venerdì 22 febbraio 2019

Nel Giappone delle donne - Antonietta Pastore


Una volta tanto ho deciso di presentare al Venerdì del libro di Homemademamma un saggio, e più precisamente un saggio dedicato alla condizione femminile in Giappone pubblicato nel 2004. L'autrice, Antonietta Pastore, è una traduttrice dal giapponese molto blasonata, ma soprattutto ha sposato un giapponese e ha vissuto in Giappone dal 1977 al 1993; si presenta dunque perfettamente qualificata ad illustrare al nostro italico sguardo le convenzioni e i modelli su cui si basa l'esistenza femminile in quell'affascinante e misterioso paese i cui abitanti fanno tutto a modo loro, maschi o femmine che siano, e sempre secondo una infinità di regole non scritte ma fortissimamente interiorizzate, al punto che  non è nemmeno necessario citarle perché sono assolutamente implicite. 
L'indubbia competenza sull'argomento, unita ad una scrittura molto scorrevole e ad un notevole spirito di osservazione fanno di questo libro una lettura assai avvincente per chiunque sia interessato all'argomento, in particolar modo per una lettrice amante di manga e che negli anni della sua radiosa giovinezza si ritrovava a riflettere e sentir discutere di condizione (e oppressione) femminile a colazione, pranzo e cena e che, ritrovandosi negli anni della maturità davanti a quella folta schiera di personagge sempre incredibilmente ordinate e ben regolate, misurate nei movimenti quanto nelle parole e perfettamente padrone di sé nelle più strampalate circostanze, sempre capaci di sorridere impeccabilmente pur quando erano immerse nel caos più assoluto*, finiva inevitabilmente per domandarsi se cotali creature erano esclusivo frutto di convenzioni letterarie o se in realtà avevano qualche, sia pur tenue, collegamento con la realtà.
"Le donne giapponesi ci sono o ci fanno?" è domanda che il lettore, e soprattutto la lettrice di manga e di letteratura giapponese finisce per porsi all'incirca un paio di volte per ogni tavola illustrata o pagina che gli capiti sotto gli occhi.
Finito di leggere questo libro, la risposta che si affaccia alla mente è "Entrambe": il modello culturale proposto non tanto per la Donna Ideale, quanto proprio per la Donna Normale - quella che incrociamo alla cassa del supermercato o all'uscita di scuola dove siamo andate a prendere i nostri figli, la vicina di casa, la giornalaia dove acquistiamo le riviste o la commessa che ci guida alla ricerca di un pullover azzurro-cenere, è talmente interiorizzato che finisce per aderire come una seconda pelle alla bambina, ragazza, adulta e anziana giapponese - un pensiero sconcertante per una femmina italiana, che certamente non è in alcun modo libera da condizionamenti culturali legati al suo sesso ma che di sicuro non è intralciata dal divieto non scritto di palesare le sue più profonde emozioni, anzi si sente quasi obbligata ad esternarle con gran fracasso (occorre però considerare come il codice culturale giapponese prevede non solo l'imperativo categorico di non far pesare le proprie emozioni sugli altri, ma anche e soprattutto l'abitudine alla disciplina e al rispetto incondizionato delle regole - due caratteristiche che non sono particolarmente dominanti qui da noi).
Scopriamo allora che esistono regole specifiche per i maschi e altre per le femmine; e sono regole che a volte complicano non poco la vita dei traduttori perché, tanto per fare un esempio, maschi e femmine fin da piccoli usano parole differenti (quelle riservate alle femmine sono, naturalmente, più aggraziate e spesso e volentieri leziose, nello stile da compagnucci della parrocchietta); ovvio che quello che vale per la scelta delle parole vale anche per la scelta dei colori nell'abbigliamento, per i gesti eccetera eccetera, fino ad arrivare alla divisione dei lavori di casa, che è in realtà molto semplice: il padre di famiglia non deve impicciarsene. Allo stesso modo non deve impicciarsi della gestione delle spese, che spetta interamente alla moglie (mentre su di lui ricadono l'onere e l'onore di guadagnare i soldi per le spese in questione per poi consegnare l'intero stipendio nelle mani della moglie che provvederà ad assegnargli una specie di paghetta per le spese minute); e dunque sarà la padrona di casa a saldare i conti per i regali che il marito compra per l'eventuale amante - di cui peraltro non è tenuto a rendere conto alla moglie in alcun modo.

Una volta passata la vernice esteriore dell'apparenza e della formalità, la condizione femminile in Giappone non sembra poi così diversa da quella, poniamo, italiana - dove, tanto per fare un esempio, parecchi mariti tengono una o più amanti e parecchie mogli sopportano più o meno in silenzio; ma solo un uomo con un notevolissimo pelo sullo stomaco, da noi, accetterebbe di girare alla moglie i conti dei regali fatti all'amica del cuore perché lei provveda a saldarli. 
Allo stesso modo, anche da noi è implicito che la cura dei genitori anziani del marito ricada in gran parte sulle spalle della moglie, oppure che una volta arrivati i figli è la moglie che deve sospendere il lavoro fuori casa per occuparsene, per poi riprendere a lavorare solo molto più avanti, a figli cresciuti, di solito con attività part-time che le permettano di continuare ad occuparsi della famiglia. In Giappone però questo passaggio è quasi codificato anche a livello sindacale: esistono infatti due tipi di contratto con cui una donna può essere assunta dopo l'università, e quello usato in prevalenza prevede che la donna non abbia avanzamenti di carriera, proprio in previsione del suo futuro matrimonio: l'iter più tipico infatti prevede che, dopo due-tre anni di matrimonio (e l'arrivo del primo figlio, o al massimo del secondo) la signora lasci il lavoro**.
Dunque i ruoli dei sessi sono regolati molto rigidamente, e vengono rispettati. Quanto esattamente la donna giapponese morda il freno e trovi tutto ciò ingiusto non è dato sapere, e l'impressione che si ricava dal libro è che le stesse giapponesi siano consapevoli solo in parte di una loro eventuale disponibilità alla ribellione. Sta di fatto che, al momento in cui il libro è stato consegnato alle stampe, se qualche singola giapponese delle fasce culturalmente più avanzate era disponibile a dichiararsi "femminista" e a chiedere (ma quasi mai al proprio consorte) una equa divisione dei lavori domestici, un vero e proprio movimento di rivendicazione femminile non risultava, né  risulta aver iniziato a prendere piede.
D'altra parte occorre anche considerare la differenza culturale di base, secondo la quale in Giappone l'atto di rivendicare i propri diritti parlando con i superiori da pari a pari è visto come qualcosa di estremamente scortese, se non addirittura in contrasto con le leggi umane e divine - e questo indipendentemente dal fatto di essere maschi o femmine.

Nel complesso una lettura molto interessante, che mi sento di raccomandare a tutti e che affronta questioni molto serie sotto una veste gradevole e all'apparenza leggera. Volendo, un buon modo per iniziare la primavera che è la parte più impegnativa e creativa dell'anno.

*in realtà avrei voluto scrivere "nel casino più completo", ma sono convinta che qualsiasi signora giapponese avrebbe fortemente disapprovato un modo di esprimersi così dozzinale e privo della pur minima traccia di raffinatezza.
**Un contratto di questo tipo da noi non sarebbe legalmente possibile; d'altra parte da noi il datore di lavoro tende a risolvere il problema alla radice, ad esempio non assumendo manodopera femminile, evitando di affidare loro ruoli di una qualche responsabilità o addirittura facendosi rilasciare lettere del tutto illegali di dimissioni senza data da esibire per rescindere il contratto di lavoro qualora l'operaia o l'impiegata decida di riprodursi, o anche semplicemente di sposarsi. 

2 commenti:

  1. Insomma, fatte le debite differenze formali e non solo, verrebbe da dire che davvero tutto il mondo è paese!

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