mercoledì 8 gennaio 2014

Honni soit qui mal y pense

Com'è noto, alcune posizioni del Kamasutra richiedono una certa destrezza fisica

Quest'anno il Progetto Multiculturale ha cambiato pelle, ed è un laboratorio sull'autobiografia - trasformazione imprevista, ma certo più che gradita in una seconda in mezzo al guado della presa di coscienza adolescenziale.
Mi hanno spiegato che nelle classi dove anche l'insegnante partecipa al laboratorio le cose funzionano meglio. E dunque anch'io partecipo al laboratorio, seguendo punto per punto le istruzioni dell'addetta ai lavori.
"Per prima cosa costruirete tutti il vostro diario". E così, con cartoncini colorati, fogli e fili di lana tutti abbiamo costruito il nostro diario. I fili di lana sono stati fatti passare dai fori fatti con l'apposita macchinetta foratrice presa giù in portineria.
Poi abbiamo scritto il nostro nome e parlato del nostro nome. Se conosciamo il suo significato, chi l'ha scelto per noi, perché è stato scelto eccetera.
Poi abbiamo fatto l'acrostico con il nostro nome: per ogni lettera dovevamo scegliere un sostantivo o un aggettivo che ci rappresentasse. Con due di quelle parole dovevamo poi comporre il nostro nome sulla copertina del diario.
L'alunno con la K nel nome era un po' perplesso: "Io una parola col K ce l'avrei, ma credo sia una parolaccia".
Siccome in quella classe il concetto di "parolaccia" è talvolta piuttosto insolito ho chiesto chiarimenti. Dopo varie esitazioni l'alunno ha infine sussurrato "kamasutra".
"Puoi usarla tranquillamente" l'ho rassicurato. E così come nome si è scelto "Kamasutra Eccellente", che mi sembra un gran bel proponimento.
In cuor mio ho stabilito che andava pur fatto qualcosa per rimediare a cotanta ignoranza; sono l'insegnante di Lettere, giusto? E chi meglio di me è qualificato per parlargli di letteratura?

Così, nelle due ore di buco che avevo dopo il laboratorio sono andata su Wikipedia, dove c'era una bella e sobria descrizione del Kamasutra, ne ho ricavata una breve scheda e, all'ora successiva dov'ero di nuovo nella Seconda d'Ogni Grazia Adorna ho spiegato cos'era esattamente il Kamasutra, com'era strutturato, quando era stato scritto, bla bla bla, l'approccio della cultura indiana al sesso, il capitolo delle posizioni, ribla ribla ribla...
Hanno ascoltato con vivo interesse.
"Kamasutra è il titolo di un'opera letteraria, quindi è una parola che potete sempre pronunciare, anche se siete a pranzo a un'ambasciata. Poi ci sono espressioni come 'sperimentare il kamasutra' che sono anche quelle perfettamente lecite, ma dipende dal contesto".
"E se vado in libreria lo trovo?".
"Direi proprio di sì, ma non so se è sempre in stampa. In biblioteca c'è senz'altro. Se non in quella di St. Mary Mead, in una del circuito della provincia".
"Con le stampe illustrative?"
"Mmhhh, questo non lo so. Quello che ho letto io non aveva l'ombra di un'illustrazione. Magari l'hanno stampato anche con le illustrazioni, in Italia, ma non ci giurerei. E' più complicato fare i libri con le illustrazioni, sapete".
Qualcuno mi chiede una fotocopia della scheda. Li mando a fare le fotocopie.
Poi ci prepariamo per le interrogazioni di storia. Chi non è interrogato può continuare a colorare la copertina del suo diario, come richiesto da colei che gestisce il laboratorio. Oppure finisce di confezionarlo, perché fare i due buchi per farci passare la lana si è rivelato complicato.
Quando tutti hanno bucato e ribucato in modo soddisfacente, Kamasutra Eccellente alza la mano "Prof, riporto la bucaiola ai custodi?".

Sussulto. Ma la formalissima classe tanto preoccupata delle parolacce non fa una piega. Anche Kamasutra Eccellente sembra il ritratto dell'innocenza.
"Ehm, sì, certo". 
Kamasutra Eccellente scende dai custodi, mentre Iriza continua tranquilla la sua interrogazione. Dalla memoria emerge improvvisamente il vago ricordo di una custode che una volta ho sentito mormorare "Dove ho messo la bucaiola?" per poi frugare un po' ed afferrare quell'aggeggio che si usa per forare la carta.
Un breve consulto linguistico con le colleghe mi permette di appurare che sì, a St. Mary Mead quell'attrezzo da ufficio è chiamato senza alcuna malizia per l'appunto bucaiola, laddove nel resto del mondo, o quantomeno nei tre uffici dove ho lavorato prima di approdare al complesso e affascinante mondo della scuola, era appellata come "foratrice" o "la macchinetta per fare i buchi", modello da due buchi o da quattro a seconda delle necessità del richiedente.

E disonore ricada su chi pensa male di ciò.

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