giovedì 7 giugno 2018
"Se non ti fa schifo parlarne", ovvero quel che molti pensano sull'insegnamento
Da quando ho mosso i miei primi, tremebondi passi nel complesso mondo dell'insegnamento, sono ormai passati quasi vent'anni. In tanti mi spiegavano che la scuola era cambiata, i ragazzi erano cambiati - ma io la scuola l'avevo fatta nei rutilanti anni 70 e l'avevo seguita da lontano attraverso mia madre e le mie amiche finite in cattedra, e mi sembrava tutto abbastanza uguale a sempre. Anzi, ricordo ancora il fondo di stupore che provai quando mi accorsi che, gira che ti rigira, il mondo della scuola era sopravvissuto uguale a sé stesso nel corso dei decenni: stare a scuola mi dava una sensazione agrodolce imbevuta di meditabonde considerazioni sui corsi e ricorsi della vita. Il punto è (gli analisti nonché tuttologi della scuola lo dimenticano facilmente, perché è un punto che ammazza qualsiasi generalizzazione) che la scuola non è poi così uguale a sé stessa nemmeno al suo interno e ogni classe e ogni consiglio e ogni professore si portano dietro un microcosmo individuale con regole sue, che magari cambia di anno in anno e di mese in mese, e anche i ragazzi che oggi sono diversi sono ognuno una sua identità propria, e in continuo mutamento, e dunque ognuno di loro è diverso a modo suo.
Ad ogni modo, pur arrivando assai spaventata e pronta non già ad affrontare -ché proprio non me ne ritenevo all'altezza - ma a prendere atto di un pianeta diversissimo, trovai tutto abbastanza simile a quel che ricordavo di quando stavo dall'altra parte della barricata.
Quello a cui invece non ero preparata erano le domande di chi a scuola non ci lavorava, e che nel corso di questi venti anni sono rimaste molto simili - pure quelle.
L'episodio che più mi lasciò sconcertata fu una tranquilla pizza a quattro con amici di freschissima data, quando ormai in cattedra ci stavo da un paio di anni con alterne fortune. Uno di loro mi chiese come mi trovavo con i ragazzi aggiungendo, testualmente se non ti fa schifo a parlarne - che non rischiassi di mandarmi di traverso la pizza ad affrontare sì spiacevole argomento, per carità, la sua era soltanto una curiosità oziosa.
Trovai difficile rispondere, proprio per come era stata posta la domanda. Immagino che il mio interlocutore desse per scontata una bella tirata... su cosa, i giovani d'oggi senza valori o senza ideali? La professione del docente ignobilmente svilita e vilipesa? Il mondo di oggi (o, a scelta, la moderna società) che ci impediscono di tramettere solidi punti di riferimento alle nuove generazioni? Questi ingrati ragazzi che rifiutano di eleggerci come modelli di vita?
Ma era tutta roba completamente estranea al mio modo di pensare e di sentire, senza contare che ho fatto parte anch'io di una generazione perennemente sotto accusa a causa della sua cronica mancanza di solidi valori morali, e ho sempre trovato estremamente ridicole le analisi che facevano su di noi nonché la pretesa che un tale, solo perché stava su una cattedra, dovesse automaticamente essere preso come valido esempio di riferimento - senza contare che, avendo letto parecchio in vita mia, sapevo benissimo che le classi sociali più alte avevano spesso trattato gli insegnanti dall'alto in basso (tranne quelli universitari, che fanno categoria a sé). Ecco, con l'arrivo della costituzione della repubblica siamo diventati tutti cittadini delle classi più alte e sì, pensa un po', i ragazzi si ritenevano in diritto di avere opinioni proprie, e qualcuno addirittura arrivava all'assurda pretesa che queste idee venissero rispettate.
In conclusione probabilmente sgusciai dietro a qualche banale considerazione sul fatto che l'ambiente scolastico non mi sembrava poi tanto improponibile e che i ragazzi nel complesso mi stavano piuttosto simpatici e non provavo alcun disgusto a parlarne e ben presto tornammo tutti a parlare di manga e di Giappone, che era poi il motivo per cui ci eravamo riuniti in pizzeria.
In realtà parlare di scuola mi piace molto - come questo blog dovrebbe testimoniare - ma lo faccio malvolentieri con chi non è del mestiere perché mi rendo pur conto che non tutti si divertono a sentir raccontare quale raffinata tecnica hai saputo escogitare per far capire infine alla 1D che mela, me la e me l'ha sono tre cose ben distinte e ognuna di loro va usata a tempo e modo opportuni oppure quanto vi siete divertiti a recitare la conversazione tra Smaug e Bilbo (il tutto tacendo accortamente le cinquanta volte in cui la classe si è annoiata a morte con il drago e ha continuato imperterrita a confondere frutta, pronomi personali e verbo avere). Ma per chi non capisce queste raffinate soddisfazioni (cioè tutti, tranne quelli che a scuola ci lavorano e ci smoccolano sovente maledicendo la ria sorte che li ha fatti nascere nei non rari momenti di frustrazione) cos'è la scuola?
Un pianeta strano, mi par di capire, popolato di strane creature indisciplinate e irriconoscenti che rifiutano di farsi indottrinare.
So che molti colleghi vivono circondati da esseri sarcastici che passano il tempo a rinfacciarci i nostri quaranta mesi di ferie all'anno. Non io, non so perché (probabilmente perché non me li filo: sono bravissima a rimuovere le persone con cui non ho voglia di parlare). Ma incrocio spesso categorie un po' differenti, che sembrano ignare del fatto che i ragazzi con cui ho a che fare sono proprio gli stessi che abitano a casa loro, e con cui spesso interagiscono piuttosto volentieri.
Per esempio i genitori che sospirano e ti spiegano che l'insegnamento è una vocazione, e chi lo pratica è un santo; d'accordo, spesso ci vuole pazienza. Ma sono i vostri figli, gli stessi che avete per casa. Trovate sempre così indispensabile una patente di santità quando ci avete a che fare?
Oppure quelli che ti chiedono preoccupatissimi ma tutto questo bullismo di cui si sente tanto parlare?
E lì la risposta è più difficile da dare. C'è più bullismo oggi di quel che c'era un tempo?
Di sicuro oggi se ne parla di più, e non è un male. Di sicuro oggi gli insegnanti sono chiamati più facilmente in causa, perché i ragazzi hanno smesso di stare zitti e gli insegnanti non possono più cavarsela fregandosene alla grande come succedeva ancora vent'anni fa. Funziona un po' come per gli stupri o le violenze domestiche: sono in aumento o se ne parla di più? Di tendenza propendo per la seconda possibilità, fermo restando che spesso ci arriva solo la punta estrema dell'iceberg e il grosso resta tuttora sott'acqua a navigare, ma vai a sapere, come si fanno ad avere dati attendibili?
L'unica vera novità, indiscussa e foriera di grane infinite, è il cyberbullismo, che fino a qualche anno fa non c'era né alcuno ne sentiva la mancanza, e che ci lascia spesso assai inguaiati - ma basta navigare un po' su Facebook per capire che non è purtroppo un problema esclusivo dei giovinetti, ma di tutta l'umanità, giovane o vecchia che sia, e non coinvolge esclusivamente la scuola. È verissimo che gli insegnanti non sanno gestirlo in modo soddisfacente, ma purtroppo sotto questo aspetto siamo ancora tutti in fase sperimentale e dobbiamo faticosamente arrangiarci come possiamo.
E sì, certo, ci sono anche i dislessici - ma non è che prima non ci fossero, soltanto erano considerati ciuchi e come tali trattati, o maltrattati. Dargli un nome e conoscere qualche strumento compensativo è stato un aiuto, per noi e per loro.
E ci sono anche gli stranieri, ma qui devo confessare che, a parte qualche rarissima eccezione, gli stranieri che ho avuto erano tutti all'acqua di rose e i problemi più seri se li erano sbrigati quelli delle elementari che con grande pazienza e infinita abilità se li erano alfabetizzati.
D'altra parte io in classe dislessici e stranieri all'acqua di rose li ho sempre avuti in classe, quindi non riesco a considerarli una grande novità.
Va bene, forse rispetto a quando andavo a scuola qualche piccolo cambiamento c'è stato. Non solo dentro la scuola, però.
E con i ragazzi io continuo a divertirmi, alla faccia di tutti. Solo che evito di raccontarlo troppo in giro.
Anch'io mi divertivo assai, in classe, quando avevo alunni iper-selezionati e molto poco numerosi. Adesso, mi trovo sempre di più a utilizzare metodi simil-milaniani e, devo confessare, mi diverto molto meno. Ho altre soddisfazioni professionali, questo sì, ma divertirmi proprio no. Sigh.
RispondiEliminapensierini sloggata perché pigra
Anch'io mi diverto un mondo a prescindere dalle lamentele scritte nei post del mio blog. E taglio corto quando l'esperto di turno pontifica sulla scuola. Che noia! Il bullismo c'è sempre stato, anch'io ne fui vittima in qualche modo, ma seppi difendermi. Si trattava di tentativi di estorsione di poche lire perché il mafiosetto-bullo di turno potesse comprarsi il panino gratis. 😂
RispondiElimina@ Mel: sempre di estorsione si trattava, piccola o grande. Ne hai parlato con un adulto?
RispondiEliminapensierini etc etc
Sono, un po' come per la questione Fedeli, temo in minoranza ma concorde su tutto. Sulla scuola che è insieme sempre uguale e al microscopio intrinsecamente e quotidianamente diversa (un po' un quadro impressionista, somehow), sul fatto che il problema del cyberbullismo è nuovo per definizione ma di certo i ragazzi prendono da noi esempi davvero parlanti, e sono tutti in direzioni pessime (e non c'è bisogno di tirare in ballo gli haters: in media il 93% delle comunicazioni mail di adulti che sono perfettamente convinti di essere educati e corretti nei fatti non lo sono e/o contengono visi di privacy, di maleducazione, di errori di toni più o meno gravi - questo senza andare ai social o a altre forme di interazione virtuale), sul fatto che gli adolescenti sono mediamente divertenti e che avere a che fare con loro è un piacere e non incubo.
RispondiEliminaAggiungo che l'odio, o la malmostosità, di tanti colleghi e/o conoscenti adulti secondo me si chiama, molto più spesso di quanto non si creda, invidia. Invidia per irresoluzioni personali di varia natura che si riversano sui ragazzi che hanno, sempre e comunque, quello che gli adulti malmostosi di cui sopra non possiederanno mai più, invece: la vita, e il futuro, che loro hanno sprecato.
Grande 'povna. E' vero, l'invidia può essere un'ottima chiave di lettura di molti comportamenti ostili, inspiegabili altrimenti.
RispondiEliminapens
@ pensierini:
RispondiEliminanon tutte le annate e non tutte le classi sono uguali, ma diciamo che io ho avuto spesso parecchia fortuna, oltre a una certa tendenza a innamorarmi quasi sempre delle classi... per poi dimenticarle dopo averle salutate all'esame 😊
@Mel:
Non ne ho mai dubitato!
Quanto al bullismo, anch'io ho ci ho avuto a che fare, e proprio alle medie. Niente estorsioni, solo una bella serie di insulti gratuiti di cui, a parte tutto, mi sfuggivano completamente il senso e l'utilità (almeno un racket di merendine un senso ce l'ha). Di sicuro non mi passò mai per l'anticamera del cervello l'idea di reagire o di parlarne con qualche adulto: all'epoca non usava, e salivano in superficie solo quelle vicende che passavano di parecchio il livello di guardia. Oggi certo non sarei così paziente.
@ la 'povna:
Bello il paragone tra la scuola e un quadro impressionista, rende benissimo l'idea!
D'accordissimo anche sull'invidia, che può essere un sentimento molto difficile da gestire quando ti trovi tutti i giorni con adolescenti ad alto voltaggio e in piena crescita che hanno davanti a sé un futuro ancora intatto (mmhhh, mica sempre e mica è così semplice anche per loro. Ma gli adulti tendono a dimenticarlo). Sotto questo aspetto fare l'archivista ti scatena molti demoni in meno. D'altra parte ho visto che da quando insegno il mio carattere è molto migliorato: sono più comprensiva, più accomodante, mi prendo molto meno sul serio e di tendenza sono pure più allegra e ottimista - prima viaggiavo molto più imbottita di certezze rivelate ed ero molto più manichea. Questo fatto di imparare a non prendersi troppo sul serio (che caratterizza diversi dei miei colleghi preferiti) è senz'altro uno degli aspetti positivi di questo lavoro e ti aiuta a non andare troppo in crisi quando le classi ci mettono un po' a capire come funzionano i pronomi relativi.