Il contratto di lavoro dei docenti prevede un orario in classe piuttosto contenuto: 18 ore per chi insegna alle medie e alle superiori, 22 alle elementari, 25 alle materne.
Ci sono poi altre ore aggiuntive legate alla programmazione, agli organi collegiali, ai colloqui con i genitori eccetera - rigorosamente in assenza di alunni.
Ci sono poi altre ore aggiuntive legate alla programmazione, agli organi collegiali, ai colloqui con i genitori eccetera - rigorosamente in assenza di alunni.
Di recente è invalso l'uso di guardare con aria corrucciata gli insegnanti chiedendo "Ohibò, perché lavorate così poco?". Tal domanda è fatta di solito da persone che non lavorano nella scuola.
E' invalso anche l'uso da parte degli insegnanti di giustificarsi spiegando che le 18 (o 22, o 25) ore sono "la punta dell'iceberg" e che molte altre preziose ore se ne vanno per preparare le lezioni e correggere le prove scritte, scrivere relazioni eccetera.
Tutto ciò è vero, ma solo in parte: talvolta le lezioni sono lunghe e complesse da preparare, talvolta possono essere tranquillamente improvvisate, magari sulla scorta di una preparazione precedente elaborata negli anni o sulla base di conoscenze che non richiedono alcun ripasso, o al massimo un ripasso minimale. Non tutte le materie richiedono le stesse ore di preparazione, non tutte le classi richiedono lo stesso lavoro preventivo, non tutte le prove scritte sono lunghe da correggere - senza contare che il numero delle prove scritte necessarie presenta spesso un certo margine di discrezionalità.
Le 18 ore (o 22, o 25) da passare in classe non hanno invece alcun margine di discrezionalità. C'è un orario, distribuito su "non meno di cinque giorni" (e c'è il suo motivo, se non può essere compattato più di tanto) e l'unico modo di scansarlo è mettersi in malattia.
Il motivo per cui sono solo 18, o 22, o 25 è che anche così sono tante. E faticose. E richiedono un grosso lavoro di improvvisazione, sempre.
E improvvisare stanca, e logora.
Ogni insegnante, nel corso di ogni singola ora di lezione, deve prendere una grande quantità di decisioni, spesso del tutto impreviste. Ogni insegnante interagisce con un numero di alunni che va all'incirca tra i 15 e i 30. Ognuno di questi alunni ha meccaniche sue personali. Ognuno di loro può combinare un disastro epocale in pochi secondi, o gettare di punto in bianco il docente di turno in un mare di incertezze e nel panico più totale; ognuno di loro può sentirsi male, scivolare, rompersi l'osso del collo, picchiare o insultare quasi all'improvviso un compagno, causare o subire un incidente anche grave, sia fisico che diplomatico. Non importa essere in una classe di quelle dette "di frontiera", dove droga e coltelli possono entrare in scena da un momento all'altro (anche se droga e coltelli possono apparire all'improvviso pure in classi che "di frontiera" non hanno proprio un bel nulla). Per mandare tutto nel casino più totale bastano una ventina scarsa di bravi bambini mediamente educati e di buon umore.
Non è necessario tagliarsi fino all'osso o avere una crisi epilettica, per lasciare morti e feriti sul campo di battaglia.
Lavorare con i ragazzi è rischioso. E' rischioso stando in classe, ed è rischioso portandoli fuori: in giardino a giocare, in palestra a correre, al Museo di Matematica per un rispettabile corso sul teorema di Pitagora, il rischio è sempre in agguato. Senza averne nessuna intenzione i ragazzi si possono ferire, pestare, danneggiare oggetti di valore incalcolabile, fare gran danno o subirne.
Insegnare è faticoso. Per tutti, in tutte le materie. Anche quando l'insegnante tira al risparmio e stabilisce che chi lo segue, bene, e chi non lo segue son cazzi suoi.
A volte l'argomento, la materia, l'anno scolastico, vengono affrontati male e ci vogliono mesi per rimediare - se si riesce a rimediare. La classe si dispera, i genitori si disperano, gli esercizi continuano ostinatamente a non tornare e non importa con quanta cura sono stati spiegati e rispiegati. Quel che per anni ha funzionato con tutte le seconde (o le terze, o le quinte) improvvisamente non funziona più.
A volte gli alunni fanno delle domande. Niente di strano che facciano delle domande, in teoria sono lì per quello. A volte l'insegnante non sa rispondere, ma quello è il meno - si può sempre cercare di informarsi e riprendere l'argomento più avanti.
Ma quando le domande riguardano questioni come il Bene e il Male, la Vita e la Morte, Dio, l'Etica, per tacere della politica e della cronaca e di come nascono i bambini... ecco, quelli possono essere davvero momenti interessanti per chi sta in cattedra. Prima ancora di sapere che risposta dare, c'è da decidere se rispondere o no. Non c'è tempo per riflettere. Si deve improvvisare, ma le conseguenze dell'improvvisazione rischiano di trascinarsi per tutto l'anno, o per tutto il ciclo.
E non ci si può fermare perché, comunque sia, lo show deve andare avanti.
E' invalso anche l'uso da parte degli insegnanti di giustificarsi spiegando che le 18 (o 22, o 25) ore sono "la punta dell'iceberg" e che molte altre preziose ore se ne vanno per preparare le lezioni e correggere le prove scritte, scrivere relazioni eccetera.
Tutto ciò è vero, ma solo in parte: talvolta le lezioni sono lunghe e complesse da preparare, talvolta possono essere tranquillamente improvvisate, magari sulla scorta di una preparazione precedente elaborata negli anni o sulla base di conoscenze che non richiedono alcun ripasso, o al massimo un ripasso minimale. Non tutte le materie richiedono le stesse ore di preparazione, non tutte le classi richiedono lo stesso lavoro preventivo, non tutte le prove scritte sono lunghe da correggere - senza contare che il numero delle prove scritte necessarie presenta spesso un certo margine di discrezionalità.
Le 18 ore (o 22, o 25) da passare in classe non hanno invece alcun margine di discrezionalità. C'è un orario, distribuito su "non meno di cinque giorni" (e c'è il suo motivo, se non può essere compattato più di tanto) e l'unico modo di scansarlo è mettersi in malattia.
Il motivo per cui sono solo 18, o 22, o 25 è che anche così sono tante. E faticose. E richiedono un grosso lavoro di improvvisazione, sempre.
E improvvisare stanca, e logora.
Ogni insegnante, nel corso di ogni singola ora di lezione, deve prendere una grande quantità di decisioni, spesso del tutto impreviste. Ogni insegnante interagisce con un numero di alunni che va all'incirca tra i 15 e i 30. Ognuno di questi alunni ha meccaniche sue personali. Ognuno di loro può combinare un disastro epocale in pochi secondi, o gettare di punto in bianco il docente di turno in un mare di incertezze e nel panico più totale; ognuno di loro può sentirsi male, scivolare, rompersi l'osso del collo, picchiare o insultare quasi all'improvviso un compagno, causare o subire un incidente anche grave, sia fisico che diplomatico. Non importa essere in una classe di quelle dette "di frontiera", dove droga e coltelli possono entrare in scena da un momento all'altro (anche se droga e coltelli possono apparire all'improvviso pure in classi che "di frontiera" non hanno proprio un bel nulla). Per mandare tutto nel casino più totale bastano una ventina scarsa di bravi bambini mediamente educati e di buon umore.
Non è necessario tagliarsi fino all'osso o avere una crisi epilettica, per lasciare morti e feriti sul campo di battaglia.
Lavorare con i ragazzi è rischioso. E' rischioso stando in classe, ed è rischioso portandoli fuori: in giardino a giocare, in palestra a correre, al Museo di Matematica per un rispettabile corso sul teorema di Pitagora, il rischio è sempre in agguato. Senza averne nessuna intenzione i ragazzi si possono ferire, pestare, danneggiare oggetti di valore incalcolabile, fare gran danno o subirne.
Anche fare lezione è pericoloso. Anche solo cercare di farla. Le crisi emotive sono sempre in agguato, i rapporti possono deteriorarsi gravemente nel giro di pochi minuti. Se l'insegnante ha una buona ispirazione può risolvere la crisi in altrettanti cinque minuti e dopo il sole splende più di prima. Se l'insegnante ha un ispirazione sbagliata, se non capisce cosa c'è in gioco (ed è difficile che lo capisca, anche se a volte misteriosamente il lampo di genio arriva) può combinare un disastro epocale. A volte una semplice risposta sbagliata basta e avanza a deteriorare l'ambiente di lavoro, rovinare il rapporto con i singoli e col gruppo, trasformare un piccolo screzio in un rancore che durerà. A volte, per rimediare la risposta sbagliata, occorrono mesi di paziente lavoro. A volte non c'è lavoro che tenga, e per molto tempo (o per sempre, cioè finché durerà la classe) i rapporti sono compromessi. Spesso l'insegnante ferisce, spesso viene ferito. A volte viene preso di mira e sistematicamente perseguitato, a volte deve cercare di intervenire perché non sia preso di mira qualcuno degli alunni - ed è sempre un momento molto critico, dove il disastro, più che incombere, ride apertamente pregustando lo spettacolo a venire (che quasi sempre sarà all'altezza delle più pessimistiche aspettative).
Insegnare è faticoso. Per tutti, in tutte le materie. Anche quando l'insegnante tira al risparmio e stabilisce che chi lo segue, bene, e chi non lo segue son cazzi suoi.
A volte l'argomento, la materia, l'anno scolastico, vengono affrontati male e ci vogliono mesi per rimediare - se si riesce a rimediare. La classe si dispera, i genitori si disperano, gli esercizi continuano ostinatamente a non tornare e non importa con quanta cura sono stati spiegati e rispiegati. Quel che per anni ha funzionato con tutte le seconde (o le terze, o le quinte) improvvisamente non funziona più.
A volte gli alunni fanno delle domande. Niente di strano che facciano delle domande, in teoria sono lì per quello. A volte l'insegnante non sa rispondere, ma quello è il meno - si può sempre cercare di informarsi e riprendere l'argomento più avanti.
Ma quando le domande riguardano questioni come il Bene e il Male, la Vita e la Morte, Dio, l'Etica, per tacere della politica e della cronaca e di come nascono i bambini... ecco, quelli possono essere davvero momenti interessanti per chi sta in cattedra. Prima ancora di sapere che risposta dare, c'è da decidere se rispondere o no. Non c'è tempo per riflettere. Si deve improvvisare, ma le conseguenze dell'improvvisazione rischiano di trascinarsi per tutto l'anno, o per tutto il ciclo.
E non ci si può fermare perché, comunque sia, lo show deve andare avanti.
Le 18 ore (o 22, o 25) non sono la punta dell'iceberg. Sono i nove decimi dell'iceberg e il Titanic rischia regolarmente di schiantarcisi contro. Una buona mattinata di scuola può ridurre l'insegnante come un panno appena centrifugato. Un panno piuttosto stressato, tra l'altro.
Quando le cose non funzionano, quando il voltaggio delle classi è troppo alto e non si riesce a tenerlo a bada, allora arriva il famoso (per gli insegnanti) burnout. Che sta in agguato proprio lì, in quelle 18 (o 22, o 25) ore, e assai più raramente nelle ore in cui, tranquillo, al calduccio, con una buona musica in sottofondo, l'insegnante prepara la lezione sugli oceani o sul DNA.
Tutto il mondo è un palcoscenico, e la scuola fa la sua parte.
Quando le cose non funzionano, quando il voltaggio delle classi è troppo alto e non si riesce a tenerlo a bada, allora arriva il famoso (per gli insegnanti) burnout. Che sta in agguato proprio lì, in quelle 18 (o 22, o 25) ore, e assai più raramente nelle ore in cui, tranquillo, al calduccio, con una buona musica in sottofondo, l'insegnante prepara la lezione sugli oceani o sul DNA.
Tutto il mondo è un palcoscenico, e la scuola fa la sua parte.
Chapeau x l'analisi precisa, puntuale e terribilmente veritiera. Peccato che solo noi "addetti ai lavori" ce ne
RispondiEliminarendiamo conto. Per tutti gli
altri il nostro lavoro e il paese
di Bengodi e invece essere
docenti/psicologi/infermieri/assistenti sociali/detective...e chi più ne ha più ne metta...è
fortemente stressante e
usurante
Mi scuso x l'accento mancante. Scrivere dal cellulare è piuttosto frustrante x un'iniziale presbite...
EliminaPremetto che sono d'accordo con te al 100%, ma vorrei aggiungere una cosa molto semplice che non viene mai in mente a nessuno (o almeno, che io non ho mai letto nelle risposte all'odiosa/annosa domanda sulle scarse ore di lavoro degli insegnanti rispetto ad uno stipendio diciamo alto rispetto alle 18/22/25 ore settimanali), ed è semplicemente: perché gli insegnanti sono dei professionisti. Nessuno si stupisce degli onorari di avvocati, notai, architetti, n'est pas?
RispondiEliminaNon faccio parte del mondo della scuola, ma con una bimba alle elementari, ho modo di frequentarlo e di collaborarci in maniera molto stretta e quindi posso affermare di condividere quanto scrivi non al 100% ma al 150%!
RispondiElimina@dolcezze
RispondiEliminaGli occasionali errori di battitura sono accettati in rete, non è necessario scusarsi ^__^
(e tanta solidarietà per il principio di presbiopia).
Ovviamente ogni lavoro ha il suo osso. Le ossa del nostro richiedono concentrazione, freschezza, prontezza di riflessi... e tante altre cose che non si possono garantire a tempi lunghi.
@Aliceland
Sì, ci vengono richieste caratteristiche diverse che a un impiegato o un operaio - perchè dobbiamo in continuazione PRENDERE DECISIONI. In effetti avevo pensato a fare un paragone con attori e musicisti, che sono spesso costretti a improvvisare e fanno i conti con molti imprevisti. Un tipo di lavoro simile al nostro è il medico di un pronto soccorso: certe volte e certi turni sta tranquillo perché nessuno nei dintorni si è fatto male (anche se in questo periodo, con le nuove regole, i momenti tranquilli non devono essere molti), altre volte c'è un incidente, un incendio o una bella gelata notturna e ti ritrovi di tutto e tutto insieme.
Avvocati, notai e architetti devono scontrarsi molto meno con il Fattore Sorpresa.
@Wild Horse:
Grazie ^___^
Grazie mille per tutto quello che hai scritto, che prendo, faccio mio e sottoscrivo Ricordo un mio post di parecchi anni fa sulla necessità di vacanze innegabilmente più lunghe per ricariche le pile da tutto ciò che tu descrivi.
RispondiEliminaAggiungo alla tua preziosa e intelligente analisi il caso di quando succedono le cose belle, che sono, emotivamente e teatralmente, i.e. didatticamente, altrettanto inaspettate e improvvise di quelle brutte. E anche quelle lasciano i loro strascichi, che vanno digeriti.
ps. @Aliceland: non so quanti avvocati e architetti tu conosca, io parecchi, e ti assicuro che il numero di ore lavorate brute è circa il triplo nostro.
RispondiEliminaIl discorso di Murasaki è su un altro piano, assiologicamente più fine, e lì sarebbe bene lasciarlo, senza considerazioni, svilenti, sindacali.
pps. Ma infatti, come dice Murasaki nella risposta ad Aliceland, il paragone è con attori e musicisti, che, notoriamente, non navigano nell'oro (e, quando navigano, a quale prezzo, spesso...).
RispondiElimina@povna
RispondiEliminaVerissimo, i momenti belli paradossalmente sono altrettanto delicati (e, in un certo qual modo, altrettanto pericolosi) dei momenti di crisi ^__^
Santissime parole! E chi ha provato un qualsiasi altro lavoro rispetto all'insegnamento sa quanto "vale" un'ora dell'uno rispetto ad un'ora dell'altro!
RispondiEliminaAnch'io ho sempre paragonato la professione dell'insegnante a quello di un attore, perché in effetti è proprio come descrivi tu. Le relazioni sono complicate e non basta essersi preparati al meglio la lezioncina per essere sicuri che tutto filerà liscio. La cattedra è il nostro palcoscenico, un po' anomalo se vogliamo, visto che il "pubblico" dovrebbe interagire con noi, ma per quelle due ore tu sei lì a dirigere l'orchestra, sotto i riflettori, studiato e osservato talvolta in modo spietato nei minimi dettagli (e prestano più attenzione alle scarpe che indossi rispetto a quello che stai spiegando!) e ti ritrovi a fronteggiare situazioni sempre nuove e impreviste. Ce la si può fare?
RispondiElimina@Ilaria:
RispondiEliminasenza dubbio fare l'impiegata è meno stressante - anche se sei allo sportello! (e fare l'archivista era decisamente più rilassante)
@Beth:
Sì, è un po' come lavorare in quegli spettacoli sperimentali dove gli attori interagiscono con il pubblico... (del resto, DA SEMPRE il pubblico interagisce con chi sta sul palcoscenico, per esempio lanciando fiori, oppure CAVOLfiori....)