In biblioteca sono un utente silenziosa, rapida e ben organizzata e finisco inevitabilmente per uscirne con più libri di quel che avevo programmato -
insomma, l'ultima cosa che mi serve è un bibliotecario zelante che arrivi con ulteriori suggerimenti; ma siccome so che lo fanno perché lo considerano parte del loro lavoro e non per pura impiccionaggine, quando ci provano li ascolto con paziente cortesia e non sempre senza frutto.
Questo per dire che mai e poi mai avrei messo le mani sul libro che vado oggi a presentare se la bibliotecaria di St. Mary Mead (quella santa donna che già tanti e tanti suoi doppioni ha fatto scivolare fino alla biblioteca della scuola, e verso la quale quindi mai e poi mai vorrei commettere il benché minimo sgarbo) non me lo avesse suggerito
"E' un romanzo giapponese che parla di quei ragazzi che vivono reclusi nella loro casa o nella loro stanza" mi spiega "Il protagonista è uno di loro e racconta la sua storia, ma lo fa in modo molto divertente".
Siccome millanto una certa conoscenza della cultura giapponese, per quanto sia consapevole che si tratta di una pretesa destituita da qualsiasi fondamento, ho ringraziato e preso il romanzo.
Hiikikomori è la parola chiave: così infatti si chiamano coloro che vivono tappati in casa per anni interi, uscendo ogni tanto di notte per comprarsi qualche genere di prima necessità. Mai fino ad ora ne avevo sentito parlare, anche se il fenomeno è abbastanza conosciuto anche qui da noi.
Si diventa hikikomori più facilmente negli anni di università, o quando gli studi finiscono e inizia la ricerca di un lavoro: dopo qualche disgraziato tentativo si tirano i remi in barca, si alza il ponte levatoio e si tagliano i legami col mondo. Si può restare hikikomori per molti, molti anni. E non succede solo in Giappone.
Piccola nota al margine: sì, esistono anche ragazze hikikomori, ma sono più difficili da censire perché... per una donna, in Giappone, voler stare in casa è un valore positivo. (Solo in Giappone? A tutt'oggi per parlare di una brava ragazza si dice che è studiosa ed esce poco, mentre mai viene in mente di lodare il ragazzo che ne sta tappato in casa come un criceto nella tana. Ma sto divagando).
L'eremita che si ritira nella sua grotta nella Tebaide non era un hikikomori, era un eremita. Stava da solo per pregare e l'umanità lo irritava, ma la temeva solo in quanto portatrice di peccato o di distrazioni. In realtà fare quella scelta gli aveva chiesto un discreto coraggio e, per quanto col tempo la sua vita possa essersi rivelata difficoltosa, ne ricavava comunque un certo aumento dell'autostima: aveva fatto una scelta in cui credeva, l'aveva messa in pratica e molti lo ammiravano per questo.
L'hikikomori non fa una vera e propria scelta, semplicemente si ritira nell'unico territorio in cui si sente al sicuro, e lo fa per paura. I sentimenti che lo animano infatti sono soprattutto due: paura e vergogna. Si è chiuso in casa perché non sopporta più il giudizio della gente, e si vergogna troppo di non riuscire ad affrontare il mondo per osare mostrarsi di nuovo nel mondo. Più che ad un eremita potremmo paragonarlo a un lebbroso che, una volta tornato a casa, può finalmente togliersi il campanaccio alla caviglia e rilassarsi un po'.
Esce di notte per fare un po' di spesa. Vive, di solito, con i soldi che gli manda la famiglia. Non studia, non ha un lavoro e non lo cerca perché per cercarlo dovrebbe uscire di casa e parlare con qualche persona (in realtà, come dimostra il protagonista, si può anche essere un hikikomori in incognito, per esempio lavorando di notte e rapportandosi col minor numero di persone possibili. Va detto comunque che, nel momento in cui ti mantieni col tuo lavoro e parli con qualcuno, non sei più un vero hikikomori e dunque non sei nemmeno tenuto a vergognarti in modo particolare, perché diventi una persona autonoma che vive a modo suo). L'hikikomori non ha vita sociale, spesso nemmeno informatica, perché non sopporta il contatto con gli esseri umani, da cui si sente deriso e perseguitato. E' amaramente consapevole di essere il fondo del fondo della scala sociale e ne soffre moltissimo. Il suo livello di autostima è probabilmente inferiore a quello dei paria indiani più sfigati, e la sua vita sembra assai infelice.
Il romanzo (narrato in prima persona dal protagonista) descrive tutto questo molto bene e abbonda e trasuda vittimismo, autocompiacimento, autodegradazione, infelicità, paura e vergogna (ma forse ho dimenticato qualche sentimento spiacevole) sia con le tecniche giapponesi che descrivono cose, persone e sentimenti senza all'apparenza descrivere alcunché, sia con quelle occidentali, più familiari ai nostri occhi.
Non è affatto divertente. Io almeno non l'ho trovata tale. C'è una buona dose di autoironia, un certo humor nero di sottofondo, ma non è affatto quel che intendo per "divertente". Proprio no. E ho faticato anche parecchio a leggerlo.
Però è un bel libro, e lo consiglio caldamente. Dopo averlo letto non solo hai capito benissimo cos'è un hikikomori e come e perché lo si diventa, ma diventi anche tu un hikikomori, in una qualche tua vita parallela, fino a sentirti in una gabbia senza uscita esattamente come si sente un hikikomori.
Al di là dell'eccellente e dettagliata descrizione della condizione hikikomori c'è una storia?
Sì, c'è una storia. E' importante, ben fatta e racconta come si possa essere infelici e feriti più a fondo di un hikikomori pur mantenendo molte delle apparenze della normalità, come le persone possono aiutarsi e curarsi anche in modi imprevisti e inconsueti che vanno al di là dei banali concetti di "aiuto" e "cura", come a volte per salvarsi capita di maltrattare quelli che dovremmo o vorremmo aiutare, oppure aiutare quelli che avremmo forse buoni motivi per tenere in grande antipatia, che curare gli altri aiuta a curarci ma solo se si fa nel modo giusto, più qualche altra decina di risvolti ognuno dei quali più volte risvoltabili.
Il romanzo, pubblicato nel 2002, ha avuto un discreto successo in Giappone e ne hanno tratto un fumetto (2004) e un cartone animato (2006). In Italia sono arrivati tutti e tre, ma con diversa sequenza: prima il fumetto, tradotto nel 2008 dall'editore BD-Jpop, poi il cartone animato, nel 2011, e in contemporanea il romanzo, sempre a cura della BD-Jpop, a nove anni di distanza dalla pubblicazione in Giappone. Tutto questo per dire che se qualche rete non avesse acquistato i diritti del cartone animato, questo romanzo in Italia non lo avremmo visto mai, e anche così è arrivato solo grazie a una casa editrice che potremmo senz'altro definire di nicchia, mentre mi sembra invece un prodotto che avrebbe meritato un po' di riguardo in più - in effetti l'ho trovato di qualità nettamente superiore a molto di quel che dal Giappone contemporaneo ci arriva e che tanto viene sviolinato dai nostri amati critici letterari.
E' piuttosto difficile da trovare in biblioteca, almeno dalle mie parti. In compenso costa poco, e con dodici euro si porta a casa (o anche meno se si compra in rete, mentre non sono sicura che esista una versione liquida).
Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma sperando che in questa assai luminosa estate nessuno indugi troppo in casa per soverchia paura del mondo esterno, con la scusa di leggere - tranne, naturalmente, nelle ore più calde della giornata.
Sono incerta: da un lato mi ispira quello che scrivi, dall'altro io coi giapponesi ho pochissima pazienza, e se persino tu dici che è noioso... Però ti ringrazio della segnalazione che non conoscevo ed è interessante assai!
RispondiEliminaNon l'ho trovato noioso, l'ho trovato pesante e deprimente - questo tipo di storie sono le più difficili da leggere, per me, probabilmente perchè innescano delle risonanze interne, ma sono questioni legate alla sensibilità individuale.
RispondiEliminaPoi magari ti annoierebbe davvero, non so. Io comunque non l'ho trovato noioso.
Certamente molto interessante e curioso. Avevo sentito parlare di persone così in due occasioni diverse: parlandi di un informatico e un DJ. Ma si capiva che c'era un mondo dietro. E in effetti quelli che saltano all'occhio sono le persone più particolari: giovani senza - apparenti - problemi, per cui le possibili spiegazioni ci spiazzano e incuriosiscono. Ma in fondo lo abbiamo sempre saputo: quante persone anziane o disagiate non escono mai di casa?
RispondiEliminaUna buona estate anche per te e... hai la palma di primo commento sul nuovo Wolfghost! :-D Meno male che poi ha commentato anche Lady Wolf, e me lo ha detto: non avrei mai capito che il commento era in moderazione: l'avevo tolta la moderazione, peccato che era attiva l'opzione "in moderazione se l'utente è al suo primo commento"... che si sarebbe applicata a tutti, visto che il blog è "nominalmente" nuovo ;-)
www.wolfghost.com
Perdona il fuori tema, ma il nubifragio che ha colpito Firenze ha risparmiato la piccola città di St.Mary Mead ?
RispondiEliminaSperiamo.......
@Wolf:
RispondiEliminaEbbene sì, ti commento a un po' di anni ma quello era il mio primo commento LI'. Chiunque sarebbe stato al suo primo commento, LI'.
Certo che questi sistemi informatici, una ne fanno e cento ne pensano per complicarci la vita...
@Acquaforte:
Tutto bene, carissima. Firenze sta cercando di ripigliarsi, a St. Mary Mead probabilmente non hanno visto né sentito nulla, qua a Lungacque (dove abito io) abbiamo avuto un vento fortissimo, un sacco di scena con i lampi e i tuoni ma poi tutto si è risolto con un rispettabile temporale estivo nemmeno troppo forte ^__^
La tua recensione mi incuriosisce molto, non so se sono nel periodo giusto per un libro così angosciante, però me lo segno. Non conosco molto della cultura giapponese, per quel poco che so la trovo sicuramente complessa ma affascinate.
RispondiEliminaCiao
Flavia
Molto interessante, soprattutto non conoscevo l'esistenza e la definizione di hikikomori. Proverò a cercare in qualche libreria o in e-book, può essere un'ottima lettura estiva!
RispondiEliminaOh, FINALMENTE qualcuno oltre ne che non li conosceva!
RispondiEliminaQuando ne ho accennato a degli amici sembrava che tutti avessero appena finito un dottorato di ricerca sull'argomento. Mi sono sentita un ignorante totale e completa perché non li avevo mai nemmeno vagamente sentiti nominare.
Aggiungo che il librio ha un apparato di note molto ben fatto su tutte le cose assai giapponesi di cui il libro è pieno, ma senza indulgere in questioni troppo speciose. Insomma, il comune mortale lo segue bene e senza difficoltà.
RispondiEliminaahah io non ho alcuna vergogna a dirlo, del resto non sono uno studioso della cultura giapponese, seppur affascinato.
RispondiEliminaSto proprio cercando il libro in questi giorni, ti farò sapere poi le mie impressioni quando lo avrò letto. ciao!
(come faccio a farmi mandare notifiche sui commenti? non sapevo avessi risposto...)
RispondiEliminaCome fare? Ah, saperlo, saperlo... C'è il tasto per seguire il blog via mail, ma temo che se lo pigi si limiteranno a mandarti un avviso ogni volta che pubblico UN POST. Non sono riuscita a trovare altro, e considera che anche quello l'ho messo solo dietro richiesta perché quando ho aperto il blog quella possibilità non c'era, e non ho più guardato. Ogni tanto cambiano qualcosa di soppiatto, ho notato.
RispondiEliminaComunque ho la possibilità di vedere tutti i nuovi commenti e quindi rispondo sempre anche quando mi mettono qualcosa su post molto vecchi. Insomma, abbi fiducia e prova, di solito nel giro di un paio di giorni rispondo sempre.
Quindi, quando avrai voglia di postare le tue impressioni, sappi che anche se saranno passati sette anni io comunque vedrò il commento ^__^
io ricevo sicuramente la mail di quando posti un nuovo articolo, sono iscritto da un po'.
RispondiEliminasui commenti allora, cercherò di passare quando riesco... vedi, ad esempio, stVolta sono passato dopo più di una settimana!
Ovvio che uno passa se e quando ha tempo e voglia. Ma c'è anche chi arriva su questo blog per puro caso, facendo una qualche ricerca che lo porta a un post scritto cinque anni fa e magari gli viene l'idea di commentare.
RispondiEliminaMi piace molto, quando succede, ma senza l'utile funzione sui commenti non potrei mai saperne nulla.
Alla fine il libro l'ho comprato. Non sono ancora riuscito a finirlo, lo ammetto. Ma mi sono ripromesso di completarlo nelle prossime settimane. Sono uno di quelli che fa fatica a interrompere un libro, è più forte di me. Deve essermi capitato due o tre volte al massimo. è vero, non è facile da leggere. Non per lo stile di scrittura, ma perchè è surreale. Rileggendo la tua recensione e ripensando alla mia reazione nel leggerlo, mi rendo conto che la difficoltà sta nel fatto che viene riportato su carta ciò che passa per la testa del protagonista. quindi come tutti i pensieri, la difficoltà più grande sta nell'esprimerli e renderli.
RispondiEliminasapere che esistono veramente delle figure del genere mi genera un po'di "ansia", mi chiedo veramente cosa possa passare per la testa di una persona che decide di chiudersi nella propria torre d'avorio.
Comunque sono felice dell'acquisto e spero di completarlo quanto prima.
Grazie!