e il fantasy (che non è Lo hobbit libro, mentre il film si colloca, volutamente, a metà strada).
2) Come già mi pare di avere scritto proprio qui da te, a me è piaciuta questa volontà di Jackson di fantasyzzare Lo hobbit giocando con le attese dei lettori/spettatori (e riuscendo a uniformarli, come è giusto che sia per un film che aspira a essere di cassetta).
3) C'è un altro gruppo di spettatori: quelli come me, che non sono semplici lettori/spettatori, ma sicuramente hanno avuto un gran culto per Tolkien, tutto. Ma che non sanno a memoria ogni singola nota di ogni singola pagina (o non più!). E che hanno iniziato, per caso o per scelta, a leggere dallo Hobbit. Ma ti assicuro che anche per loro questo film è promosso a pieni voti!
Aspetto con calma il commento a modo, abbiamo una vita davanti a noi - o comunque due anni, in attesa che arrivi il terzo film. Per intanto:
RispondiElimina1) e infatti questa è la teoria che Tolkien sostiene nel suo saggio sulle fiabe (che sarebbe davvero ora che qualche autore di antologia delle medie si leggesse)
2)No, cara, non mi hai scritto ASSOLUTAMENTE NULLA DI NULLA, te lo garantisco!
3) I gruppi di spettatori naturalmente sono tanti, e ognuno ha la sua storia. Ma girando in rete mi sono ritrovata a sospettare fieramente che a maggioranza degli esperti non lo siano più di me o di te...
Wow! Ce l'ho fatta (in due puntate) a leggere tutto, quindi anch'io devo rileggerlo in one sitting.
RispondiEliminaComunque posso dire questo, anche per noi (famiglia) è stato il primo film in 3D. Noi siamo decisamente tolkeniani, il resto della truppa che si ricorda tutti libri e rileva come un detector le differenze...io sinceramente un po' meno perché li ho letti più di vent'anni fa, quindi i film sono il mio punto di riferimento.
Ovviamente siamo stati entusiasti, il mio Calvin che ha otto anni, dopo l'ultima scena, quando si è reso conto che il film sarebbe finito lì è rimasto malissimo. Non si era accorto che era già passato "un po' " di tempo! È devastato dal fatto di dover aspettare le altre puntate!
Ebbene sì, è di gran lunga il post più lungo di tutto il blog ^__^
RispondiEliminaE piena solidarietà a Calvin. Eppure dobbiamo aspettare, perché... c'è una parte dei film che va ancora girata!
(e ci credo che poi son film costosi)
10 pagine, stampate e pronte per la lettura serale! sono sicura che mi addormenterò felice e domani diròtti! :))
RispondiElimina10 PAGINE?!??!
RispondiElimina(gulp) mi ero accorta che veniva un po' lunghino, ma non credevo....
Mi sono divertita un sacco a leggerti, Murasaki, anzi, in certi passaggi proprio sbellicata!
RispondiEliminaFaccio parte di quel 95% di spettatori che ha seguito il film senza farne una “questione di stato”, dato che non sono in nessuna delle categorie che elenchi all’inizio, e dunque ho accolto il film con piacere bambino e con entusiasmo, senza se e senza ma, per capirci. Anzi, alcuni momenti del film, per quanto diversi da come me li aspettavo (la scena dei lupi e dei nani sull’albero, per esempio) mi hanno letteralmente ipnotizzato e non sono stata lì a macinare pensieri se corrispondessero o meno alle pagine del libro e non ho minimamente pensato alle barbe dei nani, a Kili e Fili troppo carini e a Thorin troppo piacione. Io ero in estasi e mia figlia pure: abbiamo mangiato popcorn, fatto commenti con i dodicenni vicino e tremato di fronte a Gollum, come il 95% del pubblico in sala! Insomma, una gran figata ‘sto film. :)
Due sole cose: è vero, Bilbo che esce dalle montagne sembra purificato, luminoso, insomma diverso e questo fa piacere in entrambi i casi (libro e film); il coraggio di Bilbo, il coraggio di non uccidere, è una vittoria nuova, diversa, condivisibile e commovente.
Inoltre, quello che dici alla ‘povna è vero. Io non ho letto la critica tolkienana, ma ho girato molto in rete e ho letto qua e là cose dotte e meno dotte, ma non ho trovato persone più brave ed appassionate di voi.
Ah, volevo dire un'altra cosa, scusa, a proposito di queste tue bellissime riflessioni.
RispondiElimina"I paesaggi, nel Tolkien di Jackson, recitano benissimo". Ma sai che è vero? E' meraviglioso che il regista abbia accolto e compreso l'importanza della Natura, degli alberi, dei fiori, delle montagne, del vento e della neve, dei boschi e del ventre della terra; questa attenzione rende magica l'atmosfera e la visione del film (nonostante il 3d) diviene ancora più ipnotica.
Torno per dire che ho ceduto, finalmente: avevo iniziato a commentarti nel dettaglio, ma stava venendo così lungo che ho deciso di scrivere il famoso post pure io, e mi ci sto dedicando. Appena ho fatto, ti avverto (conto comunque entro il fine settimana)!
RispondiElimina@Linda:
RispondiEliminaSì, c'è una sensibilità per le ambientazioni che rende giustizia alle descrizioni di Tolkien, che usa il paesaggio trattandolo come un protagonista. Probabilmente è per questo che le sue descrizioni le leggo sempre con attenzione, e sono tra le poche che capisco davvero: saltandole, in qualche modo manca qualcosa.
E W quel 95% di spettatori che si è goduto la storia e basta, tra un pop-corn e l'altro!
@la povna
Magnifico! Ti aspetto al varco :)
tu hai un dottorato in Tolkienologia, confessa!
RispondiEliminaDottorato? Naaa.
RispondiEliminaCattedra ordinaria all'università di Imladris, mia cara ^__^
Come promesso, eccolo, at last: http://nemoinslumberland.wordpress.com/2013/03/19/lo-hobbit-di-peter-jackson-2/
RispondiElimina