La questione di come debbano vestirsi gli alunni per venire a scuola è assai antica e ogni anno che passa mi ritrovo a prenderla sempre meno sul serio.
Sonvi infatti taluni che ritengono che le fanciulle debbano portare solo vestiti inadatti a suscitare il più vago desiderio carnale nei loro compagni di classe onde non distrarli dalle nostre belle lezioni con pensieri impuri - ma a me sembra che chiunque dei miei alunn* sarebbe capacissimo di distrarsi anche se intorno a lui vi fossero solo fanciull* vestit* di sacco, e dunque tanto vale.
Essevi pure altri che deprecano abbigliamenti che scoprono troppa carne, anche se la carne che scoprono è quella dei piedi in estate, e le ciabatte vengono grandemente censurate come esempio di deplorevole straccuraggine. Non io, che depreco invece con forza che in certi periodi la temperatura delle aule sia troppo alta, e quella sì che distrae, e parecchio.
Altri deprecano i vestiti troppo costosi - non io, che non conosco una firma che sia una e distinguo solo tra vestiti che mi piacciono e indosserei pure io volentieri (pochissimi) e tutti gli altri, che sopporto con cristiana rassegnazione nonostante cristiana non sia.
Di fatto l'unica cosa che mi interessa dell'abbigliamento dei miei alunni sia che li metta a proprio agio e li lasci liberi di concentrarsi (se proprio non hanno niente di meglio da fare) sul processo di apprendimento. Anzi, ho finito per sviluppare una teoria, che mi guardo bene dall'esternare ai colleghi per non essere presa a sassate, secondo la quale un abbigliamento informale abbia in sé una valenza educativa perché a scuola non si viene per essere in un dato modo, ma per essere sé stessi o comunque proiettare l'immagine che in quel momento ci sembra la nostra e ci aiuta a crescere.
I miei colleghi sembrano convinti che la scuola sia un posto da rispettare; io invece coltivo la stravagante opinione che sia la scuola a dover rispettare i ragazzi consentendogli di essere il più possibile liberi in un momento in cui sono occupati nel lavoro tanto complesso quanto delicato di formarsi. Insomma, per me la scuola è un laboratorio alchemico che deve lavorare con tutti gli elementi che ha a disposizione, e se c'è l'atmosfera giusta il processo avverrà.
Ognuno ha le sue illusioni, la mia è questa; di fatto, so benissimo che il processo avviene nonostante tutto e sperare di poterlo guidare è pura follia perché ci sono troppi elementi in gioco.
Tuttavia mi rendo conto che negli ultimi anni sono cambiate molte cose, soprattutto a causa della pandemia che ha dato una bella scossa a tutti, e non solo in senso positivo.
Molti insegnanti si sono lamentati durante la Didattica a Distanza che taluni alunni assistessero alle lezioni in pigiama e perfino (orrore!) facendo colazione. Io non lo trovavo poi molto strano perché erano a casa, e l'unico vero motivo per cui durabnte la lezione non facevo colazione nemmeno prendendo il caffè era che tutte le mie energie ed entrambe le mani erano impegnate nel duro lavoro. Quando invece seguivo le riunioni on line mangiavo eccome, coccolavo i gatti, e facevo un bel po' di altre cosette - non per questo non seguivo, esattamente come il fatto di stare spolverando o stirando o cucinando non mi impedisce affatto di ascoltare una qualche conferenza o concerto alla radio o su YouTube, che anzi mi intrattiene più o meno piacevolmente allietando quei momenti di lavoro meccanico che sono un po' una palla.
Comunque sia mi rendo conto che associare la scuola al pigiama può essere pericoloso; d'altra parte quella disgraziata esperienza ha finito col portare la scuola nelle case, e anche per altri versi le case nelle scuole. Pigiami e caffellatte compresi.
Una mattina Pisola mi dice trionfante "Prof, oggi sono venuta a scuola in pigiama!".
Occupata a compilare il Malefico Registro Elettronico le lancio uno sguardo distratto. Indossava una felpa con pantaloni a ciliege (o forse erano orsacchiotti?).
"Oh?" commento svagata "Hai un pigiama molto carino, complimenti".
Era davvero un pigiama? Non ne ho la minima idea. Signori, era una felpa in pendant con i pantaloni. Forse un attento esame mi avrebbe disvelato l'arcano. Forse. Anch'io ho una felpa a renne e stelle, comprata per dieci euro a un banchetto e che porto come giubbino in casa quando fa fresco, come giubbino a scuola e altrove quando comincia a non fare più molto fresco e il piumino diventa pesante, e che talvolta ho usato anche come giacca da pigiama - e non credo di essere l'unica creatura a fare ciò.
Sono passati vari mesi, ho indossato la passata con le renne per le due settimane prima delle vacanze di Natale (levandomela solo quando sono venuti dall'Associazione Deportati a parlarci dei campi di sterminio) finché un giorno Bagheera mi ha chiesto se anche gli alunni potevano portare addobbi natalizi tra i capelli sotto Natale.
"Certo che sì" ho assicurato "L'ultimo giorno di scuola vale tutto". E in effetti l'ultimo giorno dell'anno scolastico e quello prima delle vacanze di Natale a scuola si vede di tutto e di più, e non soltanto a St. Mary Mead, dove ricordo che un anno abbiamo avuto anche dei re. Del resto, quando a scuola ci andavo come alunna, usava andare in costume l'ultimo giorno di Carnevale (a Natale vestivamo normali, ma penso dipendesse soprattutto dal fatto che non c'erano berretti con le stelline né passate con le corna di renna e nemmeno orecchini a forma di addobbi natalizi, di cui ho un vasto assortimento accumulato negli ultimi quindici anni e che sfoggio a partire dal 1 Dicembre). Quello adesso non si fa più, ma negli anni Carnevale è molto cambiata ed è ormai riservata esclusivamente ai bambini più piccoli.
Mi raccontano una strana storia dell'ultimo giorno di scuola dell'anno scorso, quando la prof. Spini, all'epoca VicePreside, mandò via i ragazzi che erano venuti in ciabatte impedendogli di entrare.
Sarà vero? Mi suona strano, perché rifiutare l'ingresso di un minore a scuola è una di quelle responsabilità che nessun insegnante si prende a cuor leggero. L'unica possibilità di verificare sarebbe chiederlo direttamente alla prof. Spini, e se me ne ricordo un giorno lo farò; l'anno scorso l'ultimo giorno di scuola non ero in servizio alla prima ora ma ricordo che le poche ore della giornata scolastica furono passate all'aperto, dove le ciabatte non erano poi così fuor di luogo - e vista la temperatura di quel giorno, nessuno poteva ragionevolmente prevedere che le avremmo passate a bollire all'interno dell'edificio.
Così, visto che eravamo in argomento, una volta di più ricordo ai miei amati alunni che la legge, in materia di abbigliamento, è molto lasca quando non si fa un lavoro che richieda una divisa - per esempio negli ospedali o nella polizia.
"Ma ci hanno detto che il regolamento di scuola dice..."
"Non so cosa dica il regolamento della scuola, ma personalmente sospetto che qualsiasi regolamento di scuola sull'abbigliamento possa essere impugnato al TAR con esito praticamente sicuro, e per questo motivo i proclami sull'abbigliamento a scuola abbondano, ma non si arriva mai a nulla di fatto".
"Ma per esempio: perché non possiamo venire a scuola in pigiama?"
"In teoria credo di sì" azzardo domandandomi in cuor mio che accidente di tarantola possa mordere qualcuno sì da spingerlo a sì curiosa scelta per l'outfit.
"Pisola l'ha fatto" ricorda qualcuno.
Pisola il giorno di questa insolita conversazione però non era presente a scuola, e dunque non poteva né confermare né negare.
"Ha detto che era in pigiama" ho ammesso "Ma lo era davvero? Alla fine, era una felpa con i pantaloni che facevano pendant. Siamo sicuri che fosse un pigiama? Come faccio a distinguere con sicurezza quella tenuta da un pigiama?".
So che c'è la questione dei bottoni, mi pare che nel caso di un pigiama siano a destra (o a sinistra?). Ma, di nuovo, molti pigiami non hanno bottoni di sorta, e molte felpe nemmeno.
I ragazzi si guardano intorno. In classe le felpe abbondano, per lo più di toni scuri, ma ne abbiamo anche di decorate a vivaci disegni.
"In effetti" ammette qualcuno "Oggi i vestiti sono tutti uguali".
Non è esatto: i vestiti oggi sono diversissimi; ma il concetto di base era valido: la maggior parte dell'abbigliamento, soprattutto di quello per ragazzi, naviga in una zona grigia. Anche in modo all'apparenza insospettabile: molte delle alunne dell'attuale Terza Sfigata vengono a scuola con un toppino che scopre parte della pancia - e che è fatto con un tessuto che ai miei occhi è quello delle camiciole. Sì, proprio quelle che si portano sotto i vestiti. O che si portavano, chissà.
"Quindi, meglio non farsi troppe domande" taglio corto prima di fargli tirare fuori il libro di Storia.
E nell'attimo prima di avvisarli di andare alla pagina della Guerra di Secessione mi vengono in mente le mie scarpe.
Per molti anni mi sono gloriata di portare le uniche scarpe di cuoio della classe, e talvolta anche del Consiglio di Classe; e tuttavia tre anni fa ho scovato un paio di simpaticissime scarpe con la suola di gomma, l'interno imbottito di pelo artificiale, senza tacco e scamosciate all'esterno. Sono carinissime e comodissime e le porto, grosso modo, tra Novembre e Marzo.
Ne ho anche una versione da casa, che porto molto più di rado perché in casa di solito d'inverno fa più caldo che fuori.
E' un modello che va parecchio, in questi anni, e ce ne sono di tantissime qualità e colori.
Di fatto, sono delle pantofole alte.
E sì, le ho comprate in qualità di scarpe. Intendo dire, nella vetrina erano posizionate tra le scarpe, il vasto assortimento di pantofole di cui disponeva il negozio era posizionate nella vetrina accanto.
Ci vado anche a scuola?
Ma certo che ci vado a scuola, le ho comprate soprattutto per quello.
E non solo nessuno ci ha trovato niente da ridire, ma anzi parecchie colleghe me le hanno assai lodate trovandole carinissime.
Ad ogni modo faccio abbastanza spesso un approfondimento di storia dedicato al cambio dell'abbigliamento durante la rivoluzione francese, quando gli uomini improvvisamente cominciarono a vestirsi solo con pochi e scuri colori e, per un breve periodo, i vestiti da donna erano più semplici e comodi di quelli degli uomini. I tempi di Lord Brummel, per intendersi.
Il quale Lord Brummell di sicuro avrebbe disapprovato con tutte le sue forze l'idea di venire a scuola in pigiama, e forse anche di venire alla scuola pubblica inclusiva.
Al liceo ho patito l'assenza di una divisa uguale per tutti - allora anche alle medie di usava un grembiule nero. Bisognava cambiarsi tutti i giorni, almeno il pezzo sopra; i vestiti tendevano ad essere comunque più formali, con gonne per le ragazze e camicie per i maschi, e alla fine si andava comunque vestiti tutti più o meno uguali, dopo molti pensieri e perdite di tempo per scegliere una cosa o l'altra, diversissime, proprio come nella celebre scena delle cinture nel Diavolo veste Prada. E ora che sono una signora esco in pigiama anch'io
RispondiEliminaComunque i pigiami (firmati, di lusso) si vedono anche alle serate di gala, per dire. Invece nel mio vecchio ufficio, in estate, con microclima da bagno turco, vigeva la regola non scritta che gli uomini dovessero avere scarpe chiuse e pantaloni lunghi. Le donne potevano vestire da spiaggia con sandalo-minigonna-canottiera e nessuno batteva ciglio. Qual era la discriminante, depilazione e pedicure?
RispondiEliminaAccipicchia, sono sempre Chiara
RispondiElimina@ Lurkerella:
RispondiEliminaAnch'io ho portato il grembiule nero alle medie, e so che al ginnasio continuava ad usare. Ma avere un vestito sempre divcerso da quello del giorno prima non l'ho mai sentita come una regola, nel senso che l'ho assorbita nel DNA sin da piccola, immagino per influenza materna, e dunque già allora la applicavo. Mi hnno chiesto come mai a scuola non c'è una divisa. Ho risposto che non so, ma abbiamo avuto un tempo in cui i ragazzi erano SEMPRE in divisa e non a tutti ha lasciato un buon ricordo - immagino che anche quella sia una risposta che mi ha dettato mia madre fin da piccola, e lei quel periodo l'ha vissuto in prima persona.
In compenso, quando ero ragazza, i pigiami erano assai facilmente distinguibili da un qualsiasi abbigliamento da giorno, anche se ricordo un pigiama rosa fuxia composto da camicetta a fiori (con tanto di bottoni e colletto a punta) e pantaloni a zampa di elefante, e in tarda primavera come vestito avrebbe funzionato alla perfezione.
@ Chiara:
Infatti ripensandoci la questione delle ciabatte valeva per i maschi, e lo stesso vale per quella specie di canottiere senza maniche e a spallina larga che, se le porta una fanciulla, si chiamano "top" e nessuno si sogna di trovarci da ridire nemmeno a scuola. In effetti grandissima parte delle convenzioni sull'abbigliamento di qualsiasi stagione ai miei occhi sta nella categoria "Misteri Imperscrutabili".
I vostri commenti mi confermano nel mio sospetto che Pisola alla fine non abbia lanciato una nuova moda, ma si sia limitata a seguire le usanze dei suoi tempi.
Buon 2024, già che siamo ormai in zona ^__^