Copertina della prima edizione italiana (l'UNICA prima edizione italiana)
Il libro di cui parlo questa settimana è un simpatico romanzo per ragazzi scritto da un professore universitario esperto di letteratura medievale (soprattutto anglosassone e norrena), nonché filologo e appassionato di lingue. Costui, negli anni 30 del secolo scorso, lo scrisse attingendo ad un universo parallelo che era andato creandosi e mettendovi al suo centro uno dei suoi personaggi preferiti: un drago.
All'epoca Lo hobbit ottenne un discreto successo e a Tolkien venne chiesto un seguito; il quale seguito gli prese un po' la mano e diventò un lungo e complesso romanzo, pubblicato nel 1956 con il titolo Il signore degli anelli. L'editore era assolutamente sicuro che si sarebbe trattato di un insuccesso commerciale, ma a quanto pare così non fu.
Oggi dunque la maggior parte dei lettori legge Lo hobbit come un prequel, e ad un certo punto persino Tolkien entrò in quell'ordine di idee, perché nel 1966 curò una nuova edizione, ritoccando in alcuni punti e soprattutto riscrivendo buona parte dell'incontro con Gollum. E' questa l'edizione che si trova oggi in commercio.
Nonostante i ritocchi però Lo hobbit resta una vicenda tutt'altro che drammatica, salvo un paio di passaggi, e al lettore viene fatto capire fin dal primo paragrafo che tutto andrà a finire bene e che Mr. Bilbo Baggins (lo hobbit del titolo) uscirà sano e salvo dalla sua avventura.
La trama, piuttosto semplice, racconta di un hobbit casalingo e benestante che a un certo punto si accorge che, al di là di ogni sua apparente convinzione, il vero desiderio del suo cuore è unirsi a una comitiva di tredici nani lunatici e un tantino superficiali per andare molto lontano da casa sua e riconquistare un tesoro strappandolo alle grinfie di un drago che, a suo tempo, lo aveva a sua volta strappato ai nani (e hai detto nulla).
Contro ogni ragionevole previsione l'impresa riesce, ma mai e poi mai avrebbe avuto la benché minima possibilità di riuscita se Bilbo non si fosse unito alla scontrosa compagnia.
Durante il corso del libro, oltre alla riconquista del tesoro avvengono altri due mirabili avvenimenti: prima di tutto Bilbo, in una delle sue prime avventure, inciampica in un anello e in uno ssstrano esssere sssibilante che non fa che parlare del ssuo tessssoro. Secondo: Tolkien diventa un romanziere.
Storie ne aveva già scritte diverse: racconti, poesie, poemetti, soprattutto una spaventosa quantità di alberi genealogici e di alfabeti (come ho già detto era un esperto linguista, e non parendogli bastevole la quantità di lingue già parlate nel mondo, si era messo a inventarne altre). E per la sua prima parte Lo hobbit è un succedersi di piccole storie: festa a casa Baggins, cronaca di una passata invasione draghesca, incontro con tre troll, incontro con gli orchi e con Gollum, incontro con i lupi cattivi... ma ad un certo punto gli episodi cominciano a collegarsi, originandosi gli uni dagli altri: traversando Bosco Atro è inevitabile finire prima nelle zampe dei ragni e poi nelle mani degli Elfi Silvani, da cui si può sfuggire solo attraverso il fiume che porta al Lagolungo, dove i nani e lo Hobbit vengono rifocillati e instradati verso la montagna che un tempo era il Regno dei Nani e dove, con tanta pazienza, piano piano si riesce prima a trovare l'entrata segreta, poi ad aprirla... fino alla complessa catarsi finale, che vede coinvolti cinque diversi eserciti, il Bianco Consiglio dei Maghi e svariate altre entità di vario genere.
Il romanzo può contare su almeno tre punti di forza.
Il primo è la dialettica tra Bilbo e i Nani. Mentre Bilbo con l'andare dei capitoli diventa sempre più coraggioso, più accorto, più disinvolto, fino a rivelarsi astuto e ricco di espedienti quanto e più di Ulisse, i Nani restano Nani: ostinati, diffidenti e un tantino ristretti di vedute. Riportarli sul sentiero del buon senso e della ragionevolezza è impresa che costringe ogni volta Bilbo a virtuosismi notevoli e dà vita a scene assai divertenti.
Secondo punto di forza: il drago. Tolkien era molto affascinato dai draghi e qui abbiamo un Vero Drago Nordico, che dorme sul suo letto d'oro e di gemme, pericoloso, malvagio, avido, ingannevole e molto, molto potente. Confrontarsi con un drago in grande spolvero è pericoloso anche per l'autore, oltre che per i suoi personaggi, ma Smaug il Grande riesce a rendere giustizia a tutti.
Il terzo punto di forza è l'intreccio finale, che si sviluppa con tutte le variabili all'opera: Nani, Uomini, Elfi: nessuno di loro è cattivo, nessuno di loro è in torto, ma tutti insieme riescono ad avviare la situazione sulla peggiore delle chine possibili. Potrebbe andare a finire davvero male, ma Bilbo, compiendo una scelta piuttosto particolare, trova il modo di avviarla in tutt'altra direzione.
In sottofondo, per tutto il libro, c'è il tema di Thorin - un personaggio diverso dagli altri, e al quale spetterà una sorte diversa dagli altri.
Come già anticipato, il libro va a finire bene (venne pubblicato nel 1937 quando ancora era consentito un filo di ottimismo): Bilbo torna a casa sano e salvo, dopo aver rifiutato di prendere altro che qualche briciola del tesoro, che su di lui non ha alcun potere, nonostante abbia affrontato il potente sguardo di Smaug: perché gli Hobbit danno più importanza agli amici e a una tavola ben fornita che al piacere di possedere mucchi d'oro - una caratteristica importante, che sessant'anni dopo sarà la salvezza dell'intera Terra di Mezzo.
Con questo post partecipo ai Venerdì del libro di Homemademamma, e auguro un fine settimana di piacevoli letture a tutti quanti - ricordandovi inoltre che, tra pochi giorni, sugli schermi uscirà il primo dei tre film tratti da questo romanzo.