domenica 31 agosto 2008

Una modesta proposta per un nuovo inno d'Italia



Corre voce che l'europarlamentare Borghezio abbia suggerito di cambiare l'inno d'Italia: a sentir lui la musica di Novaro ha un effetto deprimente e suggerisce perciò di rimpiazzarlo con Funiculì-Funiculà, canzone tanto bella quanto popolare composta nel 1880 da Peppino Turco e Luigi Penza in occasione del varo della prima funicolare vesuviana. 

Ora, io l'attuale Inno d'Italia lo rispetto, ma non mi ha mai entusiasmata più di tanto. Lo trovo un testo comodissimo per spiegare il Risorgimento e pure il Romanticismo ai ragazzi ma, ripeto, non mi emtusiasma.
Funiculì-Funicolà invece mi è sempre piaciuta moltissimo (soprattutto da quando un amico sotto esame di dottorato me ne improvvisò una traduzione in tedesco); quindi non sarei particolarmente contraria.
Però in questo momento il vero inno d'Italia, il pezzo più adatto a rappresentarla nella presente situazione mi sembra la fuga finale del Falstaff.
Musica di Verdi, testo di Boito, ovvero due glorie nazionali, derivazione del soggetto da Shakespeare, che cosi' diamo al tutto anche un tocco europeista. Certo, non e' un pezzo facilissimo da eseguire, ma con il tempo e la pazienza qualsiasi buon coro puo' venirne a capo.
Inoltre Verdi l'ha scritta da vecchio (decisamente vecchio, sopra gli 80, e anche Boito non era piu' un ragazzino); dunque e' adattissima a rappresentare  un paese in via di invecchiamento come il nostro.

Tutto nel mondo e' burla
L'uomo è nato burlone 
La fede in cor gli ciurla
Gli ciurla la ragione.
Tutti gabbati| Irride
L'un l'altro ogni mortal.
Ma ride bene chi ride 
La risata final.



con un particolare saluto al Consiglio dei Ministri in carica, che due giorni fa ci ha sostituito i giudizi con i voti... a due settimane dall'inizio dell'anno scolastico e con i registri già stampati.

giovedì 28 agosto 2008

Sulla soggettazione


Esistono problemi che vengono avvertiti come tali da poche decine di persone sparse nel globo. Uno di questi è senza dubbio l'incapacità della gente di piazzare soggetti, tag, etichette o come si preferisce chiamarli, adeguati e pertinenti. Se fosse avvertita come un problema, infatti, si cercherebbe di rimediare fornendo le necessarie istruzioni alla collettività - perché è una di quelle abilità alla portata di tutti, tipo aprire le scatolette di tonno o scartare i cioccolatini.
Per esempio: la gentile creatura che posta su YouTube un video musicale dovrebbe mettere: musicista (o musicisti), autore, titolo del brano, disco da cui il brano è tratto oppure luogo dove il video è stato registrato, e data. Il tutto è senz'altro più semplice da fare di quanto non sia masterizzare e poi postare il video in questione.
In realtà la combinazione che ho descritto si verifica assai raramente, non so perché, e quello che viene più spesso ignorato è il fattore tempo, che pure ha la sua importanza, dal momento che Pavarotti non cantava certo nello stesso modo nel 1970, nel 1990 e nel 2000, o che il Barbiere di Rossini è abbastanza cambiato dopo l'edizione critica dei primi anni 70.

Anche con i titoli ci sono diversi problemi. Mi rendo conto che con le opere sono quasi irrisolvibili, a cominciare dalla lingua: Oro del Reno o Rheingold? Se quel guerrier io fossi o Celeste Aida? Oppure Prima aria di Radames, o Aida, atto I?
Con le canzoni però è più semplice: se posto La marcia degli incazzati di Benigni, basta che metta Benigni e Marcia degli incazzati. No?

E dunque vengo alla mia personale pietra dello scandalo: nel Luglio scorso Max Gazzè ha fatto un (eccellente) concerto all'Auditorium di Roma, e diverse gentili creature han postato qualche video - perlopiù inascoltabili, oltre che inguardabili ma vabbé, vi ringraziamo lo stesso per aver voluto condividere con noi il piacere che indubbiamente avete provato.
Un'anima ancor più gentile e benemerita invece ha postato ben cinque eccellenti video dove si vedeva ben poco, ma in compenso si sentiva proprio bene. Inoltre si trattava di cinque canzoni non eccessivamente presenti in rete, e tre presenti solo in versione discografica.
E questo benemerito che tag decide di mettere?
Max Gazze, auditorium.
Rendendo così virtualmente impossibile raggiungere le cinque canzoni; anche perché video di Gazzè dal vivo ce ne sono circa 300 e la maggior parte lascia veramente il tempo che trova (per tacere del mal d'orecchie) e qualsiasi navigante apre i primi e poi si stufa. Inoltre, messi così in fila, senza nessun segno distintivo, non sai mai quale canzone stai aprendo.

Siccome io (che li ho scoperti per puro caso) questi cinque video li ho carissimi, ho deciso di segnarmeli nel blog, così potrò ascoltarli ogni volta che desidero senza perder tempo con ricerche non sempre fruttuose, e in più mi esercito a mettere i link, che è una cosa che non ho mai fatto.

Questa è la bellissima Eclissi di periferia, che dal vivo viene molto meglio ma che anche su disco è un capolavoro

Questa è l'eccellente L'evo dopo il medio

Questa è l'ottima Mostri, cui l'esecuzione dal vivo rende pienamente giustizia

Questa è la meravigliosa Poeta minore, che meravigliosa rimane in qualsiasi versione

Last but not least, questa è Vento d'estate, cantata senza Niccolò Fabi.

E adesso ne metto un'altra il titolo della canzone compare nel link, visto che nel frattempo ho imparato come si fa:

Il titolo del video è Carmen Consoli e Max Gazzè vengono insieme sul palco, che giustamente evidenzia chi è che canta (Max Gazzé e Carmen Consoli) e anche che in coda alla canzone c'è una graziosa performance extra; dicono anche quando e dove è stata registrata... ma dimenticano di dire che canzone è. Che è grave perché al momento su YouTube si trova solo e soltanto questa versione de Il motore degli eventi.

Mi domando se non sia il caso di infliggere una lezione in merito alla mia futura terza... perché il problema delle banche dati è sempre quello di riuscire a trovare i dati che hanno dentro.

mercoledì 27 agosto 2008

Chi parla male del Provveditorato di Firenze non lo conosce (infatti, se lo conoscesse ne parlerebbe molto peggio)



A volte le convocazioni sono davvero irritanti


Ha cambiato nome non so più quante volte, e tutte le volte il nome sottindeva che quello strano carrozzone fosse lì non tanto per far danni, ma per servire la collettività: CSA, ovvero Centro Servizi Amministrativi, e adesso USP, Ufficio Servizi per la Provincia - ma per noi insegnanti rimane il Provveditorato; anche perché gli unici "servizi" che gli si possono ragionevolmente associare sono quelli igienici (che di solito però funzionano meglio).
Il nome cambia, ma il personale rimane lo stesso: e anche quando cambia viene selezionato in base a criteri molto rigidi dove l'arroganza, l'incompetenza, la maleducazione, il palese menefreghismo del codice civile e penale e la disorganizzazione costituiscono da sempre i veri requisiti essenziali.
Tali loro doti risaltano al meglio durante quella sorta di ordalia che passa sotto il nome di "Convocazione annuale per il conferimento di incarichi a tempo determinato", ovvero le Supplenze Annuali, in modo particolare per la cosiddetta Area Umanistica.

I vari interessati (qualche centinaio di persone) vengono convocati nella Palestra della scuola Marco Polo, edificio che sul finire di Agosto risulta molto simile a una di quelle pentole usate dai cinesi per cuocere i nikuman a vapore. Passano le ore e il caldo umido aumenta.
Siamo stati convocati per le nove, ma verso le undici avvisano che "la 43 non dovrebbe cominciare prima delle due e quindi chi vuole può andare a fare colazione".
Ovviamente nessuno si muove.
Venti minuti dopo qualcuno si decide a sbilanciarsi un minimo: "La 43 non verrò aperta prima delle due, potete andare. Se dovessimo finire le altre graduatorie prima delle due vi aspetteremo per cominciare".
Mentre usciamo, qualcuno si domanda perché non ci hanno convocati direttamente alle due. E' almeno il terzo anno che sento ripetere (e che mi pongo anch'io) questa domanda. L'unica risposta possibile è "Perché siamo troppo carogne per cercare di risparmiarvi un incomodo".

Approfitto della pausa per fare un salto in profumeria, a caccia di rimmel; ne trovo uno verde salvia e uno azzurro: mi trucco poco, ma un tocco di colore quando vado a scuola mi piace; poi vado in fumetteria dove prendo le ultime uscite di Nana e Inuyasha e soprattutto il secondo cofanetto di Gundam, che rappresenta il mio secondo regalo di compleanno - perché quando fai gli anni intorno a Ferragosto, con tutti i negozi chiusi, i regali sei costretta a farteli con un po' di ritardo. Infine un enorme grappolo d'uva, per uno spuntino idratante; si rivela una buona idea perché, scoprirò poi, ho la febbre; altina, anche.

Ritorno alla pentola per nikuman, dove inganno il tempo chiacchierando con le colleghe passate e future. Avevano ragione quando dicevano che non avrebbero aperto la 43 prima delle due, avevano proprio ragione. Infatti l'hanno aperta alle 17.30.

Come sempre esordiscono con la formula "Sono apparse delle nuove cattedre"; ogni anno, all'atto delle convocazioni, appaiono e scompaiono cattedre che nemmeno fossimo ad Hogwarts. Dico, una cattedra non è una sciocchezza, come minimo c'è attaccata una classe, di solito due, talvolta tre (parlo di Lettere alle medie, per altre materie le classi possono essere anche nove); non è roba che puoi far scivolare in tasca e uscire dal supermercato fischiettando, come fa a saltare fuori solo all'ultimo momento?
Mistero.
Ma le cattedre non si limitano ad apparire, talvolta scompaiono. Stavolta è scomparsa una cattedra in un paesino ai confini della provincia e al suo posto appaiono un gruppetto di cattedre molto appetibili, una delle quali addirittura a Firenze, che naturalmente viene subito presa.
Vengono assegnate una trentina di cattedre, poi quella di Firenze viene nuovamente assegnata.
Rumori, boati, strepiti e urla. Al banco delle assegnazioni fanno finta di niente, poi dicono che le cattedre di Firenze non erano una bensì due. Cioè, gli pare che siano due. Gli hanno detto che sono due. Glielo hanno detto? Gli pare, sì, che lo abbiano detto... dunque, cioè, no, ricontrolliamo... Sì, sono due. O forse è una sola?

Passa una buona mezz'ora di telefonate incrociate al Provveditorato, e alla fine risulta che la cattedra è una sola, e che quindi può essere assegnata una sola volta. Vengono disfatte e poi rifatte un po' di nomine e si continua. Sperando in bene, perché l'anno scorso furono assegnate ben cinque cattedre fantasma e dovettero fare una nuova convocazione.

Riesco a mettere le mani sull'unica cattedra di tutta la provincia che mi interessa, quella a St. Mary Mead (un grazioso paesino di campagna) e scappo via verso le sette di sera.
La giornata è completamente bruciata. Striscio fino a casa, dove una buona cena racconforta il mio stomaco. Un malefico mal di testa mi perseguita nonostante la doccia fredda e la tisana rinfrescante.

Comunque, anche per quest'anno sono sopravvissuta.

domenica 24 agosto 2008

Scopro di essere un'assistita dalla carità pubblica



Jacques-Louis David Belisario chiede l'elemosina
(e se l'ha fatto lui, posso ben farlo anch'io)

E io che mi credevo di lavorare.
Convinta, nella mia santa ingenuità (da dietro il paravento si conosce così poco del mondo esterno) di fornire un servizio allo Stato e per quello di essere pagata.
Invece no: l'attuale ministro dell'Istruzione Gelmini ci ha posti tutti quanti infine davanti alla brutale realtà: noi insegnanti siamo degli assistiti a spese della collettività, e il nostro non è uno stipendio bensì un assegno sociale elargitoci per compassione.
La scuola, ha spiegato il ministro più volte in questi giorni (l'ultima a Cortina) è un ammortizzatore sociale, uno stipendificio, un modo per creare occupazione. In pratica, il nostro lavoro non serve: ci fanno scavare la buca e poi riempirla, e tutto questo per far circolare un po' di denaro, ma il nostro lavoro non ha alcuna utilità (nel qual caso non si capisce bene perché indignarsi sui professori fanulloni).
Questa non ce l'aveva ancora detta nessuno.
Diamine, da sette anni sono a carico della collettivià e non lo sapevo. Un peso morto. Lo stato sociale mi paga l'affitto, mi paga la spesa, contribuisce alle spese di famiglia.
E io che tutte le mattine, tenerella, mi caricavo la sveglia. E come mi sono sempre preoccupata di arrivare puntuale, e di tenere in ordine i miei registrini, le mie scartoffie da scrutinio, le mie verifiche...
Inutile, tutto inutile. Lo Stato ha organizzato tutto questo ambaradan che si chiama Scuola Pubblica al solo scopo di permettere, a me e a qualche altro fortunato, di far finta di lavorare. Roba da affilare la katana e fare seppoku sul momento, giusto per lavare l'onta.

Prima di compiere l'irrimediabile gesto e di bagnare di sangue il blog, permettetemi solo una domanda.
Se voglio un assegno sociale, di solito, devo fare richiesta: invalidità, disoccupazione, alimenti, assegno per accompagnatori: richieste, pratiche burocratiche, controlli.
Dalla scuola mi chiamano. Sono stati loro a cercarmi, me lo ricordo benissimo.
Io non avevo fatto richiesta per un assegno sociale, avevo solo dichiarato in un modulo di avere un'abilitazione per l'insegnamento. E quest'abilitazione non l'ho trovata per strada e non me l'han data aggrats all'Opera di San Vincenzo o alla Caritas, l'ho presa in un concorso che non ho certo organizzato io.
E non solo mi hanno chiamato qualche decina di volte, ma continuano a chiamarmi, una volta all'anno, per assegnarmi una cattedra, pardon, un pubblico assegno frutto di gentile carità.
Prima di insegnare, ricordo, mi mantenevo da svariati anni. Non ero un caso di indigenza particolarmente pietoso. Non guadagnavo grandi cifre, ma ricordo che qualche soldino a casa lo portavo. Ci pagavo il riso, il sashimi, il paravento, le vesti di seta, i rotoli di pergamena e l'inchiostro. Di solito c'entrava anche qualche piccolo extra. Che senso ha avuto chiamarmi per darmi un assegno sociale, se all'epoca non rappresentavo affatto un peso per la collettività?

Mistero.

Nel frattempo, sciolta definitivamente ogni tipo di riserva mentale sull'attuale ministro, alcune considerazioni si impongono:
- l'attuale governo tutela le pari opportunità, perché ha messo i vari dicasteri alla portata sia di uomini incapaci che di donne incapaci. Come femminista dovrei rallegrarmene, ma come cittadina temo di non aver fatto un grande affare
- le ultime dichiarazioni del ministro non si spiegano solo con la superficialità, l'impreparazione e l'incompetenza. C'è di mezzo evidentemente qualcos'altro.
Troppo alcool? Troppo poco tabacco in quel che fuma (se fuma)? Qualcuno ha sostituito lo zucchero con polvere bianca di altro tipo?

Si può fare l'antidooping ai ministri in carica?

venerdì 22 agosto 2008

Quadernetti estivi - Estate, tempo di articoli di fondo sulla scuola...



Logge e loggiati possono essere molto belli e utili.
Quanto a Della Loggia...

Quando arriva l'estate, il Corriere della Sera scopre di essere pieno zeppo di Grandi Esperti di Questioni Scolastiche, e li mette a scrivere sull'argomento; ricordo ad esempio un paio di articoli decisamente superficiali di Angelo Panebianco su precariato e SSIS nelle scorse estati, e un'analisi decisamente balorda ad opera di Giavazzi all'inizio di quest'estate sempre in tema di precariato (sperando che questi due signori siano un po' piu' attendibili quando si occupano di economia).

Due giorni fa è sceso in campo Ernesto Galli Della Loggia con un "grido di dolore" che depreca come la scuola "non riesce più a conferire alcuna autorevolezza a nessun fatto, pensiero, personaggio o luogo di cui si parli nelle sue aule. Non riesce più a creare o ad alimentare in chi la frequenta alcun amore o alcun rispetto, alcuna gerarchia culturale. ... Si possono tranquillamente frequentare le sue aule e non essere mai sfiorati dal sospetto che l'azione del conte di Cavour, o il Dialogo sopra i massimi sistemi, o una terzina del Paradiso rappresentano vertici d'intelligenza, di verità e di vita, posti davanti a noi come termini di confronto ideali, ma anche concretissimi, destinati ad accompagnarci in qualche modo per tutta l'esistenza."
E infatti la scuola italiana "non sa perché esiste né a cosa serva".
Tutto ciò è testimoniato, sembra, da "il grande spazio preso in essa dal burocratismo, dalle riunioni, dalle questioni di metodo, dalle futilità docimologiche, a scapito dei contenuti" - che, se proprio vogliamo dirla tutta, è una descrizione mediamente fedele delle SSIS più che della scuola, dove da sempre gli insegnanti hanno elaborato tutta una serie di tecniche per aggirare i burocratismi e le questioni docimologiche e una parte delle riunioni (non tutte, perché alcune sono utilissime, qualsiasi cosa possa pensarne messer Loggia).
Come rimedio si suggerisce di sfoltire le materie: via tutte quelle cazzatine di inglese, francese e musica, rinsaldando "due capisaldi": letteratura italiana e matematica; stranamente manca il latino che, come ognuno ben sa, apre la mente. Comunque sarebbe carino che qualcuno facesse presente a messer Loggia che, a parte un tentativo non ancora completamente riuscito di madonna Moratti per le scuole medie che ha dato una cauta sforbiciata alle ore di Lettere, nessuno in questi anni si è sognato di tagliare né italiano né matematica. Caso mai han tagliato i fondi alle scuole, che non è proprio la stessa cosa.
Giunti alla fine del "grido di dolore" risuonano alla mente le sagge parole di Caparezza:

I politici no no non sono più quelli di una volta
Le donne no no non sono più quelle di una volta
Io no no non sono più quello di una volta
Solo la retorica è rimasta la stessa
Il secondo, secondo me

Poi arriva la risposta del ministro Gelmini (sempre sul solito Corriere della Sera) che definisce l'articolo di messer Loggia "giusto e ingeneroso", e ricorda che lei si sta dando da fare, ad esempio con il provvedimento sulla divisa scolastica (= grembiule); perche' loro, il governo, vogliono una scuola che "insegni a leggere, scrivere e far di conto. Una scuola in cui si torni a leggere i Promessi Sposi", e che si liberi dal triste retaggio del 1968, una "costruzione ideologica fatta di vuoto pedagogismo che ha infettato come un virus la scuola italiana"
Ora, che messer Loggia non abbia la minima idea di cos'è oggi la scuola italiana, nel bene e nel male, passi; che non ce l'abbia nemmeno il Ministro dell'Istruzione in carica mi sembra un po' piu' grave, anche se si inserisce nel solco di un'illustre tradizione dove madonna Moratti brilla ai primi posti.
Perché la scuola italiana avrà i suoi problemi (soprattutto economici e organizzativi), non c'è dubbio, ma tra questi nessuno può onestamente annoverare una carenza di insegnamento dei Promessi Sposi, che spesso imperversano financo alle elementari.
Quanto al mitico 68, è evidente che il governo in carica ha deciso di promuoverlo al rango di Leggenda Metropolitana nonché di Responsabile dei Mali della Patria, ma nessuno di loro sembra avere la benchè minima idea di cosa sia stato.

E' il caso di preoccuparsi?
Onestamente non lo so. Chi fa grandi proclami di solito si limita a fare quelli e dopo torna a occuparsi dei fatti suoi - anche se dobbiamo ammettere che le promesse sui tagli alla scuola i governi le han sempre mantenute.
Per come la vedo io da dietro il paravento (ma io e il mio paravento, al contrario di Galli Della Loggia e di Gelmini, frequentiamo regolarmente le scuole italiane da sette anni a questa parte) la scuola al momento è un organismo spaventato e frastornato, ogni anno di più, e sempre più popolato di personale precario costretto a passare molto più tempo del dovuto a controllare la posizione in graduatoria. La qualità dell'insegnamento ne risente, non c'è dubbio, perché lo stress è uno dei peggiori nemici degli insegnanti e lo stress da Circolare Assurda o da Legge Farneticante è molto peggiore dello stress che talvolta danno le classi; e quanto a leggi farneticanti, l'attuale governo per la scuola ne ha annunciate un bel pacchetto.

Comunque, par di capire, nei prossimi anni la retorica non ci mancherà.
Quanto ai Promessi Sposi (che a dire il vero mi piacciono pure) quelli non ci mancavano nemmeno prima.

giovedì 21 agosto 2008

Anche quando le feste finiscono e si rompono gli incantesimi



Nascosta dietro il mio paravento di carta di riso (che in questa stagione somiglia molto a una zanzariera) ascoltavo due sere fa alla radio il concerto che i Pooh tenevano a Reggio Calabria.
Amo teneramente i Pooh da sempre. Non c'è stagione della mia vita che non sia stata accompagnata da qualche canzone dei Pooh (spesso da molte canzoni dei Pooh) partendo da quando, bambina, li ascoltavo con gioia in "Pensiero" perché adoravo quel modo di cantare in coro a quando, l'anno scorso, difendendo il mio dirigente scolastico colpevole di essersi separato dalla moglie citando "Capita quando capita" a un paio di colleghe attonite (e un tantinello moraliste); per tacere delle ore di lezione al liceo in cui la mia amata compagna di banco mi sfiniva parlandomi dei Pooh e riempiva la mia e la sua agenda di citazioni dalle loro canzoni.
Avevo perfino meditato di andarli a sentire il 26 Agosto alla Festa dll'Unità - idea poi abbandonata perché quel giorno avrò le convocazioni per le supplenze annuali, che a Firenze sono un'ordalia in cui non si sa mai se e quando si esce, e soprattutto se si esce vivi.

Insomma, ascoltare un concerto dei Pooh è sempre un piacere per me. Sarebbe stato. Era.
Perché mentre ascoltavo le loro belle canzoni eseguite con la consueta abilità sono stata costretta a prendere atto di un dato di fatto innegabile e recentissimo:
Roby e Dodi stonano. In particolare la voce di Roberto Facchinetti è completamente uscita di controllo: parte dalla nota giusta ma lui stesso non ha la minima idea di dove andrà a finire. L'effetto sulle orecchie altrui è devastante.
Per Dodi il problema è (per il momento) molto più contenuto, ma non sappiamo per quanto.
Stefano D'Orazio, vivaddio, mantiene un'intonazione impeccabile, non so se perché le sue canzoni sono più facili da cantare (o costruite con più prudenza) oppure se perché ha qualche anno meno degli altri (se li ha, cosa di cui non sono affatto sicura). Sta di fatto che lui non stona. Per adesso.
Il fenomeno è recente, direi recentissimo, ma una rapida ispezioni su YouTube mi ha permesso di constatare che quello di ieri sera NON è un incidente casuale, di quelli che possono capitare a chiunque. E' il malefico effetto dell'età. I Pooh sembravano immortali, suonano bene come sempre, organizzano i loro spettacoli bene come sempre, fanno bei dischi come sempre (qualcuno ha trovato da ridire sul loro ultimo disco di cover anni 60; a me sono sembrate tutte migliori degli originali, con la parziale eccezione di "Gioco di bimba", dove c'era ben poco da migliorare); ma arrivati alla sessantina le voci, che pure hanno mantenuto la bellezza del timbro, sbandano. A un certo punto la tecnica non basta più.
Ieri sera hanno in parte aggirato il problema facendo cantare il pubblico in certi punti critici, facendo cantare molto D'Orazio, ricorrendo a tratti ai cori. Non è bastato.
Per un gruppo che dal vivo ha sempre funzionato bene come su disco e a volte pure un po' meglio, è un bel problema. Per di più, è un problema senza soluzione, perché non mi risulta che l'intonazione possa tornare. Sta di fatto che ascoltare "Inca" era una sofferenza, ascoltare "Pierre" peggio che mai, dal momento che il bell'assolo di chitarra ne costituisce una parte importante ma non è tutta la canzone...
Insomma, un classico caso in cui il desiderio di abbandonarsi ai ricordi cozza pesantemente con la realtà.

Quanto durerà l'agonia? Possono continuare così per l'eternità, perché ci saranno sempre migliaia di persone disposte a pagare il biglietto per ascoltarsi una delle leggende musicali italiane (sbagliando, secondo me; perché un conto è poter dire "Io c'ero", un conto è andare a un concerto per divertirsi, e la seconda attività mi sembra molto più rispettabile della prima).
Oppure potrebbero decidere di chiudere in gloria con questa turné e questo disco.
Entrambe le possibilità hanno un senso, ed entrambe sono molto dolorose (non solo per loro).

E sono d'accordo che non è un inizio molto allegro per un blog; ma purtroppo è andata così.

lunedì 18 agosto 2008

Konnichi wa ^__^


Murasaki Shikibu. Chi era costei?
Per una... ehm... biografia dettagliata e completa, basta ricorrere a Wikipedia, che sintetizza molto bene tutto quel che non sappiamo di questa illustre dama di corte, che non si chiamava Murasaki e nemmeno Shikibu ed è vissuta, molto all'incirca, tra la fine del X e l'inizio dell'XI secolo, ovvero epoca Hejan, svolgendo funzioni di dama di corte senza grande entusiasmo ed è passata alla storia come una delle Grandi Madri della letteratura giapponese.
Naturalmente non abbiamo nemmeno l'ombra di un suo ritratto, e la bella immagine manga qui a lato ha le stesse possibilità di somigliarle di qualsiasi stampa d'epoca (che non è comunque mai della sua epoca).
Le dame Hejan vivevano molto ritirate, avevano spesso una vita sentimentale piuttosto ricca, scrivevano diari dove seminavano sentenze sulle cose più strane, portavano i capelli molto lunghi ed avevano regole molto complesse per accostare i colori. Dietro ai loro paraventi leggevano, scrivevano e spettegolavano - tre attività molto care all'umanità di qualsiasi epoca, da quando qualche benemerito ha inventato la scrittura.
Le loro case erano affascinanti, anche se forse non resistentissime, i loro cuori molto, molto sensibili, le loro penne instancabili. Il romanzo di Murasaki, Genji Monogatari, può senz'altro essere incluso tra i romanzi-fiume, e la signora lo compose armata di sola carta e penna. Mi domando cos'avrebbe fatto se avesse avuto a disposizione una comoda videoscrittura odierna...