Ordunque, venendo alle emozioni provate dai ragazzi a scuola, esse sono numerosissime e non basterebbe la pergamena ricavata da un gregge di pecore ad elencarle tutte. Cotali emozioni si riferiscono in parte alla loro vita scolastica, ma parecchio anche alla loro vita sociale e personale: i poverelli passano infatti almeno trenta ore alla settimana a scuola, più altre a fare i compiti o a scansare i compiti o a pensare ai compiti che non vogliono e non sanno fare (le due cose sono più collegate di quanto non si creda), e in più c'è il tempo per andare a scuola o per prepararsi per andare a scuola. A scuola inoltre, soprattutto a elementari e medie, si svolge gran parte della loro vita sociale e affettiva, che si allunga tramite telefono, visite, incontri vari e perenne permanenza sui social, ove gran parte di loro è saldamente impiantata dall'alba al tramonto e talvolta, ahimé, anche dal tramonto all'alba. Quel che succede in aule e corridoi dunque ha grandi ripercussioni nella loro vita quotidiana, e amplifica le emozioni da loro provate in cotal luogo, mentre quel che succede fuori si ripercuote spesso anche lì, in un complesso gioco di rimbalzo di cui ogni insegnante, per sua buona sorte, è solo assai parzialmente informato.
Da ciò consegue che i virtuosi tentativi di noi insegnanti per creare un ambiente sereno e giocosamente creativo all'interno del gruppo-classe sono influenzati da un infinità di fattori di cui siamo beatamente ignari e perciò talvolta destinati a fallire nonostante premesse all'apparenza assai positive oppure, al contrario, a riuscire clamorosamente laddove nemmeno ci eravamo accorti di aver tentato. E tutto ciò è cosa buona e giusta perché ogni giorno ci insegna i valori dell'umiltà, ci incita a coltivare tatto e diplomazia e ci aiuta a contenere i danni di un ego ipertrofico.
Detto questo, a scuola i ragazzi vanno principalmente per imparare e farsi valutare, e stante che in fondo al nostro cuore siamo tutti piuttosto convenzionali, quasi sempre i suddetti ragazzi preferiscono imparare molto con poco sforzo e riuscire benissimo riportando voti alti, e quando ciò non gli riesce le emozioni che ne ricavano sono soprattutto legate alla sfera dell'umiliazione, dell'incazzatura e dell'autodenigrazione. Perché quando ci dicono di ruotare un triangolo io non ho la più pallida idea di cosa ne viene fuori? Perché non riconosco un predicato verbale dopo sei mesi di analisi logica? Perché quando il mio compagno di banco disegna esagoni tutti sono soddisfatti e quando li disegno io l'insegnante sospira e mi spiega in tono frustrato che per disegnare un esagono prima di tutto devo fare una roba che abbia sei lati e non sette?
Naturalmente sarebbe molto comodo per tutti se, per divina illuminazione, il povero insegnante di turno fosse capace di riconoscere il momento esatto in cui la creaturina è inciampata nella difficoltà senza riuscire a rialzarsi - preso all'inizio, spesso il sassolino potrebbe essere agevolmente aggirato invece di crescere fino a diventare una montagna. Molto spesso invece una sfortunata serie di circostanze, spesso del tutto al di fuori del controllo di chi sta in cattedra, contribuisce a ingigantire la questione. E qui entrano in gioco una serie di fattori, spesso figli della Natura Matrigna: le reazioni dei compagni, per esempio (o degli stessi insegnanti), il carattere della creaturina, la sua tendenza a rassegnarsi (spesso ereditata col DNA dalla famiglia), il suo più o meno innato senso di inferiorità, il grado di suscettibilità che gli è stato assegnato dalla nascita o dalle circostanze, gli aiuti di cui dispone, il livello sociale e culturale della famiglia.
I fattori sono spesso collegati tra loro in un perverso groviglio: da un ragazzo che esce da una famiglia di spacciatori e alcolisti i compagni e le famiglie che conoscono la situazione si aspettano determinate reazioni, determinati comportamenti e comunque un basso rendimento scolastico (e questo si proietta spesso anche sugli insegnanti che vivono nel paese o nel quartiere che conoscono bene la situazione) - e ci sono ragazzi candidati al ruolo di buffoni e bulli della classe sin dal grembo materno. Una famiglia dove a scuola si è sempre vivacchiato sull'orlo del cinque e mezzo ad andar bene raramente scodella una creatura carica di ambizioni e determinazione che vede nell'otto il primo voto almeno vagamente accettabile. Una stirpe di persone ansiose e tendenti all'autocolpevolizzazione raramente produrrà un germoglio il cui motto di vita sarà "Io ci provo, e se non mi riesce ci riprovo finché non ci riesco!". Questi e molti altri fattori, tendenzialmente riconducibili all'autostima o meglio a una sua desolante assenza, portano spesso la creatura a rifugiarsi nell'apparentemente comoda scappatoia del "Non ci provo nemmeno" oppure "Faccio tanto kasino" che gli permette di ammantarsi dell'alibi "Non vado bene a scuola perché non studio e nemmeno ascolto le lezioni", che in realtà andrebbe etichettata come "Non studio e nemmeno ascolto le lezioni perché tanto non caverei un ragno dal buco".
E dunque come uscirne? Ma si capisce subito, è semplicissimo: basta che l'insegnante trovi il modo di incrementare l'autostima nel virgulto, e di convincere i suoi compagni che cotal virgulto possiede una squisita intelligenza degna di ogni stima e riguardo, indipendentemente dal fatto che i suoi abbiano spacciato o spaccino tuttora e che non gli riesca calcolare il volume di un cono ottenuto per rotazione.
Ora, sappiamo tutti che se un fanciulletto è carente di vitamine basta dargliele, ma come si fa a somministrargli buone dosi di autostima?
Ah, saperlo, saperlo!
Il povero insegnante si ritrova una furia scatenata in classe, spesso alimentata ad arte dai compagni che lo usano come parafulmine emotivo, graffiatoio o giullare di corte e di cui perdono il controllo spesso e volentieri, e per quanto il suddetto insegnante sia disponibilissimo a fare qualsiasi cosa, incluso ricorrere alla magia nera, pur di calmarlo e fare finalmente lezione in pace, non ha la minima idea di come incrementargli alcunché, anche perché spesso la furia in questione rifiuta qualsiasi cosa possa almeno vagamente somigliare ad un contatto (d'accordo, la maggior parte dei casi è meno drammatica, ma non necessariamente destinata a miglior esito scolastico).
Oppure il povero insegnante di cui sopra si ritrova una bella e brava e passivissima pianta, che dà alle lezioni più o meno lo stesso contributo emotivo e intellettivo di una piastrella da pavimento e ogni tanto fa qualcosa di non minimamente scolastico per non annoiarsi troppo, magari distraendo la classe - e, anche lì, non ha la minima idea di come incrementargli alcunché.
Molto più spesso l'insegnante si ritrova uno o più casi più blandamente ascrivibili a queste due categorie. In tutti i casi non ha la minima idea di come trasformare l'irrequieta o amebica creatura in un componente utile e attivo della classe; non solo, se i casi di cui sopra sono parecchi, il loro effetto sulla classe sarà moltiplicato. Ognuno di loro richiederebbe cure specifiche e un tempo particolare a loro dedicato (senza alcuna certezza di riuscita, tra l'altro) mentre le ore si ostinano ad essere composte di sessanta minuti e le classi talvolta sono molto, molto numerose. Inoltre l'insegnante di cui stiamo parlando non è necessariamente un fine diplomatico e anzi talvolta ha il tatto, il garbo e la delicatezza mostrati da un elefante di malumore in una cristalleria o da una tigre a digiuno da tre giorni lasciata libera in una conigliera - mica per cattiveria o per menefreghismo, semplicemente gli viene così. Un corso per raffinare la nostra rozza interiorità non ce lo fa nessuno (e probabilmente è un male, ma mi rendo conto che non sarebbe facile da organizzare).
L'empatia non sempre è il mio forte, in diplomazia non avrei mai fatto carriera, con gran fatica ho imparato l'unico modo in cui una persona col mio carattere può evitare le gaffe più appariscenti, ovvero evitare di parlare. Comunque anch'io ho il mio vissuto, e come tutti noi lo utilizzo quando insegno - e nel mio vissuto ci sono molti gatti, adorabili creature spesso assai provviste di autostima.
Cosa si fa quando ti arriva in casa un gatto spelacchiato, denutrito, cisposo, rognoso, tremolante, scontroso e con gravi carenze affettive?
D'accordo, gli si dà da mangiare. Poi si porta dal veterinario. Gli si danno le medicine, con tanta pazienza. Gli si passa un asciugamano di carta umido sul pelo sporco.
Poi gli si dice che è bello, tanto bello, il più bel gatto che avete mai visto, e ci si sdilinquisce per la sua estrema bellezza qualsiasi cosa faccia e qualsiasi cosa sporchi.
Purché il veterinario abbia azzeccato le medicine giuste, il gatto diventerà effettivamente di una bellezza stellare e sarà consapevolissimo di esserlo e se ne compiacerà assai. Non è detto che diventerà affettuoso, ma sarà bello e soddisfatto di sé.
Parto sempre da due principi base: i miei alunni sono di rara intelligenza, e di estrema simpatia. Dopo pochi giorni li amo appassionatamente e senza ritegno. Li copro di complimenti sinceri. Cado in estasi davanti alle loro numerose virtù. E cerco di tenerli sempre occupati in classe perché, come diceva (pare) Gerolamo "occorre sempre fare qualcosa, acciocché il diavolo non ci sorprenda oziosi".
Temperatura emotiva bassa in classe, molto lavoro e un insegnante che mostra di apprezzarvi perché siete così incredibilmente e meravigliosamente ganzi.
Funziona?
Non sempre, ma spesso qualche effetto buono lo produce.
Quanto meno, non fa danni.
In pratica: gestisco le emozioni della classe estranee alla lezione sbattendole fuori dalla porta a calci. Concentratevi sui pronomi e dimenticatevi per un po' di voi stessi se non per ricordarvi che siete assai ganzi.
(No, non sempre ci riesco. Figurarsi).
Quant'e' vero! Io sto dando ripetizione ad un ragazzo della specie "ameba", con l'autostima di una pulce depressa, ed è una fatica improba, appenderei per i piedi sua madre che lo guarda con gli occhi sbarrati perché torna a casa con qualche otto (e' il minimo dopo che mi son fatta un culo a capanna) e non si capacità che sia suo figlio. Ma ca@&€ il pupo ci arriva! E senza fatica. Se mi avessero chiamata un po' prima della seconda volta in cui ripete la terza media...
RispondiEliminaSe a 10 anni ti senti dire che "non vali niente", beh...questo giudizio ti segnerà per sempre.
RispondiEliminaLa sensazione di inadeguatezza crescerà con te e ti accompagnerà tutta la vita. Combatterai le tue battaglie intimamente convinta di non farcela; accetterai sconfitte prima ancora di essere sconfitta. In ogni decisione che dovrai prendere ci sarà la convinzione di sbagliare. E accetterai con meraviglia e riconoscenza chi vede in te qualità che non credevi di possedere, perché quell'antico giudizio ha modificato per sempre l'immagine che tu avevi di te stessa.
Col tempo, anni ed esperienze positive, amori ed amicizie importanti, imparerai a dividere il grano dal loglio, ma la sensazione che avresti potuto fare di più, che hai sprecato anni a riprendere ciò che non avresti dovuto perdere, non te la toglierà nessuno.
Il tuo lavoro, carissima, è fondamentale e tu lo svolgi non solo con l'intelligenza, l'ironia e lo spirito critico che ti contraddistingue, ma anche con il cuore, senza cioè l'autocompiacimento e l'arroganza di chi crede di non sbagliare mai.
Questo tuo post, splendido, arriva al momento giusto - un momento nel quale è molto, molto complesso riuscire a fare squadra, per una serie di sensi di inadeguatezza da entrambe le parti, tra i Mowgli (tra loro, tra loro e il CdC, nel CdC): ti chiedo il permesso di condividere questo post con alcuni miei colleghi, il suo nitore, la sua pacatezza, il suo acume, il suo sguardo credo che potrebbero farci molto bene.
RispondiEliminaMURASAKI FOR PRESIDENT!Bellissimo post.Sincero e pieno di positività. Grazie sempre!
RispondiElimina@acquaforte
RispondiEliminaBella riflessione....verissima..condivido!
@Bridigala:
RispondiEliminaOnore a te, e meno male che un tentativo per smuovere la situazione i genitori l'hanno infine fatto - ma l'amebicità è una caratteristica ereditaria, probabilmente anche i genitori tendono al Rassegnato Andante... e questo rende la situazione più difficile da smontare.
@Acquaforte:
Oh no, io mi contento già della speranza di azzeccarne qualcuna ogni tanto: il nostro è il tipico lavoro che come fai sbagli ^__^
Quel che hai scritto è molto vero: è triste dover passare anni a recuperare quel che non si avrebbe dovuto perdere. Mi colpì tanto uno stato di Facebook di un allieva di un amica: "L'emozione del primo sei di matematica è qualcosa che non si può descrivere" e seguivano caldi ringraziamenti alla sua insegnante delle superiori. Mentre lo leggevo mandavo un infinità di accidenti agli insegnanti di matematica che quella povera ragazza aveva avuto PRIMA di provare la grande emozione del primo sei in matematica - una materia così simpatica, e per tanti è solo motivo di frustrazioni e sconforto senza fine... Eppure, immagino, anche gli altri insegnanti ci avranno provato in qualche modo. Chissà cosa è stato che ha fatto infine scattare quel felice meccanismo.
@la povna:
Ti do volentieri l'autorizzazione piena e totale di far leggere il post a chi vuoi, ma non ti serve: questo è un blog pubblico, e quel che scrivo è a disposizione di chiunque ^__^
(E grazie dei complimenti!)
@Eva:
vedi sopra, grazie. I vostri commenti incrementano molto la mia autostima (fragilissima anche negli insegnanti, come andrò presto a spiegare) :)
Prego ;-)
RispondiElimina"il felice meccanismo" mi piace molto, fa venire in mente il dolce suono di un carillon ma anche tutti i "meccanismi" necessari affinché avvenga il prodigio...appunto!
Ripensandoci mi ricordo che, grazie a 2 supplenti avuti in momenti differenti durante l'anno, 2 miei compagni di classe, alle medie, presero "il volo";vale a dire che grazie ai buoni voti e gli incoraggiamenti di questi due insegnanti sostitutivi, entrambi i ragazzi scoprirono di NON essere "2 irrecuperabili stupidi" ma solo "più" riflessivi di tutti noialtri...fu così che divennero tra i più bravi della classe. Uno dei due ha studiato alla Bocconi e adesso è un brillante manager a Milano, sposato, con figli (lo so che fa molto anni '80 e film dei Vanzina ma così è andata la storia eheheheheh!!!).L'altra è una pasticcera coi fiocchi e gestisce la pasticceria di famiglia da quasi 25 anni(adoro i suoi bignè!!!)
NOTA: i supplenti in questione erano di francese e di scienze!!!
Condivido molto...anche perché i nostri ragazzi oggi sono molto più fragili di come eravamo noi alla loro età.
RispondiEliminaGrazie mille! :-)
RispondiElimina@Eva:
RispondiEliminaBellissima storia (soprattutto quella della pasticcera, CHOMP!, senza togliere nulla al Bocconiano).
Non è strano che a far scoccare la scintilla siano stati due supplenti: i supplenti spesso vengono catapultati nelle classi senza molte spiegazioni e quindi la osservano con occhio non prevenuto, senza risentire di impressioni precedenti.
@Dolcezze:
Io non ci trovo tutta 'sta differenza - o forse dipende dal fatto che quelli che conoscevo io alla loro età (io in primis) eravamo comunque molto fragili :)
A TUTTI:
La connessione continua ad andare come le pare, e a volte rispondere ai commenti è un impresa, e postare anche :(
Cara Murasaki lo avevo immaginato che "TETI" ci avrebbe messo del suo per farti rimpiangere telegrafo e telescrivente.....Perché qui è questione di cariatidi e bacucchi eheheheheheh
RispondiEliminaTornando in-topic: sui supplenti concordo, hai centrato il senso del racconto! P.S. nella "famosa" pasticceria fanno pure certi cioccolatini...mmmmmmh.....eheheheheh
Ciao
Leggo con grande ritardo ma non posso non commentare: sei una grandissima!!! Cosa darei per averti tra i colleghi!!
RispondiEliminaE io ti ringrazio in ritardo, e quasi mi sfuggivi, ma sono molto contenta se ogni tanto passi di qua ^__^
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