Pudding inglese o panettone?
Entrambi, potendo. Altrimenti, quello che avete più facilmente sottomano o che preferite, tanto sono entrambi buonissimi
Ordunque, è mia malsana intenzione dedicarmi oggi ad un tema assai serioso, ovvero quello dell'uso dei prestiti stranieri in italiano.
Premetto che non ho nulla in contrario alle iniezioni, anche in dosi massicce, di parole straniere nella mia lingua nativa. Sono una dama hejan abbastanza acculturata da sapere che nei prestiti stranieri le lingue ci han sempre sguazzato alla grande.
Quanto all'italiano, lingua di frontiera per antica tradizione di una terra che dalla notte dei tempi si lascia visitare (e anche invadere) con grande facilità, sappiamo che di parole straniere è pieno e ben impastato come un dolce di Natale è pieno di canditi, uvette e zuccherini. Parole di origine greca, longobarda, araba, francese, spagnola, tedesca hanno sempre pascolano felicemente fianco a fianco delle parole di origine italica, e del resto è ben noto che l'incontro con le culture e le mode straniere arricchisce le lingue e le fa crescere, mutare ed evolversi. A volte magari si esagera un po', ma di solito la febbrata passa in pochi anni e il corpo estraneo viene incorporato nella lingua (manga, fan, medley), addomesticato (matriosca, sciantosa, brioscina) e più spesso, dopo qualche anno, tradotto (tramezzino, fine settimana).
A volte le ondate sono belle massicce, specie quando l'invasione di parole è stata preceduta da una invasione di truppe conquistatrici - da una di queste invasioni per esempio la lingua anglosassone non si riprese mai più e dal calderone nacque l'inglese, che andrebbe forse chiamato anglonormanno ma che è comunque lingua più che degna e che ci ha regalato una letteratura di grandissimo pregio.
Talvolta però l'impressione è quella di una gigantesca presa di giro.
Morbus Anglicus è un celebre (in alcuni ambienti) articolo pubblicato nel 1987 da Arrigo Castellani, esimio linguista che per vari anni ha insegnato Storia della Lingua Italiana all'Università di Firenze - un eccellente studioso che però molti dei suoi allievi consideravano alla stregua di un pazzo furioso appunto per questa sua paura di una invasione di termini inglesi, che suggeriva di adattare variamente, talvolta italianizzandoli (come nel caso di sanguiccio, che avrebbe dovuto rimpiazzare il sandwich e che oggi è tornato panino o al più tramezzino, oppure il mirabile coccotaglio che avrebbe dovuto sostituire il cocktail) e talvolta traducendoli (come nel caso di entredima, che avrebbe dovuto sostituire week end, sopravvissuto ormai da tempo rimpiazzato dal ben più banale fine settimana nella maggior parte dei casi).
L'articolo comunque suscitò un certo vespaio che andava ben oltre gli scherzi e i lazzi degli irriverenti universitari (nel cui numero mi pregiavo di appartenere) ed esimi linguisti discussero il curioso fenomeno, alcuni convenendo che la nobile lingua italiana stava andando in gran decadenza per colpa di sì dissennati prestiti, altri che il problema era in verità assai contenuto e tante volte si era già presentato e altrettante volte era stato agevolmente superato. Ad ogni modo il sanguiccio (o sanduiccio, a seconda di come si decida di traslitterare il gruppo dw, e in italiano, almeno nei tempi andati, la traslitterazione più corretta era appunto -gu-) e l'entredima non hanno mai attecchito molto, al di là della divertita cerchia degli allievi che si divertivano assai ad offrire coccotagli agli amici in visita, e anche le mission e le vision che usavano molto negli anni Novanta tra i manager rampanti hanno ormai un certo consolante tocco d'antan.
In compenso però adesso sta piovendo di tutto dall'inglese, o meglio dall'americano, molti dei più convinti sostenitori dell'innocuità del morbus anglicus hanno visto assai indebolite le loro convinzioni e si sono fatti ben più catastrofisti in materia ammettendo di aver sottovalutato il problema e anch'io sto cominciando ad avvertire i sintomi di una certa saturazione.
Il punto è che, mi sono accorta con orrore, sono cominciati a entrare in scena i verbi. E questo non mi piace perché incastrare un verbo inglese in una frase italiana produce risultati atroci per le mie orecchie - anche perché i parlanti che esibiscono sì orripilanti frasi mostrano chiari segno di conoscere male l'italiano e peggio ancora l'inglese. Non ne viene fuori una lingua ancora ibrida prodotta da persone ormai abituate a pensare contemporaneamente in due lingue e a riportare dalla loro seconda lingua la parola o il concetto che nell'altra lingua un vero equivalente non ce l'ha - quello, probabilmente, mi piacerebbe o comunque mi ci adatterei di buon grado perché si sa, la lingua la fa il parlante, e il gergo pure. Ma spesso e volentieri ne viene invece fuori un pastone che gli stessi maiali, per quanto onnivori, faticherebbero assai a mandare giù.
Non posso farci niente, quando sento parlare di qualcuno che ha fatto outing - o, un minimo più correttamente, ha fatto coming out nel senso che è uscito allo scoperto, ha rivelato qualcosa di sé (di solito una sua preferenza in fatto di partner, ma ormai si usa per qualsiasi tipo di rivelazione destinata a fare una certa impressione su chi ascolta) mi si attorcigliano abbastanza le budella perché la frase che ne risulta è orripilante sia in italiano che in inglese. Comunque gli anni ci riveleranno se fare coming out diventerà un verbo stabile in italiano, come fare la partenza o far finta di niente, oppure se verrà addomesticato in qualche modo.
Di fatto, molti dei prestiti inglesi entrati negli ultimi tempi in circolazione sembrerebbero presumere una certa dimestichezza con la lingua inglese - che invece in Italia al momento scarseggia - e invece di introdurre concetti nuovi che la nostra lingua ancora non contiene danno l'impressione di una traduzione maldestra improvvisata al puro scopo di dare un tono di distinzione al discorso; senza grandi risultati, peraltro, perché, insomma, come di fa a prendere sul serio qualcuno che ti parla di decision making o di problem solving? E cosa si deve pensare vedendo annunciare trionfalmente sulla copertina di un libro di testo che dentro c'è anche la flipped classroom, che già fa ridere anche in italiano (classe capovolta) e che, insomma, consiste nientemeno che nel mettere in cattedra uno o più allievi a riferire i risultati di un lavoro o di una ricerca - che non solo è una pratica comunissima oggi in base alle più moderne tecniche didattiche, ma lo era già quando facevo le elementari e ci chiamavano alla cattedra per esporre le varie ricerche sulla taiga, Mozart, Alessandro Volta e Giacomo Leopardi? Quanto a classroom come prestito inglese mi sembra ben al di là del ridicolo e dell'inutile. Se proprio si vuol fare una robusta iniezione anche a livello sintattico di lingua inglese nella lingua italiana giusto per il gusto di infilarci dei concetti che anche in italiano già ci sono, per pietà, non sarebbe il caso di farlo fare a qualcuno che ha un po' la conoscenza di almeno UNA di queste eccellenti lingue che ci si accinge a manipolare, e usare un po' di criterio?
In conclusione: non credo che il peer learning (apprendimento tra pirla? Ma non mi sembra molto gentile, detto così) e il cooperative learning (imparare alla Coop? Perché no, organizzando delle attività anche molto valide per le scuole) metteranno a serio rischio la struttura e l'essenza della lingua italiana, ma finché le mie povere budella sono ancora fragili e delicatine farò bene ad accostarmici con molta cautela, applicando insomma un indirizzo (way) di cautive learning.
Mi verrebbe da esclamare, To The Face Of cheesehorse!" e chissà se anche gli inglesi capirebbero! ^_^
RispondiEliminaOddio, mi hai fatto veramente ridere con l'apprendimento tra pirla.
RispondiEliminaComunque sono del tutto d'accordo con quello che hai scritto.
Non so se lo conosci, ma c'è un blog interamente dedicato a questo argomento Diciamolo in italiano, dove, con numeri alla mano, spiega come l'invasione dell'inglese o (pseudoinglese) sia un fenomeno preoccupante e da non sottovalutare.
Entrambi, entrambi, e anche pandoro, struffoli, christstollen bûche de Noël e tutto ciò che fantasia vuole!!!
RispondiEliminaFesteggiamo.
Lavorando in una multinazionale estera, purtroppo molti dei termini che hai usato li conosco fin troppo bene e temo che ormai siano insradicabili :-) Poiché poi non esistono grandi aziende senza ambizioni (o influenze) estere, anche quelle prettamente italiane si sono adeguate. Il problema è quando questi termini finiscono "fuori azienda": in questo caso si puo' incorrere in... incomprensioni :-)
RispondiEliminaRicordo, già parecchi anni fa, di un collega che ando' al cinema con degli amici. Non trovarono sufficienti posti liberi adiacenti per stare tutti vicini ma sarebbe bastato che una coppia si spostasse di un posto, e potevano farlo, per riuscirci. Allora il mio collega chiese gentilmente "Scusate, potreste mica SHIFTARE di un posto?". Puoi immaginarti gli sguardi interrogativi di ritorno :-P
www.wolfghost.com
Ricordo con orrore un'intercettazione, di qualche anno fa, "sottratta" a Nicole Minetti (che,in effetti, ha un nome francese), che iniziava con le parole: "Ti devo briefare sulla situation...". Ora che ci ripenso, credo che avrebbe dovuto farmi piuttosto tristezza.
RispondiElimina@Romolo:
RispondiEliminaNon lo so, i nostri cheese non sono troppo familiar per loro ^_^
@ Kuku:
Ebbene, è proprio da quel blog che ho scoperto che quelle che avevo sempre ritenuto "le innocue fissazioni del prof. Castellani" erano in realtà state oggetto di un ampio dibattito. Di tendenza io continuo a sottovalutare, ma quest'ultima ondata mi lascia perplessa - non tanto per l'entità, quanto per il fatto che molte sono proprio appiccicate lì, soprattutto tra gente che di inglese ne mastica veramente il giusto :(
@ Pellegrina:
Condivido in pieno il tuo ecumenismo, e ci aggiungo anche panforte e ricciarelli, grande vanto della tradizione pasticcera senese (che lovvo tantissimo)
@ Woilf:
E' bellissima, e "shiftare" mi mancava davvero! Comprendo perfettamente lo stupore dei poveretti, che si stavano senza dubbio chiedendosi cosa fare con quel pazzo ioncautamente lasciato in libertà...
@ Gaber_Ricci:
Orrore e tristezza mi sembrano reazioni ugualmente valide: anche perché la creatura, per quel che mi è sembrato di capire, non aveva un livello culturale particolarmente elevato - e infatti entrambe le parole straniere erano assolutamente fini a sé stesse, in particolar modo la situation...
Flipped classroom= mostra e dimostra (show and tell) dei Peanuts :-)
RispondiEliminaIo, che insegno inglese, quando sentii il termine le prime volte pensai: ecchellè la flipped classroom. In effetti, come dici tu, il concetto non è affatto nuovo...ma come lo dicono loro, eh? :-D
"Icchell'è la flipped classroom" è stata esattamente la mia reazione quando ne sentii parlare per la prima volta.
RispondiEliminaPer chi, come te, per motivi di lavoro l'inglese lo mastica spesso e volentieri, immagino sia stato ancor più surreale...