lunedì 27 agosto 2018
What are we Tolkien about?
Di recente Gaberricci mi ha dedicato un post. La cosa mi ha fatto molto piacere, non solo perché sto attraversando un periodo in cui, sentendomi piuttosto giù di morale, attestazioni di stima e simpatia mi fanno particolarmente piacere - ma anche perché il post in questione tratta di Tolkien e letteratura fantasy.
In mezzo a tutta una serie di considerazioni (temo piuttosto valide) sulla funzione di buona parte della letteratura fantasy, Gaberricci ricorda anche come Il Signore degli Anelli abbia cristallizzato per decenni il canone della letteratura fantasy col risultato di inchiodarla ancora in culla ad un modello e a una formula ineludibili, anche se via via sempre più slavati.
La cosa è abbastanza nota e chi ha provato ad assaggiare un po' di fantasy degli anni 70 e 80 conosce benissimo il fenomeno (e l'orchite quasi inevitabile che ne deriva al lettore maschio, mentre nelle lettrici si creava spesso uno spiacevole flusso di latte alle ginocchia). Tuttavia, a forza di ripensarci - perché ho tantissimo tempo per pensare alle cose più strane, in questo periodo - si sono concretizzate un paio di considerazioni che da qualche anno frullavano pigramente tra le deserte pareti che dovrebbero in teoria custodire quel po' du cervello che mi è toccato in sorte.
Prima considerazione: la letteratura fantasy nata a imitazione di Tolkien deriva da Tolkien meno di quel che sembra, ed è in realtà figlia soprattutto di una serie di stereotipi culturali attraverso i quali Tolkien è stato filtrato e che sono stati usatissimi per costruire i giochi di ruolo.
Tanto per cominciare, il Medioevo. Qualcuno ha deciso che Il Signore degli Anelli era ambientato nel medioevo perché c'erano un po' di spade famose e i cavalieri di Rohan, e siccome c'era l'ambientazione medievale erano necessari un po' di re, molti cavalieri... e i monaci, di cui in effetti in Tolkien non c'è traccia per precisa e ben determinata scelta dell'autore.
Altri elementi molto gettonati sono stati maghi, orchetti, unicorni, draghi, incantesimi e soprattutto nani ed elfi. Qualche sacerdotessa e qualche strega, anche.Tutto ciò farà magari parte dell'immaginario legato al medioevo (anche se si tratta di roba che continua fino almeno a tutto il Cinquecento e in molti casi risale alla letteratura classica) ma certamente NON del medioevo storico che conosciamo. Molti autori stanno comunque ben attenti a scansare patate, tabacco e spaghetti e pizza al pomodoro, finendo spesso per nutrire i propri personaggi soprattutto di pane e formaggio e cacciagione alla brace o allo spiedo. C'è anche una certa abbondanza di belle ragazze con la spada, in percentuale assai maggiore di quella impiegata dal Professore - ma anche lì, il tema viaggia dalle Amazzoni greche fino alla Clorinda di Tasso e la storia e le tematiche legate a Eowyn non ricordo che vengano mai chiamate in causa.
Elfi e Nani sono molto gettonati ma finiscono spesso per appesantire inutilmente la narrazione: gli elfi sono molto nobili d'animo e pallosi, i nani molto ruvidi e spicci e tutto suona decisamente stereotipato.
Gli orchetti (o i loro equivalenti) e le terre maledette dominate dalle tenebre naturalmente abbondano. Due palle da non dirsi, garantisco. Di solito si tratta di una malvagità di superficie, ottenuta lavorando con effetti speciali su cartongesso, in modo assai convenzionale.
Qualche storia d'amore qua e là un po' accennata, leggermente più esplicita di quelle di Tolkien. Sesso a malapena intuibile, a volte qualche bacio o una scena un po' affettuosa. Qualcuno ha stabilito che nel fantasy non ci va il sesso e il tabù dura tuttora, se Martin è riuscito a scatenare il vespaio che ha scatenato facendo trombare i suoi protagonisti a volte direttamente sulla pagina (ma niente di più di quanto non sia più che accettabile ormai da decenni nei romanzi di avventura, e non parliamo di quelli di azione).
In compenso mancano gli hobbit, protetti dalle leggi sul copyright ma anche da qualche meccanismo più potente (forse magico?) che fa sì che non esistano comunità umane che si rifanno al modello della Contea. Ma soprattutto mancano i boschi tolkieniani, che sono qualcosa di molto diverso dalle solite foreste incantate dove a volte si nasconde qualche eremita e che costituiscono uno degli elementi più affascinanti del Signore degli Anelli. Immagino che creare una foresta con una sua personalità sia più complesso che sbattere sulla carta qulche nobile elfo molto saggio e dall'aria assai malinconica (ma bellissimo).
In pratica: nel rifare Il Signore degli Anelli coloro che hanno... diciamo tratto profonda ispirazione dal romanzo di Tolkien, hanno trovato maggior facilità di utilizzo per gli elementi più commerciali - anche se talvolta hanno trovato loro specifico dovere intrattenere il lettore con soporifere descrizioni di paesaggi costruiti con lo stampino e battaglie simil-medievali (che però, contrariamente alle vere battaglie medievali, facevano un sacco di morti), a rischio di addormentarlo senza pietà.
Abbiamo così una vasta produzione letteraria molto stereotipata, che si è volontariamente rinchiusa in un recinto piuttosto stretto dove l'eventuale inventiva degli autori non ha avuto modo di esprimersi adeguatamente ma anzi è stata repressasenza pietà, probabilmente anche per influenza degli editori, e un genere letterario che non è fiorito se non in mano a quegli autori che hanno deciso di raccontare quel che gli pareva rinunciando volontariamente alla gabbia in cui Tolkien, del tutto involontariamente, li aveva costretti.
In pratica, una grande quantità di ciarpame.
Sono molto d’accordo sull’orchite, che io ho provato senza latte alle ginocchia, e sulle altre considerazioni. Come tutti i generi molto connotati, il fantasy ha una serie di parametri riconoscibili che fanno credere a chiunque li riconosca di poterne scrivere. In mezzo non si rendono conto che è necessaria quella cosa che si chiama talento per comodità, cioè la capacità di saper costruire e raccontare storie. Un bel libro sulle marche stilistiche e sulla storia del fantasy, accoppiato al suo genere cugino, la science fiction, l’ha scritto Fredric Jameson, il grande teorico del postmoderno letterario. Si chiama Archaelogies of the Future ma se ben ricordo è stato tradotto anche da noi.
RispondiEliminaFantasy, non sono io, sei tu! Certi autori fanno sembrare la fanfictionara media Virginia Woolf. A me poi piace solo Terry Pratchett, che non è quasi mai noioso anche se ha i draghi, i nani e gli elfi - e che elfi! Tolkien non avrebbe mai chiamato un nano Culetto Felice e quindi, mi dispiace, non c'è gara. Ma forse i fantasy non sono scritti per il pubblico femminile, sono come dei romanzi rosa per maschi. Il trono di spade vale la pena? Ah, sono entrata in fissa con Precious Ramotswe e ne ho comprati altri cinque, così, a sfregio, e provvederò a diffondere il Verbo. Con affetto Lurkerella
RispondiEliminaIntanto grazie mille per aver risposto:-).
RispondiEliminaIn second'ordine, be'... sono d'accordo su tutto, e come ti dicevo anche nei commenti al mio articolo potremmo metterci d'accordo sul fatto che il problema è il fandom... nonché gli epigoni. La tua ricostruzione, comunque, mi conferma nel mio convincimento: il fantasy non è un genere letterario, è una religione. Ha i suoi adepti, i suoi dogmi, i suoi testi sacri... ed i suoi San Paolo di Tarso che modificano il messaggio primitivo per renderlo appetibile alle masse.
Ciao! Sono fondamentalmente d'accordo su tutto, e anche se ammetto di essermi avvicinata al fantasy attraverso Terry Brooks e la sua spada di Shannara (la triste brutta copia del Signore degli anelli), ho poi cercato tutto il fantasy che si discostasse dal modello tolkeniano, quindi tutto quello che avesse un po' di originalità, o facesse riferimento a mitologie altre o ancora le declinasse in modo personale.
RispondiEliminaCosì ho scoperto La cronaca della spada di Inazuma, di Steve Bain, ambientato in Giappone ai giorni nostri, che è incentrato sulla filosofia della spada samurai e sulle credenze e leggende relative ad essa, o la serie de Il mo splendido migliore amico (titolo orrido) che invece è incentrata su Alice nel paese delle meraviglie. La mia serie preferita di Terry Brooks? Il magico regno di Landover. Ai miei occhi è deliziosamente originale.
Idem come Bridigala..salvo poi tradire come è ovvio Terry Brooks col più intrigante Professore..salvo qualche scappatella con Michael Hende..
RispondiEliminaEcco questa è orchite "letteraria"!!
Concordo con tutto il post.
Rinnovo il mio Amore e la mia Fede in Tolkien.
Un bacione.
Aehm...idem nel senso che son partita da Brooks...😁
Elimina@ la 'povna:
RispondiEliminaCercherò il libro che segnali, mi sembra interessante (SE l'hanno tradotto). Per scrivere fantasy naturalmente ci vuole la capacità di raccontare storie e una bella storia da raccontare, ma secondo me è necessaria anche una solida impostazione morale, visti i temi che il fantasy dovrebbe affrontare. Rimediare tutto con la lagna del Bene che sconfigge il Male non porta a grandi risultati, anche perché a quel punto è necessario definire il Bene e il Male, e non si tratta di questioni facilissime...
@ Lurkerella:
Ecco, Pratchett ha una solida impostazione morale e un notevole talento non solo per le storie, ma anche per i personaggi (oltre a una bella dose di originalità): tu mi citi Culetto Felice, che porta con sé tematiche che Tolkien non solo non affronta, ma di cui probabilmente ignorava l'esistenza; ma che mi dici di Lady Sybil e della sua camera da letto dove mai avrebbe immaginato di ritrovarsi un giorno a ospitare un uomo? La cosa notevole tra l'altro è che nei suoi romanzi c'è molto Tolkien... ma niente di quel che scrive ricalca o copia Tolkien.
@ Gaberricci:
No, il problema non è il fandom, che giustamente mastica e digerisce Tolkien come meglio crede (è a questo che servono le storie, dopotutto): il vero problema secondo me - anche se al mondo esistono tragedie peggiori - è il fandom invasato che va in giro a scassare le balle al genere umano con le Vere E Giuste Interpretazioni Del Sacro Professore - insomma, i fanatici veri. Peccato che il Professore ne abbia parecchi, più tenaci dei cani quando azzannano una preda.
Sì, sì, è stato tradotto, pur se con un titolo molto diverso, eccolo:
RispondiEliminahttp://www.feltrinellieditore.it/opera/opera/il-desiderio-chiamato-utopia/
@Bridiigala:
RispondiEliminaMi sa che faccio una ricerchina per la tua fantasy giapponese... tra l'altro i giapponesi hanno una mitologia che gli ha permesso di scavalcare alla grande Tolkien o qualsiasi altro autore occidentale, come si vede anche dai manga.
@ Bridigala & Eva:
Ebbene, strano ma vero, in Italia molti sono arrivati a Tolkien attraverso Brooks con lieta sorpresa. Chi, come me, ha fatto il percorso inverso verso Brooks ha mantenuto una certa qual diffidenza, pur ammettendo che da ubriaco scriveva pur sempre molto meglio degli autori delle orchitofile Cronache di Dragonlance, o come accidente si chiamavano.
@ povna:
RispondiEliminaOttimo, scovato nel catalogo delle biblioteche di Firenze e messo in lista 😊