lunedì 31 maggio 2021

Di aggiornamenti delle nomenclature non sempre apprezzatissimi (post di singolare inutilità)

Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemos

Cambiare nome alle cose sostituendo parole usate da gran tempo non sempre sorte effetti felicissimi. D'altra parte le lingue vivono di cambiamenti e una lingua non cambia più solo quando è morta.
In molti han rumoreggiato quando gli handicappati sono diventati prima portatori di handicap e poi disabili, e i negri sono diventati neri, ma ormai gli handicappati non ci sono più e i negri esistono solo nelle vecchie traduzioni della Capanna dello zio Tom e nei discorsi di qualche estremista di destra particolarmente arretrato.
E in tanti hanno sbuffato davanti alle prime ministre e sindache e assessore dicendo che mai e poi mai sì barbare parole avrebbero attecchito nella nostra lingua - ma ormai abbastanza comunemente si parla appunto di sindache e ministre e financo avvocate, e pure le architette han smesso di suscitare reazioni scomposte e risate sguaiate.
Tuttavia certi cambiamenti devono percorrere una strada piuttosto lunga. Ricordo che mio padre ha continuato per diversi anni ad andare alla Valdarno al lavoro quando già da tempo la Valdarno era stata assorbita dall'Ente Nazionale per l'Energia Elettrica - credo anzi che il vero cambiamento sia stato quando cambiò sede di lavoro per andare in una palazzina che non era stata mai della Valdarno ed era stata costruita dall'ENEL e dove tutti si erano sentiti lavoratori dell'ENEL sin dall'inizio. Tuttavia anche la Valdarno rimase nei discorsi di famiglia per anni, ma non per decenni.

In un qualche momento dei miei primissimi anni di insegnamento qualcuno decise di cambiare nomi agli ordini di scuola. La scuola materna diventò "dell'infanzia", la scuola elementare diventò "primaria" e la scuola media diventò "secondaria di primo grado", mentre le superiori diventarono "secondarie di secondo grado".
All'inizio, come sempre davanti a una qualsivoglia novità, rimasi piuttosto schifata. Passato il primo choc culturale feci appello alla mia autodisciplina e cercai coscienziosamente di adattarmi, aiutata in parte dai continui moduli che compilavo in quel periodo per il rinnovo graduatorie e dalle molte segreterie che frequentavo ai tempi delle supplenze brevi. La mia autodisciplina tuttavia subì una certa ridimensionata quando mi accorsi che intorno a me gli addetti ai lavori parlavano sempre solo e soltanto di medie e giammai si sporcavano la bocca evocando le scuole superiori. 
E  così, mentre gli africani e gli afroamericani dotati di pigmentazione scura venivano ormai quasi universalmente chiamati "neri" e gli handicappati sparivano senza lasciar traccia di sé insieme ai portatori di handicap, gli insegnanti delle elementari parlavano di primarie in gran scioltezza nemmeno fossero tutti cittadini americani in tempo di elezioni, la scuola dell'infanzia viveva un percorso più complesso, dovendo smanicarsi anche dal vecchio "asilo" oltre che dal desueto appellativo di "materna" ma insomma conosceva una sua evoluzione e la scuola "secondaria" si stava faticosamente smarcando dalle "superiori"ma la strada sembrava ancora lunga.
In tutti questi anni però le medie sono rimaste "medie", non solo per i giornalisti e i dibattiti televisivi, ma anche tra gli addetti ai lavori. Perfino i libri di scuola, che un tempo scrivevano fieramente in copertina "Manuale di storia per le scuole medie" oggi sorvolano pudicamente sull'ordine di scuola cui sono destinati.
A tutt'oggi, sono docente della scuola secondaria di primo grado solo quando compilo qualche modulo del MIUR e nessun genitore, custode o alunno sembra avere la minima propensione a parlare di "secondarie". 
E c'è il suo motivo.
Tre anni fa, mentre compilavo un modulo dove mi dichiaravo Murasaki Shikibu, insegnante della Scuola Secondaria di Secondo Grado di St. Mary Mead, fui presa da un dubbio. 
Col mio modulo in mano, uscii dalla scuola e guardai la targa di marmo dell'ingresso. C'era scritto "SCUOLA MEDIA XY".
Va bene, mi dissi, è una targa vecchia e non l'hanno cambiata.
Poi guardai meglio.
In alto, sopra la targa, c'era una targa in metallo. Portava scritto "Scuola Media XY". Era molto nuova e molto lucida.
E c'erano sopra la bandierina dell'Unione Europea e la targhetta del PON. E il PON è una roba senz'altro successiva all'arrivo delle scuolesecondariediprimogrado.
In tutti i casi, la mia scuola si dichiarava MEDIA in entrambe le targhe. Era lo Stato che la definiva così. Se andava bene per la targa d'ingresso, doveva andar bene anche per il MIUR, e meno storie.
Così rientrai, presi un nuovo modulo e scrissi risolutamente che ero Murasaki Shilibu ed insegnavo nella scuola media XY di St. Mary Mead, insieme a tutte le altre informazioni che mi erano richieste, e lo portai in Segreteria - dove lo presero senza batter ciglio. E da allora nei moduli scrivo sempre che insegno nella scuola media XY di St. Mary Mead che fa parte dell'Istituto Comprensivo di St. Mary Mead.

E poi venne il giorno in cui la Toscana aprì il portale dove gli insegnanti si segnavano per vaccinarsi. E mentre lo compilavo per l'ennesima volta nella vana speranza di trovare un angoletto disponibile per me, mi accorsi che stavo barrando la casella "docente scuola media".
Un portale per vaccinazioni della Regione Toscana è una roba piuttosto ufficiale, mi sembra, e serve a distribuire vaccini per conto delle ASL della Toscana - tutta roba molto statale, e siamo pure una regione a statuto ordinario. Ma non vogliono sentir parlare di scuole superiori di primo grado.

Ricapitolando: insegno in una Scuola Media, con tanto di targa all'ingresso che la definisce tale. L'Unione Europea ci elargisce fondi perché siamo una Scuola Media, la regione Toscana ci dichiara scuola media, la nostra carta intestata parla di Scuola Media XY di St. Mary Mead. I docenti intorno a me si autodefiniscono "insegnanti delle medie", ai Collegi Docenti le Scuole Secondarie di Primo Grado vengono nominate solo quando viene letta qualche circolare del Ministero - che è l'unico ente che si incaponisce a sostenere che siamo una Scuola Secondaria di Primo Grado e non una scuola media, anche se tollera che nella nostra targa sia scritto tutt'altro.
Siamo un caso isolato? La Toscana scolastica parla una lingua tutta sua? In tal caso, perché il Ministero lo tollera?
Oppure l'Italia brulica di scuole medie che solo due o tre volte all'anno vengono chiamate "Scuole Secondarie di Primo Grado"?
Che senso ha avuto svegliarsi una mattina e stabilire che le scuole d'Italia dovevano cambiare denominazione ufficiale e poi lasciargli quella vecchia?
Perché, almeno al MIUR, non si impegnano per chiamarci Istituti di Scuola Superiore di Primo Grado?
Oppure perché al MIUR non lasciano cadere questa farraginosa denominazione e non tornano a chiamarci, come tutti, Scuole Medie?

In questi infiniti dubbi s'annega il pensier mio. E può pur essere che al mondo esistano entità più inutili di questo post, ma al momento non me ne viene in mente nessuna.


*la data precisa non sono riuscita a trovarla, ma mi sembra di capire che sia stato il 2003, con la Riforma Moratti. Forse.

domenica 30 maggio 2021

Scartoffie di fine anno - L' Innovativissima Riforma del MIUR per Educazione Civica e le sue complesse conseguenze



Quando l'Innovativissima Riforma del MIUR per Educazione Civica entrò nelle vite di noi insegnanti giurai solennemente davanti alla luna che avrei usato tutte le mie (poche) capacità per limitare con ogni cura e diligenza qualsiasi aggravio di impegno cotale riforma pretendesse apportare nella mia vita lavorativa, e di non spostare di un capellesimo di millimetro le mie programmazioni in suo onore, in quanto la ritenevo una Riforma Falsa e Mendace che nulla di nuovo apportava alla scuola se non qualche scartoffia.
A tutt'oggi ritengo di aver adempiuto con sufficiente zelo a questo nobile proponimento, con una sola eccezione che passerò a raccontare in fondo al post.
Non altrettanto posso dire dei miei amati colleghi, e mi giungono tristi notizie in merito anche da altre scuole: per incredibile che sia, in tanti stan prendendo sul serio questa bieca operazione di cosmesi superficiale, non solo, ma in tantissimi si sono ingegnati per adempiere agli obblighi di legge nel più complicato dei modi possibili.
Anche a St. Mary Mead, nel nostro piccolo, ci siamo ingegnati in tal senso.

Ordunque, in principio era il Registro su Carta: in un anno scolastico dove le autorità mediche si raccomandavano di limitare l'uso delle scartoffie su carta, la prima geniale pensata fu che ogni classe avrebbe avuto un Registro Su Carta (cioè due fogli in croce fotocopiati) da conservare nel Librone delle Carte della Classe, dove ogni insegnante avrebbe coscienziosamente appuntato le sue ore di Educazione Civica specificando per ognuna di queste ore la data, l'argomento, l'Area Tematica cui detto Argomento afferiva e il numero di ore impiegato per sviluppare cotale Argomento, con Eventuale Verifica, scritta o orale che fosse.
Detto così suona lungo, ma in realtà è affare molto veloce e si fa in circa 40 secondi; di fatto non mi sembrò poi una pensata così balorda.

Tosto dunque, già il primo giorno, mi segnai nella Terza Brillante due ore per la Tematica 1 (Costituzione, istituzioni e regolamenti vari nonché Regole di Vita Quotidiana) per illustrare una presentazione a slide che la scuola aveva pazientemente composto per spiegare le nuove  regole legate alla pandemia in corso - una bella chiacchierata tra amici, in pratica. Poi segnai qaueste ore con la dicitura Educazione Civica anche nel registro elettronico - ma tanto, nel registro elettronico, dovevo comunque spiegare che caspita facevo nelle mie ore, giusto?
La settimana seguente segnai altrettante due ore per la spiegazione del meccanismo elettorale che porta all'elezione del presidente degli Stati Uniti, e su ciò assegnai apposito compito che venne coscienziosamente svolto dai ragazzi e che corressi trascrivendone poi con cura i voti sul registro elettronico.
Dopodiché  mi addentrai nelle complesse tematiche dell'Italia postunitaria, del colonialismo nella seconda metà dell'Ottocento, nello studio di oceani, Artide e Antartide eccetera, e quindi per diverse settimane non feci più alcunché legato ad Educazione Civica.
Nel frattempo i miei colleghi del Consiglio di Classe si affannavano a parlare del patrimonio culturale italiano e internazionale e delle leggi che lo tutelavano, delle fonti di energia alternativa, delle città sostenibili, del lavoro minorile, delle fake news e di tante altre belle cose che, indubbiamente, afferivano ad Educazione Civica, sì come tanti altri argomenti che ormai da tempo formavano le nostre programmazioni. Tuttavia  il registro di Educazione Civica continuava a contenere solo le mie quattro ore, sole solette in un gran deserto.
"Scusate carissimi, ma visto che state facendo tante belle cose di Educazione Civica, perché non le segnate anche sul registro della classe?" chiesi alfine a metà Novembre dopo che, avendo preso il registro per segnarci un approfondimento sulla vita sott'acqua e relative problematiche chiesto dai ragazzi dopo la lezione sugli oceani, trovai appunto questo gran vuoto.
"No no, noi le segniamo. Io le segno sempre" - mi assicurarono in tanti.
"Veramente in Terza non hai segnato un accidente, ma mi sembra che le città sostenibili siano assolutamente un tema che rientra nella seconda area".
"Ah sì, forse è vero, me ne sono dimenticata. Ma tanto a fine quadrimestre le recuperiamo dal registro".

Premesso che dal Registro Argo io personalmente ho grande difficoltà a recuperare alcunché, senza dubbio per demerito mio, mi sfuggiva a quel punto l'utilità del registro su carta. Decisi comunque di cucinarmi una teglia di cavoli miei - ma non senza aver dato una scorsa ai registri delle altre classi, che languivano in uno stato di parziale o totale abbandono né più né meno di quello della classe che coordinavo, proprio come sospettavo.

Naturalmente a fine quadrimestre fu pianto e stridor di denti. Tuttavia qualcuno se ne uscì con una trovata assai ragionevole e ogni Classroom dei Consigli di Classe venne dotata di una elegante tabella su cinque colonne dove ognuno poteva segnare le sue ore. Cosa che venne fatta all'ultimo minuto e con grandi lamentele - e non trovavo, e non pensavo, e non ricordavo, e non ho segnato e ho dovuto riguardare tutto il registro elettronico.
E vabbé, mi dissi, anche l'asino quando è cascato da qualche parte impara a non ricascarci.

Così non è stato, naturalmente. Finiti gli scrutini del primo quadrimestre le tabelline han continuato a languire in un deplorevole stato di abbandono, con un paio di solerti eccezioni. Ho spedito qualche giorno fa un garbato invito a darsi una mossa dalla Classroom e un paio di colleghi mi hanno spedito due orrendi pastoni monoblocco che contenevano anche le ore del primo quadrimestre raggruppate in modo che definire cialtronesco è fargli un complimento davvero immeritato.
"Boh, saranno affari loro" mi sono detta scuotendo le spalle. La coordinatrice non è mica una balia, né è responsabile in alcun modo delle negligenze altrui. Che peraltro nessuno avrebbe mai controllato né censurato quand'anche fosse capitato di dover rendere pubblico tale sciamannato registro.
Ma quei due pastoni mi disturbavano. Le altre classi dove insegnavo avevano registri ben ordinati, perché proprio la classe che io coordinavo doveva ospitare quelle due orrende mappazze?
Ebbene sì, l'ho fatto. Ho preso il registro elettronico e dal primo giorno di scuola mi sono segnata le ore dei colleghi con le date (che solo occasionalmente corrispondevano a quelle segnate sul registro) per poi trascriverle in bell'ordine rigorosamente cronologico inserendole al punto giusto. Due palle da non dirsi.
Se fossi stata obbligata a farlo le mie strida avrebbero stancato il cielo. In effetti, il vero motivo per cui mi sono sentita forzata a farlo è proprio che nessuno mi ci obbligava.
A mia totale e completa vergogna aggiungerò che anche senza i due mappazzoni il monte ore richiesto per Educazione Civica era già stato ampiamente raggiunto e pure superato.

E il solenne giuramento alla luna?
No, non c'entra nulla: se madre natura e i cromosomi ereditati dai mei due stimati genitori mi han dotato di una raffinata sensibilità cronologica e di scarso senno il Ministero dell'Istruzione non ci ha colpe e non posso prendermela con lui - fin lì almeno ci arrivo anche io.

Ho almeno rampognato i colleghi?
No. Hanno l'incarico annuale, e forse l'anno prossimo non ci saranno più (che sarebbe un peccato, peraltro, perché sono bravi e coscienziosi sul lavoro vero). Se ci saranno, farò una garbatissima esortazione a inizio dell'anno nuovo. Molto, molto garbata. Perché, comunque, se sono scema non è colpa loro.

martedì 25 maggio 2021

Haeretica - Prove Invalsi: tra oscuri complotti e cheating

Capita di doversi difendere da insidie assai perfide

A Pasqua del 2009 gli insegnanti delle medie scoprirono da un giorno all'altro che quell'anno l'esame avrebbe incluso anche una Prova Invalsi. E corre voce che queste Prove Invalsi, a livello di sperimentazione, circolassero in Italia ormai da qualche anno ma certo a St. Mary Mead non ne avevamo mai sentito parlare, e sospetto che non fossimo gli unici a versare in tal deplorevole stato di ignoranza.

Quasi subito si scatenò il Gran Tifone del Dissenso: venne infatti stabilito (da chi? Tutti e nessuno, come sempre in questi casi. E forse era una scoperta un pochino pilotata) che cotali Prove Invalsi erano oggetto di una Subdola Manovra ordita dal Ministero per Valutare gli Insegnanti. E schedarli, anche.
Lo Spettro della Valutazione incombeva da qualche anno sui poveri insegnanti, e sembrava che si annidasse per ogni dove, e a quanto mi dicevano era qualcosa contro cui era Assolutamente Necessario lottare, anche se non ho mai ben capito  perché. 
Quando sono entrata a scuola circolava vagamente l'idea che la scuola doveva essere produttiva, e a tal scopo ci spiegavano che l'insegnante andava formato con metodi e criteri scientifici e la valutazione andava fatta con criteri oggettivi (per poi promuovere tutti perché d'altra parte la scuola doveva anche essere inclusiva - all'epoca non esisteva ancora la parola ma il concetto era comunque quello).
E' il vecchio problema della scuola e non parte dal leggendario '68 (molto evocato, e di solito in modo piuttosto farneticante, vuoi come fonte di tutti i mali, vuoi come sorgente di ogni valore positivo) ma dall'istituzione della scuola pubblica: la scuola è per tutti e deve risultare utile a tutti, senza essere inutilmente punitiva e selettiva; per contro la scuola deve anche fornire una preparazione specifica e accurata. Siccome raggiungere entrambi gli obbiettivi è piuttosto complicato, di tendenza si cerca di barcamenarsi, sia sulle linee generali che per le singole scuole, classi e alunni, tra bastoni, carote, cerchi e botti - sempre con risultati abbastanza approssimativi perché la perfezione è rara in questo mondo, e sperare di trovarla in una entità che racchiuda una intera classe e un intero gruppo di insegnanti richiede davvero molto ottimismo. Insomma, noi insegnanti finiamo sempre per sentirci un po' in torto quando non abbiamo una Classe Perfettissima - il che, a causa dell'umana debolezza, avviene ben di rado).
Ad ogni modo: le Prove Invalsi (gestite, ci tengo a ricordarlo, da Grandissimi Cornuti) avrebbero dato finalmente un Riscontro Oggettivo. In base a quel riscontro oggettivo sarebbero stati giudicati gli insegnanti (all'epoca solo quelli di Italiano e Matematica): dove le Prove avessero sortito risultati alti, voleva dire che gli insegnanti erano bravi, dove i risultati si fossero rivelati bassi voleva dire che l'insegnante era di scarsa levatura e dunque.... 
Quand'anche davvero per assurdo Qualcuno, nelle alte sfere, avesse fatto sul serio un ragionamento così idiota come "Insegnante Bravo = Alunni Bravi", cosa gli potevano fare all'insegnante scarso?  Licenziamento, calo di retribuzione, deportazione nelle colonie, pubblico ludibrio mi sembravano tutte soluzioni dalle quali il nostro contratto ci garantiva. E dunque? 
Qualcuno ci avrebbe chiamato da parte per dirci che così non andava bene e avremmo dovuto migliorare la nostra produttività facendo questo e quello?
Lo ammetto: non mi sarebbe sembrata poi questa gran tragedia. Da quando insegno il Senso di Inadeguatezza è sempre stato mio fedele compagno, se qualcuno mi vuol spiegare come posso far di meglio è il benvenuto.
Ma aveva un senso preoccuparsi del fatto che la Prova Invalsi servisse a valutare gli insegnanti? Ufficialmente serviva a valutare quel che i ragazzi erano in gradi di dire, fare, baciare, lettera e testamento arrivati a un certo punto della loro vita. Eventualmente, sarebbe servita a valutare la scuola nel suo complesso. Non lo trovavo un proposito così irragionevole, per quanto cornuti potessero essere coloro che lo gestivano.
Ma soprattutto: in un mondo dove le segreterie continuavano a chiedermi a sfinimento i dati essenziali, quasi non glieli avessi già scritti decine di decine di volte, che improvvisamente qualcuno riuscisse a elaborare così bene dei dati da schedare tanta parte del corpo docenti in base ai risultati di una data prova, mi sembrava abbastanza improbabile. Fermare quello che mi sembrava un coraggioso esperimento di valutazione collettiva del sistema scolastico in nome della paura che qualcuno scoprisse che io, singola Murasaki Shikibu, forse ero scarsa, non mi sembrava giusto.
E poi, c'era qualcosa di ufficiale su questa Valutazione degli Insegnanti?
Non mi risultava.
Ma soprattutto: era proprio così sicuro che questa fantomatica valutazione degli insegnanti in base alla Prova Invalsi sarebbe necessariamente stata negativa?
A quanto pare, in molti davano per scontato che sì; e all'Invalsi, tra una lucidata e l'altra delle corna con l'olio di camelia, hanno da tempo predisposto dei sistemi più o meno validi per depurare i dati dal cheating, ovvero l'irresistibile tendenza degli insegnanti a suggerire le risposte giuste - dando per scontato (a ragione, temo di dover dire) che questa tendenza ci fosse, e fosse anche piuttosto elevata, anche tra i molti insegnanti che magari predispongono settantasette varianti di un compito in classe per evitare che gli alunni copino tra loro, e distanziano i banchi e ricorrono a un sacco di altre tecniche più o meno efficaci a questo scopo.
E qui si apre il varco per alcune domande.
O voi che suggerite, siete così sicuri che gli alunni che avete preparato siano così incapaci di trovare da soli la risposta giusta?
Nel qual caso, siete ben determinati a cambiare la programmazione dell'anno successivo per consentire alla prossima classe che vi passerà tra le mani di rispondere alla medesima prova in scioltezza e assoluta autonomia, vero?
Ma soprattutto: perché vi ritenete così responsabili nei confronti dei vostri alunni?
Non sarà che date per scontato che davvero la preparazione di una classe sia determinata solo e soltanto dall'insegnante e non, anche, dalla loro collaborazione sotto forma di studio e di attenzione a quel che dite?
Se gli alunni han rifiutato ostinatamente di darvi retta quando gli spiegavate questo e quello, perché volete privarli del legittimo piacere di scazzare la Prova Invalsi, raccogliendo così i legittimi frutti della loro ignavia & indolenza?

L'Oscuro Senso di Colpa e di Iperresponsabilità che molti insegnanti provano verso il loro lavoro è alla base sia del cheating che della convinzione che le Prove Invalsi siano un complotto ordito ai loro danni.
Tale Oscuro Senso di Colpa, va detto, alberga anche in molti insegnanti diligenti e coscienziosi.
Forse perché tutti ci criticano? Ma in quest'epoca di acidità perenne, quale categoria professionale non è costantemente criticata giorno e notte per i suoi scarsi risultati? Nemmeno artisti di fama internazionale e calciatori regolarmente convocati in Nazionale si salvano da questo continuo discredito. Tuttavia, per quel che vedo, gran parte della gente si scuote dalle spalle le critiche e continua a fare (talvolta male) il suo lavoro. 
Perché gli insegnanti no?
Per quale misterioso groviglio interiore costoro danno per scontato di dover salvare il mondo tutto da soli e nel contempo di esserne del tutto incapaci?
Ecco, su questo secondo me non sarebbe male che all'Invalsi facessero qualche riflessione. Perché, come una classe non combinerà mai nulla se rifiuta per principio di collaborare in qualche modo con l'insegnante, allo stesso modo le Prove Invalsi richiedono un po' di collaborazione da parte del corpo docente.
Una collaborazione facile, anche: in sintesi, si tratta di non far nulla e limitarsi a sorvegliare le prove (sostituendo il computer che si impalla con uno più efficiente. Se riescono a trovarne uno nella scuola dove lavorano, si capisce).
Non dovrebbe essere poi così difficile. 

venerdì 21 maggio 2021

Le storielle di Mamma Oca - Richard Scarry

Questa settimana presento un libro che ormai si trova (neanche troppo facilmente) soltanto frugando nei vari siti di libri usati e rimanenze editoriali, ma sul quale tempo fa era molto facile mettere le zampe. 
"Mamma Oca" è un personaggio leggendario, che racconta favole, di solito leggendole da un libro. La sua invenzione risale a (nientemeno) Charles Perrault, che intitolò appunto I racconti di Mamma Oca una sua celebre raccolta di fiabe, e da lì si sviluppò questa tradizione anche nel mondo anglosassone (o forse soprattutto nel mondo anglossassone? Davvero non ne ho la minima idea).
Di questa tradizione comunque non sapevo proprio niente quando, nel Natale del 1967, i miei genitori mi fecero trovare sotto l'albero il libro in questione, e sospetto che nemmeno loro ne sapessero granché visto che, richiesta di chiarimenti, mia madre si limitò a farfugliare qualcosa su una oca che raccontava novelle ai suoi piccoli.
Richard Scarry, il cui nome troneggia in copertina quasi si trattasse dell'autore, era uno stimatissimo illustratore per bambini assai celebre per i suoi animali più o meno antropizzati. Quanto ai testi, erano per lo più filastrocche inglesi per bambini, tradotte in italiano (e pure in rima, di solito) da G. Gabbrielli e V. Cosmini, che non ho la minima idea di chi fossero ma si devono essere affaticati assai su quelle filastrocche, e secondo me un posticino in copertina se lo sarebbero meritato pure loro visti gli eccellenti risultati che han conseguito.
Dunque, un libro di filastrocche inglesi tradotte con cura e assai ben illustrato dall'ottimo Scarry. Adorai quel libro, lo consumai, letteralmente, e mi imparai gran parte delle storielle a memoria a forza di leggerlo e rileggerlo. 
Il libro è ormai un relitto, ma è riemerso, misteriosamente, dalla biblioteca dei miei qualche settimana fa, con mio gran piacere. E' molto logorato dal tempo e dall'uso, ma penso che lo farò rilegare perché per me è stato molto importante, anche per l'infinità di parole tutt'altro che comuni che incamerai leggendolo. Alcune di quelle filastrocche le ho col tempo riconosciute nei libri inglesi che ho letto nel corso degli anni, di altre tuttora non so niente.
Le foto sono state fatte da me, con tecnica molto artigianale e, ripeto, il libro è assai malridotto e pure decorato di vari tratti di penna con cui, davvero non so perché, a suo tempo ritenni necessario decorarlo. Alcune filastrocche sono piccole e non si leggono bene, ma cliccandoci su dovrebbero apparire più grandi e diventare leggibili.
Alcune di queste filastrocche ci sono anche in versione italiana. Questa per esempio è la famosa 
Sulla strada di Camogli
passò un uomo con sette mogli

che mio padre ogni tanto recitava


La foto è piccola perché, mentre la scattavo, mi sono accorta che conoscevo anche quella sopra: visto che ci sono campanule d'argento e gusci di conchiglia è senz'altro Mistress Mary, Quite contrary (detta anche "Mary, Mary dispettosa" in italiano). E la conosco perché con il secondo verso "How does your garden grow?" Agatha Christie ha intitolato un racconto dove i gusci di conchiglia sono il fulcro della soluzione.
Agatha Christie adorava infilare filastrocche nei suoi romanzi, e qualche volta le usava anche per i titoli. Questa era Five Little Pigs che in italiano è diventato Il ritratto di Elsa Greer, al quale ho dedicato un post qualche anno fa:


Questa invece è la filastrocca sulla tasca piena di segale, che da noi è diventata Miss Marple: polvere negli occhi  e nel post dove ne parlo cito proprio questa tavola*, da sempre una delle mie preferite del libro - perché, ammettiamolo, la vicenda accaduta al re di Collepiano è davvero singolare:


Da qualche parte giurerei che Agatha Christie citi anche la casa-zucca, qui abitata da una deliziosa coppia di coniglietti


e la casa-scarpone, che nel testo italiano sarebbe abitata da 38 topolini, ma io li ho contati molte volte (come si evince anche dalla foto) e anche se non sono mai riuscita ad essere sicura del risultato, garantisco che passano i quaranta


La povna mi ha poi segnalato nei commenti che nel libro c'era anche Hickory, Dickory, Dock che è altrettanto usata per il titolo di un libro (che in italiano è diventato Poirot si annoia). La filastrocca racconta di un topo che si arrampica su un pendolo ma scappa via quando il pendolo suona - il libro invece parla di tutt'altro):


Abbandoniamo al momento la letteratura per passare alla musica (molto indirettamente): questa è una filastrocca costruita all'incirca come Alla fiera dell'est, anche se con personaggi diversi e con un finale decisamente lieto. Il protagonista è un topolino che si chiama Gianni Nasa, e vai a sapere com'era nell'originale:



Ma passiamo al mio amato medioevo: qui abbiamo la nobil donzella del Valpolicella (e fu così che imparai che esiste una zona chiamata Valpolicella, e mai ho bevuto un vino che venisse da lì senza ripensare a questa immagine):


E c'è anche la storia di un furto di biscotti rimasto impunito:


Non è l'unico caso di furto che si riscontra in questo libro: ad esempio c'è anche l'avido Gasparotto Manolesta, che comunque viene regolarmente punito per le sue malefatte:



Ma c'è anche una classica vicenda di bullismo da elementari (...o da prima media, in effetti):


E dalla scuola torniamo alla letteratura, e pure al medioevo:


A questa poesia è legato un caro ricordo. Alcorso di poesia provenzale stavamo leggendo Ag gai so conde e leri di Arnaut Daniel, che parlava della sua dama, che lui amava più di chi gli desse Lucerna. E Lucerna, ci spiegarono, era una città immaginaria delle chanson de geste, nota per il suo splendore e la sua ricchezza. Così scrissi al mio vicino di banco un distico che mi tornò improvvisamente alla memoria:
La lucerna che splende piccina
tutta rischiara la mia cucina
e lui scosse la testa e commentò "Ah, questi trovatori caserecci...".

Il libro mi servì anche per imparare un sacco di parole nuove: le memorizzavo senza chiedere il significato (non so perché, ma certamente non perché i miei si mostrassero restii a rispondermi se facevo una qualche domanda, fosse pure su argomenti spinosi).
Con questa filastrocca per esempio imparai la parola "lai" e solo molti anni dopo seppi che si trattava di "lamenti":



Non mi feci invece nessun problema per chiedere cos'era una roggia, parola che a dire il vero ho trovato quasi soltanto in questo che è rimasto uno dei miei scioglilingua preferiti:


Infine, su questo libro incontrai per la prima volta una filastrocca molto famosa: quella della mucca sulla Luna, che Tolkien presenta, in versione notevolmente ampliata, quando Frodo e i suoi amici si fermano alla locanda del Puledro Impennato (o Cavallino Inalberato, nella nuova traduzione):


E mai ho letto quel brano senza pensare a questa immagine, dove tra l'altro piatto e cucchiaio in fuga si segnalano per un piglio particolarmente allegro.
La filastrocca dice:
                Hey diddle diddle,
                The Cat and the fiddle
                The Cow jumped over the moon
                The little dog laughed 
                To see such sport
                 and the dish ran away with the spoon

Ed è probabile che abbia ispirato anche un ritornello abbastanza celebre degli ABBA ovvero
             Dum dum diddle
             To be your fiddle


Con questo post, dove per la prima volta presento un libro per bambini, partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma e auguro un felice fine settimana di letture casalinghe visto che, in barba al calendario, la pioggia di Marzo continua a imperversare.


* riconosciuta tra l'altro nei commenti da Lurkerella

martedì 18 maggio 2021

Le corna dell'Invalsi son come i dolori: fanno male, ma non ne muori


Come ho già ripetuto più volte su questo blog, i funzionari dell'Invalsi sono, tutti, dei grandissimi cornuti.
L'anno scorso, certo, più di tanto le loro corna non han potuto crescere, perché il crudele lockdown ha costretto in casa i loro coniugi che si son visti dunque privati del loro legittimo diritto di adempiere alle leggi di natura cornificandoli, com'è giusto che avvenga verso dei grandissimi cornuti.
Quest'anno invece il lockdown ha allentato la sua ferrea morsa e già dalla scorsa estate i funzionari Invalsi si sono accinti a esibire in pompa magna le loro grandissime corna, organizzando le Prove Invalsi.

Le quali Prove Invalsi ormai da tempo hanno dismesso carta e penna, ormai relegate al ruolo di antiquariato. Le facciamo in rete.
Non è però semplice come riempire un questionario a casa propria.
Punto primo, le Prove Invalsi, divise per ordine di scuola, devono essere svolte in una determinata finestra di tempo.
A St. Mary Mead, in quei giorni, vige la consuetudine di vietare l'uso di Internet a tutte le classi per non rischiare di sovraccaricare la rete della scuola. La cosa ci risulta piuttosto scomoda, perché ogni classe si è abituata a usare la rete molto più di prima. Ma passi.
Il problema vero è sempre lui, il Perfido Covid. Perché adesso una classe non può andare nel laboratorio di informatica a fare le prove. Con le attuali regole di distanziamento ci va al massimo mezza classe per volta, e dunque i giorni raddoppiano. 
Secondo punto: la rete ormai non si usa più solo per far vedere i filmati su YouTube (o i film dalle varie piattaforme), ma anche per collegarsi con gli alunni in quarantena, e pure per permettere alle classi di assistere alle lezioni dei professori in quarantena. 
Proviamo a indovinare: qual è stato il periodo con più alunni e insegnanti in quarantenanella nostra scuola?
Esatto, la Stagione della Finestra.
Inoltre da noi la rete si indebolisce quando il tempo è umido, piovoso o temporaleggiante.
Qual è stata la stagione più piovosa, nella zona di St. Mary Mead? 
Appunto, la Stagione della Finestra.
Rimane, inalterato, il ruolo del Somministratore - che ormai non somministra più prove più o meno complesse, ma solo un piccolo tagliando da far firmare e da ritirare al momento della fine della prova, mentre una figura non prevista dal regolamento ovvero l'Angelo del Computer predispone le macchine avendo cura che il Distanziamento Sociale sia rispettato e pregando in cuor suo che detta macchina faccia il suo dovere e non lo obblighi a costringere (orrore!) un alunno a sedersi vicino a un altro alunno.
Tutti abbiamo pregato molto, nella Stagione della Finestra.

Il vero punto però è un altro, e l'ha esposto una collega mentre stavamo in Sala Insegnanti, l'ultimo giorno delle Prove.
"A cosa gli servono questi dati? Il campione non è omogeneo. Noi a St. Mary Mead abbiamo avuto un anno quasi normale, anche se le terze sono state un paio di mesi a casa, e una un mese più delle altre due. Ma ci sono zone e province dove le medie a casa ci sono state quasi tutto l'anno, altre dove hanno fatto metà e metà. Che accidente sperano di capire, da queste prove?".
In effetti è una bella domanda.
Magari potevano farsela anche all'Invalsi, tra un cornetto e l'altro.

venerdì 14 maggio 2021

Il Romanzo della Rosa - Guillaume de Lorris e Jean de Meun


Quel che oggi vado a presentare per il Venerdì del libro di Homemademamma è un classico dei classici, famosissimo e discussissimo per ogni dove, un vero best seller, di quelli che solo una persona afflitta dalla più totale ignoranza poteva affermare di non conoscere nemmeno per sentito dire.
Oggi invece è abbastanza sconosciuto e solo qualche addetto ai lavori può vantarsi di conoscerlo a fondo. Ai tempi d'oro in cui facevo l'università non era ancora stato tradotto in italiano, ma oggi vanta diverse edizioni (la prima del 1983), e nei Millenni di Einaudi, di cui riporto qui la copertina, c'è perfino la versione con testo a fronte. Io, più modestamente, mi sono accontentata dell'edizione economica dei tascabili Feltrinelli, che ha il gran vantaggio di costare tredici euro ed è in prosa.
Siccome in cuor mio mi sento ancora una studiosa del medioevo ci ho investito una fettina del mio bonus docenti e me lo sono letto con gran dedizione, col sistema classico del "una parola dopo l'altra, e vediamo quel che mi racconta". Di fatto, l'ho trovato una lettura molto gradevole e me lo sono spolpato in una decina di giorni - ma in un anno un po' più tranquillo probabilmente ci avrei messo meno. In più, leggendolo, c'è stato una specie di Bonus Da Compiacimento quando riconoscevo le citazioni da altri autori, che sono una vera legione (e io non le ho certo individuate tutte) che mi ha consentito di sentirmi molto colta & raffinata, che fa sempre piacere.

Andiamo per ordine. Il romanzo della rosa è un poema allegorico francese di 21.780 versi in rima con una storia un po' particolare, di due autori diversi: la prima parte fu scritta nel 1237 da Guillaume de Lorris, che poi morì e di cui si sa veramente poco. Tra le molte cose che non si sanno di lui, c'è il motivo per cui il romanzo si è interrotto: si era stancato, trovò di meglio da fare o la morte lo sorprese nel bel mezzo (ma chissà se lui pensava di essere a mezzo, o se credeva di averlo solo avviato o se era convinto di essere già a buon punto. In realtà quel che lui scrisse è circa un quinto dell'opera completa)? Chissà. 
Abbastanza sconosciuto ai più, il romanzo rimase nel suo manoscritto a dormire tranquillo per 40 anni, fin quando arrivò Jean de Meung nel 1275 che lo continuò fino a completarlo - ma naturalmente lo continuò e completò a modo suo, e la differenza nel tono è molto evidente. Qualcosa del genere è successa con l'Orlando italiano: Boiardo lo avviò in un modo, Ariosto lo completò in tutt'altro e oggi sono considerati due poemi separati.

Il poema allegorico è un genere letterario che nel medioevo andava abbastanza di moda: si raccontava una storia più o meno lineare che ne sottintendeva altre, e i protagonisti rappresentavano, o più semplicemente erano entità: il Bene, il Male, l'Amore, la Morte, le Virtù, i Peccati e via dicendo. Erano scritti in latino e in volgare, e anche la letteratura italiana ne conta uno di una certa fama, chiamato Commedia perché comincia male e finisce bene, e in seguito al titolo è stato aggiunto l'aggettivo Divina perché il soggetto è di tema abbastanza elevato (parla di Dio, appunto). Comunque il nostro è più corto, perché passa di poco i 14.000 versi - ma in compenso è molto più denso e non lo puoi leggere a botte di due o tremila versi come a volte ho fatto io col Romanzo della rosa.
Prima di proseguire con la trama vorrei fare una piccola precisazione: l'ho definito una lettura gradevole ma qui, davvero, è questione di gusti. A me vanno benissimo le storie che si snodano lentamente e dove i protagonisti stanno a lungo a dissertare sui massimi sistemi, ma se cercate una vicenda ricca di azione, con dialoghi scattanti, numerosi colpi di scena e personaggi sviluppati a tutto tondo e ricchi di luci e ombre, ecco, è meglio se cercate altrove: questa è la tipica storia dove non succede quasi niente ma in compenso tutti parlano tantissimo ma sempre a monologhi e i personaggi si sentirebbero disonorati se anche solo per salutarsi impiegassero meno di trecento versi.
Dicevo, la trama: il protagonista, che è il poeta (il primo, Guillame de Lorris, che resterà protagonista e narratore, continuando  a parlare in prima persona anche quando l'autore cambierà) dorme e fa un sogno. 
Nel sogno si alza, nella prima luce del mattino, si veste ed esce fuori a passeggio in una bella alba di Maggio. Ha vent'anni, età in cui Amore reclama il suo diritto dai giovani. E cammina in un bel praticello, attraversa un bel ruscello e vede un bel muro dipinto ma che sembra invalicabile. Trova però l'entrata, la varca e subito incontra una bella fanciulla, a nome Oziosa, che lo accoglie e lo porta in uno splendido prato dove bei giovani intrecciano liete danze. Girando per il giardino trova anche un roseto, dove un bocciolo lo colpisce in modo particolare.
E dunque mentre guarda la rosa e tutta la rimira arriva Amore, che lo colpisce con ben cinque frecce, e lo istruisce su come deve comportarsi un bravo servitore di Amore.
Innamorarsi di una rosa in boccio può sembrare insolito, ma nemmeno tanto: l'importante è la rosa, cantava uno stimato musicista quando ero bambina in una canzone dal fine doppio senso scritto niente meno che da Gilbert Becaud:


E forse non è nemmeno giusto parlare di doppio senso, perché il senso è uno solo, ma piuttosto complesso.
Dunque il nostro protagonista, in una bella mattina di Maggio, si innamora di una rosa, e a quella punterà per tutto il romanzo. La questione è seria, soprattutto quando entra in scena Jean de Meung, che trasforma senza pietà un dolce trattato d'amore in una gran discussione sui massimi sistemi.
Finché regna Guillaume si naviga in acque tranquille: il protagonista naturalmente incontra i suoi bravi ostacoli - quale amante non ne incontra, nel suo servizio al più capriccioso degli dei? - ma si dà per scontato che comunque tutto finirà bene, come sempre succede nei romanzi d'amore. Ma poi Guillaume muore e quello che Jean de Meung decide di scrivere è un ciclopico trattato sulla società e le sue storture: il servizio d'amore tutto sommato è una assurdità, l'amore deve essere libero, al servizio della Natura (che punta soprattutto alla riproduzione della specie) e dunque bando alla gelosia, alle restrizioni, ai sospetti e ognuno faccia quel che vuole in libertà, ché tutto il resto - i divieti, il matrimonio, la castità, la sottomissione femminile, le interferenze della religione - sono stupidaggini che non andrebbero tenute in alcun conto. E tutto ciò è magari molto sensato, magari posso anche approvarlo in linea generale, ma va pur riconosciuto che la bella storia d'Amore è andata irrimediabilmente a farsi friggere, tra Vecchie che esortano le giovani a darsi al bel tempo arraffando tutto quel che possono (non tanto cogliendo tutte le occasioni d'amore che si presentano loro, ma proprio spolpando i loro amanti di ogni singolo spicciolo) guardiani perbenisti che tormentano il protagonista impedendogli di avvicinare la sua amata rosa e continui inviti a diffidare dell'amore esclusivo nonché lunghe dissertazioni sulle ingiustizie legate alla società, all'invenzione della proprietà privata, alle diseguaglianze sociali e alla Fortuna mutevole e cieca che come una ruota sale e scende senza sosta tormentando gli uomini nei modi più svariati.
Interviene Amore, in difesa del suo vassallo, interviene perfino Venere, assistiamo a una battaglia in piena regola (dove i servi d'Amore sono, per quanto ben armati e prodi, sconfitti uno per uno implacabilmente da altrettanti guerrieri perbenisti) fin quando entra in scena la Natura - con il monologo più lungo di tutti dove non meno di seicento versi sono dedicati all'ardua questione del libero arbitrio e della predestinazione - e mediante un tradimento abilmente organizzato le truppe di Amore sbaragliano le difese del Castello dove la povera rosa è custodita. 
Il poeta quindi può cogliere la sua rosa, in una rapida scena dove, di nuovo, davvero non è il caso di parlare di doppio senso perché il senso è uno solo e inequivocabile. Ma il lettore, o almeno la lettrice, in cuor suo si domanda se la rosa ha una sua volontà propria o sta solo lì aspettando che qualcuno la colga, perché se la vediamo consentire aprendosi alle carezze dell'amante questo consenso sembra, diciamo, piuttosto generalista. Ma del resto molte e molte migliaia di versi ci hanno dimostrato ampiamente che Jean de Meung è un poeta interessato alle tematiche sociali, alle questioni economiche (in un modo che probabilmente Marx avrebbe trovato davvero interessante, se mai gli fosse capitato in sorte di accostarsi al mirabile testo ai suoi tempi decisamente sconosciuto) e anche ai temi dell'alta teologia, ma dell'Amore inteso in senso medievale gli importa davvero il giusto.

La lettura è affascinante, sia per la forma e il contesto sia per il contenuto: capita spesso di leggere testi di sociologia, ma leggerli in versi e su uno sfondo così fiorito è tutt'altra cosa, e la limpidezza delle argomentazioni di Jean de Meung, che ci offre un collage personalissimo di autori antichi e moderni (per i suoi tempi) accostati in modo così fresco e originale è davvero piacevole: l'intreccio di Livio, Boezio, Cicerone, Seneca, Ovidio, Alano di Lilla (che prima della lettura era per me un perfetto sconosciuto), fablieux, leggende arturiane, Roman de Renart e chissà quanta altra roba che mi sono persa perché ben presto ho smesso di controllare le note, visto che la lettura mi interessava molto di più della caccia alle fonti, finisce per comporre un quadro insolito e particolarissimo, che a più di 700 anni di distanza ha un suono molto attuale. Diciamo che mi sono ritrovata a riflettere su parecchie questioni, soprattutto economiche - che non era esattamente quel che mi aspettavo da quello che avevo sempre sentito descrivere come un trattato sull'amore, ma d'altra parte mai fidarsi troppo di come gli altri ti presentano un libro, senza contare che amore ed economia sono da sempre collegati molto strettamente, come non mancano mai di ricordarci i romanzieri inglesi.

Con questo post partecipo, come già detto, al Venerdì del Libro di Homemademamma da cui manco davvero da troppo tempo, e come sempre auguro felici letture, e soprattutto tempo libero per farne, a chiunque passi per di qua e in particolare a noi poveri insegnanti che in questo momento siamo particolarmente vessati dalla ria sorte e da infiniti impegni, avvicinandosi ormai la fine di un anno scolastico davvero complesso.

domenica 9 maggio 2021

Biancaneve, o il Bacio che non c'è (a meno che qualcuno non lo aggiunga, certo)

 

Non vi dico la fatica a trovare una immagine decente di Biancaneve che non sia di Disney.
Questa, per la cronaca, è di Franz Jüttner

Recentemente è stata montata una strana polemica contro tanto universalmente deprecato (non da me) politically correct in merito a taluna che si dice avrebbe sostenuto che il bacio che risveglia Biancaneve dalla morte non può essere considerato Vero Amore ma assurgerebbe al grado di imposizione essendo stato dato senza il previo consenso della fanciulla che lo riceve.
Da quanto ho capito cotal polemica è stata montata ad arte dalla Disney che ha finalmente riaperto Disneyland a Parigi dopo un anno e mezzo di interruzione causa Covid, e che desiderava dare un po' di risalto all'evento. Gli italici giornali ci si sono precipitati a pesce e da qualche giorno è un gran fiorire di polemiche (e di meme) contro il pollitically correct che impedisce ogni libera espressione dell'animo umano e di gente di ogni razza e qualità che difende a spada tratta il principe, ma anche commenti assai più sensati come quello di Viaggi Ermeneutici di cui questo post nasce come commento.
Tutto ciò mi ha colpito e indotto a molte riflessioni, alcune delle quali ho provato a esporre su un social. Mi hanno mangiato per pane, signorilmente ho deciso di non ribattere e dunque dette riflessioni le passo sul mio blog, dove i commenti non sono mai stati in numero così rilevante da rischiare di farmi perdere il sonno e la pace quand'anche si rivelassero assai critici (ma qualora fossero anche molto critici me li terrò così come sono).

Punto primo: il bacio nell'originale dei fratelli Grimm non c'è, se l'è inventato la Disney. La quale Disney ha anche avuto cura di innescare una polemica da cui esce vincitrice: il bacio infatti viene dato dal Principe, ma il principe non è un perfetto sconosciuto, in quanto Biancaneve nel cartone animato l'ha già incontrato dal vivo e ci ha flirtato quanto basta da fargli ragionevolmente presupporre che un bacio sarebbe stato ben accolto.
Esattamente la stessa cosa succede nel film della Bella Addormentata (dove il bacio che risveglia la principessa viene esplicitamente ordinato dalle fate Flora, Fauna e Serena, ma comunque tra i due c'è già stato un incontro ricco di apprezzamento da entrambe le parti). In entrambi i casi dunque l'accusa è destinata a cadere, e la Disney molto accortamente ha fatto mettere sotto accusa una persona in grado di difendersi validamente.
Punto secondo: il bacio andrebbe dunque considerato come una cura. In particolari casi di emergenza le cure si somministrano anche senza consenso, se chi viene curato non è in condizione di dare alcun assenso. In questo caso particolare, addirittura, tale cura è l'unico modo per ottenere un consenso futuro: il sonno della principessa Aurora non può spezzarsi altro che per un bacio, e quanto alla povera Biancaneve è addirittura morta (all'apparenza - diciamo che è in animazione sospesa, o qualcosa del genere) e quindi il consenso non lo può proprio dare perché i morti usualmente non possono consentire ad alcunché.
Inutile quindi preoccuparsi di difendere il principe perché l'accusa è destinata a cadere in qualsiasi tribunale.

Tuttavia, come dicevo, nella fiaba raccolta dai fratelli Grimm il bacio non c'è: i nani han messo Biancaneve (con molto garbo e delicatezza, par di capire) in una teca di cristallo. Molti anni dopo la sua morte, un principe passa di lì per caso, i nani gli raccontano la triste storia e il principe rimane così addolorato e così ammirato dalla bellezza della fanciulla che i nani, dopo aver rifiutato sdegnosamente di vendergli la teca con la fanciulla, finiscono per regalargliela. 
I portatori del principe però hanno meno garbo dei nani nel trasportare la teca e durante uno scossone il pezzo di mela, della cui esistenza i nani non erano venuti a conoscenza, cade dalla bocca di Biancaneve che immediatamente ritorna in vita. In una versione successiva, invece, un servo assai stufo di dover badare alla teca le dà un calcio che ottiene lo stesso risultato. In entrambi i casi comunque il principe si comporta da vero gentiluomo, offre subito il suo cuore e una legittima unione e viene accettato assai prontamente, e così tutto finisce bene (salvo per la matrigna che viene messa a ballare con scarpe arroventate finché muore - ma insomma, tocca dire che se l'è cercata).
Dunque il bacio, come ho scritto già sopra, ce l'ha messo la Disney per rendere più romantico il finale. I fatti le hanno dato ragione perché la "vera" storia di Biancaneve ormai la conosciamo in pochi appassionati dei libri di fiabe, mentre il film a cartoni animati lo conoscono anche gli ornitorinchi dell'Australia orientale - che com'è noto vanno pochissimo al cinema.

E tuttavia l'argomento non si esaurisce qui, e secondo me chi ha lanciato la polemica ha la sua parte di ragioni.
Principesse svegliate con un bacio: le conosciamo?
Ebbene sì, ce ne sono diverse. Si tratta di principesse incantate, che dormono un sonno profondo molto simile alla morte nei loro castelli incantati - e qualche volta sono proprio morte. Abbiamo anche dei principi sotto incantesimo che dormono il sonno della morte - i principi però di solito li cerca la loro sposa, consumando scarpe di ferro a forza di camminare e bastoni di ferro per appoggiarsi nel lungo cammino, e il problema sta proprio nello svegliare il consorte, quando alla fine arrivano a destinazione (ma dopo i canonici tre tentativi ci riescono sempre).
I principi invece non sono già sposati. Abbiamo Orfeo che scende agli inferi per riprendersi la sposa, e quasi ci riesce, ma è un caso isolato per quel che ne so. Tolkien ha inventato la storia di Luthien, che riesce a convincere i Valar (anche lei con la forza del canto) a renderle il marito, e stavolta va a finire bene. D'altra parte, le mogli sembrano più capaci di forzare le leggi di natura dei mariti.

Ma torniamo ai principi. Numerosi principi han vagato in castelli incantatai fino ad arrivare in una sala dove la principessa dorme. In questi casi di solito la principessa addormentata non è la vicenda principale, ma solo una delle tante prove che il principe incontra.
Il principe la bacia, di solito non perché sa di doverlo fare, ma semplicemente perché gli va. E la principessa si risveglia.
La bacia? Sì, spesso si dice che la bacia. Funziona un po' come i somari che buttano monete d'oro dal naso quando starnutiscono. Esistono però versioni di queste fiabe dove l'asino non starnutiva, bensì adempiva ad altra funzione naturale.
Nello stesso modo esistono versioni dove il principe non si limita a baciare, e quando lascia la principessa per proseguire la trama principale della storia (una queste, di solito) ripromettendosi di ritornare dalla principessa quando avrà trovato quel che sta cercando per salvare padre, madre, sorella, regno o quant'altro - ecco che una nuova vita comincia a fiorire nel grembo della principessa (che non ha certo dato il suo consenso, per quel che se ne sa).
Ad un certo punto della storia (dopo il bacio, dopo il parto, in un momento fra questi due avvenimenti) la principessa si sveglia, e di solito lancia un bando per cercare il padre di suo figlio, oppure gli prepara una strada lastricata d'oro per quando tornerà. E alla fine della storia il principe torna sempre, e riceve ottima accoglienza.
Il consenso iniziale la principessa non l'ha dato, ma a quanto pare non conta.
Le fiabe dunque sono sessiste?
Non saprei. Personalmente credo di no. Si tratta comunque di un mondo alternativo dove la logica degli avvenimenti funziona secondo trame che ricordano molto la mitologia. Qui abbiamo un rito di nascita, o rinascita. 
Il campo dà il suo consenso alla semina?
Il campo è contento di essere seminato?
Non lo so, andrebbe chiesto al campo - anche se, nel momento in cui si fa una domanda al campo e il campo ti risponde, forse ci sono molti e validi motivi per preoccuparsi per la propria salute mentale.
Oppure è una storia di morte e resurrezione? C'entra il passaggio agli inferi?
C'entra che in certi periodi sembrava perfettamente normale, quando vedevi una bella fanciulla addormentata, metterla incinta senza pensarci su?

Di nuovo, non lo so. Il mondo delle fiabe comunque è piuttosto particolare, e per quanto possa essere incantato non sembra niente affatto incantevole. Vogliamo parlare del diritto di famiglia nelle fiabe? Di come si comportano i re? Del rispetto delle sacre leggi dell'ospitalità? Dei processi e delle inchieste? Dei rapporti tra fratelli? Delle garanzie dovute agli orfani? Delle tutele per gli animali? Del prezzo incredibile delle rose colte nei cespugli dei giardini incantati?
Chi prende una fiaba per passarla ai tempi moderni lo fa a suo rischio e pericolo, e conviene che faccia molta attenzione. La Disney, sotto questo aspetto, si è tutelata piuttosto bene ma anche lei ha dovuto pagare pegno alle usanze dei tempi in cui ha girato i vari film. Si tratta, in ogni caso, di materiale incandescente che affronta temi molto complessi, e che va molto al di là della normale vita quotidiana.
Poi, certo, ognuno può lanciarsi nelle polemiche più assurde e buon pro gli faccia. Ma a quel punto ci vorrebbe l'onestà di ammettere che si ha molto tempo da perdere e nessun modo migliore per impiegarlo, e lasciare in pace il politically correct che a me sembra una cosa molto rispettabile.