Le uniche e vere zoccole di Natale sono, naturalmente, le laboriosissime renne.
All'inizio del 2012 scrissi un post dove riflettevo sulla moderna maniera di usare talune parole di antica e illustre origine.
Da allora il tempo è passato e la lingua si è vieppiù evoluta. Una mattina, per via indiretta e tortuosa, venni a sapere che nella Terza Amichevole Alagna aveva dato di troia ad Angela, che ci era rimasta molto male.
Rimasi perplessa, prima di tutto perché le due erano (e sono poi rimaste) carissime amiche, ma anche perché ai miei tempi, almeno nel mio giro, questo tipo di offese non usava - senza contare che mai e poi mai mi sarebbe venuto in mente di rivolgermi ad una amica usando quella parola.
Ma, mi assicurarono le colleghe, oggi non è così raro.
D'altra parte ognuno è fatto a modo suo e com'è noto la lingua si evolve nella direzione decisa dal parlante: tanto per fare un esempio, quando ero ragazza in Toscana "zoccola" era una parola praticamente sconosciuta.
Avevo giusto avviato le mie usuali lezioni sulle parolacce da non usare in contesti più formali - scoprendo così che maschi e femmine bestemmiavano alla grande ma che per le femmine era considerato più sconveniente.
Mi venne perciò da pensare che forse, più che una lezione dove io insegnavo i giusti costumi secondo cui comportarsi, sarebbe stato il caso di fare una cosiddetta "lezione interattiva", dove sono soprattutto i ragazzi a parlare, onde acculturarmi sugli usi e costumi delle nuove generazioni, più che imporgli modelli magari ormai completamente obsoleti: in fondo, che in contesti ufficiali certe parole non vanno usate in quella classe sembravano tutti saperlo benissimo e dunque battere su quel tasto non sembrava del tutto indispensabile.
Così una mattina profittai di una coppia di ore contigue senza intervallo e dopo aver rapidamente sbrigato un po' di grammatica chiusi con cura la porta e scrissi sulla lavagna a grandi caratteri
PUTTANA
TROIA
ZOCCOLA
poi sedetti in cattedra dicendo "e speriamo che non arrivi la custode con una circolare" - perché è vero che il Vero Insegnante non teme il Ridicolo, ma ugualmente preferivo che non si diffondesse per la scuola a velocità fotonica la notizia che la prof. Murasaki stava sperimentando nuove metodologie didattiche che comprendevano l'uso di parole altamente sconvenienti.
Ebbi fortuna: nessun estraneo arrivò con circolari o avvisi di alcun genere, e la classe godé di una adeguata intimità per il tempo dell'insolita lezione.
"Sono la stessa parola" osservò qualcuno.
"Niente affatto!" ribatté qualcun altro.
"Bene. Chi vuole spiegarmi la differenza?"
Dopo breve discussione risultò che la prima era una indicazione professionale che riguarda una donna che in cambio di prestazioni sessuali prende denaro, mentre la seconda indica una donna che elargisce le sue preferenze senza interesse mercenario e la terza risulta una via di mezzo, nel senso che può indicare l'una o l'altra, ma più raramente è usata come indicazione professionale.
"Sono intese come parole neutre o come insulti?".
A parte la prima, che può essere una semplice constatazione tecnica, la seconda e la terza vengono intese come insulti, mi spiegano.
"E perché?" domando "E' normale che una fanciulla apprezzi la compagnia maschile, no?".
Socrate alza la mano con fare vagamente annoiato "C'è lo stereotipo che per la donna sia una cosa negativa".
Par di capire che lui degli stereotipi ne ha fin sopra i capelli per principio - in effetti è quasi l'unico contributo che darà alla lezione, anche se ascolterà con attenzione. Ma Socrate viene da una famiglia anarchica (anche se ben camuffata) e, come me, funziona a modo suo.
Gli altri, o meglio le altre, perché giunta a questo punto mi par di capire che quegli specifici insulti sono usati soprattutto tra donne, cercano di sviscerare la questione, incalzati da amichevoli domande da parte della professoressa - che in cuor suo ha gli occhi sempre più sgranati.
"Per esempio se una amica si mette con un ragazzo che piace a te".
"Capisco, ma in fondo fa solo quel che vorreste fare voi, giusto?".
"Sì, ma magari non ci pensava nemmeno fin quando non gli hai detto che a te interessava quel ragazzo".
"Beh, comunque non farà tutto da sola, si suppone che anche il ragazzo dia un contributo accettando le sue attenzioni".
Mi assicurano che
1) in quel caso parlano malissimo anche del ragazzo e soprattutto
2) in realtà al parere del ragazzo nessuna mostra di dare molta importanza, considerandolo esclusivamente terreno di caccia.
Resto vieppiù perplessa, perché è un aspetto della questione che non sono abituata a considerare: per il mio candido modo di vedere le cose, il ragazzo reagisce solo se sinceramente interessato; ma sia maschi che femmine sembrano considerare valido il punto di vista delle fanciulle.
Mi espongono poi un ulteriore caso: la ragazza che "si mette troppo in mostra", attirando così l'esclusiva attenzione maschile.
"Ma fa col suo" provo a ribattere "Fa una scelta. Potreste farla anche voi, giusto?".
Scopro così che alcune ragazze, secondo il punto di vista femminile, si espongono troppo, capitalizzando la totale attenzione maschile.
Bene, se non altro questa è una situazione che conosco. Non sono abituata a deprecarla, o almeno non lo farei mai apertamente, ma ricordo benissimo che quando ero giovinetta c'erano fanciulle che sembravano conoscere d'istinto le corde su cui far leva per attrarre l'attenzione maschile - corde che a me mancavano quasi completamente. Ricordo di averle invidiate e talvolta anche ammirate, ma mai disapprovate - più o meno come facevo con chi riusciva a tradurre una frase di greco all'impronta laddove io mi arrabattavo faticosamente e solo con il tempo e molto uso del dizionario ne venivo a capo. Loro potevano, io no e accettavo la cosa con quieta frustrazione.
Sembra però che colei che riesce ad attirare l'attenzione maschile grazie a un trucco e un abbigliamento e a gesti accuratamente ponderati sia da disapprovare.
Perché?
Qui le risposte si fanno confuse, e un po' faticose. Il campo per loro sembra nuovo da razionalizzare.
Perché si prendono un vantaggio sleale.
Perché si mettono troppo in mostra svalutandosi.
Perché sembrano dare importanza solo a quello.
Medito se sia il caso di chiedere se dare tanta importanza al fatto di poter esercitare un generico richiamo sessuale sulla popolazione maschile al completo non tradisca secondo loro una certa insicurezza e non sia da compatire come segno di debolezza, ma scarto con decisione la possibilità: vorrebbe dire indirizzare il discorso in una direzione che spontaneamente non avrebbe preso. E io vorrei capire, più che indirizzare.
La conversazione prosegue, fino ad arrivare al momento in cui si parla di quando tali parole si scambiano tra amiche nel corso di un litigio e sono dette con la specifica intenzione di offendere - perché possono essere anche dette in tono scherzoso (?!?); e con grande naturalezza mi raccontano che di recente Angela ha litigato con Alagna chiamandola così, ma Alagna assicura che dopo si sono riconciliate e quindi lei è passata sopra alla cosa perché Angela si è molto scusata. Angela ammette serenamente la sua colpa e dichiara senza cercare scuse di aver sbagliato.
Di nuovo sgrano gli occhioni in cuor mio, perché la faccenda mi era stata raccontata all'opposto, e mi avevano detto che quella offesa era stata Angela. Ma, considero, la cosa mi era stata riferita da adulti, e vai un po' a sapere cosa gli era stato detto o cosa avevano capito.
La conversazione va sfilacciandosi, l'intervallo si avvicina e dichiaro chiusa la seduta, cancellando personalmente le tre parole dalla lavagna.
Solo qualche giorno dopo mi viene in mente un aspetto della questione che non avevo considerato: una volta tanto maschi e femmine si sono confrontati insieme sull'argomento, o per meglio dire i maschi hanno potuto ascoltare con calma e chiarezza il punto di vista femminile spiegato dalle loro compagne.
Ed è possibile che l'abbiano trovato piuttosto interessante.
Quanto a me, un viaggetto nel Paese delle Meraviglie mi ha fatto solo bene.
Potrebbe essere un esperimento da ripetere.
Da allora il tempo è passato e la lingua si è vieppiù evoluta. Una mattina, per via indiretta e tortuosa, venni a sapere che nella Terza Amichevole Alagna aveva dato di troia ad Angela, che ci era rimasta molto male.
Rimasi perplessa, prima di tutto perché le due erano (e sono poi rimaste) carissime amiche, ma anche perché ai miei tempi, almeno nel mio giro, questo tipo di offese non usava - senza contare che mai e poi mai mi sarebbe venuto in mente di rivolgermi ad una amica usando quella parola.
Ma, mi assicurarono le colleghe, oggi non è così raro.
D'altra parte ognuno è fatto a modo suo e com'è noto la lingua si evolve nella direzione decisa dal parlante: tanto per fare un esempio, quando ero ragazza in Toscana "zoccola" era una parola praticamente sconosciuta.
Avevo giusto avviato le mie usuali lezioni sulle parolacce da non usare in contesti più formali - scoprendo così che maschi e femmine bestemmiavano alla grande ma che per le femmine era considerato più sconveniente.
Mi venne perciò da pensare che forse, più che una lezione dove io insegnavo i giusti costumi secondo cui comportarsi, sarebbe stato il caso di fare una cosiddetta "lezione interattiva", dove sono soprattutto i ragazzi a parlare, onde acculturarmi sugli usi e costumi delle nuove generazioni, più che imporgli modelli magari ormai completamente obsoleti: in fondo, che in contesti ufficiali certe parole non vanno usate in quella classe sembravano tutti saperlo benissimo e dunque battere su quel tasto non sembrava del tutto indispensabile.
Così una mattina profittai di una coppia di ore contigue senza intervallo e dopo aver rapidamente sbrigato un po' di grammatica chiusi con cura la porta e scrissi sulla lavagna a grandi caratteri
PUTTANA
TROIA
ZOCCOLA
poi sedetti in cattedra dicendo "e speriamo che non arrivi la custode con una circolare" - perché è vero che il Vero Insegnante non teme il Ridicolo, ma ugualmente preferivo che non si diffondesse per la scuola a velocità fotonica la notizia che la prof. Murasaki stava sperimentando nuove metodologie didattiche che comprendevano l'uso di parole altamente sconvenienti.
Ebbi fortuna: nessun estraneo arrivò con circolari o avvisi di alcun genere, e la classe godé di una adeguata intimità per il tempo dell'insolita lezione.
"Sono la stessa parola" osservò qualcuno.
"Niente affatto!" ribatté qualcun altro.
"Bene. Chi vuole spiegarmi la differenza?"
Dopo breve discussione risultò che la prima era una indicazione professionale che riguarda una donna che in cambio di prestazioni sessuali prende denaro, mentre la seconda indica una donna che elargisce le sue preferenze senza interesse mercenario e la terza risulta una via di mezzo, nel senso che può indicare l'una o l'altra, ma più raramente è usata come indicazione professionale.
"Sono intese come parole neutre o come insulti?".
A parte la prima, che può essere una semplice constatazione tecnica, la seconda e la terza vengono intese come insulti, mi spiegano.
"E perché?" domando "E' normale che una fanciulla apprezzi la compagnia maschile, no?".
Socrate alza la mano con fare vagamente annoiato "C'è lo stereotipo che per la donna sia una cosa negativa".
Par di capire che lui degli stereotipi ne ha fin sopra i capelli per principio - in effetti è quasi l'unico contributo che darà alla lezione, anche se ascolterà con attenzione. Ma Socrate viene da una famiglia anarchica (anche se ben camuffata) e, come me, funziona a modo suo.
Gli altri, o meglio le altre, perché giunta a questo punto mi par di capire che quegli specifici insulti sono usati soprattutto tra donne, cercano di sviscerare la questione, incalzati da amichevoli domande da parte della professoressa - che in cuor suo ha gli occhi sempre più sgranati.
"Per esempio se una amica si mette con un ragazzo che piace a te".
"Capisco, ma in fondo fa solo quel che vorreste fare voi, giusto?".
"Sì, ma magari non ci pensava nemmeno fin quando non gli hai detto che a te interessava quel ragazzo".
"Beh, comunque non farà tutto da sola, si suppone che anche il ragazzo dia un contributo accettando le sue attenzioni".
Mi assicurano che
1) in quel caso parlano malissimo anche del ragazzo e soprattutto
2) in realtà al parere del ragazzo nessuna mostra di dare molta importanza, considerandolo esclusivamente terreno di caccia.
Resto vieppiù perplessa, perché è un aspetto della questione che non sono abituata a considerare: per il mio candido modo di vedere le cose, il ragazzo reagisce solo se sinceramente interessato; ma sia maschi che femmine sembrano considerare valido il punto di vista delle fanciulle.
Mi espongono poi un ulteriore caso: la ragazza che "si mette troppo in mostra", attirando così l'esclusiva attenzione maschile.
"Ma fa col suo" provo a ribattere "Fa una scelta. Potreste farla anche voi, giusto?".
Scopro così che alcune ragazze, secondo il punto di vista femminile, si espongono troppo, capitalizzando la totale attenzione maschile.
Bene, se non altro questa è una situazione che conosco. Non sono abituata a deprecarla, o almeno non lo farei mai apertamente, ma ricordo benissimo che quando ero giovinetta c'erano fanciulle che sembravano conoscere d'istinto le corde su cui far leva per attrarre l'attenzione maschile - corde che a me mancavano quasi completamente. Ricordo di averle invidiate e talvolta anche ammirate, ma mai disapprovate - più o meno come facevo con chi riusciva a tradurre una frase di greco all'impronta laddove io mi arrabattavo faticosamente e solo con il tempo e molto uso del dizionario ne venivo a capo. Loro potevano, io no e accettavo la cosa con quieta frustrazione.
Sembra però che colei che riesce ad attirare l'attenzione maschile grazie a un trucco e un abbigliamento e a gesti accuratamente ponderati sia da disapprovare.
Perché?
Qui le risposte si fanno confuse, e un po' faticose. Il campo per loro sembra nuovo da razionalizzare.
Perché si prendono un vantaggio sleale.
Perché si mettono troppo in mostra svalutandosi.
Perché sembrano dare importanza solo a quello.
Medito se sia il caso di chiedere se dare tanta importanza al fatto di poter esercitare un generico richiamo sessuale sulla popolazione maschile al completo non tradisca secondo loro una certa insicurezza e non sia da compatire come segno di debolezza, ma scarto con decisione la possibilità: vorrebbe dire indirizzare il discorso in una direzione che spontaneamente non avrebbe preso. E io vorrei capire, più che indirizzare.
La conversazione prosegue, fino ad arrivare al momento in cui si parla di quando tali parole si scambiano tra amiche nel corso di un litigio e sono dette con la specifica intenzione di offendere - perché possono essere anche dette in tono scherzoso (?!?); e con grande naturalezza mi raccontano che di recente Angela ha litigato con Alagna chiamandola così, ma Alagna assicura che dopo si sono riconciliate e quindi lei è passata sopra alla cosa perché Angela si è molto scusata. Angela ammette serenamente la sua colpa e dichiara senza cercare scuse di aver sbagliato.
Di nuovo sgrano gli occhioni in cuor mio, perché la faccenda mi era stata raccontata all'opposto, e mi avevano detto che quella offesa era stata Angela. Ma, considero, la cosa mi era stata riferita da adulti, e vai un po' a sapere cosa gli era stato detto o cosa avevano capito.
La conversazione va sfilacciandosi, l'intervallo si avvicina e dichiaro chiusa la seduta, cancellando personalmente le tre parole dalla lavagna.
Solo qualche giorno dopo mi viene in mente un aspetto della questione che non avevo considerato: una volta tanto maschi e femmine si sono confrontati insieme sull'argomento, o per meglio dire i maschi hanno potuto ascoltare con calma e chiarezza il punto di vista femminile spiegato dalle loro compagne.
Ed è possibile che l'abbiano trovato piuttosto interessante.
Quanto a me, un viaggetto nel Paese delle Meraviglie mi ha fatto solo bene.
Potrebbe essere un esperimento da ripetere.
Siamo sempre lì: il ragazzo che si dà tanto daffare con le donne è un "dritto", la ragazza che fa lo stesso con gli uomini è una "zoccola". Soprattutto agli occhi delle rappresentanti del suo stesso sesso. Retaggio della società maschilista e patriarcale? Invidia? Moralismo? Tutte le cose insieme?
RispondiEliminaIo mi riconosco meno corretta di te: alle medie avevo in classe una di quelle ragazzine molto indaffarate con l'altro sesso (per età e per epoca, cio' voleva dire baci con la lingua e forse un po' di petting. Cose che oggi non scandalizzano più nessuno, credo), e l'ho sempre disapprovata assai cordialmente. Forse per una mia idea ancora molto casta e pura dell'amore (che a 12-13 anni è ancora lecita XD) che lei contraddiceva in pieno, con la sua girandola di "morosi" e smanacciate; forse perché tutto quel frullìo di makeup, fidanzatini, vestiti "da grande", ecc. la facevano rientrare nel novero delle "poco serie" (concetto ereditato da generazioni di donne di famiglia); forse perché colei non era capace di lasciare in pace quelle come me, ancora nel mondo degli unicorni e delle cotte platoniche, e si divideva equamente fra l'aperta derisione e il tentativo di evangelizzazione al suo stile di vita (i sui fidanzati si limitavano alla prima opzione). Fatto sta che probabilmente l'appellativo "tro*a" m'è passato più volte in testa, pensando a lei (pronunciato forse mai, ché ero già consapevole della gravità dell'insulto e come non andasse speso alla leggera). Di sicuro è che, tuttora, ricordo lei e la sua manica di "morosini" come una delle piaghe più brucianti dei miei anni delle medie (che non furono anni facili per tanti motivi).
Molto interessante, come lezione, soprattutto facendo tenere a loro il bandolo della matassa. Non è detto che non ti copi. La storica frase: "E speriamo che non entri la custode proprio adesso" la sento molto mia... ;-)
RispondiEliminaUna lezione di lingua concreta concreta. A tanto non mi sono spinto, però ricordo che una lezione simile la tenni in occasione di un fatterello di bullismo su parolacce anche di origine vegetale. Ma ero Inc..., senza il savoir faire che ti contraddistingue.😁
RispondiEliminaCaspita! Ottima idea, quanto mai necessaria per aiutarli a capire i loro stessi pensieri, che non sempre svolgono compiutamente se non sono costretti.
RispondiEliminaIl problema delle "parolacce" a scuola. Spesso sono usate senza consapevolezza del loro esatto significato, invece se ne deduce che questi studenti siano addentro la semantica, almeno per questi tre sinonimi. Ma si sa che ogni sinonimo, per il fatto di esistere, precisa una sfumatura di senso, pur lieve.
RispondiEliminaMai affrontato il problema in modo così diretto. Sdramatizzato spesso , con ironia, alcuni falsi turpiloqui. Mi sono sempre rifiutata di usare il termine "globi" per indicare le palle natalizie, e la risatina bieca dell'alunno in seguito al ritrovamento del termine "verde pisello" l'ho smontata chiedendo a bruciapelo: "Perché, il tuo è verde"?
Infine non ho mai visto nulla di pornografico nel Sabato del villaggio del nostro Giacomo, anche se "la sega del legnaiuol" metteva in crisi più di una collega.
Con buona pace dei malpensanti.
Confesso che anche io, in tutte le classi, faccio sempre una lezione sulle parolacce e la loro pregnanza (in genere il punto di partenza è la "serva Italia... non donna di province ma bordello")e, in genere,tale lezione è molto ben partecipata.
RispondiEliminaAndando all'argomento nello specifico, mi son resa conto che, in effetti, le ragazze tendono ad essere veramente "cattive", ma spesso non se ne rendono conto, proprio perché le troppe parolacce ormai sdoganate da cinema e tv hanno fatto perdere la forza icastica dei singoli termini. La discussione spesso aiuta a prendere consapevolezza di ciò (se poi aiuta a modificare il linguaggio, non so)
@Minty:
RispondiEliminala cosa più interessante è che la ragazza più scafata... non ti lasciasse in pace. Voglio dire: aveva la sua piccola corte, si faceva la sua vita, cosa gliene fregava di te o delle altre ancora ancorate allo stadio platonico? Eppure il caso non è così raro, e forse meriterebbe un certo studio.
@la povna:
Tra l'altro (ci ho ripensato dopo) quella frase è servita a creare un certo senso di complicità che ha semplificato le cose ^_^
@Mel:
Oh, quando si tratta di vegetali ci vado giù piuttosto pesante anch'io. Il punto però è che sappiamo tutti i (deplorevoli) meccanismi che portano alle parole vegetali, ma in questo caso mi sfuggiva proprio la meccanica di base; così ho pensato che fosse più pratico ascoltare e cercare di capire.
@Bridigala:
Esatto! Capire come funziona un meccanismo semantico può essere anche di un certo incentivo per provare a smontarlo. Se vogliono, certo.
@Ornella:
Ebbene, la sega del legnaiuolo non mi ha mai creato problemi, né ricordo che ne abbia mai creati ad alcuno dei colleghi. Ma dipende dal giorno, dalle circostanze... ricordo la povera Medea, alle prese con la freccia (del dio Amore) apportatrice di PENE che gettò una classe in un corto circuito inestricabile, e la novella di Chichibio dove la presenza degli uccelli causò una inestinguibile ilarità. Del resto, come osservava giustamente LaProf, in classe è sempre molto meglio parlare di volatili e di pennuti piuttosto che di uccelli!
@Dolcezze:
Oh sì, sono sempre lezioni molto partecipate ^_^
Ed è vero, oggi le ragazze sono più "cattive": più aggressive in generale, quindi anche tra loro - almeno, può darsi dipenda da questo. Di per sé trovo che l'aggressività femminile sia una ottima cosa, anche se forse oggi è l'aggressività in generale ad essere troppo diffusa; ma non sono tendenze dove la scuola possa intervenire granché, temo.
(Tremo al pensiero che quest'anno avrei messo in programmazione giusto "Il sabato nel villaggio". Speriamo bene...)
Mi ricordi il professor Onizuka di GTO!
RispondiEliminaDa quel che ricordo dei miei anni scolastici, la "puttanitudine" era un argomento tenuto in forte considerazione dalle ragazze. Più dalle ragazze che dai ragazzi; su di noi, le ragazze che si esponevano di più esercitavano un grande fascino e una certa dose di intimidazione. In genere, comunque, con le dovute eccezioni, noi ragazzi eravamo più "passivi" rispetto alla controparte femminile nel campo del corteggiamento. Quella che si buttava sul maschio papabile aveva spesso successo, ammesso che fosse esteticamente decente. Le ragazze, comunque, erano di gran lunga più mature di noi, prima di noi (alcuni di noi erano davvero dei bambini, mentre in tante erano già donne).
Vero, di solito alle medie c'è un certo stacco tra maschi e femmine (anche se la mia attuale classe francamente sotto questo aspetto esagera, la parte maschile somiglia più a un asilo d'infanzia che a una Terza, che è la classe dove il divario tende a ridursi parecchio). E grazie per i tuoi ricordi al maschile, che sono molto interessanti ^_^
RispondiEliminaA conclusione di questo interessante post con annessi commenti, aggiungo un nanetto che per analogia mi è venuto in mente quando hai detto che speravi che la custode non entrasse bla bla.... quando scrissi sul registro di classe Porco giuda ore 17,00 intendendo che ci sarebbe stata la presentazione di quell'onesto romanzo di Giampaolo Merciai e la collega, leggendo l'annotazione, apostrofò i ragazzi accusandoli di essere entrati con la mia password nel registro allo scopo di esibirsi in deprecabili turpiloqui! i poverini si sono squassati dal ridere e anche lei, una volta risolto il caso.
RispondiEliminaMa con la custode forse non sarebbe stata così semplice da risolvere...
@Sary:
RispondiEliminaBellissimo! Ma pensa i tuoi perfidi alunni che scovano la tua password e invece di usarla come chiunque farebbe per alzarsi i voti si limitano a seminare il registro con annotazioni di dubbio gusto ^_^