L'argomento è così convincente e ben trovato che, pur essendo noi ben dieci insegnanti di Lettere, nessuno trova niente da ridire - evento prodigioso e non destinato a ripetersi per tutta la riunione (e forse per tutto il prossimo millennio).
Ammettiamolo, è un gran bell'argomento e ci puoi infilare dentro veramente di tutto. Personalmente odio quei concorsi letterari dove devi svolgere delle riflessioni sulla Resistenza in Val di Serchia nella primavera del 1944 oppure sull'utilizzo dei vegetali a foglia larga nell'ambito di una dieta ben equilibrata, ma non devono essere più di 200 grammi di vegetali a foglia larga e le brassicacee sono escluse.
Ma poi c'è da stabilire la forma dell'elaborato.
Versi e prosa, suggerisce De Magistris. Racconto, riflessione o quant'altro gli pare.
"Possono scriverlo anche in forma di diario o lettera?" chiede la prof. Galvani.
Quella della possibilità di esprimersi in forma di diario o lettera è uno dei tormentoni che ricorrono da tempo immemorabili nelle tracce dei temi. Cioè, non proprio da tempo immemorabile, bensì dai tempi dell'ordinanza sull'esame di terza media del 1974. In quegli anni la Forma Diario e la Forma Lettera erano specificati nel programma di seconda media di Italiano e apposite sezioni dell'antologia le illustravano nei dettagli - di solito con risultati spassosi perché da sempre il diario ognuno lo tiene come gli pare e le lettere le scrive parimenti a modo suo, a meno che non lavori in una segreteria o in una cancelleria - ma giuro che alla SSIS qualcuno mi spiegò come doveva essere redatta una lettera d'amore, e si aspettava seriamente che ce ne servissimo, di quella spiegazione, per spiegarlo a nostra volta ai ragazzi.
"Certo che possono scriverla in forma di diario o lettera, possono scriverla come gli pare" provo a rispondere. Ma lei insiste che va specificato nel bando e alla fine, perché no, si può anche specificare.
"E poi possono anche fare una canzone. Un rap, per esempio. Ai ragazzi piace molto il rap".
D'accordo, possono fare anche il rap, conveniamo tutti.
"Oppure un fumetto. Possono fare un fumetto".
Vada per il fumetto. Non è che fare una storia a fumetti sia proprio facilissimo, ma in effetti abbiamo avuto tutti qualche amante del disegno che a volte arrivava col suo fumetto al posto del tema, o meglio che svolgeva il tema in forma fumettata, e regolarmente questo qualcuno veniva lodato, non foss'altro che perché si era sobbarcato una gran fatica e ci aveva speso su un sacco di tempo.
Arriva poi il momenti della giuria, e lì son dolori.
"Giuria mista, formata da alunni e insegnanti" propone De Magistris.
Sembra una buona idea, sulla carta, ma solo per decidere che entrambe le giurie devono comprendere alunni e professori sia di Crifosso che di St. Mary Mead ci vuole un'eternità.
Un'altra eternità viene impiegata a decidere che i professori di Lettere non devono stare in giuria, in base al conflitto di interessi, e un'altra eternità a stabilire a chi chiedere che non sia di Lettere. In sottofondo aleggia il Non Detto "Pòle chi non è un insegnante di Lettere valutare uno scritto?", e alla fine la risposta è uno stentato "Sì". Se da una parte sono un po' dispiaciuta di non poter entrare in giuria, dall'altra avere l'opinione e la valutazione di qualcuno che non è del mestiere mi sembra interessante.
Ma il bello deve ancora venire perché adesso c'è da stabilire le Modalità del Concorso - un punto che invero avevo assai sottovalutato ma che alla fine si è rivelato il più divertente. Per uno spettatore con il pop corn in mano, intendo.
Dunque, i ragazzi fanno il loro bell'elaborato sul cambiamento, poi...
"Poi ce li consegnano e noi facciamo il lavoro di editing" interviene la prof. Galvani col tono di chi dice "E poi quando piove apriamo l'ombrello oppure andiamo sotto una tettoia per ripararci".
"Perché gli dobbiamo fare l'editing?" domando sorpresa.
"Se non gli facciamo l'editing saranno pieni di errori!".
"Cazzi loro. Se sono pieni di errori vuol dire che non verranno premiati".
Anche agli editori, mi si dice da più parti, arrivano sovente manoscritti pieni di orrori e di errori, e la prima scrematura consiste appunto nel cestinare i testi che non sono scritti in un italiano corretto.
Se lo fanno gli editori, lo possiamo fare anche noi, giusto?
"Ah, ma tu non hai idea!"
Per l'appunto, dopo venti e passa anni che correggo scritti di tutti i tipi qualche idea ce l'ho, ma non capisco perché glieli dobbiamo correggere prima che intervenga la giuria.
Soprattutto mi pare di avere capito che l'editing in editoria è una roba più intrusiva della semplice correzione degli errori, e in cuor mio sospetto che più di un collega sarebbe assai tentato di intervenire sulla struttura e perfino sulle argomentazioni. Questo però non lo dico, perché non voglio finire lapidata sulla pubblica piazza.
Mi sembra però che in un concorso ognuno abbia diritto di partecipare col suo specifico elaborato, e prendersi le conseguenze dei suoi eventuali errori (questo invece lo dico, tipo una decina di volte, forse quindici).
Il prof. De Magistris sembra invece piuttosto fiducioso: lui fa una specie di giornalino della scuola, a Crifosso, e sostiene che di editing ne deve fare ben poco quando gli consegnano i testi, e spesso non edita un bel nulla (il che mi sembra piuttosto credibile).
Ma tutti scuotono la testa sconsolati. Ah, l'editing, l'editing...
"A me non sembra corretto fargli l'editing" insisto.
Pian pianino, sotto l'abile guida di De Magistris, la ristrutturazione del testo intesa da Galvani si trasforma in un editing minimo, di cui sospetto che, nella stesura del regolamento, avrà cura di ricordare di dimenticarsi di accennare.
"E poi useranno un correttore ortografico, giusto?" osserva qualcuno.
"Ah sì, certo, dobbiamo procurarci i computer" osserva qualcun altro "A proposito, ne abbiamo per tutti?".
"Difficile da dire, visto che non sappiamo ancora in quanti parteciperanno".
"Ma.. lo scriveranno dal computer di casa loro, no?" osserva qualcuno, di nuovo col tono di chi dice "E poi quando piove apriamo l'ombrello oppure andiamo sotto una tettoia per ripararci".
Ma no, non è affatto così semplice. Risulta che il Dipartimento è schierato in due fazioni equivalenti e contrapposte, che finora non sono emerse solo perché ciascuno era convinto che la sua fosse l'unica e ovvia possibilità da prendere in considerazione.
Per comodità le chiamerò, come le ho chiamate nella riunione, "Modalità Giralibro" e "Modalità Invalsi".
La Modalità Giralibro, che prende il nome dal concorso letterario detto appunto del Giralibro, prevede che vengano asssegnati un tema, una data di scadenza e un indirizzo cui mandare gli elaborati, che i ragazzi consegnano al referente in busta chiusa e senza che il loro insegnante di Lettere ci abbia niente a che vedere.
La Modalità Invalsi prevede i concorrenti chiusi in una stanza a far la prova durante l'orario scolastico, mentre il loro insegnante si fa delle gran teglie di cavoli suoi da qualche parte, senza eseguire poi nessunissimo editing.
Interviene la prof. Quadrella "Gli elaborati devono farli a scuola, altrimenti glieli fanno i genitori" e passa a raccontare di come spesso da casa arrivino dei gran capolavori laddove a scuola gli stessi ragazzi scrivono ben peggio.
Sì, sì, convengono tutti, i genitori non devono intervenire.
Il prof. De Magistris prova a mediare. Lui non pensa che l'elaborato sarebbe scritto dai genitori, ma se il lavoro di cosiddetto editing lo facessero i genitori, o gli amici, non ci troverebbe niente di male. Insomma, vedesse un po' l'alunn* come regolarsi.
La discussione procede. L'elaborato deve essere eseguito in un giorno X, nell'Aula Magna, e gli alunni devono entrare senza appunti o schemi o foglietti mentre la stesura degli elaborati in questione verrà sorvegliata con occhi di fuoco da alcuni docenti. Non è ben chiaro se i malcapitati concorrenti verranno anche sottoposti a perquisizione esterna ed interna all'ingresso e se verrà loro consentito di andare in bagno (dove potrebbero essere collocati strategicamente foglietti dell'elaborato preparato a casa dai genitori) o di fare colazione (facendo però attenzione che l'incarto della merenda non contenga foglietti preparati a casa). Mi guardo bene dal far domande, ma da come lo stanno preparando mi sembra peggio di qualsiasi concorso statale cui abbia mai partecipato.
In sottofondo, il prof. De Magistris (anche lui del partito Giralibro) prova a dire che boh, veramente a lui sembra un po' eccessivo, ma una volta tanto nessuno se lo fila.
Qualcuno arriva a suggerire perfino di assegnare l'argomento il giorno stesso, così è certo che non potranno prepararlo a casa.
Qualcun altro ribatte che in questo modo è semplicemente un tema. E poi siamo sicuri che riusciremmo a tener segreto l'argomento?
Ma certo che riusciremo a tenerlo segreto, che domande!
Io ne dubito assai in cuor mio, anche perché sospetto che molti di quegli insegnanti che vedono tranelli dappertutto non esiterebbero un istante ad anticipare il Segretissimo Argomento onde avvantaggiare i loro alunni, un po' come avviene nel Torneo dei Tre Maghi di Harry Potter (J.K. Rowling conosce molto, molto bene il mondo della scuola), ma di nuovo me ne sto zitta e buona.
Il prof. De Magistris, dopo aver provato a lungo ma invano a mediare o a suggerire formule che riescano a contentare entrambe le fazioni, dopo quasi un'ora di accanita e sempre più delirante discussione adotta infine la Tecnica del Nodo di Gordio:
"Deciderà la Preside" proclama, chiudendo la sessione un attimo prima che la rissa diventi ingestibile.