martedì 12 novembre 2019
Il complotto demoplutogiudaicomassonico ai danni di Tolkien (post ad alto contenuto cultural-filologico)
Abstract: è uscita la prima parte della nuova traduzione del Signore degli Anelli. Do anch'io il mio parere senza averla letta, come fanno tanti. E anch'io come tanti cito Cannarsi, ma solo di striscio.
Cominciamo dalle basi: la prima parte de il Signore degli Anelli è stato tradotto nel 1967 per lo sconosciutissimo (da me) editore Astrolabio senza gran successo commerciale dalla giovanissima Vicky Alliata di Villafranca. Poco dopo, credo nel 1971, uscì una traduzione completa, sempre di Alliata ma rivista da Quirino Principe e pubblicata da Rusconi. Nel 1973 Adelphi pubblicò la traduzione dello Hobbit ad opera di Elena Jeronimidimis Conte. In seguito la traduzione del Signore degli Anelli subì alcuni ritocchi (per esempio gli Gnomi tornarono Elfi, con mio grande sollievo).
Nel 1978 arrivò in Italia la versione a cartoni animati del film tratto dal Signore degli Anelli (più esattamente dalla prima parte, poi finirono i soldi), a partire dal 2002 ci furono i film di Peter Jackson, in seguito Bompiani rilevò i diritti editoriali e pubblicò una versione ritoccata della traduzione Alliata-Principe correggendo alcuni errori, dal 2012 arrivarono i film di Peter Jackson tratti da Lo Hobbit e Adelphi rivide un po' la traduzione. Nel doppiaggio dei film furono adottati nel complesso i nomi delle traduzioni italiane, con qualche ritocco (per esempio i troll de lo Hobbit dopo essere stati sia Uomini Neri che Vagabondi tornarono appunto troll) oppure fu scelta la versione Alliata-Principe che non era sempre uguale a quella di Jeronimidimis (per esempio Gran Burrone invece che Forraspaccata, Pungolo invece di Pungiglione).
A questo punto, e siamo ormai ai giorni nostri, Bompiani decide di fare una nuova traduzione de Il Signore degli Anelli.
E fu grande festa nell'universo tolkieniano dove da tempo si diceva che la traduzione Alliata-Principe non era cosa, traboccava di errori, praticamente un cimitero di croci più che una traduzione.
Poi la traduzione, ad opera di Ottavio Fatica, ha cominciato a uscire - per adesso è arrivata solo la prima parte, ovvero La Compagnia dell'Anello, e il fandom tolkieniano è letteralmente impazzito. No, non di gioia. Improvvisamente quasi tutti hanno cominciato a dire un gran bene della versione Alliata-Principe, descrivendola come un vero capolavoro a parte alcuni trascurabili errorucci di cui nemmeno metteva conto parlare. In compenso la nuova traduzione è un vero cesso - più esattamente una serie di water chimici sotto usura di quelli che si trovano a qualsiasi grande fiera - l'orrore fatto traduzione, l'abominio degli abomini. Addirittura, sembrava essere stata fatta dal mitico Gualtiero Cannarsi, una sorta di creatura mitologica la cui fama al momento è legata soprattutto ad alcuni adattamenti di anime che si sono distinti per una impronta piuttosto personale, tanto che gli è stato dedicato un gruppo su Facebook*. Insomma, una traduzione così brutta, ma così brutta che non si era ancora mai vista.
All'inizio ho seguito la discussione con blando disinteresse: bella o brutta che sia, la versione Alliata-Principe mi tiene compagnia da quasi mezzo secolo con una buona ventina di riletture e il suono che ho nelle orecchie ormai è quello.
Tuttavia poche settimane di ardenti polemiche sono bastate per ammorbidire le mie posizioni, tanto da farmi decidere che, non appena la traduzione sarà stata pubblicata per intero e acquistata da una delle biblioteche del mio circuito le dedicherò una lettura completa e accurata.
Nell'attesa continuo a seguire i thread con il tradizionale sacchetto di pop corn in mano, il quale sacchetto è ormai diventato una gigantesca balla, di quelle che si usano per trasportare grandi quantità di patate, e a forza di seguirli mi è venuta voglia di dare anch'io il mio augustissimo parere; cosa importa se della traduzione conosco solo qualche frasetta sparsa e qualche diatriba sui nomi? Un parere gratuito non si nega a nessuno e anche se non ho letto la traduzione io so. E dunque è giusto che parli, o meglio che scriva.
Fine della premessa.
Due sono i temi a cui ho deciso di dedicare questo lungo post (so già che sarà molto lungo, anche se ancora non l'ho scritto, allo stesso modo con cui so come criticare una traduzione che non ho ancora letto): il primo è il complotto demoplutogiudaicomassonico dal quale questa traduzione è generata, allo scopo di reclutare politicamente Tolkien, e l'altro sono naturalmente i nomi, argomento principale della maggior parte delle diatribe.
Partiamo dal Perfido Complotto: una bieca macchinazione al cui confronto il leggendario piano Kalergi per sterminare la razza europea è una ragazzata e nulla più; perché la nuova traduzione si dice che sia stata fatta per spostare a sinistra Tolkien e sdoganare il suo romanzo in direzione LGBT. Dietro a questa traduzione ci sarebbe la sinistrissima mano del collettivo Wu Ming che, oltre a varie altre tematiche, si interessa effettivamente da tempo anche di questioni tolkieniane e dei curiosi rapporti che la politica italiana ha avuto con Tolkien sin dai tempi in cui il Signore degli Anelli fu tradotto in italiano la prima volta. Qui potrei infilare una giungla di link sulla questione, ma mi rifiuto. Una stringa di ricerca del tipo "Signore degli anelli nuova traduzione" oppure "Tolkien e Wu Ming" fornirà facilmente a chiunque passi di qui e non sia ancora scappato urlando "Mai più e mai poi!" materiale più che sufficiente a riempire un fine settimana passato forzatamente in casa per colpa di un raffreddore. Mi limito a segnalare un articolo di due anni fa, appunto di Wu Ming 4, dove viene effettivamente ammessa senza mezzi termini la ferma intenzione di disincrostare dal santo nome di Tolkien le interpretazioni della destra più estrema (ma senza alcun riferimento alle tematiche LGBT, di cui onestamente si fatica assai a trovare traccia in un testo dove nessuno fa sesso e gran parte dei personaggi non mostra di pensarci nemmen di striscio) - proponimento tutto sommato legittimo quanto qualsiasi altro del genere - e una sintesi sulla complessa nascita della traduzione e i misteriosi ma intricati rapporti tra Tolkien e politica italiana fatto da Cardini, che è persona sensata e soprattutto informata dei fatti perché c'era, oltre ad essere un buon medievista assai esperto di guerre sante.
Personalmente non sono molto interessata alla questione se non, moderatamente, sul piano storico. Le reali opinioni politiche di Tolkien contano fino a un certo punto: ha pubblicato il Signore degli Anelli e così facendo lo ha messo a disposizione di tutti, e ognuno può trovarci quel che meglio crede. "La letteratura è un fiume, e il lettore ci pesca la sua cena" diceva un personaggio di Erica Jong, e io la penso nello stesso modo. D'altra parte siamo in un periodo in cui va assai di moda indinniarsi moltissimo su qualunque cosa, soprattutto per partito preso e senza curarsi troppo di sapere su cosa effettivamente ci si stia indinniando. La cosa mi irrita alquanto, ma indinniarmi perché gli altri si indinniano mi sembra sport troppo faticoso e troppo poco fruttifero perché ai miei occhi valga la pena di praticarlo, e d'altra parte è forse meglio che chi sente l'inderogabile necessità di indinniarsi almeno tre volte al giorno lo faccia a spese di un presunto complotto tolkieniano piuttosto che screditando i vaccini o il parto assistito - dopo tutto Tolkien dispone di uno zoccolo di ammiratori abbastanza duro da permettergli di superare anche questa tempesta, credo.
Detto questo, ammetto senza riserve che ai miei occhi si tratta di "una quantità di chiacchiere degne degli orchetti", per citare il saggio Sam, e non nego che leggere le grida straziate di chi lamenta che la nuova traduzione sia il mezzo per sfregiare una cosa troppo bella, anzi bella al punto di causare solo rabbia e invidia negli indegni che non sono in grado di capirla nella sua purezza e suprema bellezza e piange perché d'ora in poi, più se ne parlerà e più il mondo di Tolkien perderà quell'aura di sacralità che a ragione lo contraddistingueva, lungi dal ricavarne nuova dignità con chi aveva preteso di dargliene** mi fa un po' male al cuore - non già per la perdita di sacralità cui il mondo di Tolkien rischia di andare incontro, ma per l'evidente (ai miei occhi) perdita del raziocinio in chi parla del mondo di Tolkien con accenti che a malapena Bernard de Clairvaux avrebbe riservato al culto della Madonna.
In questi casi non viene criticata dunque la nuova traduzione (non sia mai che ti toccasse addirittura leggerla, o almeno dargli una scorsa) ma il fatto stesso che essa esiste e i biechi scopi con cui Big Pharma e le lobby ghei ce l'hanno inflitta, sperando di dannare le nostre anime a colpi di Forestali.
Grande scontento han suscitato anche le traduzioni delle poesie, e sono polemiche in cui ho molta difficoltà a prendere posizione. Personalmente ritengo le poesie di Tolkien quasi intraducibili, o comunque la versione Alliata-Quirino non mi è mai piaciuta e quella Jeronimidimis mi ha sempre fatto accapponare la pelle. In effetti ho comprato lo Hobbit e il Signore degli Anelli in inglese soprattutto per vedere com'erano le poesie in lingua originale e mi son piaciute molto di più che leggendole in italiano, tanto che parecchie me le sono pure mandate a memoria. Quel po' che ne ho visto nella nuova traduzione onestamente non mi è piaciuto, ma in effetti è roba che mi piace solo in inglese e quindi per conto mio tendo ad assolvere chiunque provi a fare una buona traduzione delle suddette poesie e non cavi un ragno dal buco perché mi sembra molto difficile che qualcuno possa riuscirci.
Ma veniamo al grave problema dei nomi, dove di posizioni sempre ne ho prese e sempre ne prenderò. Sui nomi discutono, con assoluta parità di astio, fan di destra, di sinistra, di centro e pure quelli che votano solo occasionalmente o non votano affatto non entusiasmandosi per alcuna formazione politica, oltre a etero e gay, sovranisti e europeisti, bianchi e neri, carnivori e vegani, giovani e anziani, cattolici e agnostici; e quasi tutti deprecano assai. E depreco anch'io, naturalmente. E perché mai non dovrei deprecare? Ma mi rendo conto che la questione è davvero complessa.
Prima di tutto: detti nomi tengono compagnia all'immaginario italico ormai da decenni, e quindi sarebbe stato forse il caso di lasciarli proprio stare secondo come si erano variamente stratificati. Col tempo si è sedimentata nell'immaginario collettivo una bizzarra miscellanea di nomi italiani, nomi stranieri e adattamenti vari. Il cuore ha le sue ragioni, e sono ragioni che della fonetica e della linguistica se ne sbattono alla stragrande. Vale la pena cercare di intervenire rischiando di spezzare il cuore a tanta brava gente? Personalmente penso di no. Trent'anni fa, forse, avrebbe potuto scivolar via senza troppi danni. Ma ormai...
Ad ogni modo, se decidi di prendere in mano la situazione e riponderare i nomi uno per uno, il disastro è garantito: perché ogni nome deve tenere conto di infiniti fattori ed è impossibile usare un criterio omogeneo dato che ogni caso è diverso e in più c'è l'affetto per la tradizione che fa velo e induce a prediligere cose francamente indigeribili rifiutando magari di accettare eventuali miglioramenti. Sul momento comunque l'effetto è atroce e tutti si lamentano e ululano come tante banshee. In cuor mio, devo dire, davanti a certe scelte ululo un po' anch'io.
Prendiamo i Forestali, oggetto di disapprovazione quasi universale (e che personalmente mi piacciono, ma a quel che sembra sono un caso unico).
L'originale è Rangers. Tradurlo con Raminghi mi è sempre parso una sciocchezza: già quando venne scelta questa traduzione, negli anni 60, era parola decisamente aulica, da libretto d'opera, per intendersi. "Ramingo ed esule, in suol straniero", roba di questo tipo; d'altra parte l'originale Ranger all'epoca evocava irresistibilmente l'ombra dell'orso Yoghi; adesso dopo non so quanti anni di Texas Ranger è ancor meno proponibile. Ottavio Fatica l'ha tradotto con "Forestali" riscuotendo una disapprovazione davvero universale, anche se a me non dispiace: mi evoca l'immagine di persone serie e ben formate professionalmente, che proteggono l'ambiente loro affidato avendo cura di intervenire il meno possibile e addirittura di non farsi notare. Ma tutti erano abituati ai Raminghi e tutti ululano alla luna come tanti coyote. Che dire? Magari hanno torto, ma ormai è fatta. Anche se la tua mamma si chiamava Ruodperta era la tua mamma, e non si tocca, inutile dire che chiamarla Roberta suona meglio in italiano.
Ancor più se ti metti in testa di dar retta alle istruzioni dell'autore - che magari aveva le sue buone ragioni, o faceva finta di averle quando dava certi suggerimenti a eventuali traduttori, ma era anche piuttosto biforcuto e prendeva in giro i lettori alla grande.
Nelle appendici per esempio il nostro caro professore universitario J. R. R. Tolkien, filologo nonché buontempone, finge che il romanzo sia stato tradotto da una lingua ormai scomparsa parlata un tempo nella Terra di Mezzo, dove a sua volta alcuni dei nomi erano stati tradotti dalle più varie lingue. Uno dei risultati di tutto questo gran tradurre e ritradurre nomi è... Brandywine, tradotto assai sennatamente in maniera assai letterale da Alliata-Principe in "Brandivino" - una roba assai alcolica e inebriante, insomma. Ebbene, non si tratta né di brandy né di vino bensì di Baranduin, che vorrebbe dire acqua di confine MA gli hobbit amavano chiamarlo"Braldahim" ovvero "birra inebriante" perché tal fiume aveva le acque di un bel colore bruno-dorato, proprio come la birra.
Ma tu guarda che coincidenza, non è brandy né vino, ma una bella birra un po' scura.
Tolkien quindi non intendeva assolutamente tirare in ballo né il vino né il brandy, giusto?
Ma no, certo. Perché mai pensare a una cosa così terraterra come il colore del brandy?
Il nome del Brandivino significa "acqua di confine", brandy, birra e sidro non c'entrano assolutamente nulla. E del resto tutti sappiamo che Tolkien era astemio e che gli Inklings quando si ritrovavano bevevano esclusivamente camomilla e tisane di equiseto.
Qualcosa del genere deve essere successo con Samwise, che la prima traduzione traslittera con un semplice e innocuo "Samvise". Di fatto, per quasi tutto il tempo Samwise è semplicemente Sam, un comunissimo Sam. Poi Tolkien ci spiega che in antico sassone e in antico inglese Samwise vuol dire più o meno "sempliciotto". Ma Tolkien sapeva benissimo che il lettore medio, anche quello abbastanza acculturato verso cui puntava, di antico inglese e di antico sassone di solito non sa molto mentre conosce benissimo la parola wise, che vuol dire "saggio" (nel senso di "savio" e non di "trattato, dissertazione"). Abbiamo così un nome a triplo fondo: il personaggio apparentemente sempliciotto e un po' sprovveduto, che si rivelerà molto saggio e che al momento giusto prenderà decisioni assai accorte anche se passerà le milleduecento pagine del romanzo a darsi continuamente di scemo e a guardare con occhi tondi tutti quei grandi saggi che incrocia continuamente e che senza di lui sarebbero andati tutti a ramengo, Ramingo compreso. Tradurlo Samplicio ci può stare, come non tradurlo affatto e affidarsi a quell'infarinatura di inglese che tutti noi abbiamo grazie alla scuola pubblica e che ci permetterebbe comunque di fare il passaggio "wise = saggio". Di fatto, salvo pochissime volte, Sam rimane Sam. E perché proprio Sam?
Omaggio letterario: a Charles Dickens, per la precisione, e ai suoi Documenti postumi del Circolo Pickwick dove il giovane Sam Weller, di umile condizione, uso a citare sempre suo padre che a sua volta si esprime per detti e modi di dire, servo fedele e devoto, si dimostra abilissimo nello spaniare il suo amato padrone Pickwick dai più vari impicci e a fine romanzo si sposerà con la cameriera Mary con cui ha flirtato per numerose pagine.
Ma c'è anche un altro omaggio dickensiano: Pipino (che nella nuova traduzione mantiene il nome Pippin) che a un certo punto ci racconta che "gli amici a volte lo chiamano Pip". In realtà nel corso del romanzo, dove con i suoi amici passa parecchio tempo, nessuno fa niente del genere. Ma Pip, guarda caso, è il nome del protagonista di "Grandi speranze": giovane, ingenuo, con una buona educazione alle spalle. Batte qualche cornata ma alla fine, come tutti i protagonisti dickensiani, se la cava abbastanza bene. Ma tu guarda che coincidenza.
Sui nomi del quartetto hobbit c'è poi un altro giochetto, che mi è sempre piaciuto molto: il servo ha un nome abbastanza comune, mentre i tre hobbit possidenti hanno tutti e tre nomi regali, ma di diversa origine. Fino a Pippin, giustamente lasciato com'era in inglese nella nuova traduzione (ma altrettanto giustamente tradotto con "Pipino" nella prima traduzione) ci arriviamo tutti: nella stirpe di Carlo Magno ce ne sono ben due, entrambi molto abili a destreggiarsi in politica come nel campo di battaglia - mentre lo hobbit Pippin a destreggiarsi in politica non ci prova neppure né gli interessa. Ma in realtà anche Pippin è un soprannome, perché il vero nome è Peregrin - nome abbastanza raro ma che si trova senza troppa difficoltà nei romanzi inglesi con protagonisti aristocratici, o almeno io ne ho incrociati almeno due. Volendo proprio tradurlo comunque non sarebbe "Peregrino", come avevano messo nella Alliata-Quirino, bensì "Pellegrino" (sì, proprio come il santo e la magnesia bisurata). Giusto per completare il quadro suo padre si chiama Paladin, nientemeno (che sì, si traduce "paladino", pari pari, con tutte le sue implicazioni ciclocarolineggianti).
Meriadoc (Merry per gli amici) è invece un antico e semileggendario re di Bretagna - la Bretagna francese, quella di Asterix e di Lancillotto. La voce di Wikipedia che ne parla mi forza ad ammettere una volta di più la mia immensa ignoranza sulle fonti dell'alto medioevo inglese, però i due testi che ne parlano di più li ho almeno sentite nominare: Gilda era un monaco inglese che scriveva in un bellissimo latino che nessuno mi ha mai fatto la gentilezza di tradurre in italiano**, mentre del gallese Sogno di Macsen conosco almeno la trama grazie ai romanzi di Mary Stewart su Merlino.
Frodo infine richiama apertamente Frotho, semileggendario re di Danimarca le cui gesta sono narrate da Saxo Grammatico*** e che in gioventù uccise un drago per recuperare un tesoro che detto drago gli aveva rubato, guarda un po' la combinazione.
Dunque abbiamo un personaggio che fa riferimento all'epica carolingia, uno che richiama quella arturiana o comunque anticoinglese, e un rappresentante dell'epica norrena.
E di nuovo: ma tu guarda la curiosa combinazione.
Dopo questo ignobile sfoggio di cultura nozionistica di terza mano si impone una domanda: di tutto ciò, quanto conosce il lettore medio inglese? E quello italiano?
Immagino che nel primo caso la risposta sia "qualcosina certamente. Almeno l'origine dei nomi". Per quello italiano darei per sicuro che la risposta giusta sia "ben poco, se non rientra nella ristretta categoria di quelli che son diventati medievisti perché hanno letto Tolkien".
Vanno tradotti? Non tradotti? Va ignorata la questione? Lasciamo starte, ché tanto la storia si leggerebbe bene anche se i protagonisti si chiamassero Luca, Claudio, Antonio e Bertoldino? Recuperiamo qualcosa? Come lo rendiamo visibile, questo qualcosa? Tolkien avrebbe voluto che lo recuperassimo, questo qualcosa?
La nuova traduzione (che, ripeto, non ho ancora letto e per un bel pezzo ancora non leggerò) sarà anche sponsorizzata dalla sinistra ma i problemi che Fatica si è trovato davanti non erano né di destra né di sinistra, erano problemi e basta, e anche parecchio rognosi.
Personalmente, non trovo poi così strano che non li abbia risolti tutti nel più soddisfacente dei modi.
*"Gualtiero Cannarsi, cambia lavoro!!!" https://www.facebook.com/groups/132361799200/
** giuro che lo scrivono davvero, e anche di peggio. Controllate pure su una qualsiasi pagina tolkieniana su Facebook, se non ci credete. O su un qualsiasi altro social, perché temo che le cose non migliorino bussando ad altre porte.
*** anche se potrei pur sempre darmi una mossa e leggermelo in inglese o, meglio ancora, in latino visto che il governo ha la gentilezza di pagarmi perché mi aggiorni.
Posto che come scrivevo nel blog proprio poco tempo fa, ogni traduzione è un tradimento e non potrebbe non essere così, queste operazioni non fanno per me. Se mai decidessi di rileggerlo per l'ennesima volta, sono sicuro che mi ritufferei nella mia vecchia edizione Rusconi. Queste riletture non mi piacciono proprio. Certo se il tentativo è quello di allontanare Tolkien (togliamoci il cappello ogni volta che lo nominiamo) da certi fascistelli di casa nostra,m allora forse non è proprio da buttare!
RispondiEliminaHo visto che pippin è anche un tipo di mela, la renetta. Sono affezionata alla vecchia versione, magari quando (se) arriverà in biblioteca quella nuova un occhio glielo butto, già ho ancora Tassofrasso sul gozzo. I tuoi post tolkeniani sono tra i miei preferiti. Non ho mai capito cosa c'entri Tolkien coi fascistelli nostrani (o i fascisti in generale); l'avranno davvero letto? Va detto che i dati sull'analfabetismo funzionale sono fin troppo ottimistici. Lurkerella, moderatamente incuriosita e convinta che nessuno possa fare peggio di Cannarsi.
RispondiEliminaP. S. continuo a pensare che sarebbe meglio se potessimo verificare la nostra identità umana riconoscendo uomini affascinanti piuttosto che idranti o semafori.
Ho seguito la vicenda lungamente, come forse immagini. Devo dire che a me il progetto di Fatica ha trovato favorevole per le questioni stilistiche di base (la traduzione Alliata-Principe, per quanto anche io le sia molto più che affezionata, NON è Tolkien) rispetto alle quali a mio avviso la questione dei nomi rientra in quell'orizzonte che lo stesso Fatica definisce come secondario. Anche se capisco bene, e sento bene da lettore semantico, come non possa esserlo nella percezione appunto da lettore appassionato, per il quale quei nomi sono quei nomi così come si sono sedimentati e vale una lettura emotiva prima ancora che filologica e/o culturale.
RispondiEliminaIn questo, la polemica mi ricorda un po' quella relativamente recente sulla nuova traduzione di Anna Karenina (splendida, finalmente) di Claudia Zonghetti, che, poveretta, è stata incrociata esattamente per gli stessi motivi (avere riportato la stilistica di Tolstoj a una approssimazione di Tolstoj, pena la rinuncia a una traduzione, sbagliata ma molto amata, che era in voga da decenni.
Io non sono, sostanzialmente, traduttrice letteraria (lo son stata solo occasionalmente e di contemporanei come Coe che non avevano una voce traduttiva unica né tali e tante incrostazioni emotive), però devo dire che - là dove si decida di porre mano a un opus magnum come questo - apprezzo una soluzione più di personalità come questa rispetto alla scelta così nicodemista di Bartezzaghi per Harry Potter, che ha il merito di sollevare tante polemiche per una finalità chiara e conclusa (riportare lo stile di Tolkien in italiano), mentre quella di HP, per restare all'esempio, ha sollevato un polverino che non vale le (poche tutto sommato) migliorie portate.
L'ultima osservazione riguarda il ruolo dei Wu Ming, che, bravi loro, come per Stephen King non hanno esitato a esporsi in prima persona per riportare in canone alto ciò che troppo spesso viene in troppi ambienti ancora considerato paraletteratura.
Ps. Per Lurkerella: questo è, pur un po' datato, un bel libro di ricostruzione del perché Tolkien è andato a colludere coi fascistelli nostrani, se ti va:
RispondiEliminahttps://www.ibs.it/anello-che-non-tiene-tolkien-libro-lucio-del-corso-paolo-pecere/e/9788887765854
@ Romolo:
RispondiEliminaanch'io ero partita come te e sono legatissima alla vecchia traduzione, ma alla fine mi è venuta la curiosità, e poi da qualche tempo meditavo su una nuova rilettura. Comunque, secondo i dettami di Barbalbero, sarò tutt'altro che frettolosa!
@ Lurkerella:
Vero, quegli strani robot che ci chiedono di identificarci come esseri umani hanno una vera fissazione per io semafori, gli idranti e, aggiungo, anche per le automobili e le biciclette. Non capisco perché saper riconoscere un idrante da di me un essere umano, tra l'altro.
La storia del'amore che i fascistelli nostrani hanno dimostrato e tuttora dimostrano per Tolkien è uno dei quattro segreti di Fatioma (il quarto, appunto, talmente segreto che nemmeno Fatima sapeva che c'era). Il libro che la povna cita aiuta a ricostruire il periodo, ma non a CAPIRE, perché di fatto, per quanto un po' conservatore e molto cattolico (e NON in modo particolarmente moderno o aperto) Tolkien certamente non era fascista, ce l'aveva assaissimo con Hitler e non era nemmeno sovranista, men che meno razzista. Gli piacevano le saghe nordiche (ma non Wagner) e l'alto medioevo inglese. Un po' poco, per arruolare un autore in un partito, mi sembra. Di fatto questa è una storia tutta italiana perché all'estero nessun'altra destra mi risulta averlo vendicato.
@ la povna:
È un po' lo stesso problema che c'è con Omoero: alcuni insegnanti vanno matti per le traduzioni "alla Monti". Anch'io, ma in classe faccio leggere esclusivamente traduzioni del tipo Calzecchi Onesti perché è meno "epica" ma molto più omerica, come perfino io col mio greco minimale sono stata in grado di rendermi conto al liceo. Poi magari uno può far leggere anche Parini o Metastasio, ma in qualità di autori del Settecento, perché alla fine anche l'italiano del Settecento è bello e interessante, ma con Omero c'entra davvero il giusto.
Continuo però a non capire come faccia una traduzione a essere di destra o di sinistra - e sorvoliamo per pietà sulla questione gender.
I nomi, ah, i nomi son piezz 'o core e il Brandaino manderà in crisi anche me. Sopporterò.Spero.
@povna grazie del consiglio!
RispondiElimina@murasaki da quel che posso capire Tolkien era molto critico verso una certa idea di eroismo irrazionale e fine a se stesso, forse perché la guerra l'aveva fatta davvero. Cielo, le biciclette no!
Infatti, strisce pedonali. Uffa.
Ah sì, anche le strisce pedonali. Un essere vivente MAI.
RispondiEliminaSì, c'è tutta una retorica della guerra e dell'eroismo che gli manca completamente (anche se ne mette un po' nei cavalieri di Rohan) e che invece è un tema decisamente robusto nella letteratura norrena da lui tanto amata. Difficile capire come possa essersene tanto entusiasmata un certo tipo di destra, ma boh.
Passando per questo blog (complimenti, detto per inciso!) ho appreso che
RispondiElimina- Tolkien era astemio; me ne dispiace per lui (se fosse passato dalle mie parti avrebbe cambiato idea)
- comunque sia c'è ancora chi lo legge
. la traduzione di O. Fatica non entusiasma tutti (a me è piaciuta)
- agli hobbit piaceva la supercazzola elfica come se fosse antani
Fine del commento
Alla fine, sei riuscita a leggerla questa nuova traduzione?
RispondiEliminaMacché, continuo ad aspettare che le biblioteche comprino il volume intero!
RispondiEliminaPerò sarebbe davvero tempo di una nuova rilettura...