giovedì 27 febbraio 2020

Il gran torneo del Ciuccio D'Oro

Come ho già raccontato, la nostra collega Marzapane lamentava talvolta un eccessivo infantilismo nelle nostre classi prime finendo per evocare il premio del Ciuccio d'Oro, nelle occasioni in cui la situazione degenerava in modo particolare.
Più sobriamente, io mi limitavo ad evocare quelle belle collane di ciucci a caramella che vendono a collane negli autogrill
ripromettendomi ad alta voce di comprarne qualcuna - e di solito la menzione della collana di ciucci otteneva un qualche effetto placante perché a undici anni non si ama molto essere accusati di eccesso di infantilismo.
La Prima Asserpentata invece non si placava affatto, ma è rimasta molto colpita dall'idea, e in parecchi hanno promesso di procurarmi una di cotali collane.
E non si sono limitati a promettermela: una bella mattina Rama è arrivato non proprio con una collana, ma comunque con un bel sacchetto di caramelle-ciuccio, di quelle gommose e un po' frizzanti:
e si è anche rifiutato di farsele rimborsare.
Alla vista delle caramelle-ciuccio la classe è letteralmente impazzita e continuare a spiegare la struttura del ghiacciaio non è stato affatto semplice.
Ricordando il vecchio adagio di mia nonna "non siamo puniti per i nostri peccati, ma dai nostri peccati" li ho messi in una graziosa borsetta di tulle rosa e ho cominciato a portarmeli dietro quando andavo a lezione nella Prima Asserpentata.
Cosa farne non mi era affatto chiaro. La prima pensata, cioè assegnarne uno ogni volta che qualche alunno faceva qualcosa di particolarmente infantile e querulo, non si rivelò affatto una buona idea: il vincitore della caramella infatti, lungi dal mostrare cenno alcuno di pentimento o ravvedimento, la ciucciava ostentatamente traendone gran motivo di vanto.
Dopo aver maledetto più volte la deplorevole stupidità che mi aveva portato a ficcarmi in un simile pasticcio sono stata infine assistita da una piccola ispirazione il giorno in cui una fanciulla mi ha chiesto apertamente una distribuzione di ciucci perché "quel giorno erano stati bravi". 
Distribuire caramelle in premio per la buona condotta non mi sembrava esattamente il tipo di messaggio didattico più adatto ad estirpare l'infantilismo da una classe. 
Tuttavia, nelle ultime settimane c'erano stati dei modesti segni di ravvedimento: nella Prima Asserpentata si strillava meno, si dava meno in smanie e avevano perfino smesso di azzuffarsi. Addirittura, stavano imparando a organizzarsi in modo abbastanza silenzioso la coda per il bagno e la giovane Tornado aveva avviato una specie di scommessa con una compagna dove si impegnava a regalarle venti euro se lei, Tornado, avesse preso un rapporto - me lo raccontò molto soddisfatta alla fine di Venerdì, quando ormai i suoi venti euro erano salvi, e davanti ai miei occhi grandi come tazze da te mi spiegò che si era autoinflitta questa possibile penale per avere un motivo per frenarsi. Per quanto contorto, l'insieme denotava una lodevole intenzione di frenare un carattere decisamente impetuoso e anche un certo livello di autoconsapevolezza che indicava un principio di ingresso nell'età adolescenziale - che poi era quello a cui puntavo perché una classe di adolescenti in qualche modo riesco a gestirla, mentre con i bambini non so mai come comportarmi.
Alla fine promisi che se avessero evitato di mimmeggiare per una intera settimana (che nel mio caso equivaleva a solo due unità orarie, insomma ci si poteva anche arrivare) i ciucci sarebbero stati distribuiti - e mi rendo conto che si trattava di una pretesa molto modesta, ma insomma io ero desiderosa di liberarmi di quei ciucci quanto loro di ciucciarseli.
Così, dopo una prima e una seconda settimana in cui avevo aspramente rampognato un paio dei Serpentelli perché per colpa loro la classe, che pure si era comportata in modo non troppo infantile, non avrebbe ricevuto i ciucci che gli spettavano, mentre i compagni li guardavano con aria torva, alla terza settimana ho potuto distribuire i ciucci con gran gioia collettiva - ed era l'ultimo giorno in cui li vedevo prima dell'Ultimo di Carnevale, quindi era anche un giorno molto appropriato.
Distribuiti i ciucci ci avviamo all'uscita in una confusione tutto sommato accettabile quando uno dei principali aspiranti al Gran Premio del Ciuccio d'Oro mi accosta per spiegarmi che il suo principale contendente a questo ricco premio di ciucci ne aveva presi due.
Ho sospirato.
"Capisci perché in questa classe si distribuiscono ciucci? Lui che ne prende due, e tu che vieni pure a raccontarmelo".
È rimasto dolorosamente colpito dal mio commento - o almeno spero.
Quanto a me, mi sono finalmente liberata dai ciucci, e spero di non ritrovarmi mai più in un pasticcio del genere.

martedì 25 febbraio 2020

La scuola ai tempi dell'epidemia (abboccheremo sempre, abboccheremo ancora!)


A quanto sembra siamo in piena epidemia. Non so come l'avrebbero definita nel Trecento, e mi vien quasi da sospettare che gli saremmo sembrati un tantino eccessivi nel nostro gran patema d'animo collettivo, per tacere dei supermercati svaligiati per paura della gran penuria di generi alimentari che ci aspetta in futuro.
La morte per inedia è davvero così prossima?
Forse no, ma non per merito dei grandi bagordi e festeggiamenti della nostra scuola, anzi credo di non aver mai vissuto un fine Carnevale più mencio.
Domenica sera è arrivata la circolare dove, in base ad apposita delibera del governo, erano abolite tutte le gite scolastiche delle prossime settimane, comprese quelle più locali e banali: piccoli tornei sportivi, il Museo Stibbert di Firenze eccetera. 
Quanto al Gran Congresso sul DADA, che si svolgeva in una città del Nord, non era possibile andarci perché non ci sarebbe stato, in quanto doveva svolgersi in una scuola che era stata chiusa.


Qualche collega più colta e istrutta ha suggerito di riunire le fanciulle e i fanciulli nostri allievi a gruppi di sette e tre per ricovrarli in qualche villa del contado onde preservarli dal contagio e insieme favorire la nascita di novelli  Decameroni ad impreziosire la nostra italica letteratura. Qualche altra collega ancor più colta ha osservato che ci siamo già, nel contado e dunque non serve nemmeno organizzare trasferte.
Solo nel tardo pomeriggio mi è venuto in mente che forse avrei dovuto, almeno proforma, consultarmi con la Preside in merito alla Mostra del Libro che in teoria dovrebbe svolgersi nella seconda settimana di Marzo.
"Come facciamo a farla? Verrà gente" ha osservato una collega.
"Qui viene gente" ho risposto io "Siamo una scuola. Ogni giorno vengono circa duecento persone, e le teniamo a gruppi per fargli lezione".
La risposta della Preside però è stata peggio del previsto: ci ha mandato a dire che al momento vivevamo di ora in ora, e che anzi stava aspettando la direttiva che avrebbe chiuso le scuole in tutta Italia.
Addirittura?
Poco dopo è arrivato un Sostegno e ci ha annunciato che durante la notte era arrivata la direttiva dal Centro Sociale per avvisare che per il momento non ci avrebbero mandato più i ragazzi.
Niente gite, niente congresso DADA, niente ragazzi del Centro Sociale e ben presto niente scuola del tutto.
L'umore in Sala Insegnanti era decisamente basso, anche se una provvidenziale schiacciata alla fiorentina farcita con la panna ci aveva se non altro rallietato un po' le viscere.

Tornata a casa però ho scoperto, tramite Facebook, che eravamo, tutti, incappati in una Perfida Bufala che aveva ormai fatto il giro della rete fra lazzi e frizzi indirizzati a chi aveva abboccato (tutti noi insegnanti, ad esempio, e un buon numero di presidi): un piccolo messaggino su WhatsUp.

Naturalmente una bufaletta del genere è facilmente riconoscibile da chiunque, e voglio sperare che ad ingannare i nostri validi Dirigenti Scolastici sia stato qualcosina di un po' più accurato e proveniente da fonte più attendibile (quello che riporto, per dirne una, rimanda a un link che non esiste, per tacere del fatto che il Ministero dell'Interno non manda messaggi a nome del Presidente del Consiglio, tantomeno chiamandolo Conte Giuseppe). Qualcuno sospetta che sia stato prodotto da qualche scolaro buontempone - ed è senz'altro possibile - ma la voce circolava già dalla sera prima. Sarei perfino portata a sospettare qualcosa di meno innocuo di uno scherzo, ma ormai gli Oscuri Complotti li danno via a dieci a un soldo e sospettare un complotto demoplutogiudaicomassonico ai danni della Scuola non mi sembra molto credibile.

Comunque era una bufala e un sacco di bravi ragazzi comprensibilmente desiderosi di una vacanza supplementare sono stati crudelmente illusi, il che è una vera ingiustizia.
Inoltre, continuando su questo passo e senza potersi fidare di nessuno davvero non so dove andremo a finire, signora mia.

lunedì 17 febbraio 2020

17 Febbraio - Festa Nazionale del Gatto (prima le feste italiane!)


La Festa del Gatto del 17 Febbraio è una tradizione tutta italiana, e anche piuttosto recente. Tuttavia ha attecchito bene e i gatti in Italia sono sempre più festeggiati in questa data, soprattutto nelle varie associazioni dove spesso sono offerte colazioni, pranzi e merende allo scopo di raccogliere fondi. Anche molti Comuni e biblioteche però hanno cominciato a fare la loro parte con mostre, conferenze e raduni vari per parlare di gatti.
E anch'io, sulla mia modesta paginetta web, in questa occasione amo parlare di gatti.

Questa volta intendo soffermarmi sul gatto di tipo più comune, ovvero il soriano. Ognuno di noi ne conosce a pacchi, e sono tutti bellissimi. Questo nella foto è il feles comunissimus, e pur intonandosi a qualsiasi arredamento moderno, antico o in stile, trovo che stia molto bene anche all'aperto e, naturalmente, in una casa in legno. Sui pavimenti in legno in particolare rende molto bene, come so per esperienza diretta.
Non so se è una vera razza - la quantità di razze di gatti certificate che esistono al mondo non cessa mai di stupirmi e ho smesso da un pezzo di cercare di memorizzarle, anche perché la stragrande maggioranza della popolazione micesca non è di razza pura. Di fatto parlare di "razze" di gatti mi sembra un po' assurdo perché si somigliano davvero molto tra loro e sono sicura che il loro DNA ha ben poche variazioni. 
Lo stesso avviene per le varie specie di felini, tutti molto simili tra loro salvo che per le dimensioni, e tutti molto compatibili sessualmente. Per quel che ho capito, due felini di specie diversa un po' intraprendenti e amanti dell'esotico che si incontrano casualmente e si trovano simpatici possono accoppiarsi e riprodursi senza problemi, se non intervengono macroscopiche differenze di stazza.
Il gatto soriano viene chiamato anche "europeo", "tabby" e "tigrato": la sua caratteristica più appariscente infatti è una tigratura più o meno vistosa. Questo, per esempio, è del tipo grigio-nero:

ma sono soriani anche quelli a tigratura rossa. Piuttosto rari, purtroppo, ma famosi per essere tutti particolarmente affettuosi. Diffido delle generalizzazioni sui gatti, ma devo confermare che tutti i gatti rossi che ho incrociato nella mia vita erano decisamente scivolosi, e molti di loro potevano tranquillamente fregiarsi del titolo di gatti-sciarpa.
I gatti soriani sono detti anche "tigrati" per le caratteristiche strisce sul muso e la truccatura egiziana intorno agli occhi, ma a quel che sembra non vengono affatto dall'Egitto bensì dalla Soria, che è un nome antico per indicare la Siria.
Questa tigratura, che forma una specie di M sulla fronte, viene fatta risalire a una leggenda religiosa che esiste in una doppia versione, cristiana e musulmana. Nel primo caso nella stalla di Betlemme c'era anche una micia incinta, che partorì insieme alla Madonna e che, dopo aver allattato i suoi gattini, si avvicinò a Gesù per scaldarlo (indubbiamente un pensiero molto carino da parte della gatta, anche se viene da pensare che il clima palestinese non fosse così gelido da costringere una brava gatta a trascurare i suoi piccoli);  la Madonna, commossa da tanta gentilezza, la ringraziò imprimendole sulla fronte la tigratura. M sta per Madonna, ed evidentemente la Signora in questione sapeva già che in Europa sarebbe stata conosciuta soprattutto con tal nome, che significa appunto "Signora".
Nella variante islamica invece un coraggioso gatto salvò la vita di Maometto uccidendo un serpente che stava per attaccarlo e così fu ringraziato dal Profeta - che per l'occasione rispolverò evidentemente le sue conoscenze sull'alfabeto latino, consapevole del fatto che i discendenti del coraggioso micio in Europa sarebbero stati assai numerosi.
È noto che il gatto è un prode cacciatore (anche di serpenti) e le gatte sono spesso molto sensibili alle esigenze dei figli altrui, allattando anche animali di specie diversa dalla propria, oltre che gattini orfani; dunque entrambe le leggende hanno quasi sicuramente una forte base di verità.


Ho avuto in casa tre bellissime gatte soriane: Clodia, Clorinda e Artemis, e tutte e tre si segnalavano per una deliziosa pancia color albicocca a colore uniforme. Non ho loro foto in formato digitale, e allora chiudo con un omaggio al compianto Esserino e al bellissimo Balena, qui ritratti ancora cuccioli con i loro fratellini:

Davvero uno splendido mazzo di gattini tigrati, tanto angelici nel sonno quanto pestiferi da svegli.
Gli auguri però sono per tutti i gatti, anche per quelli diversamente tigrati, e naturalmente si estendono anche ai loro umani.

domenica 16 febbraio 2020

Sulla indiscutibile bellezza dei gatti di Francoforte (post di intrattenimento, dove i gatti non c'entrano molto)

Senza dubbio i gatti di Francoforte sono molto belli. Come tutti i gatti, in effetti
Ora di Geografia nella Seconda Invasata. Sto spiegando la Germania e sono arrivata a parlare delle città.
"Poi c'è Francoforte. Come vedete anzi ce ne sono due, una è Francoforte sul Meno, ma l'altra è più importante. Perché?".
Giuro, a questo punto c'è sempre qualcuno che risponde "Perché c'è la Borsa". C'è sempre, in una classe, qualcuno che conosce un po' il viver del mondo.
Quasi sempre, devo aggiungere adesso. Magari sono io che finora ho avuto fortuna, non so. Però ormai la Germania l'ho spiegata diverse volte.
Mi guardano straniti.
"Via, ragazzi, per cosa sentite citare sempre Francoforte al telegiornale?".
Mi guardano sempre più straniti.
"L'aeroporto?" azzarda una ragazza di quelle brave.
"Sì, in effetti c'è anche l'aeroporto più importante della Germania. E poi?".
Come suggerimento alzo la borsa con cui vado sempre in classe. E' una grossa borsa di tela plastificata con sopra...
"I gatti!" esclama qualcuno soddisfatto di aver chiarito finalmente l'arcano. Sulla borsa campeggiano infatti due bei gatti neri in un giardino di ortensie e rose.
"Ehm. Sì, di sicuro a Francoforte ci sono dei bellissimi gatti, come dappertutto, del resto. Ma questa cos'è?"
"Una borsa?"
"Ebbene sì, a Francoforte c'è la Borsa più importante dell'Unione Europea, quella di riferimento" sospiro stremata.
Mi guardano sempre più perplessi "E dove sta scritto che ce ne debba fregare qualcosa delle Borse?" c'è scritto a chiare lettere nei loro occhi.
Evidentemente quasi in ogni classe c'è qualcuno che conosce un po' il viver del mondo.



venerdì 14 febbraio 2020

Bianco letale - Robert Galbraith

Vengo a presentare questo romanzo allo stimato Venerdì del Libro di Homedemamma solo perché finora ho presentato tutti i romanzi di J. K. Rowling (che per questa serie usa lo pseudonimo di Robert Galbraith anche se tutti sappiamo che si tratta di lei) e non voglio interrompere la serie di una autrice che ho sempre apprezzato moltissimo, ma premetto subito che stavolta il libro non mi ha granché entusiasmato.
Forse per il soggetto?
Assolutamente no: stavolta niente serial killer, bensì un classico giallo che somma un cold case (un sottogenere che ho sempre molto apprezzato) con un omicidio d'alto bordo avvenuto in circostanze che fanno pensare ad un suicidio e una famiglia allargata della quale il meno che si possa dire è che i rapporti interni siano piuttosto complessi - e anche questo è un ramo della letteratura giallistica che ho sempre molto apprezzato. Per svariate centinaia di pagine l'autrice ci percula alla grande seminando falsi indizi, indizi travestiti, tracce che all'apparenza non valgono un soldo bucato ma che poi si rivelano importantissime e tracce molto promettenti che si rivelano quasi del tutto prive di significato. Inutile che mi metta a raccontare la trama perché il risvolto di copertina  racconta singolarmente bene (miracolo! Prodigio!) l'inizio, dando al lettore tutti gli elementi necessari per rendersi conto di che tipo di storia si tratta.
Sì, certo, è una vicenda complicata, con tanti personaggi che si incastrano. Ma J. K. Rowling è abituata a gestire storie complicate, e finora l'ha fatto assai bene. Anche qui la soluzione è interessante e ben strutturata, almeno se uno ci studia un po' su.
Il problema è che arrivata a metà ci avevo una gran confusione in testa e ho cominciato ad andare avanti per forza d'inerzia. La situazione era complicata, sì, ma non chiara; e questa è una deplorevole novità per una scrittrice che è sempre riuscita a gestire benissimo le trame complicate senza che il lettore si perdesse invocando una bussola per venire a capo della faccenda.
Nei Ringraziamenti l'autrice dichiara la sua gratitudine verso il marito che non le ha mai chiesto una sola volta perché avessi deciso di scrivere un romanzo lungo e complesso proprio nel momento in cui lavorava a una pièce teatrale e a due sceneggiature.
Tutti, anche quelli che non sono mai stati sposati, sanno benissimo che qualsiasi coniuge in certi momenti sa che certe domande non vanno fatte, se ci si tiene a dare un futuro al suo matrimonio - e dunque non resta che concludere che il consorte di J K. Rowling è sinceramente interessato allo stato di salute del suo vincolo coniugale, oltre che una gran brava persona - e di questo mi rallegro sinceramente. Io però, che non ho alcun matrimonio con J. K. Rowling da conservare in buona salute e sono solo una lettrice, per quanto fedele e affezionata oltre che assai riconoscente per il molto piacere che i suoi libri hanno portato nella mia vita, potendo glielo chiederei volentieri.
"Signora cara, perché non si è presa un po' di tempo per fare le cose con più calma? Non c'era niente di insormontabile per lei in questo romanzo, manca solo l'ultima stesura".
L'ultima stesura. Quella in cui si lima, si taglia, si ritocca, si sfronda, si tolgono le ripetizioni.
Ebbene sì, è un libro troppo lungo, di un buon dieci per cento. Bastava togliere qualche riga qua e qualche riga là, e magari riaggiustare qualche scena. E trovo un vero peccato che questo non sia stato fatto, perché l'impianto di base sarebbe ottimo.
Non sono stata l'unica a dichiararmi insoddisfatta di questo romanzo. Qualcuno ha lamentato l'eccessivo spazio dedicato alle vicende personali dei due investigatori, Cormoran e Robin. Finiranno insieme? Uno dei due farà il Grande Passo e deciderà di provare a trasformare il loro eccellente rapporto di collaborazione professionale in qualcosa di più affettuoso? Questa era la Grande Domanda che tutti i lettori si ponevano alla fine del libro precedente, e alla faccia degli spoiler dichiaro subito che no, al momento il Grande Passo non è stato fatto ma in qualche modo le cose sono andate avanti e non è detto che nel prossimo romanzo la situazione non quaglierà - che era più o meno quel che mi aspettavo e quindi sotto questo aspetto non sono rimasta delusa.
Un po' pallificata sì, però, devo ammetterlo. Perché d'accordo, tutti avevamo capito che il matrimonio di Robin, felicemente (?) avvenuto in chiusura del romanzo precedente era costruito non sulla roccia, bensì sulle sabbie mobili; con un abile colpo di coda J. K. Rowling lo solidifica a sorpresa e per un po' sembra chiaro che tutti, tranne Robin e Matthew,  che fanno un tentativo, siano consapevoli di questo. Poi le cose precipitano definitivamente e anche questo ce lo aspettavamo. Ma se qualche garbata variante sul tema aiuta il lettore a focalizzare certe questioni, insistere reiterando circostanze e riflessioni per decine di volte lo annoiano e viene il momento in cui il vero enigma non è se il matrimonio nonostante tutto sopravviverà (tutti diamo per certo che non succederà) ma se siamo più stufi di Robin che sembra una tigre depressa in gabbia, di Matthew che sembra più ottuso di Tiger e Goyle messi insieme o di Cormoran che medita e rimugina le stesse meditazioni non so quante infinità di volte.
Anche la storia gialla soffre di ripetizioni, e viene il momento in cui non capiamo più non tanto se il fratello cattivo è davvero cattivo o cosa sia stato effettivamente detto in un paio di telefonate-chiave, quanto chi abbia telefonato effettivamente a chi e che cosa abbia fatto il giorno X il fratello presunto cattivo - non perché effettivamente queste domande facciano parte dell'abile tranello in cui il lettore viene cacciato, ma perché la narrazione è confusa - senza contare che non si capisce nemmeno a che capitolo cercare per chiarirsi i dubbi.
In conclusione: una bella storia raccontata in modo piuttosto trasandato.
Tutto ciò non mi impedirà di leggere i prossimi romanzi di J. K. Rowling, ma sconsiglio vivamente, questo sì, di partire dal presente romanzo per approcciarla - perché se partite da questo romanzo non è affatto sicuro che vi verrà voglia di leggere anche gli altri.
Insomma, triste a dirsi: buona lettura, ma non aspettatevi troppo.

giovedì 13 febbraio 2020

La Prima Asserpentata

Serpentelli giocherelloni. Ma poi mordono
Quest'anno, dicono tutti, le prime non sono granché. Per fortuna c'è la Prima Asserpentata, tanto buona e brava e carina. Che prima carina, che prima coccolosa, mentre le altre sono così difficili e inquiete e infantili. Del resto, la prima Asserpentata è stata fatta su misura per la Ragazza dei Centri Sociali*, che però non ci sta quasi mai perché ha paura di entrare in classe (e mi sa che fa proprio bene a non entrarci!).

Di primo acchito la Prima Asserpentata non mi aveva granché entusiasmato. Ma si sa, io con le prime non mi ci trovo mai molto bene all'inizio, un po' perché non voglio spaventarli, molto perché sono ancora bambini e io con i bambini comunico poco e allora sto buona e cheta nel mio cantuccio, tasto con delicatezza e aspetto che crescano un po' - e forse per questo dicono alle prime di solito piaccia molto, o almeno così mi assicurano colleghi e genitori.
Poi, l'orario. Ho due ore con loro, e una è la sesta ora del Venerdì; le classi prime già alla quinta ora combinano poco, figurarsi alla sesta. Sta di fatto che, con me, la prima tanto coccolosa faceva un gran casino e sbarcare la lezione per me non era proprio una passeggiata. Limite mio, senza dubbio.
Tutti i colleghi che ci lavoravano però erano tanto soddisfatti.
Col tempo lo sono diventati un po' meno.
Per esempio: d'accordo alzarsi in piedi quando entra l'insegnante. Io non lo trovo proprio del tutto indispensabile ma se gli fa piacere, perché no?
Un po' meno bene il fatto che salutino in coro "Buongiorno professoressa" con le loro vocette acute da hobbit.
Ancor meno bene che lo urlino a gran voce.
E il primo giorno son stati lasciati fare, poi garbatamente rampognati perché non dovevano urlare. 
Tre mesi dopo eravamo ancora punto a capo.
"Proprio non c'è verso di farglielo capire, che non devono salutarci urlando" ho commentato scocciata a voce assai udibile un giorno in un casuale attimo di silenziomentre davo il cambio a Spagnolo. 
"Sembra proprio di no" ha risposto la collega sullo stesso tono.
Da allora si sono un po' calmati, almeno al momento dell'ingresso, e si limitano a scrivere il benvenuto agli insegnanti delle varie ore sulla lavagna con gessetti colorati, ideogrammi cinesi e raffinata scrittura indiana (ebbene sì, ci abbiamo un cinese e anche un rappresentante del subcontinente indiano, e parlano entrambi un eccellente italiano).
Poi c'è  l'Assalto alla Baionetta, tipico delle classi prime: tutti aggrappati alla cattedra che urlano tutti insieme - sempre con le solite vocette acute "Prof, posso dire io l'esercizio? Prof, posso restare qui di banco? Prof, posso andare a buttare questo? Prof, posso fare questo, quello e quell'altro ancora? Prof, Abraracourcix ha fatto questo, questo e quest'altro e mi ha anche preso la penna!".
Lo fanno parecchie prime, all'inizio, ma col tempo e la pazienza le cose si calmano, di solito.
Nella Prima Asserpentata però si è calmato ben poco. In compenso qualcuno si è anche picchiato (e non in modo giocoso) e qualcuno è stato insultato dai compagni in quanto straniero, e mi rifiuto di scendere nei dettagli.
Così adesso entro con fiero cipiglio, urlo "A posto" ed eventualmente scudiscio per un buon cinque minuti di gelida predica.
Allora si chetano, più o meno. 
Ma non è esattamente il tipo di ambiente in cui è gradevole far lezione. A me piace avere una classe allegra e brusiva, che chiacchiera e interviene. Qui, se uno interviene nel giro di pochi secondi la classe diventa una bolgia infrequentabile.
Insomma, due palle da non dirsi.

Sono andata a rileggermi gli appunti di quando le prime ci sono state presentate dagli insegnanti delle elementari, e ho scoperto che di molti è stato detto che tramano sottobanco, che tendono a prendere in giro i compagni, che... insomma, su venti almeno sette ci sono stati presentati come veri e propri serpenti a sonagli.
Sicuri che una collezione di serpenti a sonagli sia adatta ad accogliere la Ragazza dei Centri Sociali che ha paura a stare in classe ? Non è che questo tipo di ragazzi non abbia le antenne, anzi sospetto che le abbiano ben più lunghe della media.
Qualcuno poi non è esatto dire che lavora sottobanco - dire apertamente a piena voce al compagno che ha sbagliato una risposta che non ha cervello non mi sembra sia esattamente una manovra sotterranea. Ma almeno su quello si può intervenire. Per gli insulti detti di nascosto, che qualche genitore viene a riferire ma che gli insegnanti non riescono mai a sentire però la questione si fa più complessa - anche se il Serpente Xenofobo, richiesto se davvero diceva questo, questo e quest'altro in effetti lo ha ammesso senza remore, e dunque anche lui tanto sottobanco non direi che lavora.
C'è poi la Ragazza Irruenta, quella che picchia i compagni. Ci avevano raccontato un lungo e complesso pettegolezzo sulla madre. Soltanto quando ho visto la madre in questione insieme a un gruppo di genitori che la tenevano visibilmente a distanza e in castigo trattandola come una appestata mi sono resa conto della complessità della situazione: le faide di paese sono un vero strazio e St. Mary Mead sotto questo aspetto non è certo migliore della media.
È chiaro che la ragazza vive sulla difensiva e, avendo un carattere piuttosto focoso, reagisce a modo suo. Possiamo comprendere e scusare, ma non lasciarle usare i compagni come punching ball, nemmeno se i suddetti compagni la stuzzicano.

Insomma i serpentelli stanno cercando di marcare il territorio, spesso con tattiche tutt'altro che consone all'ambiente scolastico, e in classe non è che si raccatti granché sul piano didattico.
"Proviamo col lavoro di gruppo" ha suggerito una collega.
"Quelli si ammazzano, se li mettiamo a fare il lavoro di gruppo" ho predetto io.
Comunque ci ho pensato su, ho tirato fuori un paio di trovate dal cilindro e li ho messi a fare il lavoro di gruppo.
Non si sono ammazzati, e hanno pure lavorato discretamente. Non solo, hanno lavorato decentemente anche nelle lezioni successive e quello che la compianta** prof. Marzapane chiama "il mimmaio" si è un po' placato, a tratti. Forse stanno crescendo, almeno un po'. 

A volte i rimedi della nonna funzionano, almeno sul momento.

* no, non quelli tanto deprecati dai partiti di destra. Si tratta di associazioni che gestiscono ragazzi allontanati dall'ambiente familiare per tutta una serie di motivi uno più lacrimevole dell'altro.
** no, non è morta. Gode anzi di ottima salute. È soltanto andata in pensione, suo malgrado, in un tempo in cui tutti cercano disperatamente di andare in pensione e non ci riescono perché aveva ormai troppi contributi. Adesso ci fa il recupero di Matematica gratis et amore Dei e quindi a scuola la vediamo ancora.

lunedì 10 febbraio 2020

Lunedì film - Jojo Rabbit


Di tendenza scanso come la peste i film su nazismo, deportazione, prima e seconda guerra mondiale e credo di essere l'unica italiana vivente che non ha mai visto nemmeno La vita è bella; li trovo troppo deprimenti per la mia delicata sensibilità e tanto c'è sempre qualche collega volenteroso che rifila alle terze qualche film assolutamente agghiacciante su questi temi. Un po' meglio digerisco i saggi storici su questi deplorevoli argomenti, e infatti ne ho macinati una rispettabile quantità. Tuttavia qualcosa in questo film mi chiamava e richiamava, e così un giorno mi sono fatta forza e mi sono imbucata in una proiezione pomeridiana.
Cosa strana, ne sono uscita un po' scocciata dicendo a me stessa che il vero vantaggio di averlo visto era che a quel punto potevo dire onestamente che non valeva la pena di vederlo. Cosa ancora più strana, ho continuato a pensarci per diversi giorni riandando con la memoria a diverse scene e adesso sono convinta che mi sia piaciuto molto, non solo, ma lo trovo particolarmente adatto per le scuole medie. Ripensandoci ancora, mi sono resa conto che quasi tutto il film mi era piaciuto moltissimo, e che l'unica cosa che mi era andata di traverso era il finale - proprio gli ultimi trenta secondi, quando i due protagonisti, peraltro quasi gli unici sopravvissuti di tutto il blocco dei personaggi, cominciano a ballare sulle note della versione tedesca di Heroes di David Bowie. Prima o poi capirò come mai proprio quello mi ha irritato, per adesso non me lo spiego - in fondo la canzone era del tutto pertinente oltre che molto bella, e c'era anche un motivo specifico perché i due si mettessero a ballare tra le macerie, ora che la guerra era finalmente finita.
In compenso ho trovato molto carina l'idea di inserire, all'inizio, la versione tedesca dei Beatles di I Wanna Hold Your Hand che invece all'apparenza c'entrava molto meno anche se sul momento mi è sembrata del tutto pertinente.
Jojo è il nome del protagonista, un adorabile e pucciosissimo ragazzino di dieci anni (dieci e mezzo alla fine del film) che si guadagna il soprannome di Rabbit quando, all'adunata della gioventù hitleriana cercano di convincerlo a strangolare un coniglio puccioso quasi quanto lui. È chiaro che il ragazzino non solo non vorrebbe affatto strangolarlo, ma anzi che l'unica cosa che gli verrebbe in mente, lasciato a sé stesso, sarebbe di cercare di farci amicizia perché gli piace moltissimo - e infatti il povero coniglio gli sta in braccio tranquillo e fiducioso. Nonostante le esortazioni a farlo fuori Jojo tenta di liberarlo, ma il coniglio viene ugualmente strangolato da un adulto che interviene prontamente - e lì ci rendiamo definitivamente conto, in verità senza sorprenderci più di tanto, che il ragazzo, nonostante tutta l'esaltazione nazista che professa a gran voce con sincero entusiasmo, nonostante sia stato imbevuto fino all'osso con la migliore propaganda di regime tanto da farsi addirittura Hitler come amico immaginario, non è più nazista del fiducioso coniglio che tiene in braccio.
Per lavare il suo onore Jojo decide allora di sparare una granata - che naturalmente esplode troppo presto ferendolo gravemente; il tutto però si risolverà con un leggero problema a una gamba e qualche leggera cicatrice in viso, più o meno della stessa gravità di quelle che può infliggere un gatto affettuoso quando fa le paste con troppo entusiasmo sulle mani del suo umano preferito.Quanto alle ferite morali, sua madre e il suo amico immaginario provvederanno a curarle nel migliore dei modi.
Siamo alla fine della seconda guerra mondiale. La Germania sta perdendo e lo sa. Jojo abita con sua madre in una casa piuttosto ricca e anche se il cibo e il carbone sono razionati anche per loro, i loro abiti sono di caldi e di ottima qualità e la loro vita è piuttosto confortevole. La madre in realtà lavora per la resistenza (come il padre, ufficialmente disperso in guerra ma in realtà disertore) ma è una donna saggia  oltre che una madre amorevole e quindi si guarda bene dall'interferire nello sfrenato patriottismo del figlio.
La trama è molto semplice: un po' di gioventù hitleriana, una ragazzina ebrea che la madre tiene nascosta nel sottoscala con cui Jojo farà amicizia dopo un po' di inziali zuffe e che gli spiegherà che gli ebrei non sono diversi dagli altri esseri umani (geniale la scena in cui Jojo le chiede di spiegargli dove la loro regina madre depone le uova). Poi la madre viene scoperta e impiccata (geniale anche la scena dove Jojo la ritrova e gli spettatori la riconoscono dalle scarpe ma senza che venga mai inquadrata la figura intera). I due bambini rimangono soli a guardare i bombardamenti (che risparmiano miracolosamente la loro casa), poi il ragazzino fruga tra i rifiuti per rimediare un po' di cibo e infine, dopo che tutto il mondo di Jojo tranne la casa è andato in pezzi e anche l'amico immaginario è stato cacciato via in malo modo, arrivano gli alleati, e da lì in qualche modo si ripartirà.
Il film parte come racconto surreale, poi resta a lungo sospeso tra favola e racconto dell'orrore e finisce con i titoli che scorrono sui due ragazzi che ballano tra le macerie - suppongo perché in qualche modo doveva pur finire, e quello era un modo come un altro, magari non il più felice ma forse avevano esaurito le idee, e comunque in tanti per quel finale ci sono andati pazzi. Più che una storia sul nazismo la definirei la storia di un'anima innocente che nonostante tutto e tutti riesce a mantenersi tale e che serve a ricordarci, a noi che sappiamo benissimo che gli ebrei non deponevano uova ed erano comuni esseri umani, che anche i tedeschi non deponevano uova e nonostante tutto erano comuni esseri umani - un messaggio tutto sommato confortante, di quelli che mi piacciono.
Come ho già scritto, nel complesso mi è piaciuto nonostante l'irritazione per il finale, e sospetto possa piacere parecchio a degli adolescenti. L'anno prossimo farò la prova.

domenica 9 febbraio 2020

La nuova, innovativissima didattica DADA - 1 - Guardarsi dalle fake news, prima di tutto

Grande successo per il gatto influencer che recensisce gli angoli della casa in cui dorme

22 Ottobre 2019
A Settembre, col nuovo anno scolastico, dovrebbe partire nella nostra scuola media la nuova e misteriosa didattica DADA, regolarmente approvata in Collegio qualche tempo fa; così, per fare un po' di formazione, un gruppo di colleghe sono andate ad un congresso che appunto alla didattica DADA era dedicato.
"Non è solo questione di far spostare i ragazzi, è una didattica altamente innovativa" mi spiega la Decana di Sostegno.
"Cioè?" provo a informarmi.
"Non si fa più lezione frontale, è proprio una cosa diversa. Per esempio potremmo avere l'insegnante di Lettere specializzato in poesia".
Non nascondo la mia perplessità: tutti gli insegnanti di italiano fanno anche un po' di poesia, ma in vari periodi dell'anno, e comunque mi sembra strano che...
"No, quello che l'ha detto è un preside delle superiori" mi rassicura Matematica.
Ma in effetti per quel che mi risulta, pure alle superiori fanno anche poesia, e continua a sembrarmi strano che...
"Ma no, è tutto come prima" mi rassicura la prof. Casini "Però ognuno potrà personalizzarsi l'aula. Io per esempio vorrei mettere una grande foto della casa di Pascoli, ma di fatto non cambierà molto, continueremo come abbiamo sempre fatto".
"Io preferirei metterci un grande poster con un drago" dichiaro. La casa di Pascoli proprio no, grazie, oltretutto Pascoli non mi piace nemmeno un granché.
"E tu ci metterai il tuo drago, ma poi resterà tutto come prima".
Qualche settimana dopo altre insegnanti si riuniscono per decidere come dividere gli spazi - che in effetti sembra la prima e principalissima questione senza venire a capo della quale non potremmo fare alcuna didattica DADA, con o senza draghi o foto giganti della casa di Pascoli e con o senza insegnanti specializzati in poesia.
La mattina dopo chiedo lumi appunto su come procede il Gran Progetto per l'attribuzione degli spazi. Perché siamo venticinque, sostegni compresi, e noi venticinque aule non le abbiamo.
La prof. Ghirlandai e la prof. Quadrella mi spiegano che infatti che le insegnanti di Lettere avranno un aula in due.
"Ma non sarà un po' complicato per l'orario?" chiedo. Perché un'altra voce che circola è che l'orario dovrà essere a coppie di ore, anche se non è chiaro come possa farlo Inglese, che di ore ne fa tre a settimana per classe.
"Infatti dice che Inglese dovrebbe fare per un periodo due ore, e per un altro periodo quattro".
A me sembra un delirio, così come mi sembra altrettanto delirante l'idea di fare Storia e Geografia una volta a settimana.
"Eh, ma Storia e Geografia andranno fatte in maniera laboratoriale".
"Laboratoriale" è una di quelle parole che sento dire ormai da molti anni, anche se nessuno mi ha mai spiegato cosa vuol dire applicarla a Lettere e anche se sospetto che le mie lezioni di Grammatica siano piuttosto laboratoriali - o almeno mi sembrano un po' così, anche perché mi ispiro abbastanza a come le fanno gli insegnanti di lingua straniera nell'apposito laboratorio (e come le facevano a me quando ho fatto dei corsi in istituti privati che non avevano alcun laboratorio).
La sera prima di dormire però mi viene in mente un piccolo dettaglio: il mio orario è su 18 ore, come quello di tutte le mie colleghe di Lettere - o quasi, perché in effetti abbiamo anche uno spezzone.
18 + 18 farebbe 36, e noi abbiamo un tempo-scuola di 30 ore su cinque giorni.
Come fanno due insegnanti che lavorano per 36 ore a suddividersi un'aula dove le ore si lezione sono 30?

La mattina dopo chiedo alla prof. Therral "Al ministero hanno delle giratempo da mandarci? Perché altrimenti mi sembra difficile che in due possiamo condividere la stessa aula di Lettere".
"Ma no, ogni insegnante di Lettere avrà la sua aula, è stato deciso così".
Intorno a lei altri insegnanti annuiscono.
"Oh? Immagino di aver capito male".
Mi guardo bene dal chiedere come faremo con gli spazi, perché continua a sembrarmi che non ci siano abbastanza stanze per darci un'aula a testa, nonostante il gruppo di laboratori di cui disponiamo, ed è probabile che qualcuno dovrà comunque un po' arrangiarsi, visto che il Ministero probabilmente non dispone di Giratempo, essendo dette Giratempo andate tutte distrutte nel Giugno del 1996, durante la Battaglia del Ministero e non disponendo a St. Mary Mead di alcuna Stanza delle Necessità da usare per le ore eccedenti alle 30 del nostro tempo-scuola.
Una cosa tuttavia mi sembra chiara: le bufale non albergano solo nei social, ma si stanno installando saldamente anche nella scuola media di St. Mary Mead; ed è bene diffidare delle chiacchiere di corridoio, anche e soprattutto quando sembrano giungere da fonti affidabili.

martedì 4 febbraio 2020

Scrutini, ovvero Gli Implacabili Insegnanti di St. Mary Mead

Un implacabile insegnante agli scrutini di fine quadrimestre
(per rappresentare quelli di fine anno serve un modello più morbido)

Da qualche tempo medito sul deplorevole lassismo della scuola italiana. Sia chiaro che non sono di quelli che rimpiangono le scuole medie di un tempo, quando i ragazzi che ne uscivano  avevano una preparazione assai completa, pari a quella di chi oggi esce da un liceo di buon livello secondo Luca Ricolfi - ma lui non parla della scuola prima del 68, si rifà direttamente alla scuola media non unificata, quando la frequentavano pochi e scelti alunni di buona famiglia e qualche occasionale figlio di operai particolarmente brillante, come avvenne al mio signor padre che venne lì indirizzato dai suoi insegnanti dell'Avviamento, dove andavano le classi basse; quando andavano a scuola dopo le elementari, intendo.
Tuttavia la tesi sostenuta da Ricolfi sulla distruzione della scuola italiana perseguita negli ultimi anni, così come l'ha presentata insieme al suo libro a Radio Radicale mi ha fatto molto riflettere, anche se tornare a quella specifica scuola media, oltre che impossibile, mi sembra tutt'altro che raccomandabile.

Non posso fare a meno però di pensare che siamo andati decisamente un po' oltre: d'accordissimo che la scuola dell'obbligo deve essere inclusiva e accogliere e formare tutti, dal disagiato al disadattato al giovane immigrato appena sceso dal barcone al dislessico al disabile. È cosa buona e giusta (è veramente cosa buona e giusta) nostro dovere e fonte di salvezza e di benessere per tutti che sia così.
Tuttavia per conseguire tali nobili e giusti scopi e finalità servono una congrua quantità di soldi e personale variamente specializzato che affianchi gli insegnanti di turno; in Italia però si è preferito saltare questa tappa* e guardare accigliati gli insegnanti di turno che non riescono a conseguire ottimi risultati con tutti gli alunni. 
Siccome nessuna categoria professionale al mondo è disponibile a sentirsi in colpa financo per l'effetto serra quanto quella degli insegnanti, il metodo si è rivelato singolarmente efficace. Niente minacce, non servono - basta mandare a dire garbatamente che il Provveditorato non approva le bocciature attraverso il Dirigente Scolastico di turno, e a volte non è necessario nemmeno quello.
Ogni insegnante conosce il curioso fenomeno per cui, dopo aver passato settimane e mesi a lamentarsi di una data classe che non studia, non sa e non si impegna, improvvisamente agli scrutini la classe, a guardare i voti, risulta composta di alunni bravi e coscienziosi - e, tutto sommato, ogni insegnante contribuisce a quel curioso fenomeno.
Quest'anno ho quattro classi: una piuttosto brillante (non eccezionalmente, per il momento, anche se potrebbe diventarlo più avanti, ma brillante sì); una Terza di cui un buon terzo non è a rischio di abbandono scolastico, bensì assolutamente certa di non riuscire nemmeno a cominciare qualcosa per poi abbandonarlo una volta uscita dalla nostra scuola - salvo miracoli, che naturalmente possono sempre verificarsi (e a volte, nonostante tutto, davvero si verificano); una Prima che non mi convince neanche un po' - ma naturalmente non possiamo vessare una prima allo scrutinio del primo quadrimestre, e di questo sono saldamente convinta, a torto o a ragione, senza contare che, ognuno a modo suo, lavorano - e la Seconda Invasata, che a mio avviso, con qualche blanda fustigazione, potrebbe svasarsi e fare ottime cose. Sono classi che conosco superficialmente, visto che ci passo poco tempo (un po' di più quella brillante, dove faccio anche storia) ma dopo quattro mesi ho ben realizzato che la Seconda Invasata studia poco e male, impegnata com'è nelle sue beghe interne.
Geografia è una materia domestica, si può fare in tanti modi, anche molto creativi. Il mio obbiettivo comunque è una buona esposizione: la capacità di fare una bella chiacchierata su un argomento infarcendola di tutte le cose che non sono sul libro ma che conoscono dalla vita di tutti i giorni e anche dalle altre materie.
Gli Invasati all'inizio hanno visibilmente tirato a campare cercando di convincermi ad abbassare l'asticella. Dopo una bella seminata di cinque e di quattro hanno cominciato a darsi un po' da fare. Un po' di esercizi stravaganti ma divertenti li hanno in parte riportati a un ordine di idee un minimo studiereccio, tuttavia ancora non ci siamo, proprio no.
Così ho distribuito una valanga di sei, una manciata di sette e un otto - che non era un otto pieno, ma confido che lo diventerà. Mi sono sentita molto generosa, specie mentre trasformavo in sei un paio di cinque e mezzo pensando "gli farà bene avere almeno qualche sufficienza, povera stella, sennò si deprime e davvero non fa più nulla" e sentendomi la settima reincarnazione di Camillo de Lellis (santo particolarmente noto per la sua grandissima misericordia verso gli infermi) mi sono avviata verso gli scrutini assai compiaciuta di me e della mia sconfinata bontà. Perché io credo fermamente nell'utilità di un voto un po' ritoccato per aiutare chi si sente sperso e incompreso ma che sta cominciando a impegnarsi anche se tutto è ancora molto difficile per lui, e credo che Geografia sia particolarmente adatta per confortare questo tipo di infelicità, così come credo che un voto leggermente ribassato sia di grande sprone per chi non ha ancora imparato a vendersi bene ma sa di poterlo fare.

Dagli ululati dei colleghi da me collezionati nei Consigli e nelle conversazioni informali in corridoio immaginavo di trovarmi davanti a un cimitero dove i miei voti avrebbero brillato per soverchia generosità e mi ero anche preparata un discorsetto dove avrei fieramente affermato che, voti alla mano, veri cinque io non ne avevo - anche se in cuor mio ero perfettamente consapevole che, quando da parte della creaturina scrutinata c'è un po' di impegno, i voti volendo si possono anche un po' pilotare, per esempio allestendo prove semplici e ben guidate; e in verità, in questi quattro mesi, in quella classe mi sono sentita spesso una balia che imbocca pazientemente, un cucchiaino per volta. 
I voti della classe brillante, per intendersi, non sono affatto pilotati né c'era stato alcun motivo di farlo. E sono decisamente più alti. O mirabile potenza dello studio continuativo!
Ma ho scoperto, davanti al tabellone dei voti, che non avevo capito niente della vita e che in realtà si trattava di una classe dal profitto decisamente brillante.
Ora, non ci sarebbe niente di male se, semplicemente, la classe Invasata avesse stabilito che di Geografia non gli importava un accidente e la avessero schifata riservando tutte le loro energie a ben più meritevoli materie e insegnanti. Mi sarei dovuta fare magari un esame di coscienza, o ingoiare il triste rospo del fatto che non gli piacevo meditando su come rendermi più gradita. E del resto sono l'ultima arrivata, faccio due ore, che trascurino la mia materia ci può stare. Ma allora perché gli altri ululavano sul loro profitto, se con loro erano tutti sette e otto e pure parecchi nove?
E anche: io il voto lo do soprattutto sull'esposizione. Se questi benedetti figlioli espongono Storia (che è pure molto più difficile) da sette e da otto, perché quando sono con me fanno fatica pure a leggermi i confini sulla carta geografica? Lì non importa spremersi le meningi, basta guardare.
Sta di fatto che spesso e volentieri il mio sei buonista era l'unico malinconico sei in mezzo a uno sfolgorio di sette e di otto. Unica eccezione, i voti di Musica, che era arrivato armato di ben tre crudelissimi cinque ma se n'è rimangiati due senza alcuna pressione. E addirittura, in un paio di casi, sono stata garbatamente rampognata da Italiano (no, non dalla Preside Caramell) con una velatissima esortazione ad alzarli a sette, ma ho lasciato la velatissima esortazione ben avvolta nel suo velo. Intorno a me era tutta una gara al rialzo. Ho taciuto pudicamente, ma, gente mia, quando preparate i voti per gli scrutini a cosa pensate, per sbagliarne tanti?
Evvabbé, forse sono io che non gli piaccio, o forse è Geografia, oppure entrambe le cose. Perché, a quanto pare, vanno maluccio solo con me.
Quanto ai due poveri infelici e incompresi, a quanto pare gli altri li sanno comprendere meglio di me. Buon per loro (per gli incompresi, intendo).

Non oso immaginare cosa succederà con la Terza alla deriva, dove ho messo ben tre cinque, e uno è pure un quattro travestito.

Nota a posteriori:
Ho fatto lo scrutinio della Terza Alla Deriva, col gruppo di insegnanti con cui sono abituata a lavorare: i miei voti sono risultati perfettamente in linea con quelli degli altri e i cinque e perfino un quattro sono fioccati copiosi. Sono stata contenta di scoprire che gli anni della malattia non mi hanno incattivito e che continuo a dare i voti che ho sempre dato. Era solo il contesto ad essere cambiato.

* con la scusa che i soldi non ci sono. E allora se non ci sono i soldi ponetevi dei traguardi meno ambiziosi!