Josephine Wall - Moon Godness
E' con profondo senso di inadeguatezza che mi accingo a ricordare quella che per me è stata l'Insegnante per eccellenza, ovvero Colei Che Apre Le Porte. Non tutti ne incontrano una (o uno) e pochi hanno la possibilità di averla a lungo. Io l'ho avuta per due anni, al Ginnasio, e ha inciso su di me con una forza che mi rende impossibile immaginare come sarebbe stata la mia vita se non l'avessi incontrata.
Con scarso entusiasmo andai al Liceo Classico: avevo il dente avvelenato verso la cultura classica e un'allergia alla retorica non del tutto insolita per una quattordicenne - per tacere di un profondo e confuso amore per tutto ciò che era celtico e nordico. Le premesse per un disastro c'erano tutte, e solo la cieca determinazione di una madre in cerca del Riscatto Sociale* poteva non vederle. Quanto a mio padre, aveva delegato la questione a mia madre in quanto Esperta di Scuola (ci lavorava, come insegnante delle elementari). Nessuno pensò a chiedere il mio parere, e del resto io stessa non immaginavo di averne uno e mi lasciai gestire con la stessa forza di iniziativa di un pacco postale. Nonostante al liceo abbia incontrato alcune delle persone più importanti della mia vita e mi sia nel complesso divertita molto, tuttora ho la convinzione di aver sbagliato a lasciar fare.
All'epoca l'insegnante di Lettere del Ginnasio era una sorta di maestro unico che per diciotto ore a settimana si occupava della nostra preparazione in Italiano, Latino, Greco, Storia e Geografia. Costui o costei si ritrovava avvinto/a alla classe in un abbraccio mortale che nessun'altra cattedra conosce o conosceva, perché perfino nel tempo prolungato delle medie al più si fanno quindici ore nella stessa classe e le rimanenti sono a disposizione o spicciolate in recuperi a classi aperte, mense, alternative a Religione o laboratori che permettono di entrare in contatto con altre classi, o almeno gruppi di alunni di altre classi.
Con scarso entusiasmo andai al Liceo Classico: avevo il dente avvelenato verso la cultura classica e un'allergia alla retorica non del tutto insolita per una quattordicenne - per tacere di un profondo e confuso amore per tutto ciò che era celtico e nordico. Le premesse per un disastro c'erano tutte, e solo la cieca determinazione di una madre in cerca del Riscatto Sociale* poteva non vederle. Quanto a mio padre, aveva delegato la questione a mia madre in quanto Esperta di Scuola (ci lavorava, come insegnante delle elementari). Nessuno pensò a chiedere il mio parere, e del resto io stessa non immaginavo di averne uno e mi lasciai gestire con la stessa forza di iniziativa di un pacco postale. Nonostante al liceo abbia incontrato alcune delle persone più importanti della mia vita e mi sia nel complesso divertita molto, tuttora ho la convinzione di aver sbagliato a lasciar fare.
All'epoca l'insegnante di Lettere del Ginnasio era una sorta di maestro unico che per diciotto ore a settimana si occupava della nostra preparazione in Italiano, Latino, Greco, Storia e Geografia. Costui o costei si ritrovava avvinto/a alla classe in un abbraccio mortale che nessun'altra cattedra conosce o conosceva, perché perfino nel tempo prolungato delle medie al più si fanno quindici ore nella stessa classe e le rimanenti sono a disposizione o spicciolate in recuperi a classi aperte, mense, alternative a Religione o laboratori che permettono di entrare in contatto con altre classi, o almeno gruppi di alunni di altre classi.
Al Ginnasio, per 18 ore e nelle cinque materie di gran lunga più importanti, un solo insegnante faceva e disfaceva; per giunta, la maggior parte degli insegnanti di Latino e Greco era (e in parte è tuttora) afflitta da forme di follia e onnipotenza più o meno conclamate nonché da una più o meno sottile tendenza al sadismo.
Ma la prof. De Divinis, pur amando profondamente sia il suo lavoro (che faceva benissimo) che la cultura classica (che conosceva assai a fondo) non aveva alcuna vena sadica e anzi trattava con profondo rispetto e gentilezza i suoi alunni, tutti, e li studiava ed esaminava con gran cura, maneggiandoli con la cautela che gli artificieri usano per i pacchi sospetti e mettendone in evidenza gli aspetti positivi, sui quali faceva leva. Credo sia stato grazie a questo che diventammo una classe e non un'accozzaglia di individui riuniti per avventura in un corso di studi - pur essendo, in verità, una collezione di creature invero assai disparate.
Vorrei poter dire che, con pochi e agili tocchi, fece di me un'eccellente studentessa di greco e latino, ma non fu così; il greco fu per me sin dall'inizio una dark zone, e il latino mi rimase abbastanza ostico: le mie prevenzioni erano radicate troppo a fondo e in quegli anni non ero esattamente in una fase felice e disponibile, senza contare che la profonda e assoluta devozione che avevo per lei finì per complicare il tutto. I miei voti a italiano comunque erano stratosferici e quelli a storia e geografia piuttosto onorevoli, e ogni volta che suggeriva in modo più o meno casuale un libro me lo leggevo con grande premura (anche perché farlo mi dava una buona scusa per non studiare la grammatica. Dubito però che ci suggerisse di leggere per consentirci di aggirare gli esercizi di grammatica, e ne dubitavo anche allora).
Nel giro di pochissimi giorni abbandonai ogni tipo di filtro critico e mi spalmai come burro su ogni sua teoria o convinzione, facendole mie. A distanza di più di trent'anni, e con un patrimonio di studi mio personale, devo dire che non ricordo un solo commento o annotazione su cui, con l'andare degli anni, abbia cambiato idea rispetto a quel che diceva lei: fosse Kafka, Euripide o Ungaretti, Virgilio, Platone o Manzoni, la sua interpretazione è sempre rimasta ai miei occhi quella giusta. E c'era un valore aggiunto in ogni cosa che faceva scivolare nelle lezioni, fossero le etimologie, le analisi delle radici, i paralleli con il sanscrito, i racconti di mitologia greca e latina, l'interpretazione delle fonti per storia.
Era una tipica Anziana Signora (doveva essere nata intorno alla prima guerra mondiale): minuta, con voce esile e gesti tranquilli, senza nulla di molto appariscente ma con una certa eleganza di fondo. I suoi metodi di insegnamento però non erano particolarmente tradizionali. L'analisi dei testi, per esempio, la facevamo insieme.
Che cosa vuol dire questo? Cosa significa quest'altro? Perché viene usata questa parola, in questo punto? Come interpretate la reazione di X? Che impressione vi ha fatto Y? Che mi dite di questo verso?
Imparai quante cose, quanta enorme enormità di significati potesse racchiudere una frase, un verso, la scelta di una parola, l'uso di un determinato tempo verbale invece di un altro. Quante cose riuscivano a stare in un paragrafo, in un racconto, in un libro. Quanti significati racchiudesse la parola "romanticismo", quante sfaccettature l'analisi di un singolo verbo greco, quante ambivalenze lo studio di un singolo animale sacro.
Siamo stati una classe che ha amato Manzoni.
Ripeto: siamo stati una classe che ha amato Manzoni, perché lo amava lei. Abbiamo letto i Promessi Sposi, tutti. Verso la fine dell'anno ci chiese se preferivamo finire i Promessi Sposi o l'Adelchi (ci mancava l'ultimo atto). Fu una decisione sofferta perché ci erano piaciuti entrambi, ma alla fine scegliemmo i Promessi Sposi, e ricordo ancora quelle belle giornate non troppo calde con la sua voce sottile che leggeva**, e la morte di Ermengarda, con una parte della classe che si asciugava gli occhi.
I dialoghi di Platone (sì, ci lesse un bel pezzo del Gorgia, oltre a fare l'Eutifrone come testo di lettura in greco). Il messaggio dell'imperatore di Kafka. Le mal vietate Alpi di Foscolo, così chiamate perché chiunque volesse passarci ci passava per poi invaderci. I continui e infiniti riferimenti all'Odissea, che credo conoscesse a memoria. Le poesie di Archiloco e Mimnermo. Io prediletto / io reietto (e questo era Enea, ma erano e sono un po' tutti gli eroi). E qui la smetto perché sta diventando un elenco.
Ma niente vite degli autori, al massimo qualche riferimento storico al periodo. A tutt'oggi sono convinta che la vita di un autore acquista un senso solo dopo che hai conosciuto molto bene la sua produzione testuale, e non viceversa.
I temi che ci assegnava nascevano dal lavoro che facevamo insieme, e non erano mai vere tracce. Ci disse che la sera prima di andare a dormire stabiliva "per domattina voglio tre temi sul comodino" e li trovava sempre. Erano temi che sarebbero risultati incomprensibili al resto dell'umanità, immagino: "La tana" (era preso da un racconto di Kafka), "La prova", "Silla" (lo mandai a coltivare rose, il sogno da sempre), lo scudo di Archiloco abbandonato in battaglia... no, credo che lì ci chiedesse di parlare di qualche poesia di Archiloco, ma io ci feci una tirata antimilitarista.
I temi più belli venivano letti ad alta voce. Da chi li aveva scritti. Ricordo ancora l'orribile disagio del malcapitato di turno, che a volte ero io. Ma non era nemmeno concepibile dire di no alla De Divinis, capite, per cui anche i più timidi (ovvero TUTTI, in quei casi) leggevano, nonostante il terrore di inciampare nelle frasi, in un silenzio irreale e attentissimo dei compagni che non migliorava certo la situazione - eppure da quelle letture ho imparato un'inifinità di cose su di loro (e loro su di me).
Le conversazioni in latino - furono solo due, in realtà, ma sono esperienze che restano impresse. Lei faceva le domande in latino e noi dovevamo rispondere in latino. Lo strano è che ci riuscivamo, ci riuscivo perfino io. E le affascinanti lezioni di grammatica (sì, le affascinanti lezioni di grammatica, l'ho scritto e intendevo proprio dire quello che sembra. Erano affascinanti, ricche e complete, incredibilmente complete), in particolare quelle sul periodo ipotetico, che era una sua fissazione. Ma in effetti, mi sono resa conto con gli anni, quando hai davvero capito come funziona il periodo ipotetico, hai fatto davvero un bel passo avanti, sia in latino che in greco che in italiano.
A fine biennio ci salutò con una lettera - una per ognuno di noi, intendo. Conteneva un'analisi... non so, del nostro lavoro in quei due anni? Del nostro carattere? Un suggerimento per il futuro? Un po' di tutto questo, e qualcos'altro ancora. Adesso che insegno anch'io so quanto coraggio ci vuole per fare una cosa del genere, ma soprattutto quanta cura e quanta attenzione verso i ragazzi. Erano lettere singolarmente azzeccate (non ho letto solo la mia, che naturalmente conservo con gran cura). Ed erano belle, molto belle.
Difficile dire cosa abbia preso da lei nel mio modo di insegnare, perché non è un'insegnante che riesco a guardare dall'esterno, com'è stato per tutti gli altri: ha contribuito troppo a fare di me quel che sono. Certamente l'attenzione per la grammatica (soprattutto il periodo ipotetico) e l'arte di far scivolare nelle lezioni elementi di un livello molto superiore, con nonchalance. Un sacco, ma veramente un sacco, di pure e bieche nozioni. Il modo di affrontare la storia. Il modo di affrontare la mitologia. Certamente il concetto che gli alunni vanno certo istruiti, certo amati, ma prima e soprattutto rispettati. L'idea che le classi non nascano per caso e vadano, nei limiti del possibile, amalgamate perché maggiore è il numero di canali di comunicazione aperti e meglio si lavora. Il modo di preparare i temi. Probabilmente anche molte altre cose.
Di sicuro l'esclamazione "Signori!" quando la classe va richiamata all'ordine e all'attenzione.
*I miei avevano fatto le superiori ma non il liceo perché in famiglia si preferì fargli fare qualcosa che gli permettesse di lavorare appena finite le scuole - il che, considerando che finirono le scuole subito dopo la guerra, non si rivelò poi un'idea così improvvida.
**voce sottile, ma con una bella resistenza: quando dico che abbiamo letto tutti i Promessi Sposi intendo che li ha letti tutti, in classe, lei. Noi ascoltavamo, e all'occorrenza facevamo domande.Mancavano solo spremute di frutta e pasticcini, poi il servizio sarebbe stato davvero completo.
Ma la prof. De Divinis, pur amando profondamente sia il suo lavoro (che faceva benissimo) che la cultura classica (che conosceva assai a fondo) non aveva alcuna vena sadica e anzi trattava con profondo rispetto e gentilezza i suoi alunni, tutti, e li studiava ed esaminava con gran cura, maneggiandoli con la cautela che gli artificieri usano per i pacchi sospetti e mettendone in evidenza gli aspetti positivi, sui quali faceva leva. Credo sia stato grazie a questo che diventammo una classe e non un'accozzaglia di individui riuniti per avventura in un corso di studi - pur essendo, in verità, una collezione di creature invero assai disparate.
Vorrei poter dire che, con pochi e agili tocchi, fece di me un'eccellente studentessa di greco e latino, ma non fu così; il greco fu per me sin dall'inizio una dark zone, e il latino mi rimase abbastanza ostico: le mie prevenzioni erano radicate troppo a fondo e in quegli anni non ero esattamente in una fase felice e disponibile, senza contare che la profonda e assoluta devozione che avevo per lei finì per complicare il tutto. I miei voti a italiano comunque erano stratosferici e quelli a storia e geografia piuttosto onorevoli, e ogni volta che suggeriva in modo più o meno casuale un libro me lo leggevo con grande premura (anche perché farlo mi dava una buona scusa per non studiare la grammatica. Dubito però che ci suggerisse di leggere per consentirci di aggirare gli esercizi di grammatica, e ne dubitavo anche allora).
Nel giro di pochissimi giorni abbandonai ogni tipo di filtro critico e mi spalmai come burro su ogni sua teoria o convinzione, facendole mie. A distanza di più di trent'anni, e con un patrimonio di studi mio personale, devo dire che non ricordo un solo commento o annotazione su cui, con l'andare degli anni, abbia cambiato idea rispetto a quel che diceva lei: fosse Kafka, Euripide o Ungaretti, Virgilio, Platone o Manzoni, la sua interpretazione è sempre rimasta ai miei occhi quella giusta. E c'era un valore aggiunto in ogni cosa che faceva scivolare nelle lezioni, fossero le etimologie, le analisi delle radici, i paralleli con il sanscrito, i racconti di mitologia greca e latina, l'interpretazione delle fonti per storia.
Era una tipica Anziana Signora (doveva essere nata intorno alla prima guerra mondiale): minuta, con voce esile e gesti tranquilli, senza nulla di molto appariscente ma con una certa eleganza di fondo. I suoi metodi di insegnamento però non erano particolarmente tradizionali. L'analisi dei testi, per esempio, la facevamo insieme.
Che cosa vuol dire questo? Cosa significa quest'altro? Perché viene usata questa parola, in questo punto? Come interpretate la reazione di X? Che impressione vi ha fatto Y? Che mi dite di questo verso?
Imparai quante cose, quanta enorme enormità di significati potesse racchiudere una frase, un verso, la scelta di una parola, l'uso di un determinato tempo verbale invece di un altro. Quante cose riuscivano a stare in un paragrafo, in un racconto, in un libro. Quanti significati racchiudesse la parola "romanticismo", quante sfaccettature l'analisi di un singolo verbo greco, quante ambivalenze lo studio di un singolo animale sacro.
Siamo stati una classe che ha amato Manzoni.
Ripeto: siamo stati una classe che ha amato Manzoni, perché lo amava lei. Abbiamo letto i Promessi Sposi, tutti. Verso la fine dell'anno ci chiese se preferivamo finire i Promessi Sposi o l'Adelchi (ci mancava l'ultimo atto). Fu una decisione sofferta perché ci erano piaciuti entrambi, ma alla fine scegliemmo i Promessi Sposi, e ricordo ancora quelle belle giornate non troppo calde con la sua voce sottile che leggeva**, e la morte di Ermengarda, con una parte della classe che si asciugava gli occhi.
I dialoghi di Platone (sì, ci lesse un bel pezzo del Gorgia, oltre a fare l'Eutifrone come testo di lettura in greco). Il messaggio dell'imperatore di Kafka. Le mal vietate Alpi di Foscolo, così chiamate perché chiunque volesse passarci ci passava per poi invaderci. I continui e infiniti riferimenti all'Odissea, che credo conoscesse a memoria. Le poesie di Archiloco e Mimnermo. Io prediletto / io reietto (e questo era Enea, ma erano e sono un po' tutti gli eroi). E qui la smetto perché sta diventando un elenco.
Ma niente vite degli autori, al massimo qualche riferimento storico al periodo. A tutt'oggi sono convinta che la vita di un autore acquista un senso solo dopo che hai conosciuto molto bene la sua produzione testuale, e non viceversa.
I temi che ci assegnava nascevano dal lavoro che facevamo insieme, e non erano mai vere tracce. Ci disse che la sera prima di andare a dormire stabiliva "per domattina voglio tre temi sul comodino" e li trovava sempre. Erano temi che sarebbero risultati incomprensibili al resto dell'umanità, immagino: "La tana" (era preso da un racconto di Kafka), "La prova", "Silla" (lo mandai a coltivare rose, il sogno da sempre), lo scudo di Archiloco abbandonato in battaglia... no, credo che lì ci chiedesse di parlare di qualche poesia di Archiloco, ma io ci feci una tirata antimilitarista.
I temi più belli venivano letti ad alta voce. Da chi li aveva scritti. Ricordo ancora l'orribile disagio del malcapitato di turno, che a volte ero io. Ma non era nemmeno concepibile dire di no alla De Divinis, capite, per cui anche i più timidi (ovvero TUTTI, in quei casi) leggevano, nonostante il terrore di inciampare nelle frasi, in un silenzio irreale e attentissimo dei compagni che non migliorava certo la situazione - eppure da quelle letture ho imparato un'inifinità di cose su di loro (e loro su di me).
Le conversazioni in latino - furono solo due, in realtà, ma sono esperienze che restano impresse. Lei faceva le domande in latino e noi dovevamo rispondere in latino. Lo strano è che ci riuscivamo, ci riuscivo perfino io. E le affascinanti lezioni di grammatica (sì, le affascinanti lezioni di grammatica, l'ho scritto e intendevo proprio dire quello che sembra. Erano affascinanti, ricche e complete, incredibilmente complete), in particolare quelle sul periodo ipotetico, che era una sua fissazione. Ma in effetti, mi sono resa conto con gli anni, quando hai davvero capito come funziona il periodo ipotetico, hai fatto davvero un bel passo avanti, sia in latino che in greco che in italiano.
A fine biennio ci salutò con una lettera - una per ognuno di noi, intendo. Conteneva un'analisi... non so, del nostro lavoro in quei due anni? Del nostro carattere? Un suggerimento per il futuro? Un po' di tutto questo, e qualcos'altro ancora. Adesso che insegno anch'io so quanto coraggio ci vuole per fare una cosa del genere, ma soprattutto quanta cura e quanta attenzione verso i ragazzi. Erano lettere singolarmente azzeccate (non ho letto solo la mia, che naturalmente conservo con gran cura). Ed erano belle, molto belle.
Difficile dire cosa abbia preso da lei nel mio modo di insegnare, perché non è un'insegnante che riesco a guardare dall'esterno, com'è stato per tutti gli altri: ha contribuito troppo a fare di me quel che sono. Certamente l'attenzione per la grammatica (soprattutto il periodo ipotetico) e l'arte di far scivolare nelle lezioni elementi di un livello molto superiore, con nonchalance. Un sacco, ma veramente un sacco, di pure e bieche nozioni. Il modo di affrontare la storia. Il modo di affrontare la mitologia. Certamente il concetto che gli alunni vanno certo istruiti, certo amati, ma prima e soprattutto rispettati. L'idea che le classi non nascano per caso e vadano, nei limiti del possibile, amalgamate perché maggiore è il numero di canali di comunicazione aperti e meglio si lavora. Il modo di preparare i temi. Probabilmente anche molte altre cose.
Di sicuro l'esclamazione "Signori!" quando la classe va richiamata all'ordine e all'attenzione.
*I miei avevano fatto le superiori ma non il liceo perché in famiglia si preferì fargli fare qualcosa che gli permettesse di lavorare appena finite le scuole - il che, considerando che finirono le scuole subito dopo la guerra, non si rivelò poi un'idea così improvvida.
**voce sottile, ma con una bella resistenza: quando dico che abbiamo letto tutti i Promessi Sposi intendo che li ha letti tutti, in classe, lei. Noi ascoltavamo, e all'occorrenza facevamo domande.Mancavano solo spremute di frutta e pasticcini, poi il servizio sarebbe stato davvero completo.
Questo si chiama elogio, caspita! La mia prof. del Ginnasio era una ex bravissima, oramai un po' rincoglionita (ma che restava comunque più brava della media per chi desiderava seguirla): mi ha lasciato stima per lei, buone basi e spirito critico, ma non questo indomito amore. Ma devo dire che, nonostante riesca a pensare a un discretissimo numero di bravi insegnanti che ho avuto la fortuna di avere, non ricorderei nessuno in questi termini (anche se ho avuto la mia brava dose di lettere individualizzate, conversazioni il latino, e pure in greco, discussioni individualizzate sui numeri primi e svariata mercanzia).
RispondiEliminaE' commovente come tu riesca a ricordare tutti questi particolari di un periodo così lontano nel tempo e, soprattutto, di questa tua insegnante così brava; e ti invidio non solo la memoria strepitosa che hai ma anche la "fortuna" di aver avuto un'insegnante così.
RispondiEliminaLa mia professoressa del ginnasio vestiva come Mosè, parlava come Biscardi e non ricordava il nome di nessuno, se non dei figli di rettori, primari e deputati. Io, chiaramente, l'ho dimenticata. :)