Fabrizio De André mi è quasi sempre arrivato attraverso qualche filtro: la compagna delle medie che mi insegnava la Guerra di Piero e Carlo Martello, l'amico che cantava con la chitarra sulla spiaggia Non al denaro né all'amore né al cielo, gli amici dei miei genitori che accanto al caminetto leggevano sullo spartito Via del Campo, lo scolaro che mi cita c'è un dollaro d'argento sul fondo del Sand Creek mentre spiego cosa sono i creek...
Per radio non passò quasi niente fino all'arrivo delle radio libere, e poco anche dopo, per qualche anno: erano tutte troppo occupate a trasmettere i cantautori che incidevano in quel periodo (una quantità immane, va detto, e molti decisamente meritevoli di essere trasmessi e ascoltati) per avere molto spazio per le vecchie glorie. Lo trasmisero molto di più negli anni successivi, dopo il successo del tour con la PFM. Buona cosa perché, al contrario di parecchi colleghi, De André non ebbe un vero periodo d'oro - o, per meglio dire, ebbe un solo e lunghissimo periodo d'oro, continuando fino alla fine a fare dischi diversi tra loro ma tutti molto validi.
Altra caratteristica particolare era di essere un ottimo traduttore. Credo che l'unica cosa più difficile di tradurre una poesia sia tradurre una canzone, e lui è riuscito a fare bene entrambe le cose.
Come tutti, anch'io ho la mia ventina di sue canzoni preferite, ma oltre a questa ventina ne ho due che sono Particolarmente Preferite.
La prima è Il giudice, una storia che ho sempre apprezzato profondamente e che contiene uno dei miei versi preferiti le notti insonni vegliate a lume del rancore. De André la canta in tono distaccato: ormai libero dalle pastoie terrene che lo hanno condizionato, il giudice mantiene comunque una certa curiosità per il mistero della statura di Dio. Morgan invece, nel suo bel rifacimento vagamente disco, lo carica della rabbia che il giudice si è trascinato dietro negli anni, da vivo.
La seconda è Don Raffaé, una canzone dalla vena profetica che ho sempre collegato in cuor mio con la valanga di Tangentopoli che arrivò poco dopo. De André, che oltre che traduttore era poeta e quindi veggente, aveva in qualche modo intuito cosa c'era nell'aria. La mia versione preferita è quella dal vivo con Roberto Murolo, che gli fece rallentare il tempo e dare una verniciata di apparente indifferenza a un testo decisamente esplosivo (oltre a portare un accento meridionale decisamente più credibile) e che venne cantata proprio nel 1992, per il concerto del 1 Maggio. Tale pregiatissima canzone contiene anche un'inarrivabile e tutt'ora assai attuale descrizione dello Stato italiano che si costerna, s'indigna, s'impegna / poi getta la spugna con gran dignità.
Ciao: un po' in ritardo, ma... complimentissimi per i post sui libri di testo... Buona vita
RispondiEliminaRitardo? Quale ritardo?
RispondiEliminaI post non si autodissolvono dopo tre giorni, e l'argomento è destinato a restare tristemente attuale ancora per diversi anni, a quel che sembra.
E grazie per i complimenti ^__^
Questo è il primo LP che abbia mai comprato. Ero alle superiori e finalmente i miei genitori si decisero di comprarmi uno stereo!
RispondiEliminaDon Rafae' piace moltissimo anche a me. Per quanto riguarda le traduzioni, benché siano effettivamente molto ben fatte, confesso di preferire gli originali.
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