Buona ultima arrivo anch'io a presentare Il magico potere del riordino della giapponese Marie Kondo - e del resto è cosa nota che al giorno d'oggi se non hai letto e criticato con una certa bonaria condiscendenza Il magico potere del riordino non sei assolutamente nessuno. Qui lo ha presentato tre anni fa Homemademamma, l'ideatrice del Venerdì del Libro, cui partecipo questa settimana con il presente post, e in seguito ne hanno parlato anche diverse altre partecipanti e se n'è discusso parecchio, in rete e anche fuori; ma sempre mi son detta "Io non sono disordinata, semplicemente ho molte cose e non sempre mi preoccupo di rimetterle tutte a posto. Del resto sono archivista, so perfettamente come mettere in ordine e classificare anche gli oggetti, oltre che le carte, e ritrovo sempre tutto. Giammai sprecherò il mio pregiato tempo libero con sì insulsa lettura".
Poi è successo che qualcuno me l'ha fatto scivolare in mano e insomma di recente l'ho letto anch'io - trovandolo, nonostante tutti i miei pregiudizi, piuttosto interessante.
D'accordo, la cultura giapponese, gli appartamenti minuscoli (in città, soprattutto in alcune città) e quell'abitudine tipicamente giapponese di trasformare tutto in un processo esistenziale e di fare di qualsiasi attività, anche della più banale, una via iniziatica per la meditazione interiore, dalla tazza di tè che prendi la mattina alla pesca dei gamberetti. D'accordo, il consumismo e l'arte dell'accumulo, inevitabile dato che il modello della rivoluzione industriale richiede una continua espansione dei mercati, d'accordo gli effetti del ricordi di una antica povertà o il rispetto verso un prospero passato che impongono di conservare tutto - e questi non sono certo problemi soltanto giapponesi.
La questione però è più profonda e riguarda (anche) il rapporto col passato: un passato che cerchiamo di gestire, di solito senza successo, inscatolandolo nei più vari modi, sigillandolo, nascondendolo in punti dove siamo quasi sicuri di non ritrovarlo qualora ci venisse la tentazione di cercarlo, abbandonandolo per esempio a casa dei genitori (con la scusa che lì c'è tanto spazio: e poi, quale posto migliore per abbandonare il passato che la casa dei genitori, destinati a custodirlo in eterno fin quando te lo ritroverai nuovamente, insieme al loro passato, nel momento della loro morte?). E i rimorsi legati a certi oggetti ricevuti in regalo da amici carissimi, ma che non ti sono mai piaciuti molto. E la vecchia trappola del "potrebbe sempre servire" (sì, certo. E il fatto che in quindici anni non ti sia mai servito un solo giorno in vita tua è un puro accidente della sorte, potrebbe servirti già l'indomani che l'hai buttato via, come no). E la trappola ancora più insidiosa del "ma è ancora quasi nuovo, non l'ho indossato quasi mai" (e di sicuro se non l'hai indossato quasi mai in vent'anni ci sarà bene il suo motivo). L'indiscutibile verità che mettere le cose a pile significa adoperare solo quelle cose che sono in cima alle pile, dimenticando completamente quelle in basso. I documenti di trent'anni fa conservati come gioielli di famiglia (un tema, questo, che i miei genitori conoscono benissimo ma che io ho effettivamente imparato a scansare, grazie all'abitudine di praticare a scadenze irregolari la mia attività archivistica preferita, ovvero lo scarto).
Ma c'è un aspetto ancora più insidioso che l'autrice sottolinea: a volte si riesce effettivamente a mettere tutto in ordine per davvero, godendosi così per un breve periodo il piacere di vivere in una casa relativamente sgombra... ma a quel punto ci si dà all'acquisto compulsivo di una miriade di nuovo ciarpame che prenda il posto di quello vecchio. E rieccoci al punto di partenza, altro giro, altra corsa e la precisa sensazione di EUPP (ovvero Essere Un Po' Pirla).
Qui si scende nei meccanismo più profondi del nostro perfido e perverso inconscio: evidentemente la necessità che avvertiamo di un quantitativo X di oggetti che ci ingombrino la casa è maggiore di quella di una casa sgombra e ben funzionale in cui sentirci meravigliosamente a nostro agio. Per mia fortuna questo è un problema che mi manca. Forse. Almeno in parte. Credo.
Il sistema di riordino di Marie Kondo non consiste solo nel buttare via le cose che non servono più - a questo, con un po' di buona volontà, siamo buoni tutti - ma anche nel riprendere contatto con ogni singolo oggetto che le viscere della nostra casa contengono, per confrontarci con lui nuovamente. Sì, anche lo strato inferiore della pila, lo scatolone dei ricordi di scuola, la collezione di animaletti di vetro di quando eri bambina*, la camicetta indossata il giorno in cui hai perso la verginità** e che non ti entra più nemmen per sbaglio, la ciotola della buonanima Rufus, volato sul ponte dell'arcobaleno sedici anni fa*** - difficile pensare che, anche se c'è una vita dopo la morte, la buonanima dalla lunga coda si sdegni se la butti via. A meno che, si capisce, che non fosse un gatto completamente idiota, cosa che di per sé è una contraddizione in termini.
Un passato che si riesce a riesaminare con sincerità, almeno a livello di oggetti più o meno ingombranti, è un passato da cui è possibile separarsi - anzi, da cui è possibile separarsi ufficialmente - perché se quegli oggetti che pure sono ancora lì erano stati rimossi dai ricordi, vuol dire che comunque una separazione c'era stata, anche se incompleta; ma anche un passato con cui si ha paura di chiudere del tutto, per paura di qualche oscura vendetta divina o di abbandonare l'ultimo salvagente prima di navigare in libertà. Nascondiamo i pesi che ci tengono sul fondo del fiume, pur proclamando a gran voce di volercene liberare, anzi, di essercene davvero liberati, sul serio, e se restiamo inchiodati sul fondo a guardare le alghe è solo perché ci manca il tempo o la determinazione di fare l'ultimo passo, oppure per una crudele serie di circostanze esterne del tutto indipendenti dalla nostra volontà. Perché noi vorremmo riemergere alla superficie, oh, quanto lo vorremmo! E' solo che siamo sfortunati, ecco.
Naturalmente Kondo ci assicura che chi ha provato il suo magico sistema mai più ha avuto un solo problema a riguardo in vita sua - del resto si sa, la dieta che stiamo leggendo è l'unica in tutta la storia della dietologia dove assolutamente nessuno ha ripreso i chili persi, al contrario di tutte le altre diete, e lo stesso vale per il metodo di curare le piante di appartamento che stiamo consultando: mai nessuna pianta è defunta a chi segue le istruzioni e gli appartamenti di chi le mettono in pratica pullulano di azalee immortali e gerani millenari. Comunque immagino che con qualcuno il magico potere del riordino abbia funzionato anche a tempi lunghi e molte delle tecniche che il libro suggerisce hanno un senso anche ad occhi occidentali - e dunque immagino che, se applicate correttamente, di sicuro non peggioreranno la situazione (al contrario di quel che avviene con la maggior parte delle diete).
E' anche molto probabile che, una volta liberata a dovere la casa avendo fatto i conti col proprio passato, dopo aver rinunciato a conservare per l'eternità i biglietti di Natale dello zio Romualdo (di cui non ci è mai importato un accidente) o la collezione di pelouche del nostro amato frugoletto che ormai da vent'anni scavalla per il mondo al seguito di Medici Senza Frontiere la qualità della nostra vita non peggiorerà, anzi potremo finalmente rompere certe relazioni di cui siamo stufi sin nelle barbe, trovare un lavoro che ci piaccia di più di quello che stiamo facendo o iniziare finalmente a studiare l'ikebana o la tecnica dell'acquerello. Insomma, ripulire l'appartamento dal superfluo e disporre gli oggetti in modo da avere intorno, ma sempre bene in vista, solo i più cari e amati (per motivi affettivi o per semplice preferenza estetica), per poterli usare o guardare a proprio piacimento rende la vita più gradevole, la libera da tante piccole pastoie mentali che la intasavano e innesca un ciclo virtuoso per cui ci si comincia a domandare effettivamente cosa si vuol fare per rendere la suddetta vita ancora più piacevole, perché lo meritiamo.
A ben guardare, sembra un procedimento sensato che ha delle buone possibilità di funzionare.
Questo libro mi è capitato tra le mani in un momento piuttosto particolare della mia vita, mentre sto appunto cercando di fare una ripulitura della casa dove mi sono trasferita tre anni fa e che stavo lentamente risistemando dopo l'ultimo trasloco. Durante i due anni della malattia sono cambiata, nei mesi della convalescenza - che, dopo un periodo di tenebra piuttosto lungo, somiglia abbastanza ad una rinascita - sono cambiata ancor di più e dunque farò tesoro di molti dei suggerimenti che contiene, interpretandone altri a modo mio - per esempio ho riso pazzamente all'idea di buttare via tutti i libri che non ho letto o non intendo rileggere: ormai da anni compro solo libri che ho già letto e che mi propongo di rileggere, e la rilettura di un libro, che Marie Kondo considera (come molti) un evento assai rado e sporadico in una normale esistenza, per me è una consuetudine: molti dei libri che sono qua dentro sono stati riletti due, tre o anche cinque volte, sorvolando pietosamente su casi come il Signore degli Anelli dove sospetto di aver girato ormai la boa della ventesima rilettura, e molti libri che hanno ornato di loro bella presenza gli scaffali di casa per dieci o quindici anni hanno poi trovato il giusto momento per venire letti e anche riletti - ma dopotutto sono una persona che con la lettura ha un rapporto abbastanza inconsueto, senza contare che molte volte mi è capitato di mettere da parte qualche oggetto che mi è stato a lungo caro per poi riscoprirlo con entusiasmo dopo molti anni di latenza. Dubito però che sia il caso delle dieci pentole di acciaio che ho archiviato ieri mattina e che comprai distrattamente quando misi su casa da sola in base al principio "per cucinare mi ci vuole qualche pentola"; ma quand'anche scoprissi che le rimpiango, beh, erano pentole normalissime che per pochi spiccioli potrò ricomprare facilmente in qualsiasi momento decida di ricominciare a usare solo pentole d'acciaio. Adesso però ho un armadietto per le pentole perfettamente congruo dove trovo tutto con grande facilità e questo mi rende molto soddisfatta quando entro in cucina per preparare qualcosa.
Ordunque per concludere: non consiglio a nessuno di comprare questo libro, ma se qualche anima buona vi passa il file della versione liquida o è disposto a prestarvelo a tempi lunghi, e guarda caso siete in un momento in cui desiderate risistemare le cose che vi circondano, credo che valga bene almeno una scorsa perché contiene comunque molti spunti interessanti.
*giusto per fare un esempio assolutamente a caso, del tutto avulso dalla mia esistenza, si capisce.
**come mai era rimasta solo la camicetta? In teoria avrebbero dovuto esserci anche una gonna o dei pantaloni, viene da pensare. Ma non c'era traccia, e non mi venne in mente di chiedere perché.
***ora che ci penso, ormai da anni do da mangiare ai gatti di casa in stoviglie di ceramica o porcellana. Non sarebbe magari il caso di archiviare quelle quattro logore e ingombranti ciotole in plastica graffiata che mi ingombrano l'armadietto di cucina?
Questo è uno dei rari casi in cui violerò la autoimposta regola del mai dire non l’ho letto ma.
RispondiEliminaNutro una totale e intollerante diffidenza verso i libri miranti all’educazione, supposta, della lettrice attraverso meccanismi colpevolizzanti volti alla supposta rinascita dai pamphlet generosamente elargita previo attraversamento dell’amaro fiume della penitenza più o meno attiva. Trovo faccia parte dell’ammaestramento ammeregano che sommerge ogni aspetto della nostra vita e del nostro pensiero e poco importa che chi lo elargisce sia asiatico o africano o dio sa cosa, mi sembra in ultima analisi l’ultima strategia marchettara per piazzarti l’oggetto magico che cambierà la vostra vita, no grazie, se non cambia nove su dieci in questo mondo come è oggi le cause sono esterne e si riverberano magari su un bisogno di rassicurazione e gratificazione legato a oggetti vecchi o scadenti perché sono i soli diversivi che. I possiamo permettere, non avendo un lavoro gratificante, una casa piacevole e altre cose essenziali che i salari di oggi non permettono più. Quanto ai vestiti, facile bersaglio, più vecchi sono e spesso di migliore qualità sono, dato il degrado dei tessuti e delle lavorazioni degli ultimi dieci anni, scomparsa delle fibre naturali, confezioni realizzate da schiavi nel terzo mondo ecc. Attualmente sto usando capi di venti anni fa perché ho da un anno ritrovato la forma di un tempo, sono molto migliori di quelli che potrei permettermi oggi e sono ben lieta di averli conservati alla faccia della madamigella in questione. Le pentole di acciaio me le sarei prese volentieri, se fossero state di quel bell’acciaio con il fondo spesso che permettono di cuocere senza grassi, costano un botto e comunque sono ormai introvabili anche a pagarle una fortuna.
Se accumuliamo pile di cose è anche perché spesso non possiamo permetterci di prendere fin dal principio quell’oggetto di qualità alta che risolverebbe tante situazioni, che sia un capo di abbigliamento veramente buono che si porta in qualsiasi occasione e a cui si può dare qualsiasi intonazione si voglia dalla più sportiva alla elegante e che comunque dura in eterno, al pentolino giusto che non attacca mai, all’oggetto di arredamento su misura in materiale di qualità’ specie se si vive in case piccole. Come sempre, alla fin fine, è solo o almeno soprattutto questione del capitale iniziale.
Ma tutta la cultura e la civiltà ammeregane si basano sulla rimozione sistematica di ogni causa economica e sociale del disagio, quindi mai e poi mai lo riconosceranno.
Se poi il libro in questione può fare da bignamino dei motivi per cui ci si attacca alle cose, beh...
Nel libro ci sono spunti interessanti, ma visto che provengo da una famiglia di "conservatori" accaniti, mi risulta impossibile seguire i suoi consigli. Qualche spunto, però, l'ho preso anch'io, come il modo di disporre la biancheria nei cassetti. Per il resto, vedremo.
RispondiEliminaNon so. Ho sempre buttato scartato riordinato eliminato. Soprattutto dopo il sisma. Ma quel poco che mi rimane fa parte del mio passato, mai come adesso incombente e rimpianto. ado perdendo me stessa, talolta, e allora mi attacco a piccole inutili cose, cariche di nostalgia.
RispondiEliminaCome mi piacerebbe fare della tazza di tè del mattino (zenzero e arancia) l'inizio del mio percorso giornaliero di meditazione interiore.... Invece la mattina mi sento piuttosto il panda Po che cerca i biscotti al cioccolato da sgranocchiare, sapendo che dovrò accontentarmi di 3 (tre) crackers integrali con un velo di marmellata di arance amare.
RispondiEliminaNon leggerò il libro della Kondo, anche se il mio spirito anela al minimalismo, alle cose semplici e razionali, al rifiuto dell'inutile e superfluo, ecc. come ben rappresentato nella bella foto di copertina. Anela, appunto. La realtà è che la mia casa è piena di 50 anni di sovrapposizioni inutili, che vanno dalla terraglia di cucina che non riesco non comprare, ai libri e ai manga in attesa di lettura, regali natali/compleanni, spesso a doppioni di acquisti, ecc....
Ma i tempi stanno cambiando: dovrò traslocare. Una grande occasione, imperdibile per un bel repulisti. Dovrò riempire n-scatoloni, quindi passerò "ogni cosa" tra le mani e deciderò se vivrà o meno. Bellissime intenzioni ma non ci credo affatto.
Perché il problema è, come hai ben detto tu, il nostro rapporto con il passato e la risposta alla solita e insidiosa domanda "mi può ancora servire" ?
Riguardo al passato, c'è qualcosa che dovrò decidere se tenere o no. E non è paccottiglia. Negli anni della lontana giovinezza tenevo un diario. Discontinuo, segreto, molto nascosto ad occhi indiscreti. Riferito a periodi per me importanti, università, morte di mio padre, nascita di mia figlia, occupazioni femministe, ecc. Volevo che un giorno mia figlia conoscesse qualcosa di più di me, quel non detto tra noi, i pensieri di Acquaforte giovane. Ma ogni volta che li riprendo in mano mi accorgo che non sono sinceri. Non raccontano falsità, ovviamente, ma non raccontano tutto. C'è una autocensura che li snatura. E allora a cosa servono?
Comunque, fra un mese riempirò n-scatoloni e cercherò di allegerirmi. Non ci credo molto però.
@ Pellegrina:
RispondiEliminami dispiace molto di aver descritto così male quel povero libro. L'ho usato per pretesto di una delle mie solite rievocazioni autobiografiche in cui cado tanto facilmente in questo periodo, e mi accorgo che ne ho dato una visione davvero approssimativa. Mi auguro che resti un incidente isolato.
Quanto alle pentole ti confiderò: erano pentole molto banali anche se han svolto onorevolmente il loro lavoro, ma non mi è mai passato per l'anticamera del cervello di comprare una di quelle batterie costosissime col triplo fondo formattante perché sono cresciuta in una casa che mia nonna aveva appunto fornito di una di quelle batterie comprate per noi a carissimo prezzo. Belle pentole, va detto, e fatte bene, ma senza grassi ci puoi cuocere solo per qualche mese, poi il prodigio svanisce e diventano, appunto, normalissime pentole anche se con un bel design. M ia madre se le è portate via dopo avermi offerto di dividerle con lei, ma ho garbatamente rifiutato quel gesto dettato dall'affetto materno.
@ Dolcezze:
Ma in effetti tu tendi piuttosto al riciclo del riciclo, mi sembra di aver capito. Il tuo non è un caso di accumulo sterile, effettivamente un oggetto che non hai più guardato per vent'anni a un certo punto ti parla e si trasforma nelle tue mani in qualcosa di diverso ma molto utile!
@ ElenaMaria:
Ah, come modo per sfoltire il sisma va proprio lasciato fare! Ed è un campo, credo, dove i giapponesi hanno davvero parecchio da dire. Nel tuo caso restare attaccati a quel che rimane dei ricordi del passato ha un senso, molto profondo, anche, e le "piccole cose" che restano non sono affatto inutili. E mi dispiace molto che ti sia andata così.
@ Acquaforte:
Precisiamo: la Kondo non dice affatto di liberarsi del passato, suggerisce garbatamente di liberarsi di quel che conserviamo ma che ci crea soltanto impiccio. La mia presente dimora trabocca di cari ricordi del passato, e me li tengo davvero stretti, anche perché sono tutte cose che oltre a essermi piaciute un tempo mi piacciono molto tuttora moltissimo. Per esempio mi tengo molto stretti una serie di quaderni e agende di singolare fascino ai miei occhi dove scrivo in modo molto alterno il diario, e alcuni sono ancora intonsi e risalgono a decine di anni fa. Perché mai dovrei buttarli? Occupano due scaffali e un cassetto ma mi piacciono!
Sui tuoi diari naturalmente deciderai tu, ma il mio cuore di storica e di archivista sta urlando a gran voce "Non abbandonarli!".
Dii che non sono sinceri e ci credo, ma non credo che sia mai esistito un diario davvero sincero e non autocensurato dall'alba del mondo in poi. E come potrebbe? Un diario davvero sincero è come la mia amata tigre vegetariana: una contraddizione in termini. Ha comunque un valore di testimonianza, e che tu lo abbia autocensurato lo rende ancora più prezioso. Se proprio non vuoi darlo a tua figlia dallo almeno alla Pieve di Santo Stefano, che tiene appunto un archivio di diari e autobiografie, oppure allegaci una nota dove parli di questa autocensura. Ma io mi limiterei a darlo così com'è, e sarà tua figlia che forse è in grado di riempire i buchi, e forse no - ma tanto lo sappiamo, che è praticamente impossibile conoscere DAVVERO qualcuno, figurarsi i nlostri genitori.
Qui il vero incidente è quello delle pentole! Ho avuto l’uso di una batteria del genere che tu descrivi e funzionava perfettamente dopo almeno dieci anni di vita. Ho anche mangiato quello che ci veniva cucinato da un’accanita cuoca che ne aveva una simile, usatissima, da più decenni. Solo acciaio senza rivestimenti interni. Potessi permettermela, la comprerei subito. Ma a parte i soldi, diventa sempre più difficile trovarne.
RispondiEliminaCiao carissima! Sono finalmente tornata. Disordinata come sono sarebbe proprio il caso che mi facessi un master con Marie Kondo...
RispondiEliminae sono Bridigala
RispondiEliminaBentornata!
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