giovedì 21 agosto 2014

La censura per bambini come forma di rassicurazione rivolta agli adulti (storia di anime maltrattati)

Lamù, aliena della stella Uru: cornetti da demone, capelli verdi, bikini e stivaletti tigrati. 
(Voi in classe non volate in bikini e stivaletti tigrati?)

I cartoni animati giapponesi* arrivarono in Italia nel 1978 con Heidi senza suscitare polemica alcuna: una storia di bambini e per bambini, tratta da un romanzo svizzero, con un bel tratto rotondo rassicurante  ad opera del grandissimo Miyazaki.
Si dà il caso però che in Giappone i cartoni animati (e pure i fumetti) siano per tutte le età, rigorosamente divisi a seconda dell'utenza. Così in contemporanea arrivarono, sulla scorta di un adattamento francese, Goldrake e Capitan Harlock, che erano serie a base di battaglie spaziali con alieni assai aggressivi che volevano conquistare la Terra e destinati a un pubblico di adolescenti. Li trasmetteva la RAI, prima del telegiornale. 
Piacquero moltissimo, così anche le televisioni locali si diedero da fare e arrivarono Jeeg Robot, Lupin III e Candy Candy. Da allora e per diversi anni i cartoni animati piovvero, diluviarono e dilagarono ovunque.
Gli adattamenti erano fatti in modo un po' approssimativo perché non sempre venivano consultati gran copia di esperti di cultura nipponica. Di censure nemmeno l'ombra, ma qualche problemino con i dialoghi non sempre tradotti bene sì. Gli ideogrammi imperversavano (soprattutto al momento delle sigle),  e quando la storia era giapponese i protagonisti si chiamavano Hiroshi, Tadashi, Goemon, Fujiko, Miwa. 
Io bambini ne andavano matti, i ragazzi pure. Io me li guardavo dall'alba al tramonto e dal tramonto all'alba, con grande sconcerto dei miei genitori che non capivano proprio che diavolo ci trovassi. Ero fuori target di tre anni buoni, ma non ero l'unica della mia età cui piacevano - comunque i miei compagni di liceo sapevano sempre benissimo dio cosa stavo parlando, quando ne parlavo.

Verso la metà degli anni '80 la febbre mi era quasi del tutto passata: avevo altre cose da fare, passavo molto meno tempo in casa, i robot e le invasioni spaziali erano ormai in netto declino e poi c'era... non so... qualcosa. Insomma, i cartoni animati giapponesi mi piacevano molto meno, anche se ogni tanto su una televisione locale beccavo qualche puntata di Lamù** e qualcosina delle serie storiche. Ma si sa che tutte le mattane passano, prima o poi.

Cos'era successo davvero lo capii soltanto anni dopo: erano cambiati i criteri di adattamento. Stavano nascendo le reti Fininvest, e a dirigere il settore per ragazzi era arrivata Alessandra Valeri Manera - persona probabilmente rispettabile sul piano personale, ma figlia del suo tempo, nonché naturalmente tenuta a seguire le regole dell'azienda per cui lavorava.

Cambiarono i titoli, e improvvisamente fu tutto un fiorire di Kiss me, Licia, E' quasi magia Johnny, Evelyn e la magia di un sogno d'amore, laddove in originale i titoli erano decisamente meno zuccherini. Cambiarono le sigle, che in verità non erano mai state capolavori (nemmeno quelle originali giapponesi, in verità) ma che avevano conosciuto decisamente momenti migliori - chi si è trovato ad ascoltare a tradimento la sigla di Kiss me, Licia cantata da Cristina D'Avena e non è schiantato sul colpo per diabete fulminante sa cosa intendo. Cambiarono i nomi dei protagonisti (in E' quasi magia Johnny non solo Kyosuke diventò Johnny, ma Madoka e Hikaru diventarono Sabrina e Tinetta) e tutto cominciò ad appiattirsi assai: i dialoghi dei personaggi erano spesso molto insulsi ma i vari monologhi con cui i personaggi in questione analizzavano i propri sentimenti (con profondità di analisi degna di una pozzanghera di città) erano anche peggio e c'erano spesso lunghi, lunghissimi momenti in cui l'immagine era ferma. Ogni tanto facevo qualche tentativo se proprio non avevo altro da fare (per esempio se ero a casa con il raffreddore; 
con molte serie ricordo di aver fatto almeno un onorevole tentativo, ma di non aver mai retto una puntata dall'inizio alla fine. Semplicemente, mi annoiavo a morte).
Cambiarono i criteri di scelta dei titoli e molte opere assai rinomate nei circuiti degli appassionati non arrivarono affatto in televisione. In qualche caso addirittura Mediaset comprò i diritti di serie come Ranma, per poi lasciarle nel cassetto - col risultato che Ranma in versione animata è circolato pochissimo, solo molti anni dopo e in circuiti minori (ed era invero una serie impossibile da domare, perfino peggio di Lamù).

Nel contempo ci si accorse che i cartoni giapponesi erano violenti*** e con scene di sesso troppo esplicite****. Ma soprattutto ci si accorse che i cartoni animati giapponesi spesso erano ambientati in Giappone - che era un grosso limite, in verità.

Nel 1993 la rivista Mangazine, giunta ormai al numero 30, pubblicò un interessantissima intervista proprio ad Alessandra Valeri Manera. La lessi e la rilessi, domandandomi prima chi aveva bevuto e quanto, e poi se davvero i miei principi in merito a censure ed educazione dei fanciulli erano così fuori del mondo come sembrava (e sì, ormai lo erano).
Visto che in rete l'intervista purtroppo non c'è, o almeno io non sono stata buona a trovarla, ne citerò qualche passo per esteso.

"In Italia i cartoni animati hanno a disposizione una fascia oraria seguita soprattutto dai più piccini, perciò il nostro intento primario è quello di tranquillizzare i genitori sul fatto che ciò che i loro figli vedranno in TV rispetti certi canoni: il bambino deve essere tranquillo e sereno mentre guarda la televisione, non deve porsi domande strane sul significato di quanto ha visto e non deve essere turbato da situazioni imbarazzanti o violente. La sera è la famiglia a decidere cosa guardare in TV, ma il pomeriggio i bambini si trovano spesso soli a scegliere i loro programmi ed è necessario che noi programmatori siamo coscienti delle nostre responsabilità. E' un po' come se avessimo una delega precisa da parte degli adulti, che si fidano del nostro modo di lavorare e di ciò che proponiamo sulle nostre reti. Non possiamo accettare che un bambino si ritrovi turbato per ciò che vede nelle trasmissioni per ragazzi e quindi è ovvio che spesso dobbiamo esercitare delle scelte che possono risultare sgradite  ai cultori di cartoni giapponesi, che hanno un minimo di 16/18 anni. Vorrei che questi ultimi capissero che in Italia il cartone animato è considerato solo come un intrattenimento per bambini e che con queste premesse pensare ad un prodotto per un pubblico adulto è assolutamente prematuro, in quanto sono pochissimi coloro che lo seguono con attenzione. E' impensabile presentare un programma di animazione per adulti, perché in Italia non c'è la cultura per farlo e neppure l'interesse".

Quando i cartoni animati arrivarono trovarono senza problemi un pubblico decisamente vasto di bambini e ragazzi che, senza particolari crisi interiori, ingoiarono tutto e ne chiesero ancora. Quindici anni dopo non c'era la cultura né l'interesse per guardare quei cartoni animati se non tra i bambini più piccoli.
Se così era (può essere, si sono viste anche cose più strane) non bastava limitarsi a pescare nel vasto repertorio di cartoni animati prodotti per bambini? O forse c'era una fascia più vasta che voleva anche qualcosa di diverso?
Soprattutto: questa descrizione dei genitori che danno una specie di delega in bianco alla Fininvest purché il bambino stia buono e non si faccia domande strane, non suona inquietante? Perché lo spetattore non deve farsi domande, specie nell'età della crescita? 

"Le trasmissioni all'interno delle quali gli anime vengono mandati in onda sono destinate a un pubblico da 6 ai 14 anni, e tutte le nostre scelte, sia in termini di tipo d'acquisto da operare che per quanto può riguardare eventuali tagli o cambiamenti di nome, sono fatte in funzione di questo pubblico specifico. I nostri tagli e adattamenti non sono mai casuali, anche perché visionare una serie , invitare degli specialisti in psicoterapia infantile a esprimere i loro giudizi, reinventare i nomi dei personaggi ecc., richiede sforzi, anche e soprattutto di carattere economico, non indifferenti: ci costerebbe molto meno acquistare una serie, doppiarla e mandarla in onda così com'è. Noi però non possiamo dimenticare il ruolo che le famiglie ci delegano nell'educazione dei minori e perciò questi nostri sforzi, che ai cultori possono sembrare addirittura controproducenti, sono un servizio suppletivo rivolto al pubblico dei minori. In secondo luogo i cosiddetti 'tagli' sono molto meno consistenti di quanto certi fan affermino, e riguardano perlopiù scene che non compromettono il senso della serie: per esempio, se sostituiamo con un fotogramma fisso la scena in cui un personaggio legge una lettera scritta in giapponese, lo facciamo perché sarebbe insensato per la maggior parte del nostro pubblico trovarsi sul teleschermo un nugolo di ideogrammi indecifrabili."

I cambiamenti in realtà erano piuttosto invasivi, soprattutto per le storie ambientate in Giappone. I momenti con l'immagine ferma spesso sostituivano intere scene, i monologhi di analisi interiore erano completamente inventati, i dialoghi alterati e tutto veniva coperto con spessi strati di melassa o annegati in grandi vasche di acqua calda. Per quel che ho potuto verificare, il prodotto di base non ne usciva affatto migliorato.

"Ci sono anche rari casi di interi episodi eliminati, ma, ripeto, sono casi estremi o comunque ben motivati, per esempio, quando tutto l'episodio raffigura scene e situazioni legate a riti religiosi diversi dai nostri, che creerebbero unicamente ansia e confusione nei bambini, oppure incentrati su usi e costumi incomprensibili per i bambini italiani. "

Siamo nel 1993. I giovani spettatori sanno che esiste un arcipelago chiamato Giappone dove si scrive con gli ideogrammi. Perché la vista di un foglio pieno di ideogrammi dovrebbe sconvolgerli? Perché dovrebbero restare traumatizzati davanti a gente che mangia con le bacchette, che paga in yen e che ha nomi giapponesi?
Perché dovrebbe andare in confusione davanti a "riti religiosi diversi dai nostri"?
Ma, se proprio: perché allora non utilizzare la famosa delega in bianco dei genitori per allargargli un po' orizzonti e conoscenze? 

"Riguardo alla questione dei nomi cambiati, ribadisco che questo non è un problema delle sole serie giapponesi, ma anche di qualsiasi altro prodotto in cui i personaggi abbiano dei nomi difficili da pronunciare o da capire per i bambini: per esempio, Yu, la protagonista di Creamy, ha un nome semplice e l'abbiamo mantenuto inalterato, ma altri personaggi, anche in serie americane o francesi, hanno dei nomi tanto complicati che non abbiamo potuto far altro che cambiarli."

Certo, i nomi dei protagonisti di un cartone animato giapponese spesso sono giapponesi, ma non ne ricordo di talmente complicati da non venirne a capo. Se poi sostituisci Hikaru con Tinetta (nome un tantino strampalato, direi) hai davvero migliorato di molto la situazione? E perché Johnny dovrebbe risultare tanto più italiano di Kyosuke?
Soprattutto, se Kimagure Orange Road***** era così complicato e costoso da adattare, non si faceva prima a prendere qualcosa che già in partenza fosse più adatto a un pubblico italiano di bambini mentecatti invece di trasformare tutto, con gran spesa e fatica, in E' quasi magia Johnny?
Perché tutti, genitori e adattatori, sembravano trovare così normale dare prodotti pesantemente adulterati alle giovani generazioni?
O anche: perché improvvisamente Valeri Manera esponeva questi criteri di adattamento, insistendo tanto su fantomatiche deleghe in bianco rilasciate da genitori tanto assenti quanto maniacalmente ansiosi?

Per quest'ultima dopmanda, la risposta è nel calendario. Il numero 30 di Mangazine uscì del Dicembre 1993, quindi era stato preparato due/tre mesi prima. Il 26 Gennaio il proprietario di Mediaset fece la sua famosa discesa in campo in politica. L'elettorato a cui si rivolgeva era un elettorato conservatore ma un po' pigro, spaventato da tutto quello che usciva dalle sue piccole esperienze quotidiano, ansioso (e le sue ansie vennero amorevolmente curate fino a renderlo sempre più ansioso e a tratti isterico verso tutto cià che era "nuovo" e veniva "da fuori"). E un buon bambino, naturalmente, è un bambino che non si fa "strane domande" e che "non era mai confuso".
Per la costruzione di questo elettorato, il circuito Mediaset lavorava già da qualche tempo.

Alterare e annacquare qualche cartone animato di provenienza straniera potrà sembrare ai più un peccato minore e apportatore di minime conseguenze negative; tuttavia, come filologa e come insegnante (ma prima di tutto come essere umano e come potenziale spettatrice) io l'ho sempre trovato una colpa assai grave.
Mi rendo conto però (stante che alla Mediaset non importava granché dei cartoni animati giapponesi se non come mezzo per attirare spettatori) che nessuno avrebbe mai avviato l'opera di ripulitura se tale opera non fosse stata richiesta e gradita da genitori improvvisamente terrorizzati all'idea che i figli scoprissero che, là fuori, c'era il mondo.

Da allora sono passati vent'anni; il mondo è cambiato (non necessariamente in meglio) e la Grande Rete ha strappato molti giovani all'abbraccio televisivo. Ufficialmente siamo diventati una cultura multietnica, mangiamo più sushi e per le televisioni passano molti meno cartoni animati giapponesi. Nei negozi e in rete si trovano in vendita anime adattate con puntiglio maniacale, talvolta così maniacale da lasciare perplessi anche i fan più agguerriti.
Sul tasso di isterismo dei genitori non so pronunciarmi, ma mi sembra in lieve calo. 
La maggior parte di loro, al momento, si preoccupa soprattutto per la crisi economica.

*da chiamarsi "anime" con fare spocchioso, se sei nel girone degli appassionati.
**titolo originale Uruseiyatsura, ovvero (all'incirca) "Gente chiassosa dalla stella Uru", storia di una bellissima aliena che si innamora di un terrestre che proprio non ne vuol sapere - non una roba molto seria, insomma. Del resto l'autrice era Rumiko Takahashi.
***Il tasso di tolleranza per le situazioni violente nei prodotti destinati ai bambini subì un netto calo in quegli anni, insieme ad un proporzionale aumento del tasso di ipocrisia generale - ricordo che venne dibattuto se fosse lecito far vedere nei telegiornali i bombardamenti nella ex-Jugoslavia, a rischio di traumatizzare i fanciulli. Sarebbe stato interessante sentire, a tal proposito, l'opinione dei fanciulli ex-Jugoslavi cui ogni giorno cascavano le bombe in testa.
****Cioè, esplicite... c'erano delle scene d'amore e ogni tanto qualcuno faceva la doccia o restava in abiti succinti, e assai raramente questo qualcuno aveva ottant'anni. Tutto ciò c'era anche prima, solo che nessuno ci faceva gran caso, alla fine degli anni '70 (o, se pure ci faceva caso, veniva rapidamente messo a tacere).
*****Che si basava principalmente su un triangolo mai del tutto risolto nel corso della serie

7 commenti:

  1. sono stata una fruitrice di cartoni animati "classici" giapponesi e non mi sembra di aver subito danni permanenti (almeno credo) e mi diverto ancora a guardare alcune puntate su you tube, ma soprattutto a leggere i commenti di persone sfegatate che si perdono in lunghe disquisizioni sui vari personaggi.
    La censura più famosa riguardò Georgie.
    La mia serie preferita invece è Il grande sogno di Maya, Garasu no kamen di cui ahimè l'autrice non ha ancora finito di scriverne la storia.

    RispondiElimina
  2. La tesi è interessante anche se, devo dire il complottismo basato totalmente sulla eterodirezione mi convince sempre il giusto. In particolare, vivendo io a Milano, nessuna sa più di me quanto la discesa in campo sia stata preparata. E però, avendo anche amici stretti che a Mediaset (Fininvest) in quel periodo lavoravano, mi sento di escludere almeno una parte della tua, pur verosimile, ricostruzione a posteriori.

    RispondiElimina
  3. @Agrimonia
    Ah, quanto a disquisizioni sui personaggi non mi sono davvero mai fatta mancare niente!
    Credevo che la Censura più famosa fosse quella di Orange Road, ma in effetti si parlò parecchio anche di Georgie. Io non vidi mai né l'una né l'altra anche se ho letto il manga di Georgie.
    Quello che mi mandò davvero in bestia fu ritrovare Lupin III e Lady Oscar censurati DOPO essere mandati in onda in versione integrale. Se la prima generazione di spettatori era sopravvissuta, perhé non dovevano essere in grado anche le altre di reggere l'impatto?
    Ma nel frattempo il paese era diventato mooolto più perbenista, e Mediaset perbenista lo è sempre stata, in un suo modo assai perverso.
    (Il Grande Sogno di Maya è ormai infinito per contratto, immagino!)

    @ la povna:
    mi rendo conto che è un post abbastanza confuso, soprattutto per chi non conosce la tragica vicenda.
    L'intervista che ho citato secondo me era assai finalizzata alla discesa in campo (anche se non penso che abbia smosso milioni di voti, anche perché buona parte delle persone coinvolte non era ancora in età di votare) : il calendario parla con molta chiarezza. Ma in realtà non penso che ci sia stato un "complotto": è solo una delle tante sfaccettature della storia di quel periodo, in cui cambiò molto la mentalità collettiva e il modo di considerare i bambini e ragazzi. Alla fine degli anni '70 ci si preoccupava molto meno di addomesticare il mondo in funzione dei giovani telespettatori, e l'idea che una storia ambientata in Giappone andasse addomesticata nn passava per la testa a nessuno. In Goldrake per esempio i nomi erano stati cambiati, ma solo perché l'adattamento italiano si appoggiò a quello francese che li aveva cambiati.

    RispondiElimina
  4. Mi hai fatto fare un bel ripasso! Ho seguito sempre LAdy Oscar e Candy, ma anche Goldrake e Jeeg Robot. Qualcuno di quelli che citi, solo saltuariamente.
    Mia figlia di 13 anni vede serie tv al cui confronto le censure di cui parli, farebbero ridere.
    (e infatti lei non si scompone di fronte a scene "esplicite" mentre trema di fronte alle notizie di cronaca nera e di fronte ai bombardamenti su Gaza).

    RispondiElimina
  5. "Noi però non possiamo dimenticare il ruolo che le famiglie ci delegano nell'educazione dei minori"

    Ma quando? MACCCHECOSA?????
    Ma da dove esce tutta questa presunzione???

    Non l'ho mai potuta vadere la Manera!
    Certo magari se i nostri genitori avessero visto con noi la TV,qualche piccolo dubbio dell'epoca me lo sarei tolto! Ma addirittura prendersi la delega dell'educazione mi sembra un tantino esagerato!

    Con i miei figli guardo sempre la misera ora di TV che gli concedo al giorno e devo dire che nonostante l'età (3 e 5) ne fanno di domande!!!!!Sarà un bene? Spero di si!
    Ogni tanto gli butto lì anche qualche puntata di serie che porto nel cuore come "Conan il ragazzo del futuro" aspettando l'età giusta per Daitarn 3 e Goldrake! ;)

    Bellissimo Post!
    Un salutone!

    RispondiElimina
  6. @Linda:
    In effetti non sono mai riuscita a capire perché, davanti all'incredibile notizia che siam esseri sessuati, bambini e ragazzi dovrebbero sconvolgersi o trasecolare, quasi che l'argomento non li riguardasse.
    I bombardamenti (di cui in questo periodo ci viene presentata una ricca scelta geografica) sono un altra cosa. Anche perché, purtroppo, non sono affatto cartoni animati!

    @Sor Pampurio:
    Ah, m avrai notato che A LORO piaceva un sacco attribuirsi deleghe da parte degli italiani, nei più vari settori...
    (sempre bene quando fanno domande. Sempre. Anche se a volte rispondere non è proprio facilissimo, ecco)







    @Sor Pampurio:

    RispondiElimina
  7. Complotto era un modo di dire per definire questo genere di analisi. La tragica vicenda la conosco, gli anime, alcuni anime, li ho studiati. Invece, avendo appunto parecchie persone, peraltro tutte assai antiberlusconiane, che lavoravano in Fininvest in quel periodo quello che ti dicevo è che la ricostruIone è suggestiva, verosimile, ma non vera rispetto alla realtà dei fatti, dati alla mano di chi là ci lavorava, tutto qui.

    RispondiElimina